sabato 29 marzo 2008

PAUSA DI RIFLESSIONE (REIGN OF THE BRUGOLA)

Non è vero, è solo che ho comprato un paio di nuovi mobili più consoni al mio status di idolo delle masse, per cui passerò i giorni da oggi a martedì (sperèm) sicuramente senza stereo e forse anche senza computer. Col fatto poi che lunedì tutti i bonzi ritornano al lavoro -dal presidente al caporedattore all'art director- temo una settimana di fuoco, per cui non posso garantire aggiornamenti prima di metà settimana. Al limite vi passerò qualche vecchio Fifteen o Encores, che comunque, voglio dire, sputaci su.

In più, in settimana dovrebbero FORSE arrivarmi Guilty Simpson, Akrobatik nuovo e, soprattutto, Black Milk solista con tanto di CD bonus con le strumentali. Per cui gli aggiornamenti saranno gordi.

venerdì 28 marzo 2008

NYG'Z - WELCOME TO G-DOM (Year Round, 2007)

Domanda: chi è il peggior artista-a.d. di tutto l'hip hop? Risposta: Dr. Dre, che si aggiudica il primo, il secondo ed il terzo posto -e su questo non possono esserci dubbi. Ma direi che subito dopo di lui l'onore spetti a Premier, un uomo che ha annunciato la nascita della sua casa discografica ben cinque anni or sono ma che finora ha dato alle stampe la bellezza di due album (incluso questo). Volendo aggiungere del bianco allo splendore, si potrebbe inoltre aggiungere che le suddette pubblicazioni non sono state altro che cosiddetti "street album"; tuttavia, trovando del tutto idiota ed eventualmente autoindulgente la definizione, preferisco continuare ad usare la consueta accezione del termine "album" e bona lè.
Ecco perchè sarò piuttosto severo nei confronti di un disco che di certo non si può definire brutto, ma che con altrettanta certezza può facilmente essere considerato una (mezza) delusione da chi, come me, si aspetta(va) grandi cose da questo duo. Panchi (che i più non ricorderanno per l'intro di Win the G su Jewelz di O.C.) e Shabeeno (sentito per la prima volta su The Mall dei Gangstarr) hanno confezionato un prodotto che mostra senz'altro un buon potenziale ma che manca di mordente o, in alternativa, di quella cura in più lo avrebbe reso decisamente migliore. Pare una bozza, ecco, una sorta di ruff mix.
Prendiamo It'z On, per esempio: non vorrei esagerare, ma credo che questa rientri tra le produzioni più pigre, scontate e noiose di Premier: un loop di fiati che va avanti per 4'41" senza uno straccio di variazione. E d'accordo che le batterie suonano bene e pestano come dio comanda, e d'accordo che il ritmo dev'essere martellante, ma cristo santo... E poi, forse che si sentisse il bisogno di una cover di G'z & Hustlaz e dell'ennesima reinterpretazione di It's My Thing -peraltro considerando che quest'ultima era già stata pubblicata come b-side qualche anno fa? No, vero? Come direbbe Jessica a Ivano, "A Premie'... NCS, nun ce siamo". Fortunatamente, però, mentre Premier delude parecchio (ma si rifa con Ya Dayz R #D e, parzialmente, con Welcome 2 G-Dom) gli altri produttori (soprattutto Emile e Kingdom) se la cavano meglio riuscendo comunque a mantenere un buon tasso di terronaggine hardcore ed una generale coerenza del suono. 3 Man Weave, con un campione soul ben strutturato e relativamente originale, gira che è un piacere; lo stesso dicasi per le ultragrimy Bow Down (peccato solo per il sample di Hail Mary di Tupac, che un po' stona) e Laundry Kingz, nonché per la quasi sentimentale Black Butterfly e Sufferin'. Pepe rosso nel clistere invece a Theretracks per la dipsettiana (circa 2003) nonché imperdonabile Broken Dreams -ulteriormente compromessa dal fatto che nonsisabeneperchè ci rappano su due mignotte- decisamente il pezzo peggiore del disco (comunque anche lui si redime con Bulls Eye, piuttosto valida).
Quanto a Panchi e Shabeeno, bisogna dire che l'accoppiata funziona e loro generalmente si complementano bene, in quanto, pur essendo entrambi due sostanziali cinghialoni, hanno voci molto diverse così come le rispettive metriche. Poi, per carità: la superiorità di Panchi è acclarata, sia come tecnica che come rime, ma nell'insieme il duo funziona e dimostra un buon affiatamento (Sha però ogni tanto tira delle stecche clamorose che gridano vendetta al cielo, come la tremenda "[...] we high definition, Blu-Ray DVD's/ Gotta connect like the internet", roba che ancora ancora se fossimo nel '97...). Ultima nota: gli ospiti. Ebbene, anche le loro prestazioni sono altalenanti: bene o molto bene lo sconosciuto Reef Hustle, St. Laz, Royal Flush, J.U.I.C.E. e Blaq Poet; un po' meno Lil' Fame e Rave; infine, da condannare per direttissima alla categoria "UPS is hiring" ci sono Imani Montana (oltretutto è un nome di merda), Versatile e Raw. I restanti trecentomila non mi hanno francamente detto molto, per cui non saprei dire.
Insomma, come i più arguti tra voi avranno potuto intuire, non è che 'sto disco mi abbia esaltato. Anzi: mi ha deluso non poco, e quindi manco per il cazzone che mi sperticherò in elogi e voti alti (come altri hanno fatto). Tuttavia, non farò nemmeno la donnetta che diventa preda dei propri sentimenti e, pertanto, tra il tre scarso ed il quattro scarso, opterò giustamente per un tre e mezzo. Scarso.





NYG'z - Welcome To G-Dom

VIDEO: YA DAYZ R #D

mercoledì 26 marzo 2008

TWINZ - CONVERSATION (Def Jam/ RAL, 1995)

