Siccome stanotte ho dormito dalla mia ragazza, per oggi niente recensioni poiché mi son scordato di prendere con me un disco. Tuttavia, non mi permetterei mai di lasciarvi a bocca asciutta e pertanto vi segnalo un bel documentario su Gil Scott-Heron. E' diviso in sei parti da dieci minuti ciascuna, ovviamente potete arrivarci da soli e quindi non ve le linko una per una.
venerdì 29 agosto 2008
giovedì 28 agosto 2008
GROUP HOME - A TEAR FOR THE GHETTO (Replay, 1999)
Spesso mi capita di pensare che molti rapper abbiano dei seri problemi di autostima: i continui training autogeni che praticano nei dischi, facendosela e raccontandosela da soli su quanto sarebbero belli, bravi e fichi, non solo costituirebbero materiale per giustificare una salva di pernacchie ma alle volte possono anche dare fastidio. Ad esempio: un conto è se mi dici quanto sei meglio di chiunque altro tramite un gioco di parole (e così mi riallaccio a Finesse) facendomi ridere e dimostrando bravura, un altro è invece se pretendi che io creda al tuo valore in base alle copie vendute del tuo disco. Come giudichereste un simile comportamento in altri frangenti, ad esempio, che so, se un rappresentante di lavatrici dicesse che lui è il numero uno nella zona del Musocco? Retoricità della domanda a parte, evidentemente questo pensiero non sfiora nemmeno la testa di molti artisti (men che meno dei fan) e quindi capita sovente che ci si trovi a doversi subire tutta l'arroganza di Pinco nel modo più triviale e pateticamente rampantistico che vi possa essere.
Beh, dite quel che volete dei Group Home, ma loro questo non lo fanno; più che per modestia, perchè non beccano un cazzo, beninteso. Ma tant'è: Tear For The Ghetto è uno di quei dischi che mi commuovono nella loro immensa sfiga -nel senso più stretto del termine- e nell'esito esageratamente negativo ricevuto in termini di successo commerciale. Non scherzo: io l'ho visto in negozio una volta, l'ho comprato e poi PUF, nessuno ne ha mai più saputo nulla mentre cose ben peggiori spuntavano quà e là come funghi in una doccia pubblica. E per aggiungere la beffa al danno, nemmeno si tratta di un album perlomeno riverito dagli aficionados, no. No, davvero, non se lo fila nessuno.
E va bene che Premier produce una sola traccia, va bene che Melachi è bravo a rimare quanto lo è Richard Scarry, d'accordo anche sul fatto che come contenuti o rime sèm semper lì e dio solo sa quanto ormai mi possa impressionare un tizio che attraverso uno stereo mi minaccia di infilarmi una Glock nel culo... però guardate che non è malvagio. per dirne una: Lil' Dap avrà anche quella vocina da MiniMe che non lo rende esattamente piacevole all'ascolto -e comunque è un cinghiale imbarazzante- però nemmeno si può dire che sia oggettivamente scarso. Oppure, d'altro canto non si può nemmeno ignorare il fatto che Agallah (un altro che di sfiga se ne intende) produca un buon cinque tracce, che ci sia Alchemist e che persino dei semisconosciuti come Charlie Marotta riescano a creare dei beat non certo originali ma perlomeno piacevoli... poi va da sè che paragonarlo a Livin' Proof sarebbe come sparare sulla croce rossa ad un metro di distanza usando un bazooka, ma se preso singolarmente non è peggio della media, anzi.
Uno dei pregi che me lo rendono apprezzabile è ad esempio la capacità di trasmettere atmosfere urbane e di alienazione come pochi sanno fare; e, sì, mi rendo conto che una simile constatazione è soggettiva, ma come inquadrare allora il minimalismo di Tear Shit Down, la triste melodia fatta di archi e piano di da Real GH o la cupezza di cose come A-Train XPress e Oh Sweet America? In tutti questi casi viaggiamo nel nel solco scavato da Havoc quattro anni prima con The Infamous, e per quanto ovviamente non vi sia paragone è tuttavia sicuro che la scuola è quella e che ancora oggi sortisca gli effetti desiderati. Indi per cui non aspettatevi ritornelli cantati, melodie allegre et similia: tutto ciò che i Group Home hanno da offrire sono resoconti della vita a Brooklyn e poco più, ed in tal senso il titolo dell'album è quantomeno azzeccato. Purtroppo -già che siamo in tema di beat- non tutte le canzoni sono allo stesso livello, ed anzi alcune raggiungono dei picchi di bruttezza da lasciare basiti. Nella schiera delle porcherie troviamo ad esempio la rivisitazione di Ghetto Bird (Be Like That), che non solo non aggiunge nulla al capolavoro di QDIII ma addirittura la priva della sua forza originaria facendo un casino inenarrabile con la melodia dei synth; Stupid MF'S rientra a pieno titolo tra le ciofeche di Alchemist e Run For Your Life spreca un bel campione che invece si può sentire ben utilizzato in Glamour Life di Big Pun. We Can Do this e Breaker 1-9 nemmeno mi va di commentarle. Fortunatamente, ad eccezione di questi aborti di produzione, il resto s'attesta tra il piacevole ed il buono, vale a dire senza grande innovazione ma con un buon risultato, ed in questo contesto svettano senz'altro The Legacy, A-Train XPress, Oh Sweet America e l'allegra e scherzosa Life Ain't Shit.
Liricamente ho davvero poco da dire. Melachi è, ribadisco, la solita sega di sempre anche se un pochino pare essere migliorato e comunque non figura nemmeno in metà dei pezzi, per cui stavolta se ride un po' meno ma oggettivamente va bene così; Lil' Dap ci usa la comune cortesia di non riciclare vecchie strofe (ma lo farà nel 2003 in Thieves In Da Nite di Shabazz con la strofa di Street Life, proprio un merdone) e pur nella sua scarsa originalità riesce a funzionare egregiamente sui beat, limitandosi perlopiù a dire che fa brutto anche se è alto un cazzo e mezzo e spargendo di tanto in tanto qualche cosid. "jewel of knowledge" (ma del tipo "bevete il latte che fa crescere", cose increddibbili). Ecco, diciamo che persino nel caso di questo Tear For The Ghetto sono i beat a rendere degno di un ascolto il tutto, perchè come emceeing siamo a livelli di passabilità ma nulla di più (e difatti, se vi è capitato di sentire qualcuna delle orride terronate fatte di recente da Dap per quella etichetta polacca capirete quanto di vero ci sia nell'affermazione precedente).
In conclusione, mi pare evidente che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro. Tuttavia, benché abbia sfottuto questo secondo ed ultimo lavoro dei Group home, non posso fingere che in fondo non mi piaccia. L'ascolto è senz'altro ripetitivo (20 pezzi...), eppure se le cose grimey rientrano nei vostri gusti reputo Tear For The Ghetto un prodotto valido e piacevole. Da qui ad augurarmi una riunione del duo ce ne passa, però...
