Qualche giorno addietro un mio amico ed io, ex compagni d'università nonché ambedue grafici (sia pure in rami diversi), ci siam trovati a parlare davanti ad una birra di come sia cambiata la percezione del lavoro dacché noi s'era ventenni ad oggi; non la farò tanto lunga anche perchè si tratta fondamentalmente di banalità, però mi limito ad accennare al fatto che da quando abbiamo lanciato Photoshop per la prima volta entrambi ci siamo imbattuti in una miriade di abbaioni che naturalmente si definivano "professionisti", "manager" e via dicendo. La mia esperienza insegna che i gestori/proprietari di locali tendono ad essere i più smandruppati in termini organizzativi, quelli delle serate i più incasinati nelle indicazioni ma puntuali coi pagamenti e le grandi ditte, invece, i più organizzati in quanto a direttive ma senz'altro i più pitocchi fra tutti. Tra questi però una figura emerge su tutte, riuscendo ad unire i lati negativi di ciascuna delle categorie sopraelencate, ed è quella del capetto dell'etichetta indipendente.
Non ho molta esperienza in tal senso, ma quella avuta mi è bastata per capire che a prescindere dalla nazionalità -italiana o americana- se tu ti trovi a gestire esclusivamente una microscopica casa discografica ci sono buone probabilità che tu sia un inetto il cui futuro si può dire come minimo incerto. In questo variopinto mondo di testicoli c'è però una persona che meriterebbe un posto d'onore tra coloro degni di un soggiorno in uno di quei luoghi di rieducazione sociale che si chiamano "cantieri all'aperto", e questa persona è Stello D'Anna. A molti di voi il nome probabilmente non dirà niente, ma sappiate che egli è il cugino di Virtuoso nonché il fondatore della (naturalmente) defunta Omnipotent Records oltrechè il (ex) manager di tutti gli artisti che vi si ritrovavano, senza naturalmente scordarci il punto focale: che è un povero scemo. In rete si trovano alcune testimonianze che confermano questo mio giudizio, qualora ve ne fosse bisogno, ma vi basti sapere che nei primi mesi del 2002 io ebbi modo di contattarlo e parlarci per alcune grafiche. Io gli avevo spedito il mio portfolio che a lui era piaciuto, senonché voleva discutere sulle mie tariffe e, anziché fare offerte o proposte, ha cercato di piazzarmi come street promoter (della Omnipotent? In Italia?). Io ovviamente rifiutai, così lui rilanciò proponendomi un baratto: grafiche contro CD, vinili ecc. La cosa a quel punto mi stette bene, gli mandai alcune bozze ma, inspiegabilmente, da quel momento in poi di lui non seppi più nulla: forse non gli erano piaciute, chissà. Ad ogni modo dopo un po' ritrovai il mio nome nel suo street team, ma non feci nemmeno in tempo a chiederne la rimozione che il sito andò giù sine die come del resto la stessa casa discografica ed i suoi artisti.
Ecco: ora sapete perchè questo Voice Of Reason ha un prezzo così alto malgrado non arrivi nemmeno alla decina d'anni d'età (immagino che le copie restanti le abbia usate D'Anna per stendere, chi può dirlo).