Dopo che stamattina mi sono dovuto svegliare 40 minuti prima a causa dell'interruzione del gas, decisamente non potevo mettermi ad ascoltare le mie solite cose perchè mi sarei probabilmente sparato una fucilata nella rotula. Al che, memore degli accenni al g-funk fatti nella scorsa recensione, e conscio di mettere poca roba west classica, ho pensato "perchè no?": la scelta è ricaduta su un duo di Long Beach oggi semisconosciuto ma foriero di buone sorprese anche a distanza di anni.
I Twinz, che si chiamano così perchè di gemelli (omozigoti) effettivamente si tratta, dopo un'apparizione nel classico Regulate G Funk Era, nel '95 ebbero una brevissima parabola di successo con il singolo Round & Round, dopodiché scomparvero dalla circolazione e ad oggi nulla si sa di loro. Tecnicamente si potrebbe quindi parlare di one-hit-wonders, ma sarebbe inesatto: il successo del singolo fu modesto e, soprattutto, l'album non nacque grazie a questo (vera conditio sine qua non per il one hit wonder, cfr. ad esempio l'immortale Scatman John). I motivi che stanno dietro a questo fato vanno sinceramente al di là della mia più fervida immaginazione: alle loro spalle c'era una major, il loro produttore era il pluridecorato Warren G, il singolo era decisamente orecchiabile e, soprattutto, facevano un genere di hip hop molto in auge all'epoca... pure, ce li siamo persi, benchè essi stessi ci avessero a suo tempo rassicurato che sarebbero ritornati (in questa prestigiosa intervista pubblicata da Aelle nell'ottobre 1995, che allego a futura memoria). Beh, sia come sia, riascoltare Conversation dopo tanti anni fa quasi scendere una lacrimuccia. Per quanto sia uno degli album g-funk meglio prodotti di sempre, è proprio il genere ad essere invecchiato drammaticamente (sicchè ho solo paura di risentire qualche roba contemporanea dei South Central Cartel), e in tutta onestà -se non l'avessi ascoltato "in tempo reale"- faticherei a collocarlo al di fuori di una partita a GTA San Andreas. D'altro canto non si può però negarne la qualità complessiva e dunque l'ingiustizia storica di cui il disco è vittima.
Tanto per cominciare, i due gemelli Wayniac e Trip Lōc, pur non essendo dei mostri di tecnica, al microfono si fanno rispettare e per gli standard dell'epoca risultano senz'altro più competenti della media. Sarebbe scorretto pensare ad acrobazie linguistiche o a metafore illuminanti, quindi; molto più onesto è invece giudicarli per la capacità che i due hanno rispetto ai loro coevi, specialmente per quel che riguarda il navigare alla larga dai cliché da macchietta gangsta che pure imperversavano all'epoca. Per esempio, Journey With Me è quasi commoniana, nel senso che i due discettano della vita di ogni giorno dispensando da un lato consigli e dall'altro riconoscendo gli errori che loro stessi hanno commesso; Good Times è sostanzialmente un amarcord mescolato ad un omaggio ai propri amici ed alle loro famiglie; altre, ancora, sono semplicemente pezzi da party/cazzeggio (Round & Round, Jump Ta This) piuttosto che odi al loro posto d'origine ed allo stile di vita da PLAYA (lo scrivo in maiuscolo perchè era 'na cifra che volevo usare 'sto vocabolo), come per esempio l'ottima Eastside Lb. Paradossalmente, l'unica traccia secondo me davvero mediocre, è 4 Eyes 2 Heads: un po' per come affrontano uno storytelling banalmente gangsta, ma direi soprattutto per la partecipazione di un qualche minchione reggae, che con il suono g-funk non c'entra veramente una sega.
Dall'altro lato, direi che il lavoro di Warren G (e Priest "Soopafly" Brooks su una traccia) alle macchine è eccezionale e complessivamente superiore al comunque eccelso Regulate, del quale si sente la mancanza solamente per l'assenza di canzoni davvero d'impatto com'erano This DJ (unica volta dove Warren ha superato Dre, d'accordo?) e la stessa Regulate. Coadiuvato da un mixaggio straordinario e dall'utilizzo di strumenti suonati live, il G-Child confeziona beat il cui suono potente e cristallino potrebbe ancor'oggi essere usato come metro di paragone (so di essere banale, ma i bassi sono assolutamente indescrivibili da tanto suonano bene); i synth, pur essendo massicciamente presenti, non risultano invasivi e, soprattutto, spesso e volentieri c'è un piano o uno xilofono a donare una linea melodica che si fissa in testa e che rende l'ascolto decisamente più digeribile di quanto si possa immaginare. L'esempio migliore di quanto funzioni bene questa formula lo si può trovare ad esempio in Journey With Me, senza dubbio uno dei pezzi più incisivi di Conversation, nella quale il ritornello cantato per una volta tanto da quel tocco di classe in più al tutto.
A conti fatti, insomma, siamo di fronte ad un disco che nel suo genere è pressochè privo di pecche. Prodotto magistralmente e rappato ben sopra alla media (sia per capacità che per tematiche), fatico a pensare di situazioni in cui non si possa provare piacere ed anche un po' di nostalgia ad ascoltare questo Conversation. La macchia rappresentata da 4 Eyes 2 Heads è troppo leggera per punire tutto il lavoro, la cui durata (11 tracce per poco meno di 41' di musica) è inoltre perfetta per questo genere di musica. Non ho quindi rimorsi ad appiopparli quattro prestigiosi zainetti, oltreché a consigliarne il download e l'ascolto -senza troppe speranze di trovarlo originale, però, perchè che io sappia è fuori stampa già da mo'. Poropopporopoppò.





Twinz - Conversation

VIDEO: EASTSIDE LB

martedì 25 marzo 2008

ENCORE - LAYOVER (Hiero Imperium, 2004)