Group Home - A Tear For The Ghetto
VIDEO: THE LEGACY
Beh, dite quel che volete dei Group Home, ma loro questo non lo fanno; più che per modestia, perchè non beccano un cazzo, beninteso. Ma tant'è: Tear For The Ghetto è uno di quei dischi che mi commuovono nella loro immensa sfiga -nel senso più stretto del termine- e nell'esito esageratamente negativo ricevuto in termini di successo commerciale. Non scherzo: io l'ho visto in negozio una volta, l'ho comprato e poi PUF, nessuno ne ha mai più saputo nulla mentre cose ben peggiori spuntavano quà e là come funghi in una doccia pubblica. E per aggiungere la beffa al danno, nemmeno si tratta di un album perlomeno riverito dagli aficionados, no. No, davvero, non se lo fila nessuno.
E va bene che Premier produce una sola traccia, va bene che Melachi è bravo a rimare quanto lo è Richard Scarry, d'accordo anche sul fatto che come contenuti o rime sèm semper lì e dio solo sa quanto ormai mi possa impressionare un tizio che attraverso uno stereo mi minaccia di infilarmi una Glock nel culo... però guardate che non è malvagio. per dirne una: Lil' Dap avrà anche quella vocina da MiniMe che non lo rende esattamente piacevole all'ascolto -e comunque è un cinghiale imbarazzante- però nemmeno si può dire che sia oggettivamente scarso. Oppure, d'altro canto non si può nemmeno ignorare il fatto che Agallah (un altro che di sfiga se ne intende) produca un buon cinque tracce, che ci sia Alchemist e che persino dei semisconosciuti come Charlie Marotta riescano a creare dei beat non certo originali ma perlomeno piacevoli... poi va da sè che paragonarlo a Livin' Proof sarebbe come sparare sulla croce rossa ad un metro di distanza usando un bazooka, ma se preso singolarmente non è peggio della media, anzi.
Uno dei pregi che me lo rendono apprezzabile è ad esempio la capacità di trasmettere atmosfere urbane e di alienazione come pochi sanno fare; e, sì, mi rendo conto che una simile constatazione è soggettiva, ma come inquadrare allora il minimalismo di Tear Shit Down, la triste melodia fatta di archi e piano di da Real GH o la cupezza di cose come A-Train XPress e Oh Sweet America? In tutti questi casi viaggiamo nel nel solco scavato da Havoc quattro anni prima con The Infamous, e per quanto ovviamente non vi sia paragone è tuttavia sicuro che la scuola è quella e che ancora oggi sortisca gli effetti desiderati. Indi per cui non aspettatevi ritornelli cantati, melodie allegre et similia: tutto ciò che i Group Home hanno da offrire sono resoconti della vita a Brooklyn e poco più, ed in tal senso il titolo dell'album è quantomeno azzeccato. Purtroppo -già che siamo in tema di beat- non tutte le canzoni sono allo stesso livello, ed anzi alcune raggiungono dei picchi di bruttezza da lasciare basiti. Nella schiera delle porcherie troviamo ad esempio la rivisitazione di Ghetto Bird (Be Like That), che non solo non aggiunge nulla al capolavoro di QDIII ma addirittura la priva della sua forza originaria facendo un casino inenarrabile con la melodia dei synth; Stupid MF'S rientra a pieno titolo tra le ciofeche di Alchemist e Run For Your Life spreca un bel campione che invece si può sentire ben utilizzato in Glamour Life di Big Pun. We Can Do this e Breaker 1-9 nemmeno mi va di commentarle. Fortunatamente, ad eccezione di questi aborti di produzione, il resto s'attesta tra il piacevole ed il buono, vale a dire senza grande innovazione ma con un buon risultato, ed in questo contesto svettano senz'altro The Legacy, A-Train XPress, Oh Sweet America e l'allegra e scherzosa Life Ain't Shit.
Liricamente ho davvero poco da dire. Melachi è, ribadisco, la solita sega di sempre anche se un pochino pare essere migliorato e comunque non figura nemmeno in metà dei pezzi, per cui stavolta se ride un po' meno ma oggettivamente va bene così; Lil' Dap ci usa la comune cortesia di non riciclare vecchie strofe (ma lo farà nel 2003 in Thieves In Da Nite di Shabazz con la strofa di Street Life, proprio un merdone) e pur nella sua scarsa originalità riesce a funzionare egregiamente sui beat, limitandosi perlopiù a dire che fa brutto anche se è alto un cazzo e mezzo e spargendo di tanto in tanto qualche cosid. "jewel of knowledge" (ma del tipo "bevete il latte che fa crescere", cose increddibbili). Ecco, diciamo che persino nel caso di questo Tear For The Ghetto sono i beat a rendere degno di un ascolto il tutto, perchè come emceeing siamo a livelli di passabilità ma nulla di più (e difatti, se vi è capitato di sentire qualcuna delle orride terronate fatte di recente da Dap per quella etichetta polacca capirete quanto di vero ci sia nell'affermazione precedente).
In conclusione, mi pare evidente che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro. Tuttavia, benché abbia sfottuto questo secondo ed ultimo lavoro dei Group home, non posso fingere che in fondo non mi piaccia. L'ascolto è senz'altro ripetitivo (20 pezzi...), eppure se le cose grimey rientrano nei vostri gusti reputo Tear For The Ghetto un prodotto valido e piacevole. Da qui ad augurarmi una riunione del duo ce ne passa, però...
Group Home - A Tear For The Ghetto
VIDEO: THE LEGACY
File under: Group Home
mercoledì 27 agosto 2008
THAT DOT-COM BULLSHIT, I'M ON IT
Momento stronzata: innanzitutto vorrei condividere la gioia che mi da vedere questa prestigiosa foto dei Clipse feat. un genio, recuperata da una delle gallerie della colonnina delle stronzate di repubblica.it. Non è bella?
E poi, rubando l'idea alla Morelli's Movie Guide (andateci che fa ride), pure io nel mio piccolo ho saputo attrarre alcuni fenomeni che, esclusi i segajoli standard e le loro tipiche richieste, hanno sapientemente sfruttato gli infallibili motori di ricerca:
GOOGLE NON E' UN ORACOLO
"come si chiama la canzone rap ke inizia così one love one chance"
"come realizzare un buon beat"
WEIRDOS
"collezionisti di brugole"
"clistere a piccolo volume" [!!!]
"chiocciole in teflon"
"collezione di pisciate"
"foto cancro tvt cani" [WTF?]
