Leggendo i commenti che appaiono sul blog credo di essermi fatto un'idea dell'utenza, o per meglio dire degli habitué, non troppo approssimativa: salvo alcuni pasdaran oltre i trenta ed un paio di miei coetanei, l'età media si aggira intorno ai 20-25 anni. E allora, miei giovani lettori, lasciate che vi snoccioli una perla di infinita saggezza con tono paternalista à la Morgan Freeman: trovate quanto prima il modo di far montagne di soldi senza muovere un muscolo. Purtroppo, ad eccezione del magnaccia, a me finora non è venuto in mente nulla (accetto suggerimenti) e pertanto l'unica cosa utile che possa dirvi è che dal momento in cui trovate un lavoro la gestione del tempo sarà fondamentale. Le poche ore a vostra disposizione andranno spremute in maniera ottimale. Evitate dunque di buttare nel cesso tempo e soldi! Come? E' semplice:
-non andate a vedere Terminator 4. Non importa quanto da sbarbi vi fossero piaciuti il primo ed il secondo, questo è una cagata di proporzioni colossali
-non uscite a bere dopo aver visto Terminator 4, perchè non solo affogare la trishtezza nell'alcol non funziona, ma per di più è possibile che il giorno dopo vi svegliate con un mal di testa incompatibile coi vostri programmi
-se dovete ascoltare musica, sceglietela bene. Evitate ad esempio di appesantirvi con un Mr. Len; tanto sapete che, visto il mal di testa che vi perseguita, non vi andrà di ascoltarlo manco per il cazzo. Puntate piuttosto su numeri sicuri come il solista di Pharoahe Monch. Il primo, però, Internal Affairs. Sfiga vuole che questo sia ormai fuori stampa da tempo immemore a causa di problemi legali legati al campione di Simon Says, per cui l'unico modo di reperirlo è pagarlo cifre ridicole su internet oppure -più prosaicamente- scaricarlo. Ed è qui che entro in gioco io, con come al solito una bella recensione d'accompagnamento.
Comincio col dire che nella remota eventualità che non lo conosciate già, esso fortunatamente non ha nulla da spartire col deludente Desire; se quest'ultimo infatti era decisamente più "allegro" e votato all'eterogenia musicale (mortacci sua), Internal Affairs è crudo ed essenziale e propone all'ascoltatore esattamente ciò che questi desidera: il talento di Pharoahe Monch su beat cupi e ruvidi. In quanto uno degli ultimi veri liricisti, Monch è capace di fare numeri al microfono che altri possono solamente sognarsi, e dunque questo Internal Affairs potrebbe quasi essere considerato un faro per chiunque decida di avventurarsi nel mondo del rap serio. Del resto, già dieci anni fa la situazione non era delle più rosee e pertanto, al momento dell'uscita di Internal Affairs, chiunque avesse a cuore questa musica aspettava al varco la prova del Faraone sbavando di fronte alla sola idea di che cosa sarebbero potuti essere almeno quindici beat nelle sue sole mani. Ora, vuoi perchè le aspettative riguardo all'album erano sovrumane, vuoi perchè IA uscì praticamente in contemporanea con Black On Both Sides, fatto sta che vi fu un discreto numero di parzialmente delusi, alcuni dei quali francamente oltre la soglia del ridicolo come coloro che criticavano la sequenza della tracklist (mavaccaghèr).