Storicamente, la città dell'underground per antonamasia è senz'altro New York. Credo che sia impossibile riuscire ad elencare le migliaia di artisti che la Mecca ha sfornato da metà degli anni '70 ad oggi, e pertanto non le si può negare lo scettro di fucina di talenti -persino in un periodo di vacche magre come quello contemporaneo. Sulla costa pacifica un analogo sviluppo c'è sempre stato ma, oltre ad essere meno centralizzato (Los Angeles e Oakland numericamente si equivalgono), non si può dire che abbia mai ricevuto la medesima attenzione. Gente come Mac Mall, Spice 1 o perfino il E-40 dei primi tempi sono stati a lungo considerati dei fenomeni locali a tutti gli effetti, mentre altri, come i Freestyle Fellowship o i Pharcyde, a stento potevano rientrare nella tipologia west dell'epoca.
Dalla fine del g-funk in poi, però, si è venuto a creare un forte movimento underground che, abbandonando gli stilemi locali (o meglio: riprendendone alcuni e fondendoli con un approccio molto nuiorchese), ha saputo crescere guadagnandosi il rispetto e l'attesa degli appassionati. Tra le punte di diamante di questa sorta di rinascimento ci sono -tra gli altri- i Dilated Peoples, i Blackalicious, Rasco e Planet Asia e, senz'altro, gli Hieroglyphics (crew di Oakland a cui Encore è affiliato). Di queste persone si può dire che hanno mantenuto un atteggiamento generalmente "ortodosso" rispetto al passato più commerciale della costa ovest, pur riuscendo a creare un filone abbastanza riconoscibile sia come tematiche che come sonorità. Semplificando molto: l'accento è californiano ma la metriche hanno molto più a che fare con KRS One che con Snoop; i beat sono rilassati e carichi di funk, ma hanno più da spartire con gli EPMD che con Warren G.
Ma volendo abbandonare la descrizione verbale a favore di esempi concreti, direi che quello più calzante sia costituito da questo Layover e da Encore stesso. Quest'ultimo è dotato infatti di una bella voce baritonale che lo sostiene nell'intreccio di rime la cui metrica è abbastanza convenzionale ma comunque solida e priva di fronzoli; l'egotripping c'è, naturalmente, ma si concentra perlopiù su quello che egli è o fa e non ciò che possiede, e fortunatamente di tanto in tanto il Nostro si sposta con successo verso altri lidi: dallo storytelling (l'eccezionale City Livin' al fianco di Pep Love) alla dedica ai famigliari (My Way Home); dal duetto "d'ammòre" (passatemi il termine) di Real Talk fino ad arrivare al rapporto col padreterno narrato in Faithful. Insomma, la varietà concettuale è più che sufficiente a non annoiare e a rispecchiare l'immagine di un uomo il cui rapporto con la realtà è onesto e coerente con le sue idee (una rarità!), improntato alla concretezza senza per questo sfociare nella grettezza e nella pochezza di spirito.
Sul versante dei beat, la prima scelta per cui valga la pena di complimentarsi con Encore consiste nel aver optato per soli tre nomi anzichè la tristemente consueta squadriglia di produttori: oltre a Architect, ereditato dall'album d'esordio Self Preservation, troviamo i semiesordienti di Seattle (nota finora all'hip hop per il solo Sir Mix-A-Lot, credo) Jake One e Vitamin D, che si sparticono undici tracce su 13 con discreto successo. Simili nello stile, il loro approccio consiste nel tirar su dei giri di basso veramente gonfi e contrapporli a batterie dal tiro lento e dal suono cristallino. Per entrambi ritengo che possa valere l'influenza esercitata, oltre che dai soliti Pete Rock e Premier (ovvio), da Hi-Tek e dal primo Jay Dee: ma di influenze si tratta, vorrei sottolinearlo, e quindi la somma dei singoli elementi è decisamente appagante senza per questo risultare smaccatamente plagiatoria o citazionistica che dir si voglia. Spiccano su tutte, oltre alla già lodata e pressoché perfetta City Livin', l'ottima Layover (quasi un leftover di Champion Sound di JayLib), My Way Home (che riprende lo stesso campione di Bobby Caldwell usato per The Light di Common), la decisamente rilassata Real Talk (buona l'accoppiata con Ladybug Mecca) e, soprattutto, la ultrafunkettona Essentially Yours.
Al solito, volendo giungere alla lista di pisciate fuori tazza, gli esempi non mancano: Nathan Thomas vuole fare il Bilal de noantri ma i risultati complessivi non sono 'sto granché (e a me già l'originale annoia); Chocolat [sic] Popcorn poteva risparmiarsela in toto e non aggiungo altro; Step It Up Or Wrap It Up ha una beat bruttino ed è per giunta danneggiata da un ritornello trucido, e qui mi fermo. Purtroppo, nel complesso questi errori appesantiscono un lavoro altrimenti molto interessante, ed il fatto che siano sparsi per la tracklist compromette un ascolto altrimenti estremamente piacevole. In più, ho notato un fatto bizzarro: ciascuna traccia ha, secondo me, una sua vita, esaurita la quale ti passa la voglia di ascoltarla tout court -e questo quasi a prescindere da qualsiasi considerazione di qualità. Faccio un esempio: City Livin' la ascolto ancora oggi col medesimo piacere che ebbi la prima volta, mentre Break Bread, che certo brutta non è, mi ha definitivamente asciugato. Stesso discorso vale per Real Talk e My Way Home quando paragonate a Essentially Yours... perchè? Boh, forse è solo uno schizzo mio, però è un fenomeno che capita raramente e che perlomeno denota che il disco trasuda una certa personalità.
Di conseguenza, per quanto si tratti di un disco che a me piace e che ancora adesso ascolto volentieri, non riesco a dargli più di tre zainetti e mezzo (un voto che odio perchè generalmente poco chiaro, ma tant'è). Tuttavia, se proprio mi dovessi sbilanciare, allora opterei per un sontuoso 4, per cui non posso che raccomandarne l'ascolto, meglio se prolungato.





Encore - Layover

VIDEO: REAL TALK

venerdì 21 marzo 2008

CORMEGA - CHILD OF THE GHETTO (2005)

Siccome oggi ho la mezza giornata, il tempo per scrivere una recensione è decisamente poco. Inizialmente pensavo di pistonare Layover di Encore, che è piuttosto "estivo" come atmosfera, ma poiché le previsioni del tempo danno merda a spruzzo su tutta la penisola ho optato per qualcosa di più cupo.
Questo greatest hits di Cormega l'ho compilato agli inizi del 2005 (prima di fare la grafica per Popolare) e include tracce sia dai suoi tre solisti che da Legal Hustle, più naturalmente un paio di comparsate. Ad eccezione del remix "casalingo" di Killaz Theme Pt.II, persino oggi lascerei la tracklist pressoché invariata. Immodestamente, reputo di aver fatto un buon lavoro nel mettere insieme un quadro che ripropone fedelmente la versatilità di Cormega, uno che è sì ghettuso fino nell'anima (vincitore per un paio d'anni del torneo interno di boxe di Riker's Island, per dire) ma che non risulta un coglionazzo a tutto tondo come, ma è solo un esempio, gli Infamous Mobb. Al momento, dopo la parziale delusione che è stata Who Am I (che ho comprato praticamente solo per il DVD), è in lavorazione il suo quarto disco ufficiale da solista, che vedrà avvicendarsi alle macchine Pete Rock, Premier, D/R Period, Ayatollah e Nottz. Detto questo, via alla tracklist e buon ponte:

01) Introspective
02) Montana Diaries
03) Thun & Kicko feat. Prodigy
04) Loyalty feat. Screwball
05) Testament
06) Get Out My Way
07) Killaz Theme Pt.II (RMX) feat. Mobb Deep
08) Dead Man Walking
09) Verbal Graffiti
10) They Forced My Hand feat. Tragedy Khadafi
11) Therapy
12) '62 Pick-Up
13) Legacy
14) What's Ya Poison feat. Mobb Deep
15) The Saga
16) Fallen Soldiers
17) The True Meaning
18) Tony/Montana feat. Ghostface Killah
19) Three feat. Prodigy
20) Sugar Ray & Hearns feat. Large Professor
21) Thin Line
22) Let It Go feat. M.O.P.

