venerdì 26 febbraio 2010

AKBAR - BIG BANG BOOGIE (Ill Boogie/ Raptivism/ Groove Attack, 2001)

Non molto tempo fa ho scritto del californiano Mykill Miers e di come la sua casa discografica d'appartenenza, la Ill Boogie Records, sia stata all'epoca una produttrice di musica non esattamente originale ma certamente di buon livello. Tuttavia, la sua breve esistenza non le ha permesso di mantenere intatta la discreta nomea che s'era fatta ai tempi -specialmente in Europa, dove il suo catalogo era distribuito dall'ottima Groove Attack di Cologna Colonia- e pertanto la maggior parte dei propri prodotti e dei propri artisti è oggigiorno caduta in un oblio degno di Lete.
Fortunatamente per loro, però, ci sono persone con molto tempo libero che non hanno di meglio da fare che tessere le lodi di artisti di seconda e terza fila da tempo caduti in disgrazia, per cui ecco che fieramente vi presento il progetto di punta, sia in termini qualitativi che promozionali, della Ill Boogie Records: Big Bang Boogie di Akbar.
Preceduto da una campagna pubblicitaria di tutto rispetto -perlomeno in Germania ed in Italia- Big Bang Boogie uscì (nove anni fa) nel bel mezzo di un anno che dal punto di vista dell'underground non aveva dato enormi soddisfazioni agli appassionati del genere, per cui molti di questi ultimi furono a dir poco ansiosi di abbracciare un MC che più ortodosso non si poteva avere: beat di sapore nuiorchese, metriche belle quadratone e tematiche tra lo spirituale e la devozione nei confronti dell'hip hop. Personalmente, devo ammettere che per anni ho nutrito un pregiudizio negativo di grande intensità nei confronti di BBB, ma ripetute esperienze d'ascolto -anche e soprattutto nell'ultimo periodo- mi hanno convinto che i miei pregiudizi erano del tutto infondati.
Difatti, in nessun modo reputarlo un incompetente può essere un parere fondato: perchè nei 67 minuti di durata di quest'album l'oriundo del Bronx trapiantato a Los Angeles dimostra un'indiscutibile agilità con la penna e con la lingua, risultando in molti frangenti ben più originale dei suoi colleghi e, soprattutto, manifestando una scelta di tematiche ed un modo di affrontarle che sovente mi ricordano nientemeno il Rakim più mistico. Driftin' Through A Space si potrebbe infatti definire una Da Mystery Pt. 2, in quanto il mescolone tra pseudoscienza e islamismo risulta forte e per certi versi affascinante quanto nell'illustre predecessore; in Those Who Say, invece, si fa largo una visione molto più vicina ai 5%ers che non alla NOI; la quale viene poi espansa concettualmente nello skit Akbar Speaks e comunque riaffiora pressoché in ogni canzone, sia mediante singoli versi, come ad esempio in Bigga Dey Come, sia attraverso l'uso occasionale della terminologia dei Supreme Mathematics con annessi e connessi.
Per converso, Akbar non condivide nulla del lato più aperto al femminile di Ra preferendo spostarsi su territori più ortodossi quali, ad esempio, l'hip hop in tutte le sue forme. E questo viene affrontato sia mediante il buon vecchio egotrippin' (Hot Ya Hot, No Suckas Allowed, 5th Element) che attraverso aspetti autobiografici che spesso comunque contengono diversi omaggi all'old school, come evidenziato nell'ottima Take It There, in cui egli stesso riprende gli stili dell'epoca in cui da infante muoveva i primi passi nel Bronx di Bambaataa e soci. Un approccio decisamente più creativo della media e soprattutto più interessante, perlomeno nel breve periodo. E come se tutto ciò non bastasse, se vogliamo possiamo poi perderci dietro ai suoi viaggioni più da nerd -Mothaship- oppure apprezzare le parabole di Space Odyssey e soprattutto Take It There, con quest'ultima che risulta senz'altro la più interessante grazie a echi dell'epica di Poul Anderson; mentre qualora ci servisse un maggiore realismo resterebbero pur sempre Hold On e Dedication.