Tuttavia, a distanza di dieci anni e con le bocce ferme credo che si possa fare un punto della situazione più accurato. Cominciamo col dire che pur mantenendo intatta la sua destrezza, Pharoahe è cambiato dai tempi di Stress: meno estremo per certi versi, qui, più che ripetute rime "a scatola cinese" e metrica serrata, egli favorisce una certa linearità interrotta solamente da pause ed eventuali accelerate o rallentamenti nella dizione. I più esigenti potrebbero trovare questo cambio di registro un po' deludente sulla carta, ma basta ascoltare la prima strofa di Behind Closed Doors per capire che Monch è la solita belva: "My exterior serene with the potential of a killin machine, ex-marine you drag queen, we tag team/ Queens finest the alliance defiant we bag fiends/ The fuck you lookin in my face for nigga?, I mace mics and then lace the bass with figures". Ancora non convinti? Bene, allora ci sono subito Queens e Rape, in cui il Nostro dimostra agli increduli la sua straordinaria bravura pur in contesti diversi: che sia un misto di storytelling/omaggio al proprio quartiere di provenienza o una sorta di concept track (ammetto, di dubbio gusto), la sua dimestichezza con voce e vocabolario si conferma essere quella di sempre. Non a caso, gli ospiti invitati per l'occasione tendono generalmente ad essere quanto più possibile all suo livello: o per carisma (M.O.P., Busta Rhymes) oppure per bravura (Canibus, Talib e Common, Prince Po e gli altri) e pertanto le combinazioni funzionano pressoché sempre, spesso sfociando in risultati tutto fuorchè scontati (vedi The Next Shit o l'ottima The Truth).
Ma per avere effetti così positivi è quasi scontato che vi debbano essere basi all'altezza; ebbene, pur non sfoggiando grandi nomi i risultati soddisfano quasi sempre le necessità. L'uomo dietro alla maggioranza dei beat risponde al nome di Lee Stone e senz'altro dimostra un buon affiatamento col Nostro, il quale a sua volta si dà da fare in un paio d'occasioni al campionatore per lasciare infine lo spazio residuo a Diamond D, DJ Scratch e Alchemist. A prescindere però dagli autori, il sound è compattamente nuiorchese e le influenze più tipicamente rawkussiane si sentono parecchio: il minimalismo regna supremo, dunque, e solo in rare occasioni si può scorgere una traccia di melodia orecchiabile. Svettano per bellezza The Truth, dal piglio orchestrale ed etereo allo stesso tempo, God Send, Queens (che rimanda il pensiero al migliore No I.D., non quello di Death Of Autotune) e ovviamente Simon Says. Le restanti sono comunque decisamente sopra alla media, per cui non si può dire che abbiamo a che fare con il solito disco rap di cui salvi quattro canzoni ed il resto lo butti nel cesso.
Casomai, uno dei difetti può essere dato dal fatto che tutto sommato i beat sono talvolta un po' generici; ma non nel senso che peccano di originalità o altro, semplicemente che una The Light o una Official sarebbero potute andare benissimo anche per un disco di Kweli o uno di Mos Def (e, per dire, The Next Shit ospita Busta Rhymes ma sembra essere fatta per Busta). Per carità: non facciamone un dramma, però sarebbe stato più interessante sentire Pharoahe su cose costruite ad hoc per la sua metrica e che magari lo ingabbiassero un po' meno (impressione, questa, che invece sporadicamente si ha). Sul versante lirico, invece, la critica che si può muovere al Nostro è di non aver dimostrato chissà quale inventiva in termini di concettualità: voglio dire che del (co)autore di cose come Stray Bullet o In Vetro qui si scorge poco, e mentre il lato più da battaglia emerge prepotentemente un po' spiace che alla fin fine i pezzi impegnati in fin dei conti si facciano notare più per l'esposizione che per l'idea.
Tolto ciò, Internal Affairs resta comunque un disco più che buono, com'era del resto quasi ovvio. Forse ciò che delude è la sua mancanza di eccezionalità, il suo non aver saputo essere storico e d'impatto come un po' tutti noi avremmo voluto che fosse. Ma inutile trasformare le aspettative deluse in note di biasimo: godiamoci quest'album per quello che è, e scusate se è poco.
Pharoahe Monch - Internal Affairs
VIDEO: THE LIGHT
-non andate a vedere Terminator 4. Non importa quanto da sbarbi vi fossero piaciuti il primo ed il secondo, questo è una cagata di proporzioni colossali
-non uscite a bere dopo aver visto Terminator 4, perchè non solo affogare la trishtezza nell'alcol non funziona, ma per di più è possibile che il giorno dopo vi svegliate con un mal di testa incompatibile coi vostri programmi
-se dovete ascoltare musica, sceglietela bene. Evitate ad esempio di appesantirvi con un Mr. Len; tanto sapete che, visto il mal di testa che vi perseguita, non vi andrà di ascoltarlo manco per il cazzo. Puntate piuttosto su numeri sicuri come il solista di Pharoahe Monch. Il primo, però, Internal Affairs. Sfiga vuole che questo sia ormai fuori stampa da tempo immemore a causa di problemi legali legati al campione di Simon Says, per cui l'unico modo di reperirlo è pagarlo cifre ridicole su internet oppure -più prosaicamente- scaricarlo. Ed è qui che entro in gioco io, con come al solito una bella recensione d'accompagnamento.