Cormega - Child Of The Ghetto

mercoledì 19 marzo 2008

DJ JAZZY JEFF - THE RETURN OF THE MAGNIFICENT (BBE, 2007)

Più invecchio, più divento rompicoglioni -dalla pulizia della casa alla qualità dell'altrui umorismo, passando per i comportamenti "da impiegato" per giungere, infine, all'apprezzamento della musica. A dire la verità, in quest'ultimo ambito sono anzi più aperto di vedute di quanto non fossi dieci anni fa (hey, un ritornello cantato alle volte ci può anche stare), semplicemente mi pare che la qualità complessiva sia generalmente calata -a partire dal saper concepire un disco. Una delle piaghe del rap contemporaneo consiste difatti nel creare compilation, ovverosia nell'attingere quà e là ai produttori più in vista del momento e mettere quindi insieme una scaletta di potenziali singoli. Questo processo, il cui inizio ha luogo con Down With The King dei Run DMC, se incontrollato tende a creare perlopiù mostri; e siccome è sempre più raro trovare un artista dotato della sensibilità necessaria per capire chi può andare bene con chi, insomma, rispetto alle porcherie di questo genere, propinate ad ogni pie' sospinto, mi trovo sempre più ad apprezzare la formula "un cristiano - tutte le basi" (vedi ad esempio i Cunninlynguists).
Lo stesso discorso potrebbe valere se invertito: sono un produttore e metto insieme cani e porci, come va va e sticazzi. Tuttavia, in questo caso i danni sono molto meno evidenti (cfr. NY's Finest), perchè in genere è il beat a dare l'80% dell'atmosfera e---
Peregrinazioni mentali a parte, il punto è questo: Jazzy Jeff non commette nessuno di questi errori. Il veterano di Philadelphia mette su 16 solide tracce e crea così un disco coi controcoglioni, punto. A far da collante tra i vari MC c'è naturalmente lui, assieme alla sua preferenza per i suoni estremamente rilassati salvo l'occasionale ammiccamento al pestone vecchia scuola. Intravedere questi ultimi non è difficile: lo sono il singolo Jeff 'N' Fess (con Rhymefest), Supa Jean (con Jean Grae), Hold It Down (con Method Man) e Brand New Funk (con Peedi Peedi, o Peedi Crakk che dir si voglia). Sull'altro piatto della bilancia troviamo il resto dei pezzi, fatta eccezione per un paio di escursioni nel neo-soul (le piombate con Chinah Blac e Raheem De Vaughn) ed altrettanti lievemente più veloci (Go See The Doctor 2K7 e She Was So Fly). Mica male, eh? E il bello è che per quanto i passaggi dalla roba più jazz al headbanger di turno lascino inizialmente un po' spaesati, il tutto riesce a suonare omogeneo quanto basta e comunque coerente con l'estetica acustica del Nostro.
Personalmente preferisco i pezzi più tranquilli -i campioni jazzati me fanno 'mpazzi'- ma sarebbe ingiusto da parte mia non sottolineare alcune performance notevoli, specie se provenienti da MC che in genere non apprezzo un granché: in particolare, direi Jess 'N' Fess (Blue Collar m'ha fatto abbastanza cacare) e la straordinaria combo con Peedi Crakk, un tizio che odio dacché lo sentì su The B.Coming e che qui invece sfodera un flow assolutamente fantastico che va a braccetto con il beat, che sa di '88 da lontano un miglio. Assolutamente in linea con la loro reputazione invece altri featuring (Posdnuous, J-Live, Jean Grae ed il sempre affidabile CL Smooth), così come una buona impressione mi hanno fatto alcuni degli esordienti come Black Ice e Eshon Burgundy (che nome!), ma soprattutto tale Kel Spencer, che firma la ottima The Definition.
Qualche difetto comunque c'è: per esempio, campionare You're All I Need To Get By di Marvin Gaye e Tammi Terrell non mi pare esattamente una botta di originalità, per quanto suoni bene; anche certi palesi omaggi all'old school mi sembrano un po' pesantucci (Synthetic Substitution l'abbiamo sentita in tutte le salse), così come del resto gli skit, che strappano un sorriso la prima volta ma poi addio. Last but not least, lo stile di Kardinal Offishal c'entra poco col beat di She Was So Fly, almeno secondo me -e comunque, a prescindere da tutto il resto, A ME le robe neosoul fanno proprio cascare la palle, e per quel che mi riguarda poteva tenersi quelle due frociate nel suo hard disk.
Ma comunque non importa. Benchè ci abbia messo letteralmente una vita a decidermi di comprare 'so disco, vorrei sottolineare il fatto che, anche a distanza di quasi un anno, sono aduso ad auscultarlo sempre volentieri. Diciamo che è quel tipo di album che ti si insinua nelle orecchie e da lì al cervello, cosa che può succedere solamente nei casi di coloro dotati di un talento fuori dalla norma. Categoria di persone nelle quali rientra senz'altro DJ Jazzy Jeff, e vorrei ben vedere.





DJ Jazzy Jeff - The Return Of The Magnificent

VIDEO: BRAND NEW FUNK 2K7

lunedì 17 marzo 2008

PETE ROCK - NY'S FINEST (Nature Sounds, 2008)