Note di colore a parte, sono dispiaciuto del fatto che Miguel Blackmer-Hart alias Virtuoso abbia un cugino così pirla perchè, a giudicare dal disco nel suo insieme, madre Natura con lui deve invece essere stata assai più generosa. Contrariamente infatti ai prodotti dei suoi allora compagni degli Army Of The Pharohs, VOR è un'opera in cui ad essere espress non sono solo le abilità tecniche bensì anche quelle contenutistiche. Proseguendo, non c'è solo l'autocelebrazione magari anche un po' kitsch à la Jedi Mind ma si può ritrovare anche una certa umiltà e fondamentalmente del buonsenso altrimenti così rari nella produzione discografica dell'epoca. Varietà contenutistica, insomma, che va a collocarsi all'interno di una controparte sonora invece fortemente radicata nel suono della second golden, questa sì, invece, non particolarmente varia. Ma procediamo con ordine e partiamo dai produttori: Madsol-Desar, Stoupe, Fakts One, Insight, i Soul Searchers, i Molemen, Clinton Sparks, Ray Fernandes e soprattutto Beyonder, che è quello più presente dell'insieme (ne ho lasciati a parte un paio ma non credo che vi avrebbero detto molto). Tutti questi vanno a creare -secondo gli stili personali- un sound che passa dalla Premierata al funk, dall'epica al minimalismo, dall'hip hop più tradizionale al (purtroppo sì) suono da club dei poveri. Ed è da qui che correi cominciare.
Want Me è difatti l'unico beat onestamente incircolabile di tutto l'insieme e dobbiamo ringraziare Clinton Sparks per questo; non saprei come definire quest'accozzaglia di batterie fiacche, campioni latineggianti e, va detto, emceeing ridicolo e ritornello querelabile, se non come il peggior incubo dei Beatnuts mescolato con visioni apocalittiche di Ricky Martin all'orizzonte. Non so se ho reso l'idea, ma qui siamo a dei livelli di bassezza davvero inspiegabili, così come resta un mistero la mancanza di ripensamenti di Virt nel momento in cui si è trovato a stilare la tracklist. Ma tant'è: fa quasi ridere. Tolto il dente, tolto il dolore? In un certo senso no, perchè purtroppo sono state incluse tracce già edite che se da un lato fa comodo avere su CD (e forse sono sconosciute per qualcuno), dall'altro diluiscono un po' il fattore novità: e per quanto apprezzi l'idea di remixare Omnipotence (visto che viene bene), dall'altro avrei anche fatto a meno di una Orion's Belt (vecchia, già all'epoca, di quattro anni) così come del mezzo remix di Incinerator, dato che se proprio lo si voleva mettere allora a conti fatti era meglio mettere l'originale e tanti saluti. Intendiamoci: non sono pezzi nemmeno lontanamente definibili come "brutti", semplicemente, per chi era un fan di Virtuoso, a quel punto significavano oramai poco ed al limite potevano essere usati come b-side dei singoli o che so io.
Ciò detto, il resto è una strada fondamentalmente in discesa: pur essendoci delle sviste di vario tipo sparse quà e là (gli osceni ritornelli cantati di One e Remember, la sucata pazzesca a Primo di Keep The Time), non solo queste sono perdonabili ma soprattutto si disperdono nell'insieme grazie ad alcune canzoni coi controcoglioni. prima fra queste è il singolo Beatdown, il cui beat di Insight m'aveva esaltato al punto tale da spingermi a comprare il 12" contro ogni logica di buonsenso. Fatto sta che su un tappeto sonoro che è al contempo marziale e veloce, Virtuoso, i Jedi Mind Tricks ed il purtroppo desaparecido T-Ruckus fanno dei numeri eccezionali che trovano poi la perfetta spalla nel ritornello, sorretto oltretutto da due cut distanti e perfetti come quello di Maylay Sparks ("Got it locked from the 2-1-pound to beantown") e quello di My Philosophy ("When some clowns jump up to get beat down"). Più lenta nel tempo ma sullo stesso genere è poi Smash Ta Piece Theater, che si fa perdonare il titolo principalmente grazie ad un campione che pare tratto da Conan, e soprattutto ad alcune tra le batterie più potenti (nel senso letterale del termine) dell'intero Voice Of Reason. E se a queste due andiamo ad aggiungere All We Know e What We Live (prodotte rispettivamente da Stoupe e Jaz-O) possiamo notare una certa tendenza al gusto epico; fortunatamente, però, non solo questo è decisamente meno roboante di quello che si può incontrare oggi nei dischi di chi sta in balotta coi JMT, ma soprattutto è accompagnato da liriche i cui contenuti sono molto più vicini agli standard classici del rap che non a quelli del metal.