"seghe disco basculanti"
File under: *Reiser's PSA*
LORD FINESSE - RETURN OF THE FUNKY MAN (Giant/Warner Bros, 1991)
Benché io sia -musicalmente- un figlio del '94 e quindi faccia generalmente fatica a digerire l'hip hop precedente al '92, ogni tanto trovo il disco che, contro ogni aspettativa, riesce a mantenere vivo il mio interesse anche dopo la quinta traccia. E' il caso di questo Return Of The Funky Man, da me reperito in piena ignoranza dopo aver scoperto -con qualche ritardo- Finesse nel '96 grazie a The Awakening, foriero di un'immensa delusione iniziale: pensate, avevo appena scoperto che dal '91 al '95 il suono nuiorchese era cambiato e di parecchio, e lo scoprivo nel modo più brutale possibile. I beat erano più veloci, basati al 90% su break, i campioni suonavano verdonianamente "sstrani" (e fu così che scoprii anche il funk)... insomma, capirete che a 14 anni beccarsi una (presunta) sòla di questo genere sia spiacevole, anche in considerazione del fatto che per me comprare un CD allora corrispondeva a rinunciare a qualsiasi altra cosa per due o tre settimane. Fortunatamente il tempo però passa, uno cresce e magari si ritrova a 19 anni a dare una seconda chance a quelle che in precedenza erano state bollate come cacate; e mentre per alcune di esse il giudizio rimane invariato, per altre l'opinione va via via sgretolandosi cosicché ci si può ritrovare qualche anno dopo con in mano una chicca da riascoltare di tanto in tanto, invecchiata come il vino malgrado tutto.
Per dirne una: eccetto certi modi di dire dell'epoca ("I'm Audi" il più folkloristico) o alcuni riferimenti che fanno sorridere (ad esempio "I'm futuristic like *tecnologia vetusta*"), Finesse al microfono è sempre affidabile. Senza dubbio è il produttore in lui il primario motivo d'interesse, ma se si considerano diversi suoi colleghi non si può negare che in quanto a rime, metafore e più generalmente inventiva tout court il Nostro se la cavi più che bene; detta in poche parole, non sfigura come ci si aspetterebbe nemmeno di fianco ad un Percee P o ad un A.G., ed anzi riesce a mantenere alta l'attenzione dell'ascoltatore per tutto l'album grazie ad un sapiente dosaggio di tecnica, creatività ed umorismo. Ciò va ovviamente a scapito dei contenuti, che resteranno sempre nella comfort zone dell'autoesaltazione, ma è indubbiamente meglio buttarsi a fondo in ciò che si sa fare anziché creare pretenziose fetecchie. Ora, non avrebbe senso citare questo piuttosto che quel verso: mi limito a dire che se si esclude l'inevitabile ridondanza di un simile approccio, Return Of The Funky Man è capace di sorprendere ancora oggi, specialmente grazie a tracce come I Like My Girls With A Boom, Yes You May (sì sì, il remix è più bello ma anche sticazzi), Fat For The 90's, Kicking Flavor With My Man o Funky On The Fast Tip.
E se ciò avviene, in questi casi (ma anche altre come Praise The Lord o Isn't He Something eccetera eccetera) è perchè Finesse è sempre stato un produttore con due coglioni così, capace non solo di creare beat di qualità ma anche di saperseli scegliere efficacemente. Ora, nel '91-'92 non esisteva ancora un "vero" suono della D.I.T.C. ed in questo album, come del resto anche in Runaway Slave o Stunts ecc, ciò che viene fatto è perfezionare o modificare lievemente i trend in auge in quell'epoca. Il che però non significa in questo caso semplicemente scegliersi quanti più campioni di James Brown possibili (e comunque ce ne sono) o incollare microloop e suoni per fare il verso alla Bomb Squad, bensì traghettare -nei fatti- i suoni di fine anni '80 verso le ben più lente atmosfere degli anni '90. E se questo merito va secondo me riconosciuto specialmente agli EPMD, nemmeno si può escludere che nel suo piccolo anche Finesse si sia mosso in questa direzione con successo. Guardiamo ad esempio Praise The Lord (che è un pezzone a prescindere) e paragoniamola a Party Over Here: nell'arco di poche canzoni si passa da un'epoca all'altra quasi senza soluzione di continuità e, ça va sans dire, poco dopo si ritorna alla precedente. Non un LP di rottura, quindi, ma una sorta di traghetto dove certamente si riutilizzano i sempre efficaci break e quant'altro, ma dove comincia a farsi notare sempre più la tendenza a loopare segmenti più lunghi attinti magari da qualche roba soul o fusion. Doppio chapeau, poi, se si vanno a paragonare le sue creature a quelle di alcuni dei colleghi ospitati sul disco: a prescindere da questioni di qualità, l'unico a seguirlo in questo percorso dietro è Diamond D, mentre sia i californiani Aladdin e SLJ che Showbiz sono ancora parecchio legati al sound degli anni precedenti.
Vorrei poter conoscere meglio la musica per proseguire oltre ed in maniera più chiara in questo discorso, ma non essendo abbastanza competente per farlo devo prosaicamente limitarmi a suggerirvi uno o più ascolti di Return of the Funky Man. I nonnetti che ogni tanto passano di qua avranno senz'altro già memorizzato l'album e pertanto non starò certo a predicare ai convertiti, quindi il mio consiglio è rivolto ai miei coetanei o comunque a chi tende a nutrire grande diffidenza nei confronti della musica antecedente il '93: occhio perchè rischiate di perdervi qualcosa.
Lord Finesse - Return Of The Funky Man
VIDEO: RETURN OF THE FUNKY MAN
Per dirne una: eccetto certi modi di dire dell'epoca ("I'm Audi" il più folkloristico) o alcuni riferimenti che fanno sorridere (ad esempio "I'm futuristic like *tecnologia vetusta*"), Finesse al microfono è sempre affidabile. Senza dubbio è il produttore in lui il primario motivo d'interesse, ma se si considerano diversi suoi colleghi non si può negare che in quanto a rime, metafore e più generalmente inventiva tout court il Nostro se la cavi più che bene; detta in poche parole, non sfigura come ci si aspetterebbe nemmeno di fianco ad un Percee P o ad un A.G., ed anzi riesce a mantenere alta l'attenzione dell'ascoltatore per tutto l'album grazie ad un sapiente dosaggio di tecnica, creatività ed umorismo. Ciò va ovviamente a scapito dei contenuti, che resteranno sempre nella comfort zone dell'autoesaltazione, ma è indubbiamente meglio buttarsi a fondo in ciò che si sa fare anziché creare pretenziose fetecchie. Ora, non avrebbe senso citare questo piuttosto che quel verso: mi limito a dire che se si esclude l'inevitabile ridondanza di un simile approccio, Return Of The Funky Man è capace di sorprendere ancora oggi, specialmente grazie a tracce come I Like My Girls With A Boom, Yes You May (sì sì, il remix è più bello ma anche sticazzi), Fat For The 90's, Kicking Flavor With My Man o Funky On The Fast Tip.