Approfitto dei sintomi similpostinfluenzali che mi stanno rompendo i coglioni da venerdì, trasformatisi per l'occasione in crampi addominali dopo il mal di testa assassino di ieri ed il naso smoccolone di sabato, per parlare di un disco che ha frantumato ogni record di sfiga: NY's Finest di Pete Rock. In primis, perchè negli Stati Uniti ha venduto qualcosa come 6,000 copie nella prima settimana (solo Ron Artest aveva fatto di meglio, vendendone tipo 350). In secondo luogo, perchè l'album è già stato condannato come una stronzatona col fischio e col botto, indegna della fama di Pietrino Roccia.
Ora, sarei un elettore di Forza Italia se dicessi che questo album è la svolta della sua carriera artistica o che lui è diventato una potenza al microfono, epperò la voglia di mandare a fare in culo chi mi dice che NY's Finest è fiacco -specie se si tratta di un estimatore della Justus League- diventa grande. Vediamo il perchè.
We Roll ha un beat francamente impeccabile e über-peterokkiano: si parte dal loop di tromba per giungere alla linea di basso bella piena, passando per batterie ben programmate e che casomai hanno un suono un po' ovattato per i miei gusti (robetta, comunque). Chiaramente, a questo punto uno non può che disperarsi del fatto che a rappare sulla traccia ci sia non tanto Jim Jones (un minus habens che però ha perlomeno una voce accettabile), quanto il francamente incircolabile Max B. Finora avevo sentito quell'invereconda merdaccia solo nei ritornelli, ma saperlo al microfono è stato un trauma. Parafrasando la Morelli's Movie Guide, se tu fossi una canzone e ti dicessero "In te hai Max B" corrisponderebbe al dire a un tizio in carne e ossa "Lei ha il cancro". Per dire: sentire la strofa successiva di Pete Rock che ti fa dire "eh, ora sì" è sintomatico della pochezza dell'individuo.
Il trauma è tale che pure ora, che sarà la quarantesima volta che riascolto il disco, le strofe di Pietrino su Till I Retire me lo fanno apparire Rakim. Oddio: lui è anche migliorato, riconosciamoglielo, ma forse l'impressione positiva è dovuta paradossalmente al beat: molto semplice, cupo quanto basta e impreziosito da qualche scratch; praticamente un leftover del disco fatto con EdO.G.
Il primo pestone vero e proprio arriva con 914: qui riappaiono i magggici campioni di fiati a fianco della stranota Ufo degli ESG (aridaje... vabbè, un break figo è pur sempre un break figo), opprtunamente rimpolpati da batterie dal tiro veloce -il tutto per consentire a 2/3 dei Lox di suonare finalmente un po' meno letargici del solito. Poi, se a voi piacciono bella lì, a me nulla che sia mai uscito da Yonkers ha mai fatto dire più di "meh".
Segue il redivivo Royal Flush con la cupissima Questions, nella quale riprende un concetto vecchio come il cucco (uno gli fa le domande e lui risponde in rima) ma lo rielabora in maniera "piuttosto interessante": "Flush, is it true that you had a divorce with your wife? -Haha, you fuck right, I got rid of that bitch!". Volendo tralasciare il beat, fa sempre piacere risentire quel bocia su un beat decoroso, spiace casomai notare che quello che ha guadagnato in voce lo abbia perso in stile, ma sappiamo accontentarci.
Ora: commentare il pezzo con Redman non ha senso (che v'aspettate, 'na fiaccata?), mentre mi bastano due minuti per sputtanare il ritorno di Chip Fu e il patetico tentativo di tirar su un pezzo reggae che definire "plagio tizianoferresco di Welcome To Jamrock" sarebbe poco. Al contrario, Don't Be Mad fa sollevare quanti più dubbi sugli eventuali debiti contratti da Pete con Green Lantern, il quale difatti gli produce (WTF?) una traccia abbastanza urènda. Boh... che senso ha? Cioè, sei Pete Rock e ti fai produrre da Green Lantern? Non dico Premier, ma Green Lantern? Cazzo è come se Ron Jeremy dicesse a Bagnasco di sostituirlo in un porno, cosa vuol dire? Stesso discorso per il pezzo con Doo Wop: d'accordo, la base è già meglio, ma che bisogno hai di farlo rappare? Cristiddio, gli unici diggèi seri dotati di un minimo di talento sono Kid Capri e Hi-Tek, ma insomma...
Fortunatamente per Pete Rock e per noi, il Nostro, dopo qualche altro evitabilissimo scivolone (pacchianata con Rell, superflua riesumazione della carriera dei Lords Of The Underground e ospitata di no-name-R&B-beyotch), ci restano da un lato i Little Brother -in forma sempre più smagliante dacché han abbandonato 9th Wonder- e dall'altro Masta Killa e Raekwon, che con la bistrattata The PJ's ci ritrasportano in un'atmosfera stile New York '95 (mi ricorda Suspended In Time dei Group Home).
In chiusura, Pete Rock non solo ci regala una bellissima strumentale, ma sintetizza perfettamente quello che è stato il suo maggior problema nel corso degli anni: non aver saputo trovare MC adatti o all'altezza delle sue produzioni. Il caso: Comprehend fa uso di uno splendido loop di piano occasionalmente accompagnato da quelle che pare essere un coro di voci appena sussurrate; intelligentemente, anzichè adoperare batterie leggere, ade sso contrappone un ritmo veloce, dei clap e dei singoli colpi di basso: risultato, pur mantenendo un che di etereo, il beat risulta tutto fuorchè noioso. Bene. E allora chi ci ritroviamo su? Papoose, noto ai più per la delicatezza degli interventi, la raffinatezza del flow e la profondità del pensiero. Non a caso, Pap si esibisce in autentiche gemme di lirismo come "I'M THE MIXTAPE ARTIST OF THE YEAR! HIP HOP QUOTABLE OF THE MONTH! I'M THE DVD MOST PROMOTIONAL ON THE FRONT! MOST CALL ME PAPOOSE! YOU CAN CALL ME WHAT YOU WANT!". Oppure, ancora, l'impagabile "I'M THE FEMALE'S RAPPER! FAVORITE MALE RAPPER!". Se pensate che abbia problemi col caps lock, no, purtroppo non è così: il dramma è che Papoose, qualsiasi cosa dica, la dice URLANDO! col punto esclamativo alla fine. Ma no come gli M.O.P. o, che so, DMX: lui urla come gli automobilisti in tangenziale, come gli operai nei cantieri, come i padroni di cani al parco -una sequenza insopportabile di latrati che ti porta a pensare che il giorno in cui dovesse decidere di chiudere le rime con POTA! non ci sarà da stupirsene. Allora, traendo le somme, abbiamo:
a) un beat complessivamente melodico ed etereo
b) un cretino che schiamazza filastrocche
Ovviamente, il risultato non potrà che essere un mezzo aborto, simile a quando la Mosca/Goldblum si fonde col teletrasportatore nel vecchio film di Cronenberg: la guardi (senti) e non ci credi. Se si volesse vedere un risultato che nell'insieme risulta più gradevole, ascoltatevi Change Of The Seasons di Akir.
Ma tralasciando queste pecche, che io ho evidenziato con particolare enfasi perchè mi sembrano errori talmente grossolani da sfociare nel ridicolo, ribadisco che NY's Finest è un bel disco. Ovvio: non è il suo miglior lavoro, ma di beat davvero brutti ce n'è uno solo (quello di Green Lantern), mentre per il resto siamo sempre su buoni livelli. Lui al microfono non è un genio, e questo lo si sa, ma rispetto ad altra gente quasi svetta. In più, ci sono quelle cinque tracce veramente gustose che non si possono tralasciare e, in più, sapendo che per il prossimo disco dovremo aspettare almeno cinque anni direi che l'acquisto di NY's Finest sia un dovere sociale.





Pete Rock - NY's Finest

VIDEO: NY'S FINEST PROMO (NON SAPREI SE UFFICIALE O MENO)

sabato 15 marzo 2008

SMOOTHE DA HUSTLER - ONCE UPON A TIME IN AMERICA (Profile, 1996)

Benvenuti al MC che nessuno ammette di preferire agli altri. Benvenuti al disco che nessun fan del rap venderebbe per nessun prezzo. Benvenuti alla canzone il cui concetto è stato copiato, citato, venerato per dodici anni. Benvenuti a Smoothe Da Hustler, e benvenuti a Once Upon A Time In America.
Tralascio qualsiasi nota biografica e vado al sodo: Smoothe è uno degli MC più potenti che abbia mai sentito. Ogni sua strofa racchiude carisma, una metrica complessa, punchline d'effetto e, soprattutto, una ruvidità del tutto naturale e mai replicata. Mettetelo assieme a suo fratello Trigger Tha Gambler e avrete la più potente combinazione di MC mai sentita dal '79 ad oggi. Aggiungeteci inoltre una selezione di beat curati da un D/R Period in stato di grazia, e capirete che è impossibile parlare di questo album come se fosse qualcosa di normale. Il voto che gli darò, e cioè il massimo, trascende alcuni oggettivi difetti perchè i punti a favore sono tali da farti gridare "MA CHISSELINCULA LA MONOTEMATICITÀ!". Prendete Glocks On Cock, Fuck Whatcha Heard, Broken Language, Murdafest o My Brother My Ace e sappiate che ciascuna di queste, anche se inserita in un disco di folk emiliano, ne giustificherebbe l'acquisto.
Certo, non tutti i pezzi sono allo stesso livello (più che altro come beat), e quando ci capiti la cosa si fa notare, anche in considerazione della letterale perfezione delle tracce menzionate poco sopra. Tuttavia, questo ha cessato di essere un problema nel momento in cui passai dal walkman all'Ipod, il che che mi ha consentito di cassare i tre skit, i quattro pezzi che mi dicono meno e quindi di poter mantenere (dal dicembre 2006) questo album in rotazione perpetua nelle mie cuffie. Una curiosità che voglio aggiungere, anche in considerazione di commenti precedentemente apparsi in altri post: gli unici che abbiano saputo raggiungere lo stesso livello dell'originale Broken Language (con una cover peraltro esplicita, visti il titolo ed il produttore, cioè lo stesso D/R Period) sono stati Curse e Samy Deluxe con l'incredibile Broken Language Reloaded (l'mp3 lo potete scaricare da QUI).