Ciò detto, come avevo anticipato vi sono comunque beat più in linea con la tradizione, come ad esempio Slicin' Your Wrists: il giro di basso ed il breve campione di chitarra trasudano funk e sono solamente i bassi bpm a far dubitare che non possa essere un'opera di Erick Sermon; per converso, le valide Provoke Me e Guaranteed viaggiano più di sample tagliati come si usava fare all'epoca e pertanto, pur non brillando per originalità, risultano come minimo piacevoli. Ma sono forse le cupe e minimaliste I'm Virtuoso e Show Respect quelle che più si confanno al timbro vocale di Virtuoso, il quale evidentemente si trova estremamente a suo agio su ritmi ed atmosfere rapportabili senza grossi sforzi d'immaginazione alle produzioni del Showbiz di fine anni '90.
Ecco, e visto che finalmente cito qualcosa di Virt, vediamo nel dettaglio come si comporta il nostro. Dotato di un voce baritonale ma non cavernosa, egli è evidentemente figlio adottivo di Kool G Rap e la cosa si fa notare assai spesso nei pezzi più liberi, in cui incatena una serie di rime ed assonanze tali da rendere orgoglioso il buon Nathaniel Wilson. Ma se egli è indubbiamente un estimatore della metrica multisillabica, allora lo è altrettanto dei Native Tongues: e non mi riferisco naturalmente allo stile quanto ai contenuti. Guaranteed e Keep The Time sono infatti canzoni dai connotati sociali abbstanza marcati e dotate di uno scopo sostanzialmente didattico; non da meno è in quest'ottica Slicin' Your Wrists, in cui Virt mette in discussione quella forma di machismo che vuole il gesto di coraggio urlato a scanso di qualsiasi ragionevolezza: "But that was back in the days, now these bitch ass actors'll blaze, they roll packin' a gauge/ So the moral's don't fight, I won't front it was a dope night but when involved with violence you're liable to get your throat sliced". Saggiamente, per esprimere la sua opinione egli usa lo storytelling e questo riesce ad evitare qualsiasi tono di pedanteria da oratorio in cui sarebbe facile incappare in un simile caso.
E a parte una indubbia versatilità contenutistica, che sarà ulteriormente accentuata ed arricchita nel successivo Evolution Of The Torturer, bisogna comunque notare come il Nostro alla fin fine non sfiguri affatto di fianco agli ospiti e che, anzi, li usi molto bene per complementare il suo stile. E nota bene che non sono mica dei cazzetti qualsiasi: Casual e Del, per dire, risultano fondamentali nel rendere All We Know una bella canzone; lo scambio di battute con Reks nella strofa di Provoke Me è di una bellezza indiscutibile, e persino quando Virt va a pescare nell'underground più profondo si sa scegliere molto bene i colleghi: Jaz-O aka Big Jaz ed il purtroppo sconosciuto KT (Killa Tactics) contribuiscono a rendere What We Live uno dei pezzi meglio riusciti dell'album. Insomma, l'unico momento dove i featuring risultano addirittura dannosi sono quando chiama a sè delle fighe: e lì, sia che si tratti della no-name-R&B-beeeyootch, sia che si tratti dell'infame Iyadonna, purtroppo arriviamo a raschiare il fondo del barile. Per il resto raramente ho visto negli ultimi tempi una media così alta di prestazioni da parte di "esterni", alcuni dei quali potrebbero anche fregarsene di dare il meglio.
In conclusione, quindi, pur non ritenendo Voice Of Reason il capolavoro che alcuni dicono essere, non posso certo negargli quattro zainetti. Vero è che secondo me in alcuni punti appare decisamente invecchiato, così come è innegabile che la voglia di skippare i pezzi meno riusciti diventi irresistibile dopo poco tempo; tuttavia, con nella faretra almeno sei o sette frecce dal valore indiscutibile, penso che valga la pena di aspettare la ristampa (che pare in dirittura d'arrivo) e di comprarlo. Nell'attesa, ça va sans dire, ascoltatelo.