E se ciò avviene, in questi casi (ma anche altre come Praise The Lord o Isn't He Something eccetera eccetera) è perchè Finesse è sempre stato un produttore con due coglioni così, capace non solo di creare beat di qualità ma anche di saperseli scegliere efficacemente. Ora, nel '91-'92 non esisteva ancora un "vero" suono della D.I.T.C. ed in questo album, come del resto anche in Runaway Slave o Stunts ecc, ciò che viene fatto è perfezionare o modificare lievemente i trend in auge in quell'epoca. Il che però non significa in questo caso semplicemente scegliersi quanti più campioni di James Brown possibili (e comunque ce ne sono) o incollare microloop e suoni per fare il verso alla Bomb Squad, bensì traghettare -nei fatti- i suoni di fine anni '80 verso le ben più lente atmosfere degli anni '90. E se questo merito va secondo me riconosciuto specialmente agli EPMD, nemmeno si può escludere che nel suo piccolo anche Finesse si sia mosso in questa direzione con successo. Guardiamo ad esempio Praise The Lord (che è un pezzone a prescindere) e paragoniamola a Party Over Here: nell'arco di poche canzoni si passa da un'epoca all'altra quasi senza soluzione di continuità e, ça va sans dire, poco dopo si ritorna alla precedente. Non un LP di rottura, quindi, ma una sorta di traghetto dove certamente si riutilizzano i sempre efficaci break e quant'altro, ma dove comincia a farsi notare sempre più la tendenza a loopare segmenti più lunghi attinti magari da qualche roba soul o fusion. Doppio chapeau, poi, se si vanno a paragonare le sue creature a quelle di alcuni dei colleghi ospitati sul disco: a prescindere da questioni di qualità, l'unico a seguirlo in questo percorso dietro è Diamond D, mentre sia i californiani Aladdin e SLJ che Showbiz sono ancora parecchio legati al sound degli anni precedenti.
Vorrei poter conoscere meglio la musica per proseguire oltre ed in maniera più chiara in questo discorso, ma non essendo abbastanza competente per farlo devo prosaicamente limitarmi a suggerirvi uno o più ascolti di Return of the Funky Man. I nonnetti che ogni tanto passano di qua avranno senz'altro già memorizzato l'album e pertanto non starò certo a predicare ai convertiti, quindi il mio consiglio è rivolto ai miei coetanei o comunque a chi tende a nutrire grande diffidenza nei confronti della musica antecedente il '93: occhio perchè rischiate di perdervi qualcosa.
Lord Finesse - Return Of The Funky Man
VIDEO: RETURN OF THE FUNKY MAN
File under: D.I.T.C.-Related, Lord Finesse
martedì 26 agosto 2008
M-BOOGIE - LAID IN FULL CHAPTER 2 (Ill Boogie/Groove Attack, 2001)
Questa seconda giornata di lavoro è cominciata nel peggiore dei modi possibile, e cioè con la panza dolorante e l'ano cacante a causa di una ricca stroppa presa ieri sera a cavallo tra l'aperitivo e la visione di un filmone quale Cobra VS. Python. Cosa c'entri questo con Laid In Full proprio non saprei dire, ma ognuno di noi ha bisogno di qualcosa a cui appigliarsi quando non sa che cazzo dire - e questo è il caso di stamane.
In realtà, trattandosi di uno supersconosciuto, sarebbe utile presentarvi una piccola biografia e così, vincendo la fatica, eccovela: M-Boogie è un DJ/produttore/CEO californiano che intorno agli inizi del millennio (soprattutto nel 2001) ha firmato tutta una serie di prodotti che vanno dal mixtape alla compilation, dall'intero album all'occasionale produzione. I fan più sfegatati dell'underground probabilmente si ricorderanno quantomeno del disco di Akbar e del primo di Mykill Miers, mentre gli altri probabilmente vi si avvicineranno con un'espressione di granitico disinteresse à la Buster Keaton. Fatto sta che non vi voglio annoiare troppo e pertanto anticipo che, no, questo non è il nuovo Liquid Swords e nemmeno vi farà gridare al miracolo per originalità: è, molto semplicemente, un disco piacevole. Ad un paio di condizioni, però.
La prima è che l'idea di commistione tra tracce non vi disturbi più che tanto, considerato il fatto che esse sono spesso sovrapposte o mixate l'una con l'altra (vuoi anche in maniera "delicata" - per intenderci, non siamo ai livelli da denuncia dei mixtape di metà anni '90). La seconda è che ve ne freghiate altamente dell'originalità dei beat nonché della loro varietà, in quanto M-Boogie è un (bravo) imitatore del Premier più hardcore con tutto quel che ne consegue. La terza condizione, infine, prevede che siate dei convinti masticatori di underground classico privo di fronzoli così come di grandi temi, dato il fatto che qui non troverete traccia di altro all'infuori dell'egotrippin' e delle metriche.
Nel caso doveste aver crocettato tutt'e tre le condizioni di cui sopra, preparatevi ad una piacevole sorpresa fin dalla prima traccia. A Yeshua Da Po'ed (precedentemente autore di un paio di 12" col compare Siah, se non forse anche d'un EP) il compito di introdurvi in atmosfere smaccatamente nuiorchesi e sfacciatamente sucate a Primo, cut inclusi. Pure, bisogna dire che non solo Boogie dimostra mediamente buon gusto, ma soprattutto che è un fonico coi controcazzi: partendo dal presupposto che il budget per lo studio non dev'essere stato faraonico, tutti i beat suonano divinamente e vantano un mixaggio pulito e generalmente impeccabile. Questo è determinante proprio nel momento in cui senza di esso ci si troverebbe di fronte al classico esempio di "voglio ma non posso", mentre in questo modo il lavoro può davvero funzionare. Certo, sto scordando l'emceeing, ma qui il discorso si fa un po' più complicato: si tratta perlopiù di semisconosciuti, e se da un lato abbiamo conferme sia piacevoli (Buckshot, Jean Grae, Erule ed il suo impeccabile flow) che sgradite (Akbar ed il sempre inetto Grand Agent), dall'altro alcuni dei suddetti non lasciano grandi segni del loro passaggio e fanno pensare che qualcun altro forse sarebbe stato più degno di stare davanti al microfono. Tuttavia, posso dire che nel complesso non vi sia nessuno -a parte i soliti due noti di cui sopra- che davvero faccia venir voglia di skippare traccia, e se si vuol chiudere un occhio su alcuni evidenti difetti (Mykill Miers e Triple Seis legnosi, Born Allah tecnicamente lacunoso, i restanti privi di mordente) l'intero disco fila via che è una bellezza.
O quasi. Vedete, progetti come Laid In Full funzionano solo se gli elementi in gioco risultano ugualmente validi o se uno dei due compensa le lacuna dell'altro. Per esempio, Mind Wars è secondo me eccezionale sia come beat (campionare il soffio del vento è tanto bizzarro quanto azzeccato, specie su una simile linea di basso) che come rime (Erule sarà californiano quanto volete ma deve molto a Big Daddy Kane) e risulta nell'insieme una delle cose migliori del disco; World War I o la divertente How To Break Up With Your Girlfriend peccano rispettivamente per emceeing e per beat, ma la parte migliore trascina l'altra e se ne esce comunque soddisfatti. Il problema si pone quando due cacchine formano una gigantesca boascia, ed è questo il caso dei pezzi di Akbar, di Grand Agent, di Pri The Honeydark (chi?) o del secondo pezzo di Born Allah. Tutti casi, questi, che trascinano in basso un ascolto di per sè già appesantito dalla sensazione di già sentito nonché dalla monotonia delle atmosfere, ed è davvero una pecca che si sarebbe potuta evitare operando, banalmente, una sforbiciata alla tracklist.