Smoothe Da Hustler - Once Upon A Time In America

VIDEO: BROKEN LANGUAGE

venerdì 14 marzo 2008

ROYAL FLUSH - GHETTO MILLIONAIRE (Blunt/TVT, 1997)

Nella recensione del disco di Teflon, tra una Verità Suprema e l'altra, sostenni anche che oramai una "striminzita biografia [...] su Wikipedia [...] non si rifiuta a nessuno"; difatti, persino l'ultimo dei peli del culo di Napoleone gode di una sua voce, e così avviene anche per i repponi più oscuri di metà anni '90. Voglio dire: se ce l'ha persino Skee-Lo, vuoi che l'autore di Iced Down Medallions (aka uno dei singoli di maggior successo del '97) ne sia privo?
E invece, pare proprio di sì. Al che mi trovo costretto a dover rimediare: di origini cubane, Royal Flush appare per la prima volta sul disco d'esordio di Mic Geronimo del '95 -anch'egli oriundo del Queens. Nell'arco dei due anni successivi il Nostro pubblica due singoli (Movin' On Ya Weak Productions e Worldwide), che di certo non lo catapultano nelle classifiche ma bastano comunque a mantenere vivo il suo nome. E così si arriva all'autunno del '97, quando, sull'onda del botto fatto da Iced Down Medallions (che vede la presenza di Noreaga nel ritornello), la Blunt pubblica questo Ghetto Millionaire.
Il disco è abbastanza emblematico per quel che riguarda il passaggio dell'hip hop dall'essere un movimento demograficamente circoscritto a fenomeno popolare: infatti, se da un lato il disco non suona certamente ruvido come The Infamous, dall'altro non si può ancora parlare di evidenti incursioni nel "mondo esterno" (cfr. Puff Daddy ed il suo abuso di campioni di hit anni '80) progettate esclusivamente per far colpo sull'audience di Suburbia, MTV. La cosa interessante è però che, benchè si possa parlare in un certo senso di ibrido ben riuscito, il risultato strettamente commerciale fu piuttosto deludente, condannando un altro MC di discreto talento ad un peregrinaggio fatto prima di 12" virtualmente sconosciuti, e poi di album galleggianti a livello di mediocrità. Una sorta di destino artistico, questo, francamente impensabile allora come oggi: in breve, la scelta dei beat è azzeccata, lui al microfono non brilla per originalità (ricorda Mic Geronimo, che a sua volta ricorda Nas, che a sua volta ricorda Rakim...) ma è senz'altro competente, i pesi sono ben distribuiti tra suoni orecchiabili e pestoni hardcore... e quindi?
Mah, misteri della vita dei quali potremmo anche impipparcene riccamente, favorendo piuttosto l'ascolto in loop di pezzoni come Iced Down Medallions, Movin' On Ya Weak Productions, Illiodic Shines, Worldwide o la cupissima International Currency. Seriamente, salvo rari e squallidi accenni allo stile Bad Boy di quegli anni (Niggas Night Out), rimandi a Heavy D & Boyz (Regulate) o canzoni semplicemente insipide (Conflict), Ghetto Millionaire è un disco che meriterebbe maggior plauso specialmente oggigiorno. Sì, certo, le tematiche son quel che sono, lui non ha nessun particolare colpo di genio nè altro, però tra il suo flow bello pulito e le produzioni di Buckwild, EZ Elpee, Beatminerz, Hi-Tek e L.E.S., uno non ha davvero nulla di cui lamentarsi. Tre e mezzo abbondanti, più un sincero "bentornato su un beat decente" dovuto al suo featuring sull'ultimo Pete Rock.





Royal Flush - Ghetto Millionaire

VIDEO: ICED DOWN MEDALLIONS

lunedì 10 marzo 2008

BLAHZAY BLAHZAY - BLAH BLAH BLAH (Mercury, 1996)