Virtuoso - WWI: The Voice Of Reason
Non ho molta esperienza in tal senso, ma quella avuta mi è bastata per capire che a prescindere dalla nazionalità -italiana o americana- se tu ti trovi a gestire esclusivamente una microscopica casa discografica ci sono buone probabilità che tu sia un inetto il cui futuro si può dire come minimo incerto. In questo variopinto mondo di testicoli c'è però una persona che meriterebbe un posto d'onore tra coloro degni di un soggiorno in uno di quei luoghi di rieducazione sociale che si chiamano "cantieri all'aperto", e questa persona è Stello D'Anna. A molti di voi il nome probabilmente non dirà niente, ma sappiate che egli è il cugino di Virtuoso nonché il fondatore della (naturalmente) defunta Omnipotent Records oltrechè il (ex) manager di tutti gli artisti che vi si ritrovavano, senza naturalmente scordarci il punto focale: che è un povero scemo. In rete si trovano alcune testimonianze che confermano questo mio giudizio, qualora ve ne fosse bisogno, ma vi basti sapere che nei primi mesi del 2002 io ebbi modo di contattarlo e parlarci per alcune grafiche. Io gli avevo spedito il mio portfolio che a lui era piaciuto, senonché voleva discutere sulle mie tariffe e, anziché fare offerte o proposte, ha cercato di piazzarmi come street promoter (della Omnipotent? In Italia?). Io ovviamente rifiutai, così lui rilanciò proponendomi un baratto: grafiche contro CD, vinili ecc. La cosa a quel punto mi stette bene, gli mandai alcune bozze ma, inspiegabilmente, da quel momento in poi di lui non seppi più nulla: forse non gli erano piaciute, chissà. Ad ogni modo dopo un po' ritrovai il mio nome nel suo street team, ma non feci nemmeno in tempo a chiederne la rimozione che il sito andò giù sine die come del resto la stessa casa discografica ed i suoi artisti.
Ecco: ora sapete perchè questo Voice Of Reason ha un prezzo così alto malgrado non arrivi nemmeno alla decina d'anni d'età (immagino che le copie restanti le abbia usate D'Anna per stendere, chi può dirlo).
Note di colore a parte, sono dispiaciuto del fatto che Miguel Blackmer-Hart alias Virtuoso abbia un cugino così pirla perchè, a giudicare dal disco nel suo insieme, madre Natura con lui deve invece essere stata assai più generosa. Contrariamente infatti ai prodotti dei suoi allora compagni degli Army Of The Pharohs, VOR è un'opera in cui ad essere espress non sono solo le abilità tecniche bensì anche quelle contenutistiche. Proseguendo, non c'è solo l'autocelebrazione magari anche un po' kitsch à la Jedi Mind ma si può ritrovare anche una certa umiltà e fondamentalmente del buonsenso altrimenti così rari nella produzione discografica dell'epoca. Varietà contenutistica, insomma, che va a collocarsi all'interno di una controparte sonora invece fortemente radicata nel suono della second golden, questa sì, invece, non particolarmente varia. Ma procediamo con ordine e partiamo dai produttori: Madsol-Desar, Stoupe, Fakts One, Insight, i Soul Searchers, i Molemen, Clinton Sparks, Ray Fernandes e soprattutto Beyonder, che è quello più presente dell'insieme (ne ho lasciati a parte un paio ma non credo che vi avrebbero detto molto). Tutti questi vanno a creare -secondo gli stili personali- un sound che passa dalla Premierata al funk, dall'epica al minimalismo, dall'hip hop più tradizionale al (purtroppo sì) suono da club dei poveri. Ed è da qui che correi cominciare.