Comincio col dire che nella remota eventualità che non lo conosciate già, esso fortunatamente non ha nulla da spartire col deludente Desire; se quest'ultimo infatti era decisamente più "allegro" e votato all'eterogenia musicale (mortacci sua), Internal Affairs è crudo ed essenziale e propone all'ascoltatore esattamente ciò che questi desidera: il talento di Pharoahe Monch su beat cupi e ruvidi. In quanto uno degli ultimi veri liricisti, Monch è capace di fare numeri al microfono che altri possono solamente sognarsi, e dunque questo Internal Affairs potrebbe quasi essere considerato un faro per chiunque decida di avventurarsi nel mondo del rap serio. Del resto, già dieci anni fa la situazione non era delle più rosee e pertanto, al momento dell'uscita di Internal Affairs, chiunque avesse a cuore questa musica aspettava al varco la prova del Faraone sbavando di fronte alla sola idea di che cosa sarebbero potuti essere almeno quindici beat nelle sue sole mani. Ora, vuoi perchè le aspettative riguardo all'album erano sovrumane, vuoi perchè IA uscì praticamente in contemporanea con Black On Both Sides, fatto sta che vi fu un discreto numero di parzialmente delusi, alcuni dei quali francamente oltre la soglia del ridicolo come coloro che criticavano la sequenza della tracklist (mavaccaghèr).
Tuttavia, a distanza di dieci anni e con le bocce ferme credo che si possa fare un punto della situazione più accurato. Cominciamo col dire che pur mantenendo intatta la sua destrezza, Pharoahe è cambiato dai tempi di Stress: meno estremo per certi versi, qui, più che ripetute rime "a scatola cinese" e metrica serrata, egli favorisce una certa linearità interrotta solamente da pause ed eventuali accelerate o rallentamenti nella dizione. I più esigenti potrebbero trovare questo cambio di registro un po' deludente sulla carta, ma basta ascoltare la prima strofa di Behind Closed Doors per capire che Monch è la solita belva: "My exterior serene with the potential of a killin machine, ex-marine you drag queen, we tag team/ Queens finest the alliance defiant we bag fiends/ The fuck you lookin in my face for nigga?, I mace mics and then lace the bass with figures". Ancora non convinti? Bene, allora ci sono subito Queens e Rape, in cui il Nostro dimostra agli increduli la sua straordinaria bravura pur in contesti diversi: che sia un misto di storytelling/omaggio al proprio quartiere di provenienza o una sorta di concept track (ammetto, di dubbio gusto), la sua dimestichezza con voce e vocabolario si conferma essere quella di sempre. Non a caso, gli ospiti invitati per l'occasione tendono generalmente ad essere quanto più possibile all suo livello: o per carisma (M.O.P., Busta Rhymes) oppure per bravura (Canibus, Talib e Common, Prince Po e gli altri) e pertanto le combinazioni funzionano pressoché sempre, spesso sfociando in risultati tutto fuorchè scontati (vedi The Next Shit o l'ottima The Truth).
Ma per avere effetti così positivi è quasi scontato che vi debbano essere basi all'altezza; ebbene, pur non sfoggiando grandi nomi i risultati soddisfano quasi sempre le necessità. L'uomo dietro alla maggioranza dei beat risponde al nome di Lee Stone e senz'altro dimostra un buon affiatamento col Nostro, il quale a sua volta si dà da fare in un paio d'occasioni al campionatore per lasciare infine lo spazio residuo a Diamond D, DJ Scratch e Alchemist. A prescindere però dagli autori, il sound è compattamente nuiorchese e le influenze più tipicamente rawkussiane si sentono parecchio: il minimalismo regna supremo, dunque, e solo in rare occasioni si può scorgere una traccia di melodia orecchiabile. Svettano per bellezza The Truth, dal piglio orchestrale ed etereo allo stesso tempo, God Send, Queens (che rimanda il pensiero al migliore No I.D., non quello di Death Of Autotune) e ovviamente Simon Says. Le restanti sono comunque decisamente sopra alla media, per cui non si può dire che abbiamo a che fare con il solito disco rap di cui salvi quattro canzoni ed il resto lo butti nel cesso.