A conti fatti non si tratta dopotutto di un peccato mortale e comunque lo si può perdonare viste le scarse ambizioni (spero, almeno) di un simile progetto e, naturalmente, anche perchè vi sono pur sempre quelle tre signore canzoni che giustificano da sole l'esistenza di un qualsiasi Laid In Full. Tuttavia, l'evidente insuccesso commerciale deve aver frustrato non poco il Nostro eroe, che dopo un'infornata impressionante di dischi nel 2001 è poi scomparso nel nulla senza lasciar tracce di sè (eccetto voci di corridoio che lo vogliono produttore house). Ma tant'è, poco importa: intanto questo Laid In Full ce l'abbiamo, e concesso che vada avvicinato senza enormi aspettative direi che vale senz'altro un ascolto.
M-Boogie - Laid In Full Chapter 2
In realtà, trattandosi di uno supersconosciuto, sarebbe utile presentarvi una piccola biografia e così, vincendo la fatica, eccovela: M-Boogie è un DJ/produttore/CEO californiano che intorno agli inizi del millennio (soprattutto nel 2001) ha firmato tutta una serie di prodotti che vanno dal mixtape alla compilation, dall'intero album all'occasionale produzione. I fan più sfegatati dell'underground probabilmente si ricorderanno quantomeno del disco di Akbar e del primo di Mykill Miers, mentre gli altri probabilmente vi si avvicineranno con un'espressione di granitico disinteresse à la Buster Keaton. Fatto sta che non vi voglio annoiare troppo e pertanto anticipo che, no, questo non è il nuovo Liquid Swords e nemmeno vi farà gridare al miracolo per originalità: è, molto semplicemente, un disco piacevole. Ad un paio di condizioni, però.
La prima è che l'idea di commistione tra tracce non vi disturbi più che tanto, considerato il fatto che esse sono spesso sovrapposte o mixate l'una con l'altra (vuoi anche in maniera "delicata" - per intenderci, non siamo ai livelli da denuncia dei mixtape di metà anni '90). La seconda è che ve ne freghiate altamente dell'originalità dei beat nonché della loro varietà, in quanto M-Boogie è un (bravo) imitatore del Premier più hardcore con tutto quel che ne consegue. La terza condizione, infine, prevede che siate dei convinti masticatori di underground classico privo di fronzoli così come di grandi temi, dato il fatto che qui non troverete traccia di altro all'infuori dell'egotrippin' e delle metriche.
Nel caso doveste aver crocettato tutt'e tre le condizioni di cui sopra, preparatevi ad una piacevole sorpresa fin dalla prima traccia. A Yeshua Da Po'ed (precedentemente autore di un paio di 12" col compare Siah, se non forse anche d'un EP) il compito di introdurvi in atmosfere smaccatamente nuiorchesi e sfacciatamente sucate a Primo, cut inclusi. Pure, bisogna dire che non solo Boogie dimostra mediamente buon gusto, ma soprattutto che è un fonico coi controcazzi: partendo dal presupposto che il budget per lo studio non dev'essere stato faraonico, tutti i beat suonano divinamente e vantano un mixaggio pulito e generalmente impeccabile. Questo è determinante proprio nel momento in cui senza di esso ci si troverebbe di fronte al classico esempio di "voglio ma non posso", mentre in questo modo il lavoro può davvero funzionare. Certo, sto scordando l'emceeing, ma qui il discorso si fa un po' più complicato: si tratta perlopiù di semisconosciuti, e se da un lato abbiamo conferme sia piacevoli (Buckshot, Jean Grae, Erule ed il suo impeccabile flow) che sgradite (Akbar ed il sempre inetto Grand Agent), dall'altro alcuni dei suddetti non lasciano grandi segni del loro passaggio e fanno pensare che qualcun altro forse sarebbe stato più degno di stare davanti al microfono. Tuttavia, posso dire che nel complesso non vi sia nessuno -a parte i soliti due noti di cui sopra- che davvero faccia venir voglia di skippare traccia, e se si vuol chiudere un occhio su alcuni evidenti difetti (Mykill Miers e Triple Seis legnosi, Born Allah tecnicamente lacunoso, i restanti privi di mordente) l'intero disco fila via che è una bellezza.
O quasi. Vedete, progetti come Laid In Full funzionano solo se gli elementi in gioco risultano ugualmente validi o se uno dei due compensa le lacuna dell'altro. Per esempio, Mind Wars è secondo me eccezionale sia come beat (campionare il soffio del vento è tanto bizzarro quanto azzeccato, specie su una simile linea di basso) che come rime (Erule sarà californiano quanto volete ma deve molto a Big Daddy Kane) e risulta nell'insieme una delle cose migliori del disco; World War I o la divertente How To Break Up With Your Girlfriend peccano rispettivamente per emceeing e per beat, ma la parte migliore trascina l'altra e se ne esce comunque soddisfatti. Il problema si pone quando due cacchine formano una gigantesca boascia, ed è questo il caso dei pezzi di Akbar, di Grand Agent, di Pri The Honeydark (chi?) o del secondo pezzo di Born Allah. Tutti casi, questi, che trascinano in basso un ascolto di per sè già appesantito dalla sensazione di già sentito nonché dalla monotonia delle atmosfere, ed è davvero una pecca che si sarebbe potuta evitare operando, banalmente, una sforbiciata alla tracklist.
A conti fatti non si tratta dopotutto di un peccato mortale e comunque lo si può perdonare viste le scarse ambizioni (spero, almeno) di un simile progetto e, naturalmente, anche perchè vi sono pur sempre quelle tre signore canzoni che giustificano da sole l'esistenza di un qualsiasi Laid In Full. Tuttavia, l'evidente insuccesso commerciale deve aver frustrato non poco il Nostro eroe, che dopo un'infornata impressionante di dischi nel 2001 è poi scomparso nel nulla senza lasciar tracce di sè (eccetto voci di corridoio che lo vogliono produttore house). Ma tant'è, poco importa: intanto questo Laid In Full ce l'abbiamo, e concesso che vada avvicinato senza enormi aspettative direi che vale senz'altro un ascolto.