Want Me è difatti l'unico beat onestamente incircolabile di tutto l'insieme e dobbiamo ringraziare Clinton Sparks per questo; non saprei come definire quest'accozzaglia di batterie fiacche, campioni latineggianti e, va detto, emceeing ridicolo e ritornello querelabile, se non come il peggior incubo dei Beatnuts mescolato con visioni apocalittiche di Ricky Martin all'orizzonte. Non so se ho reso l'idea, ma qui siamo a dei livelli di bassezza davvero inspiegabili, così come resta un mistero la mancanza di ripensamenti di Virt nel momento in cui si è trovato a stilare la tracklist. Ma tant'è: fa quasi ridere. Tolto il dente, tolto il dolore? In un certo senso no, perchè purtroppo sono state incluse tracce già edite che se da un lato fa comodo avere su CD (e forse sono sconosciute per qualcuno), dall'altro diluiscono un po' il fattore novità: e per quanto apprezzi l'idea di remixare Omnipotence (visto che viene bene), dall'altro avrei anche fatto a meno di una Orion's Belt (vecchia, già all'epoca, di quattro anni) così come del mezzo remix di Incinerator, dato che se proprio lo si voleva mettere allora a conti fatti era meglio mettere l'originale e tanti saluti. Intendiamoci: non sono pezzi nemmeno lontanamente definibili come "brutti", semplicemente, per chi era un fan di Virtuoso, a quel punto significavano oramai poco ed al limite potevano essere usati come b-side dei singoli o che so io.
Ciò detto, il resto è una strada fondamentalmente in discesa: pur essendoci delle sviste di vario tipo sparse quà e là (gli osceni ritornelli cantati di One e Remember, la sucata pazzesca a Primo di Keep The Time), non solo queste sono perdonabili ma soprattutto si disperdono nell'insieme grazie ad alcune canzoni coi controcoglioni. prima fra queste è il singolo Beatdown, il cui beat di Insight m'aveva esaltato al punto tale da spingermi a comprare il 12" contro ogni logica di buonsenso. Fatto sta che su un tappeto sonoro che è al contempo marziale e veloce, Virtuoso, i Jedi Mind Tricks ed il purtroppo desaparecido T-Ruckus fanno dei numeri eccezionali che trovano poi la perfetta spalla nel ritornello, sorretto oltretutto da due cut distanti e perfetti come quello di Maylay Sparks ("Got it locked from the 2-1-pound to beantown") e quello di My Philosophy ("When some clowns jump up to get beat down"). Più lenta nel tempo ma sullo stesso genere è poi Smash Ta Piece Theater, che si fa perdonare il titolo principalmente grazie ad un campione che pare tratto da Conan, e soprattutto ad alcune tra le batterie più potenti (nel senso letterale del termine) dell'intero Voice Of Reason. E se a queste due andiamo ad aggiungere All We Know e What We Live (prodotte rispettivamente da Stoupe e Jaz-O) possiamo notare una certa tendenza al gusto epico; fortunatamente, però, non solo questo è decisamente meno roboante di quello che si può incontrare oggi nei dischi di chi sta in balotta coi JMT, ma soprattutto è accompagnato da liriche i cui contenuti sono molto più vicini agli standard classici del rap che non a quelli del metal.
Ciò detto, come avevo anticipato vi sono comunque beat più in linea con la tradizione, come ad esempio Slicin' Your Wrists: il giro di basso ed il breve campione di chitarra trasudano funk e sono solamente i bassi bpm a far dubitare che non possa essere un'opera di Erick Sermon; per converso, le valide Provoke Me e Guaranteed viaggiano più di sample tagliati come si usava fare all'epoca e pertanto, pur non brillando per originalità, risultano come minimo piacevoli. Ma sono forse le cupe e minimaliste I'm Virtuoso e Show Respect quelle che più si confanno al timbro vocale di Virtuoso, il quale evidentemente si trova estremamente a suo agio su ritmi ed atmosfere rapportabili senza grossi sforzi d'immaginazione alle produzioni del Showbiz di fine anni '90.