Casomai, uno dei difetti può essere dato dal fatto che tutto sommato i beat sono talvolta un po' generici; ma non nel senso che peccano di originalità o altro, semplicemente che una The Light o una Official sarebbero potute andare benissimo anche per un disco di Kweli o uno di Mos Def (e, per dire, The Next Shit ospita Busta Rhymes ma sembra essere fatta per Busta). Per carità: non facciamone un dramma, però sarebbe stato più interessante sentire Pharoahe su cose costruite ad hoc per la sua metrica e che magari lo ingabbiassero un po' meno (impressione, questa, che invece sporadicamente si ha). Sul versante lirico, invece, la critica che si può muovere al Nostro è di non aver dimostrato chissà quale inventiva in termini di concettualità: voglio dire che del (co)autore di cose come Stray Bullet o In Vetro qui si scorge poco, e mentre il lato più da battaglia emerge prepotentemente un po' spiace che alla fin fine i pezzi impegnati in fin dei conti si facciano notare più per l'esposizione che per l'idea.
Tolto ciò, Internal Affairs resta comunque un disco più che buono, com'era del resto quasi ovvio. Forse ciò che delude è la sua mancanza di eccezionalità, il suo non aver saputo essere storico e d'impatto come un po' tutti noi avremmo voluto che fosse. Ma inutile trasformare le aspettative deluse in note di biasimo: godiamoci quest'album per quello che è, e scusate se è poco.
Pharoahe Monch - Internal Affairs
VIDEO: THE LIGHT
22 commenti:
A me "Desire" è piaciuto ma metto le mani avanti e dico che SO DI ESSERE UNO TRA I POCHI! In ogni caso "Internal Affairs" ha una sola pecca: è un classico mancato. Tutti davano per scontato che lo fosse e in effetti se sul totale fossero venute meno un paio di cose (vedi qualche beat) forse Pharoahe ce l'avrebbe fatta.
Comunque la tua chiosa riassume perfettamente ciò che credo anch'io: 'sti cazzi se qualcosa non funziona al 100%, su "Internal Affairs" non ci si dorme sopra.
BRA
www.rapmaniacz.com
al contrario questo cd ha uno dei migliori intro della storia del rap...cazzo già dall'intro il monch ti fa girare la testa...cmq x desire io dico che bisogna fare lo stesso discorso che si fa x pro tools si poteva fare meglio(forse molto meglio) ma in ogni modo alza la media della qualità del rap x quell' anno...
ci tengo a dire che il campionamento di simon says pharoahe l'ha preso dalla colonna sonora di godzilla fatta da keith emerson...anche se non frega un cazzo a nessuno...
No beh Desire è meglio di Pro Tools.
Pro Tools è veramente una sòla.
Pro Tools ha i beat fatti in casa da un pirla
Pro Tools suona come il peggior spinoff degli anni '90
Pro Tools impallidisce persino di fronte al CD dei Troyal Fam
Pro Tools impallidisce persino di fronte al CD dei Troyal Fam
No.
fai te, io quest'album ce l'ho ancora su nastro.. copiato da cd originale di un mio amico.
oh, visto che il 28 saranno a milano puoi spendere due parole su quello che consideri il miglior album degli EPMD.
non se ritenermi fortunato a rientrare nella categoria pasdaran....
djmp45
oh, visto che il 28 saranno a milano puoi spendere due parole su quello che consideri il miglior album degli EPMD.
Ma è ovvio, Strictly Business...