Insomma, come dicevo, dal punto di vista dei contenuti Akbar offre una buona varietà, disponendo soprattutto di un immaginario sicuramente suggestivo, e anche la forma offre diverse prospettive che rendono il tutto capace di intrattenere come si deve; con questo non significa certo che abbiamo un secondo Nas, ma che rispetto alla media degli MC underground il Nostro sa fare bene il suo mestiere. Peccato solo che alle volte spezzi troppo il suo flow, rallentandolo o dilatandolo (spero di essermi spiegao bene), e se questo ha un senso in Take It There capita invece che Mothaship possa risultare per questo un po' pesante.
Ma quand'anche ciò avviene, oppure quando i suoi discorsi si fanno un po' fumosi, ecco che a soccorrerlo ci pensano i beat: prodotti perlopiù da semisconosciuti -eccetto DJ Revolution e Thes One gli altri sono nomi decisamente poco noti- questi oscillano tra il boombap più ortodosso e l'evocatività, con diverse sfumature all'interno di queste due categorie. Circa la prima, ad esempio, risaltano sicuramente le due versioni di Those Who Say: laddove il remix di Revolution è bello tirato e basato su un cupo loop di piano, la versione di This Kid Named Miles si limita al solo basso e ad uno stupendo break di batteria che da solo regge tutti i cinque minuti e mezzo di batteria senza problemi (e che sarà riutilizzato più avanti per The Game di Common). Analogamente, laddove Take It There riesce a catturare una melodia di successo (Magic Mona di Phyllis Hyman, ripresa l'anno scorso da Pete Rock in A-Yo) e sfruttarla fino in fondo, come del resto avviene anche per la bella Hip Hop Is e Dedication, Hot Ya Hot e Live Long si basano su un approccio più minimalista in cui si presta quasi più attenzione alla linea di basso che alle batterie.
Esattamente il contrario avviene invece nel momento in cui il disco pende più verso la riflessione, coerentemente con le liriche del caso: Driftin' Through Space sa molto di fusion axelrodiana ed il sample si sposa divinamente con il tema della canzone; analogamente, il canto sognante di Mothaship e gli archi di Space Odyssey risultano ideali per le atmosfere che Akbar si propone d'evocare; e, in un certo senso, anche gli evidenti throwback di 5th Element e No Suckas Allowed tendono a rientrare nella categoria delle produzioni più legate al mood che non all'impatto sonoro propriamente detto. E se è chiaro che non tutte le basi risultano efficaci, paradossalmente sono proprio quelle più "difficili" ad uscirne vincenti: Driftin' Through Space risulta infatti un'accoppiata vincente, e senza voler togliere nulla alle ottime Bigga Dey Come e l'eccezionale Those Who Say, penso che a spingere un po' di più sul pedale dell'evocazione (scartando magari brutture come Hold On o l'originale di Hot Ya Hot) avrebbe aiutato a far entrare nell'immortalità Big Bang Boogie.
Sto esagerando, si capisce; Big Bang Boogie purtroppo è privo di quel guizzo di genio che trasforma dischi ottimi in pietre miliari, ma al di là di questo trovo che sia un'opera difficilmente criticabile se non in un paio di frangenti. Akbar è piuttosto interessante come MC, principalmente per i suoi viaggioni a cavallo tra la fantascienza, la religione ed il misticismo (che per me restano discorsi da sciroccati, sia ben chiaro) e per la sua discreta capacità affabulatoria. E se come tecnica è bravino ma non geniale, gode del vantaggio di poter sfruttare beat che tendono ad evidenzire le sue qualità piuttosto che marcarne i difetti. Insomma: non fate come me che ho insultato il povero Akbar per almeno quattro anni senza avere uno straccio di motivo (in realtà ce l'avevo ed era Hot Ya Hot), scaricate quest'album e -secondo me- buttateci dentro quei 10€ o quel che l'è perchè alla fin fine li vale eccome.





Akbar - Big Bang Boogie

3 commenti:

Antonio ha detto...

Cologna? Sarà Colonia, o no?
Per il resto, mai sentito. Colmerò la lacuna (||).

reiser ha detto...

Non lo so, da buon crucco avente a che fare con krukki l'ho sempre chiamata Köln

Adeßo veriphiko su qwalke zito di foi mantschaspachetti e al lymite korrekko

Antonio ha detto...

Adeßo veriphiko su qwalke zito di foi mantschaspachetti e al lymite korrekko

Chissà perché ma ti immagino mentre parli posseduto (||) da Papa Ratzinger...

A proposito di italiani, da quando ho scoperto che Vacca è di Cagliari sono rimasto traumatizzato. A vita.