M-Boogie - Laid In Full Chapter 2
File under: M-Boogie
lunedì 25 agosto 2008
SCREWBALL - LOYALTY (Landspeed/Hydra, 2001)
Dire che sono imbruttito ed in piena gnugna è dir poco... come un provato frustratone milanese, stamane proprio non riesco a pensare a lavorare senza tirare giù cristoni, ed il solo vedere la città ancora sostanzialmente vuota mi priva definitivamente della poca voglia di vivere rimastami. Ma tant'è... in attesa di compiere la mia prima visita stagionale da Vibra per cercare qualcosa di fresho, non vedo perchè non scavare nei ricordi delle estati precedenti e tirar fuori questo Loyalty, uscito in sordina intorno a giugno-luglio del 2001 e puntualmente passato inosservato ai più.
Insoddisfatti all'epoca dal rapporto con la Tommy Boy, infatti, il gruppo del QB aveva reciso il contratto con la suddetta poco tempo dopo l'uscita di Y2K per legarsi alla ormai defunta Landspeed; una mossa che oggi sarebbe perfettamente normale e che non minerebbe più che tanto il potenziale di un disco, ma che allora certamente non aiutò i nostri eroi a creare le premesse per un vuoi anche relativo successo. Aggiungiamoci anche forti dissidi interni, l'assenza di un produttore "pesante" come Premier e la generale tendenza ad inseguire Atlanta più che New York e si capisce come mai in seguito a questo disco gli Screwball si fossero sciolti.
Tuttavia il loro testamento artistico è di tutto rispetto, e per quanto sia privo dell'impatto di Y2K esso risulta comunque un più che buon album oltrechè una piccola perla per gli aficionados del Queensbridge. E questo perchè su di esso si possono trovare non solo gli stessi Screwball, ma anche gente da nulla come Tragedy, Kool G Rap, Cormega ed altri, i quali vanno a supportare i protagonisti su produzioni gestite perlopiù dai sempre ottimi (ma non ditelo in giro) Godfather Don e Ayatollah. Non stupisce quindi la generale impressione di qualità che si riceve dall'ascolto, al contrario resta l'amaro in bocca per l'inclusione di questa o quella canzone che rovina il sapore dell'insieme. Ma vediamo nel dettaglio cos'ha da offrire questo Loyalty.
Innanzitutto direi l'omonima traccia che, su un cupo loop di archi coadiuvato da delle batterie belle pesanti courtesy of Godfather Don, vede Poet, KL ed un Cormega in ottima forma passarsi il microfono per discettare sull'importanza della lealtà e su quanto l'assenza di questa possa risultare nociva; in particolare è la strofa di KL a risaltare di più, in quanto estremamente personale e diretta contro una specifica persona che in seguito si scoprirà essere nientemeno che Hostyle -non stupisce a questo punto che si siano sciolti, direi. Dello stesso tenore qualitativo sono poi Where Ya At (curiosamente "solare" per un pezzo degli Screwball), la valida Live And Let Die (che gira su un campione vocale tagliato à la Premier), l'inquietante Too High Too Low (segnalo la strofa da dieci e lode di Tragedy, che aiuta a glissare sui suoni vagamente fastidiosi del synth) e le ottime tracce soliste di Poet e Hostyle (The Bio e Street Life, rispettivamente). Naturalmente, la bontà delle suddette non è tanto data dai contenuti -siamo sempre nel contesto della thuggery più rozza- quanto dall'efficace connubio di MC e beat: i primi sono tutti senz'altro competenti e riescono a complementarsi ottimamente l'uno con l'altro, mentre i secondi non risentono più di tanto dei cliché dell'epoca del QB ed anzi riportano su un percorso più vicino al boombap classico le sue atmosfere. In una frase: l'alchimia tra gli elementi funziona.
Va purtroppo però notato che di fianco a cose buone come le sopracitate vi sono alcuni pezzi fondamentalmente insipidi anche se ascoltabili -When The Sun Goes Down, la fracassona Torture (primo singolo, peraltro) dove gli M.O.P. fanno un po' troppo casino persino per i loro standard, I Spit, Real Niggaz. Tra questi va poi anche inclusa la collabo con Noreaga e G Rap, che in tutta franchezza asciuga al terzo ascolto, oltreché la deludente Screwed Up (da una produzione dei Beatnuts mi sarei aspettato qualcosa di meno generico). Tutt'altro discorso va invece fatto per l'orrida Gotta Believe, che incorporando un atroce ritornello R&B -come se non bastasse il beat pseudojiggy- si candida a canzone più brutta in assoluto mai prodotta dal quartetto. Questo è uno di quei pochi casi dove si può parlare, a ragion veduta, di trash -inteso non nel senso "ironico" di cui tanto abusano gli idioti, quanto nello scarto esistente tra gli obiettivi posti dall'autore ed il risultato effettivo.
Concludendo, Loyalty è un disco certamente non d'impatto come il predecessore e per di più soffre di alcune lacune oggettivamente non presenti in Y2K (più precisamente una canzone davvero oscena contornata da altre senza infamia e senza lode), per cui se proprio voleste cominciare ad ascoltare gli Screwball vi suggerirei di provare quest'ultimo. Pure, non si può negare che nel complesso vi siano alcuni pezzi davvero efficaci e che l'insieme risulti appagante all'ascoltatore incallito; soprattutto, sarebbe ingeneroso trattare Loyalty alla stregua di una qualsiasi cazzata prodotta -che so- da Iman Thug o gente simile, per cui il mio consiglio è di dargli una chance. Sai mai che sette anni fa non ci si sia persi qualcosa...
Screwball - Loyalty
Tuttavia il loro testamento artistico è di tutto rispetto, e per quanto sia privo dell'impatto di Y2K esso risulta comunque un più che buon album oltrechè una piccola perla per gli aficionados del Queensbridge. E questo perchè su di esso si possono trovare non solo gli stessi Screwball, ma anche gente da nulla come Tragedy, Kool G Rap, Cormega ed altri, i quali vanno a supportare i protagonisti su produzioni gestite perlopiù dai sempre ottimi (ma non ditelo in giro) Godfather Don e Ayatollah. Non stupisce quindi la generale impressione di qualità che si riceve dall'ascolto, al contrario resta l'amaro in bocca per l'inclusione di questa o quella canzone che rovina il sapore dell'insieme. Ma vediamo nel dettaglio cos'ha da offrire questo Loyalty.
Innanzitutto direi l'omonima traccia che, su un cupo loop di archi coadiuvato da delle batterie belle pesanti courtesy of Godfather Don, vede Poet, KL ed un Cormega in ottima forma passarsi il microfono per discettare sull'importanza della lealtà e su quanto l'assenza di questa possa risultare nociva; in particolare è la strofa di KL a risaltare di più, in quanto estremamente personale e diretta contro una specifica persona che in seguito si scoprirà essere nientemeno che Hostyle -non stupisce a questo punto che si siano sciolti, direi. Dello stesso tenore qualitativo sono poi Where Ya At (curiosamente "solare" per un pezzo degli Screwball), la valida Live And Let Die (che gira su un campione vocale tagliato à la Premier), l'inquietante Too High Too Low (segnalo la strofa da dieci e lode di Tragedy, che aiuta a glissare sui suoni vagamente fastidiosi del synth) e le ottime tracce soliste di Poet e Hostyle (The Bio e Street Life, rispettivamente). Naturalmente, la bontà delle suddette non è tanto data dai contenuti -siamo sempre nel contesto della thuggery più rozza- quanto dall'efficace connubio di MC e beat: i primi sono tutti senz'altro competenti e riescono a complementarsi ottimamente l'uno con l'altro, mentre i secondi non risentono più di tanto dei cliché dell'epoca del QB ed anzi riportano su un percorso più vicino al boombap classico le sue atmosfere. In una frase: l'alchimia tra gli elementi funziona.