C'era un tempo, intorno al '95, in cui la diatriba tra costa atlantica e costa pacifica aveva assunto proporzioni gargantuesche; gli MC parteggiavano per la loro zona d'originie, insultando occasionalmente chi gli capitava a tiro oppure ignorandosi bellamente (ricordo difatti lo stupore nel vedere la collabo di Tupac con Red & Meth su All Eyez On Me, praticamente un'eresia per l'epoca). Era inoltre consuetudine pistonare di tanto in tanto un cosiddetto "coast anthem", così, tanto per: e se a Los Angeles girava parecchio West Up, a New York il monopolio fu per lungo tempo detenuto dai Blahzay Blahzay e dalla loro Danger.
Sull'onda del successo del singolo (ben due o tre remix, di cui uno "meh" di Premier) venne poi pubblicato questo Blah Blah Blah, che malgrado una discreta qualità non riuscì a bissare il successo di Danger. Da lì in poi la storia si fa confusa: ricordo per esempio un featuring su un pezzo dei crucchi Massive Töne (Rapgame, cercatelo) e un solo singolo (Busy Blah b/w Ice Grillz) del '99-2000, mentre pare esisterne un altro uscito per la Game Recordings... Boh, sticazzi, fatto sta che mentre di Outloud (l'MC) non s'è più avuta notizia, P.F. Cuttin' lo si è visto sui solisti di Sean Price (l'intro di Jesus Price Superstar usa peraltro lo stesso beat di Ice Grillz), su qualche roba trascurabile di Afu-Ra e sull'ultimo Masta Killa. Insomma, non proprio una carriera sfolgorante, ma tant'è.
Ecco: i Blahzay Blahzay fanno saltare all'occhio la differenza tra i one-hit-wonders di ieri e di oggi, che consiste nel fatto che i primi usavano quanto meno la cortesia di produrre dischi accettabili (Lord Tariq e Peter Gunz esclusi, si capisce), mentre ora quasi viene da pregarli di non disturbarsi a pubblicare un LP. In buona sostanza: è bello Blah Blah Blah? No. Si può ascoltare? Eccome. Per esempio, l'omonima traccia ha un bel giro di piano che, per quanto tirato alla lunga (4'20'') riesce a reggere egregiamente; le batterie, pur non essendo un inno all'originalità, suonano bene e persino Outloud riesce a fornire una discreta prestazione. Anche il remix di Danger, per tuttavia rielaborando in peggio la base originale, vanta la collaborazione di Smoothe Da Hustler e Trigger Tha Gambler e scorre via tranquillo (non fosse per un'orrida apparizione del fantomatico Dark Man); lo stesso dicasi per Don't Let This Rap Shit Fool You, Good Cop/Bad Cop, Jackpot e (naturalmente) l'originale di Danger- in fondo, l'unico pezzo che svetta assieme a Pain I Feel.
"Non male", potrebbe pensare uno, ma dico subito che qui si sta parlando di pezzi solamente "ok", non di rivoluzioni in 4/4. Innanzitutto perchè outloud è piuttosto una pippetta, dotato sì di una bella voce ma con un controllo del respiro amatoriale e di una metrica elementare; inoltre, alle volte le sue rime cadono nella prevedibilità e nella semplicità più totale, tanto che spesso ci si scorda di lui e ci si limita ad ascoltare il lavoro di P.F. Cuttin'. Questo, a sua volta, riesce sì a creare beat piacevoli, ma spesso la tira troppo per le lunghe (cfr. Good Cop/Bad Cop, Don't Let This Rap Shit Fool You); ancora, la struttura delle batterie è veramente elementare (bum-cha, bum-cha, bum-cha, bumbum-cha... dài, porcoddio) ed evidentemente la parola "bridge" non gli deve dire molto. In effetti, in teoria basterebbe munirsi di un qualsiasi software audio per riuscire a ricreare, partendo dalle interminabili outro, la versione strumentale del disco.
Insomma, i difetti sono tanti e pesano: a quelli segnalati sopra aggiungo gli skit idioti, i featuring inutili (eccetto Smoothe & Trigga, ça va sans dire), una brevità del tutto impressionante e qualche pezzo ufficialmente scagazzone (Sendin' Dem Back, Posse Jumpa). Tuttavia, da ascoltare così, tanto per, non è malvagio. Non chiedetemi il perchè, vi dico solo che di certo non sarà questo il prodotto che farà convertire la ggente al magico mondo del reps, scaricatevelo per i singoli e per quegli altri due pezzi belli -e poi ciao. Sarebbe da tre zainetti, ma visto che a Teflon ne ho dati altrettanti per quanto più bello, lo porto a due e mezzo e tanti saluti.





Blahzay Blahzay - Blah Blah Blah

VIDEO: DANGER

mercoledì 5 marzo 2008

FIFTEEN - RHYME TIME TRAVEL VOL.6 (2008)

Per ora sto riuscendo a mantenere le promesse: a distanza di sole due settimane, ecco il sesto volume del Fifteen. Immodestamente, m'è proprio riuscito bene. Per quel che riguarda la settima tappa, se continua a girarmi bene dovrei metterci più o meno lo stesso tempo servitomi per questo. Quanto a quelli passati, mi riservo di caricarli per quando sarò cioccato e non potrò fare granchè. Intanto sapete che fare col feedback e amenità del genere. Detto questo, a voi tracklist e file:

01. Baknaffek - Das EFX (Prod. by Chris Charity & David Lynch)
02. Criminal - Scientifik (Prod. by EdO.G.)
03. Last Dayz - Onyx (Prod. by Fredro Starr)
04. Street Life - Mobb Deep & A.C.D. (Prod. by L.E.S.)
05. Wild For Da Night - Rampage feat. Busta Rhymes (Prod. by Backspin)
06. You Know My Steez - Gangstarr (Prod. by DJ Premier)
07. Muddslide - AG feat. The Ghetto Dwellas & Hehdkrack (Prod. by Lord Finesse)
08. G-Building - M.O.P. (Prod. by M.O.P.)
09. I Come To War (FCE Blend) - Bumpy Knuckles (Prod. by DJ Skizo)
10. Rock Stars - Non Phixion (Prod. by DJ Premier)
11. Fallen - Vakill feat. Slug (Prod. by His-Panik)
12. This Is War - 7L & Esoteric feat. Army Of The Pharaohs (Prod. by 7L)
13. Hideyaface (El-P Mix) - Ghostface & El-P (Prod. by El-P)
14. Money Over Bullshit - Nas (Prod. by L.E.S.)
15. Come On - Killa Sha (Prod. by Large Professor)
Honorable Mentions
16. Hang 'Em High - Sadat X feat. D.V. Alias Khryst (Prod. by Ali Malek)
17. Eyes May Shine - Xzibit (Prod.by E-Swift)
18. Nature Of The Threat - Ras Kass (Prod. by Voodu)

[EDIT: per coloro che non lo dovessero sapere, nei Fifteen NON mixo le tracce. Sono pezzi originali in tutto e per tutto]

Fifteen - Rhyme Time Travel Vol.6

martedì 4 marzo 2008

VARIE & EVENTUALI

Dopo aver beccato la strumentale di Shook Ones Pt. II durante un servizio di Gaia [*] di dicembre, oggi mi è capitato a tiro d'orecchio questo: Fuck MiFur.
[*] Capita anche a me di spararmi il sabato sera da pantofolaro sessantenne.

Domani dovrei riuscire a caricare il nuovo Fifteen. In teoria sarebbe potuto essere pronto già oggi, ma ieri a mezzanotte, dopo aver messo mano ad ogni singolo pezzo della tracklist, mi sono accorto che sborda di 38". Avrei dovuto usare qualche trick di taglia & incolla ma, francamente, proprio non ne avevo voglia. Spero di averne stasera.

Non ho voglia di ravanare tra le FAQ di blogspot: qualcuno saprebbe quindi dirmi come creare una lista degli ultimi commenti inseriti, a mo' di Splinder? Non sono un grande smanettone di html, quindi meno termini improponibili verrano usati, meglio sarà.

lunedì 3 marzo 2008

APATHY - EASTERN PHILOSOPHY (Babygrande, 2006)