Ecco, e visto che finalmente cito qualcosa di Virt, vediamo nel dettaglio come si comporta il nostro. Dotato di un voce baritonale ma non cavernosa, egli è evidentemente figlio adottivo di Kool G Rap e la cosa si fa notare assai spesso nei pezzi più liberi, in cui incatena una serie di rime ed assonanze tali da rendere orgoglioso il buon Nathaniel Wilson. Ma se egli è indubbiamente un estimatore della metrica multisillabica, allora lo è altrettanto dei Native Tongues: e non mi riferisco naturalmente allo stile quanto ai contenuti. Guaranteed e Keep The Time sono infatti canzoni dai connotati sociali abbstanza marcati e dotate di uno scopo sostanzialmente didattico; non da meno è in quest'ottica Slicin' Your Wrists, in cui Virt mette in discussione quella forma di machismo che vuole il gesto di coraggio urlato a scanso di qualsiasi ragionevolezza: "But that was back in the days, now these bitch ass actors'll blaze, they roll packin' a gauge/ So the moral's don't fight, I won't front it was a dope night but when involved with violence you're liable to get your throat sliced". Saggiamente, per esprimere la sua opinione egli usa lo storytelling e questo riesce ad evitare qualsiasi tono di pedanteria da oratorio in cui sarebbe facile incappare in un simile caso.
E a parte una indubbia versatilità contenutistica, che sarà ulteriormente accentuata ed arricchita nel successivo Evolution Of The Torturer, bisogna comunque notare come il Nostro alla fin fine non sfiguri affatto di fianco agli ospiti e che, anzi, li usi molto bene per complementare il suo stile. E nota bene che non sono mica dei cazzetti qualsiasi: Casual e Del, per dire, risultano fondamentali nel rendere All We Know una bella canzone; lo scambio di battute con Reks nella strofa di Provoke Me è di una bellezza indiscutibile, e persino quando Virt va a pescare nell'underground più profondo si sa scegliere molto bene i colleghi: Jaz-O aka Big Jaz ed il purtroppo sconosciuto KT (Killa Tactics) contribuiscono a rendere What We Live uno dei pezzi meglio riusciti dell'album. Insomma, l'unico momento dove i featuring risultano addirittura dannosi sono quando chiama a sè delle fighe: e lì, sia che si tratti della no-name-R&B-beeeyootch, sia che si tratti dell'infame Iyadonna, purtroppo arriviamo a raschiare il fondo del barile. Per il resto raramente ho visto negli ultimi tempi una media così alta di prestazioni da parte di "esterni", alcuni dei quali potrebbero anche fregarsene di dare il meglio.
In conclusione, quindi, pur non ritenendo Voice Of Reason il capolavoro che alcuni dicono essere, non posso certo negargli quattro zainetti. Vero è che secondo me in alcuni punti appare decisamente invecchiato, così come è innegabile che la voglia di skippare i pezzi meno riusciti diventi irresistibile dopo poco tempo; tuttavia, con nella faretra almeno sei o sette frecce dal valore indiscutibile, penso che valga la pena di aspettare la ristampa (che pare in dirittura d'arrivo) e di comprarlo. Nell'attesa, ça va sans dire, ascoltatelo.
Virtuoso - WWI: The Voice Of Reason
2 commenti:
Non sai quanto t'invidio il CD originale... è assolutamente introvabile al prezzo che vale.
Hai pure World War II?
PS: L'offerta di Street Promoter per la Omnipotent in Italia, mi ha piegato in due.
No, WWII l'avevo visto usato a 7€ ma chissà perchè non lo comprai (forse per via dell'imbarazzante copertina), favorendo chissà che altro
Non che sia bellissimo ma a distanza di qualche anno un po' mi rode; è una di quelle inculate prse di cui dicevo nei commenti al disco dei De La
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