L'opinione comune è quella espressa da Antonio, ma personalmente penso che sia Unfinished Business
si ma non volevo fare un paragone fra i cd volevo dire che sia pro tools che desire hanno tradito le aspettative ma cmq per la situazione degli ultimi anni sono fra le uscite di livello medio-alto...e cmq io voto back in bussines anche se naturalmente il classico vero e proprio è strickly business
Strictly Business è sicuramente il classico... ma per i miei gusti vado con Business Never Personal e Back In Business.
Riguardo a Monch, c'è poco da dire, è un albumone. Unico neo il remix di Simon Says, nel quale avrei preferito una selezione di featuring più accurata.
PS: ma è un effetto ottico generato dalla scansione oppure tieni i CD in una vasca da bagno?! :)
No mannaggia, non mi ci far pensare. E' andata così: estate 2004, abitavo ancora da mia madre. Mansarda.
Come sa chiunque abbia vissuto in mansarda, d'estate si MUORE di caldo, sicché è abitudine lasciare aperte le finestre Velux.
Magari però non quando sta per arrivare l'anticlone delle azzorre, specie se si è usciti a visitare un'amica.
Morale della favola: torno a casa a nubifragio terminato per scoprire che non solo aveva piovuto in tutta la casa, ma che in particolar modo il porcodiddio di tempo si era accanito sui miei porta CD rovinandone irrimediabilmente almeno venti.
In questi anni sono riuscito a ricomprarne alcuni, mentre altri più difficili da reperire conservano il carattere ondulatorio della carta e le pagine del booklet incollate.
A parte questo, per me Pro Tools invece è stato sotto la media del 2008. Se gli ho dato tre è stato solo grazie agli sforzi, in fondo nemmeno eccessivi, di GZA. Ma imho è il suo peggior album
Ah concordo nel dire che il remix di Simone Dice è "meh", ma d'altronde la combo Meth+Red+LadyLuck doveva essere in promozione in quegli anni
Che poi a me i remix con beat identico e mille cristiani sù non hanno mai detto un cazzo
..FCK SQUAD...senza dubbio desirè non è unbrutto album e alza la media delle uscite rap dell'anno....ma a me dà popo fastidio! dal primo ascolto non mi è stato per niente ''simpatico''..non so se rendo l'idea....per quanto riguarda il far soldi senza muovere muscolo..AMEN..io un paio di piani in atto ce li avrei ma richiede tempo.se si riescono ad ''incastrare'' delle cose col passare del tempo..ti farò sapere caro reiser
Bella sfiga... e magari il CD di Marky Mark se n'è uscito tranquillamente illeso...
Pro Tools mi ha deluso come poco altro, il peggiore del Genio senza alcun dubbio.
Sì ecco, i remix con lo stesso beat dell'originale anche a me non hanno mai detto nulla, anche se in questo caso l'idea di fare una variante di QUEL BEAT, è perdente in partenza.
vabò scusa ma facevo un discorso personale non mi basavo sulla tua recensione anche se chiaramente pro tools ha deluso anche me... dopodichè discorso chiuso e richiedo una recensione di un qualunque disco di ghostface se è possibile...
No ma per carità, l'ho citata tanto per entrare più nel dettaglio del perchè mi fa abbastanza piangere.
Poi de gustibus e tutto il resto, sia mai che.
Per Ghostfazza sarei tentato da More Fish, ma potrei anche buttar lì un throwback al mitico Ironman
no dai ti prego more fish no...è una ciofeca...invece te lo straappoggio ironman perchè secondo me è sottovalutatissimo e invece è un disco che merita...
ilrompidiPRotuls
More Fish non mi ha entusiasmato, a sto punto Fishcale direttamente.
Ironman è quasi un classico, un albumone, non lo vedo così sottovalutato...
Ciò non toglie che la recensione di quest'ultimo sarebbe molto curiosa. Io recensirei Supreme Clientele, questo sì, piuttosto sottovalutato.
Boh ma sapete che a me More Fish è piaciuto forse più di Fishscale?
...
Avete tutta la domenica per mandarmi a fanculo.
Grandissimo album, per quanto mi riguarda un classico coi controcazzi, sia per liriche che per beats, tanto che appena l'ho visto in vinile a 17€ non ho pensato 2 volte a prenderlo (guardandomi attorno da eventuali scippatori) e portarlo a casa!!!
Props per la recensione!
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