Se questo album riesce a dimostrare qualcosa, è che i signori della Atlantic hanno speso bene i loro soldi. Nel senso che, per quanto Eastern Philosophy sia pubblicato dalla Babygrande, Apathy risulta essere ancor'oggi sotto contratto per la casa discografica nuiorchese, peraltro tristemente nota in ambito reppuso per ritardare e/o cancellare uscite su uscite (cfr. Saigon, Lupe Fiasco). Non è quindi un caso che finora questo sia l'unico disco solista di Chad Bromley, concepito e partorito proprio per ovviare alle mancanze della suddetta Atlantic. Ad ogni modo, nell'invana (industry rule #4080) attesa che quest'ultima si dia una mossa, Eastern Philosophy è comunque una buona -per certi versi ottima- conferma delle capacità di Ap, del quale si può dire tutto fuorchè che incappi nei tipici atavismi dell'MC underground.
Siete infatti portati a credere che questo sia il tipico disco messo insieme da chi nasce come freestyler e che non riesce a comprendere che un album è diverso da una serata a microfono aperto? Allora sparatevi The Winter, per dirne una: sfoggiando un immaginario ricco quanto descrittivo, il Nostro sforna una concept track nella quale descrive al contempo l'inverno e la deprimente realtà urbana. Non vi basta? Volete sapere qualcosa in più su di lui? Allora Me & My Friends e 9 To 5 potrebbero fare per voi. E, beh, del resto, casomai doveste desiderare qualcosa di più tradizionale, la prima strofa di Philosophical Gangsta o Doe Raker sono pezzi da 90 del liricismo, nei quali Ap prende un flow e se lo gira e rigira come gli pare. Insomma, cosa posso dire di più? Apathy è tecnicamente ineccepibile (gestione della voce, respirazione, pulizia nella metrica...), tematicamente vario e concettualmente interessante. Testi come quelli di The Buck Stops Here o Chemical dovrebbero far capire che non si tratta dell'ennesimo pirletta mediamente competente, e persino quando si lancia in un leggero sfogo contro le donne sotto mestruo (!) l'esito risulta divertente ed intrattiene.
Il problema è casomai rappresentato dai beat, o meglio: dal produttore di punta del disco, Chum the Skrilla Guerrilla (ripetete con me: Chum. The. Skrilla. Guerrilla... minchia!). A parte il nome veramente incircolabile, il suo problema è di essere a malapena un discreto beatmaker: dove incassa con 1,000 Grams, perde con Can't Leave Rap Alone; mentre stupisce con The Winter, delude con Here Come The Gangstas, e via dicendo. Purtroppo, però, alla fine i conti non tornano e ci si ritrova con una maggioranza di produzioni che lasciano al massimo indifferenti. Il che fa cascare le braccia, perchè spesso Ap si trova praticamente da solo a dover portare avanti un pezzo altrimenti insulso; e uno s'incazza ancora di più quando s'accorge che le volte che il beat è all'altezza, il risultato sono ottimi: All About Crime, Chemical, Philosophical Gangsta, The Winter e 1,000 Grams sono lì a testimoniarlo.
Del resto non si può avere tutto dalla vita. Mi auguro solo che per il suo successivo disco Apathy sappia scegliere i beat con maggiore accuratezza (e anche gli ospiti: chisseloincula Emilio Lopez, no?); nell'attesa, oscillo tra un tre/tre e mezzo. Un solo avviso: è un disco che per venir apprezzato va ascoltato con attenzione più volte, senza soprattutto aspettarsi effetti speciali da parte delle produzioni.





Apathy - Eastern Philosophy

VIDEO: THE WINTER

domenica 2 marzo 2008

DIVERSE - ONE A.M. (Chocolate Industries, 2003)

"Gioiellino" è l'unica definizione, per quanto brutta, che mi viene in mente quando penso a One A.M. L'uso del diminutivo ha però un suo perchè: innanzitutto se si guarda alla relativa brevità del lavoro (41'31'', undici tracce ed uno skit), ma principalmente perchè questo è decisamente poco conosciuto anche all'interno dei cultori dell'underground. L'innegabile talento che Diverse mostra su ciascuna traccia, la sua versatilità tematica, l'eccellente lavoro alle macchine e le ospitate ben dosate: quattro validi motivi che rendono One A.M. una delle uscite migliori del 2003 e che accentuano l'assurdità della sua inesistente promozione al moemnto dell'uscita.
L'album si apre con Certified, e le cose si mettono bene fin dall'inizio. RJD2 fa un sunto del suo stile, campionando riff di chitarra e combinandoli con un leggero loop di piano, direttamente antitetico alle batterie, le quali picchiano come dio comanda. Sul versante lirico già si nota una delle caratteristiche di Diverse: quello di piazzare quante più parole possibili in un singolo verso, à la Talib Kweli per intenderci, senza però mangiarsene mezza. Inoltre, il Nostro spesso passa dal seguire il tempo del beat al millisecondo al fregarsene riccamente, il che, funzionando, rende l'ascolto parecchio gradevole.
Si prosegue poi con Uprock, più funkeggiante e comunque della medesima buona fattura, per arrivare al primo duetto nonchè una delle tracce migliori del disco: Big Game. Su una perla di RJ, composta a metà da batterie tanto semplici quanto potenti e da un breve quanto ipnotico campione vocale, Diverse passa il microfono a Vast Aire divertendosi ad impartire qualche lezione su cosa significhi essere un MC.
Nel primo paragrafo ho poi fatto accenno alla versatilità del Nostro: bene, dopo tre tracce dai contenuti -diciamo così- vacui, con Ain't Right si cambia registro e produttore. Madlib fornisce un'ottima tela sulla quale poter dipingere il racconto di della morte di due persone, una "buona" e l'altra "cattiva". Ecco: detta così sa tanto di minchiata, ma una volta che si riesce a seguire il racconto che Diverse ci fa, il giudizio sarà senz'altro più magnanime se non positivo. Salto le comunque valide Jus Biz e Blindman, oltre che la gettonatissima Explosive (con il solito Lyrics Born, che a me col suo flow e la sua verve letargica proprio non dice nulla), per giungere alla gustosa Under The Hammer. RJ regala la sua miglior produzione del disco, che viene letteralmente fatta a pezzi dalla strofa di Jean Grae, dietro alla quale Diverse può solo arrancare dignitosamente. Difatti, per quanto nessuno dei due riesca a mio avviso a trattare in modo significativo le pressioni che una società corrotta come la nostra esercita sul singolo, perlomeno la prima ci mette un'energia che va di pari passo coi tagli di chitarra forniti dal beat.
Saltando a pie' pari la valida 747 (Flyin') e la più tradizionale Leaving (Prefuse 73 fa comunque un buon lavoro al campionatore), One A.M. si chiude con la fantastica In Accordance, cioè uno dei pochi esempi dove jazz e rap riescono a correre su binari paralleli. Qui va levato il cappello di fronte a Diverse: anzichè semplicemente campionare un pezzo del jazzista Ted Sirota, il Nostro ha chiamato Sirota stesso e (quel che presumo essere) la sua band per riusonare il pezzo onde poterlo ritoccare qua e là a seconda delle esigenze: come ho già detto, fantastico.
Bene: messa in soldoni, l'unico difetto che posso trovare nell'intero disco è che Diverse riempie le canzoni di parole finchè ciò gli è possibile, col risultato che è difficile ricordarsi di qualche suo particolare guizzo di bravura. E, nota a margine, per un non anglofono seguire i suoi testi più concettuali necessita di ripetuti ascolti (va anche veloce, il bastardo). Detto questo, però, la quarantina di minuti di musica che ci regala One A.M. merita senz'altro maggior plauso e riconoscimento di quanto ricevuto finora: oramai credo che sia difficile da reperire nei negozi, ma che almeno valga come ipoteca per il suo successivo disco che, a quanto pare, dovrebbe uscire nel corso di quest'anno.





Diverse - One A.M.