Va purtroppo però notato che di fianco a cose buone come le sopracitate vi sono alcuni pezzi fondamentalmente insipidi anche se ascoltabili -When The Sun Goes Down, la fracassona Torture (primo singolo, peraltro) dove gli M.O.P. fanno un po' troppo casino persino per i loro standard, I Spit, Real Niggaz. Tra questi va poi anche inclusa la collabo con Noreaga e G Rap, che in tutta franchezza asciuga al terzo ascolto, oltreché la deludente Screwed Up (da una produzione dei Beatnuts mi sarei aspettato qualcosa di meno generico). Tutt'altro discorso va invece fatto per l'orrida Gotta Believe, che incorporando un atroce ritornello R&B -come se non bastasse il beat pseudojiggy- si candida a canzone più brutta in assoluto mai prodotta dal quartetto. Questo è uno di quei pochi casi dove si può parlare, a ragion veduta, di trash -inteso non nel senso "ironico" di cui tanto abusano gli idioti, quanto nello scarto esistente tra gli obiettivi posti dall'autore ed il risultato effettivo.
Concludendo, Loyalty è un disco certamente non d'impatto come il predecessore e per di più soffre di alcune lacune oggettivamente non presenti in Y2K (più precisamente una canzone davvero oscena contornata da altre senza infamia e senza lode), per cui se proprio voleste cominciare ad ascoltare gli Screwball vi suggerirei di provare quest'ultimo. Pure, non si può negare che nel complesso vi siano alcuni pezzi davvero efficaci e che l'insieme risulti appagante all'ascoltatore incallito; soprattutto, sarebbe ingeneroso trattare Loyalty alla stregua di una qualsiasi cazzata prodotta -che so- da Iman Thug o gente simile, per cui il mio consiglio è di dargli una chance. Sai mai che sette anni fa non ci si sia persi qualcosa...
Screwball - Loyalty
File under: Queensbridge, Screwball
venerdì 1 agosto 2008
BUONE VACANZE (SO EMO)
Cari i miei drizzamanubri, oggi è la mia ultima giornata di lavoro nonchè l'ultima giornata che passo in questa sorta di orrido Borneo di cemento (ma avete sentito l'umidazza assassina di stamane? 29 gradi alle 8:45 non fanno ridere). Mi spiace non aver potuto postare quanto avrei voluto, ma dovendo chiudere tutti i lavori in sospeso -e, ammetto, essendomi preso una ciocca memorabile l'altra sera, con 2 Moretti da 66 e tre negroni [no homo] sicuri più forse un quarto- non uscivo dall'ufficio prima delle 20:30-21. Alias, circa 11-12 ore di lavoro al giorno che, vi garantisco, mi facevano passare la voglia di scrivere qualcosa di decente.
Fatto sta che per placare i miei sensi di colpa vi lascio con due belle chicche che son sicuro che saprete apprezzare, e cioè due vecchi Encores, che posto con tanto di grafica. Al solito, se doveste masterizzare ricordatevi di togliere qualsiasi pausa tra una traccia e l'altra, per il resto mi pare abbastanza evidente il da farsi. Ah, pardon: non ho taggato i file perchè ci metterei tipo tre quarti d'ora a disco, e sinceramente oggi non vorrei dovermi fermare oltre le sette o le otto.
In ogni caso io torno il 25; se, come spero, ci sarà il lavoro che suppongo (=zero) riaggiornerò abbestia.
Avrei molte altre considerazioni conclusive da fare che prescindono dalla musica e vanno a toccare la deprimente situazione interna (il balletto intorno al lodo Alfano e la falsa questione "giustizia", le varie manifestazioni di razzismo più o meno velato, l'informazione risibile fornitaci oltre che dalla TV anche dalla pletora di tuttologi un tanto al kilo ecc. ecc.), ma forse è meglio non confondere le acque oltreché, ça va sans dire, potrebbe anche darsi che non ve ne potrebbe frega' de meno.
Ergo: sticazzi e buone vacanze a tutti.
Fatto sta che per placare i miei sensi di colpa vi lascio con due belle chicche che son sicuro che saprete apprezzare, e cioè due vecchi Encores, che posto con tanto di grafica. Al solito, se doveste masterizzare ricordatevi di togliere qualsiasi pausa tra una traccia e l'altra, per il resto mi pare abbastanza evidente il da farsi. Ah, pardon: non ho taggato i file perchè ci metterei tipo tre quarti d'ora a disco, e sinceramente oggi non vorrei dovermi fermare oltre le sette o le otto.
In ogni caso io torno il 25; se, come spero, ci sarà il lavoro che suppongo (=zero) riaggiornerò abbestia.
Avrei molte altre considerazioni conclusive da fare che prescindono dalla musica e vanno a toccare la deprimente situazione interna (il balletto intorno al lodo Alfano e la falsa questione "giustizia", le varie manifestazioni di razzismo più o meno velato, l'informazione risibile fornitaci oltre che dalla TV anche dalla pletora di tuttologi un tanto al kilo ecc. ecc.), ma forse è meglio non confondere le acque oltreché, ça va sans dire, potrebbe anche darsi che non ve ne potrebbe frega' de meno.
Ergo: sticazzi e buone vacanze a tutti.
File under: *Reiser's PSA*
ENCORES 2006 - REWIND HITTERS VOL.3
Avendo io cambiato abitudini grazie all'acquisto di un Ipod (cfr. post precedente) e di un lavoro che mi ha bloccato fino all'8 di agosto, in questo Encores ho preferito cambiare periodo di riferimento dovendo però giocoforza includere alcune cose, oltre che del 2006, anche dell'autunno-inverno 2005. Tracklist:
01. Hope (Bassi Maestro RMX) - Nas (prod. Bassi Maestro)
02. Reality Check - Bars 'N' Hooks feat. V-12 (prod. Now & Laterz)
03. Exploitation Of Mistakes - DJ Muggs & GZA (prod. DJ Muggs)
04. Chinese New Year - The Ckipse feat. Roscoe P. Coldchain (prod. Neptunes)
05. Understand Me - Self Scientific (prod. DJ Khalil)
06. My Life - Termanology feat. L Da Headtoucha (prod. D.C.)
07. The Cool - Lupe Fiasco (prod. Kanye West)
08. Brain Cell - Cunninlynguists (prod. Kno)
09. 1,2 - Slum Village (prod. MoSS)
10. Put 'Em In Their Place - Mobb Deep (prod. Havoc)
11. Uncommon Valor - Jedi Mind Tricks feat. R.A. The Rugged Man (prod. Stoupe)
12. Dirty Game - Cormega (prod. DJ Premier)
13. Bloody Mess - Blaq Poet (prod. Alchemist)
14. Music For Life - Hi-Tek feat. Nas, Common & Marsha (prod. Hi-Tek)
15. Angels - Ghostface & MF Doom (prod. MF Doom)
16. Hip Hop Quotable - AG feat. Aloe Blacc (prod. J.Dilla)
17. You Know I'm No Good RMX - Ghostface Killah feat. Amy Winehouse (prod. Mark Ronson)
18. Get Mines - Oh No feat. Buckshot (prod. Oh No)
19. In The Music - The Roots feat. Malik B & Porn (prod. the Roots)
20. Brothaz - Mr. Lif (prod. El-P)
21. Something RMX - Lawless Element feat. Diverse (prod. Magnif)
Encores 2006 - Rewind Hitters Vol.3
01. Hope (Bassi Maestro RMX) - Nas (prod. Bassi Maestro)
02. Reality Check - Bars 'N' Hooks feat. V-12 (prod. Now & Laterz)
03. Exploitation Of Mistakes - DJ Muggs & GZA (prod. DJ Muggs)
04. Chinese New Year - The Ckipse feat. Roscoe P. Coldchain (prod. Neptunes)
05. Understand Me - Self Scientific (prod. DJ Khalil)
06. My Life - Termanology feat. L Da Headtoucha (prod. D.C.)
07. The Cool - Lupe Fiasco (prod. Kanye West)
08. Brain Cell - Cunninlynguists (prod. Kno)
09. 1,2 - Slum Village (prod. MoSS)
10. Put 'Em In Their Place - Mobb Deep (prod. Havoc)
11. Uncommon Valor - Jedi Mind Tricks feat. R.A. The Rugged Man (prod. Stoupe)
12. Dirty Game - Cormega (prod. DJ Premier)
13. Bloody Mess - Blaq Poet (prod. Alchemist)
14. Music For Life - Hi-Tek feat. Nas, Common & Marsha (prod. Hi-Tek)
15. Angels - Ghostface & MF Doom (prod. MF Doom)
16. Hip Hop Quotable - AG feat. Aloe Blacc (prod. J.Dilla)
17. You Know I'm No Good RMX - Ghostface Killah feat. Amy Winehouse (prod. Mark Ronson)
18. Get Mines - Oh No feat. Buckshot (prod. Oh No)
19. In The Music - The Roots feat. Malik B & Porn (prod. the Roots)
20. Brothaz - Mr. Lif (prod. El-P)
21. Something RMX - Lawless Element feat. Diverse (prod. Magnif)
Encores 2006 - Rewind Hitters Vol.3
File under: *On My Own Shit*, Encores
ENCORES 2005 - REWIND HITTERS VOL.2
Questo invece è un po' più atipico, nel senso che lo creai quando ancora ero sprovvisto di lettore mp3 e giravo ancora con borse piene di CD. Ovviamente, in quel caso, per semplificare le cose mi veniva più comodo partire per le vacanze con lo stretto indispensabile, e da qui la selezione dei pezzi che include il periodo agosto 2004 - luglio 2005.
01. Anything Can Happen - Blueprint (prod. Blueprint)
02. Verbal Clap - De La Soul (prod. J.Dilla)
03. Hideyaface RMX - Ghostface Killah & El-P (prod. El-P)
04. Urban Warfare RMX - Screwball (prod. Mike Heron)
05. Poet's Comin' - Blaq Poet (prod. DJ Premier)
06. Beautiful - Masta Ace (prod. KoolAde)
07. Audio Visual - J-Live (prod. Floyd The Locsmif)
08. Psychological Warfare - Q-Unique (prod. Necro)
09. What They Want - The UN (prod. Large Professor)
10. Dead Bodies - Prodigy & The Game (prod. Alchemist)
11. Making Planets - Edan feat. Mr. Lif (prod. Edan)
12. Welcome 2 Reality - Declaime feat. Grand Agent & Lil' Dap (prod. Oh No)
13. Don't Stop - Maroons (prod. Chief Xcel)
14. Flashback - Gift Of Gab (prod. Jake One)
15. Authentic Made - Access Immortal feat. Smiley The Ghetto Child & Breez Evahflowin' (prod. Green Steez)
16. So Glorious - 7L & Esoteric (prod. 7L)
17. Fahrenheit 911 (Short Edit) - Virtuoso (prod. Phrequincy)
18. Hope - PetePhilly & Perquisite (prod. Perquisite)
19. One Chance - Zion I (prod. Amp Live)
20. Hate It Or Love It - the Game feat. 50 Cent (prod. Cool & Dre)
21. So Real - MED (prod. J.Dilla)
22. Throw Your Hands - Mobb Deep (prod. Kanye West)
23. You Know The Name - Hostyle (prod. Godfather Don)
24. Windows - The CMA (prod. J-Thrill)
Encores 2005 - Rewind Hitters Vol.2
01. Anything Can Happen - Blueprint (prod. Blueprint)
02. Verbal Clap - De La Soul (prod. J.Dilla)
03. Hideyaface RMX - Ghostface Killah & El-P (prod. El-P)
04. Urban Warfare RMX - Screwball (prod. Mike Heron)
05. Poet's Comin' - Blaq Poet (prod. DJ Premier)
06. Beautiful - Masta Ace (prod. KoolAde)
07. Audio Visual - J-Live (prod. Floyd The Locsmif)
08. Psychological Warfare - Q-Unique (prod. Necro)
09. What They Want - The UN (prod. Large Professor)
10. Dead Bodies - Prodigy & The Game (prod. Alchemist)
11. Making Planets - Edan feat. Mr. Lif (prod. Edan)
12. Welcome 2 Reality - Declaime feat. Grand Agent & Lil' Dap (prod. Oh No)
13. Don't Stop - Maroons (prod. Chief Xcel)
14. Flashback - Gift Of Gab (prod. Jake One)
15. Authentic Made - Access Immortal feat. Smiley The Ghetto Child & Breez Evahflowin' (prod. Green Steez)
16. So Glorious - 7L & Esoteric (prod. 7L)
17. Fahrenheit 911 (Short Edit) - Virtuoso (prod. Phrequincy)
18. Hope - PetePhilly & Perquisite (prod. Perquisite)
19. One Chance - Zion I (prod. Amp Live)
20. Hate It Or Love It - the Game feat. 50 Cent (prod. Cool & Dre)
21. So Real - MED (prod. J.Dilla)
22. Throw Your Hands - Mobb Deep (prod. Kanye West)
23. You Know The Name - Hostyle (prod. Godfather Don)
24. Windows - The CMA (prod. J-Thrill)
Encores 2005 - Rewind Hitters Vol.2
File under: *On My Own Shit*, Encores
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