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mercoledì 18 novembre 2009

CAMP LO - ANOTHER HEIST (Soul Fever, 2009)

È passato più di un anno dalla mia recensione dell'album d'esordio dei Camp Lo, il memorabile Uptown Saturday Night, e dodici anni dalla sua uscita: un lasso di tempo significativo sia in termini assoluti che in termini relativi, dato che il duo del Bronx ha cercato nel frattempo di far scordare la loro bravura mediante uscite quantomeno discutibili come Let's Do It Again o Black Hollywood. Ebbene, sarà per questioni nostalgiche, sarà per motivi qualitativi, ma credo che nessun fan li abbia mai condannati all'oblio, come forse avrebbero meritato, malgrado le tre delusioni date dopo il loro debutto; delusioni peraltro ingiustificabili, dato che la causa di queste era palese e riguardava chiaramente i beat.
Ebbene, finalmente, dopo dodici anni, Cheeba e Suede si sono dati una svegliata e hanno capito che forse era il caso di richiamare il sottovalutato Ski per produrre l'intero album. Cosa che hanno fatto e, guardacaso, Another Heist è senz'ombra di dubbio il loro miglior lavoro dai tempi di Uptown Saturday Night ed un buon album tout court. Diverrà un semiclassico come quest'ultimo? Probabilmente no, ma a questo punto la cosa mi è personalmente indifferente e mi basta avere per le mani una loro opera che finalmente si può ascoltare dall'inizio alla fine senza particolari problemi (o quasi).
Veniamo al dunque: scava scava, alla fine cosa volevano da loro i fan di USN e che non gli era mai stato dato, se non in piccoli assaggi? Semplicemente la riproposizione della formula vincente fatta di beat atmosferici densi di funk e soul, da un lato, e di rime pesantemente influenzate dallo slang in cui lo stile deve regnare sovrano e incontrastato, dall'altro: e così è avvenuto. Ora, è chiaro che non ci può più essere la sorpresa e l'innovazione degli esordi: un po' perchè dell'ormai odioso «swagger» si è abusato fino alla nausea (ed i Camp Lo sono stati i primi ad averlo/usarlo nella sua accezione contemporanea), e poi perchè l'avere basi pregne di campioni Motown ormai non fa più notizia. Ma la differenza tra loro e altri gruppi che si richiamano agli anni '70 -anche solo come musicalità- resta ed è enorme, per cui il primo pregio che si può trovare è il mantenimento dell'originalità o perlomeno della personalità.
Fedeli a sè stessi, i nostri eroi hanno infatti proseguito nel loro percorso fatto di atmosfere vintage e testi al 90% incomprensibili, in cui tutto si gioca sul costante scambio del microfono e la destrezza nel maneggiare sillabe, parole e metafore. Praticamente ogni traccia di Another Heist trasuda quindi stile nella sua concezione più reppusa, e forse l'esempio migliore di questo si può trovare nella breve ed imperdibile Son Of A..., in cui fanno evidenti riferimenti alla cultura degli anni '70 passando dalle Chevrolet a due porte ai film di Bruce Lee, senza scordarsi naturalmente della musica e dei suoi eroi piuttosto che delle Black Panthers o Donny Goines. In verità, poi, questa è una delle canzoni contenutisticamente più identificabili assieme al terzo episodio di Black Connection e Good Green; se proprio siete quindi alla ricerca di quel misto di rime, slang e nonsense tipico di Cheeba e Suede, allora vi suggerisco di provare con Get 'Em Lo o Satin Amnesia, in cui si fanno dei viaggioni logicamente difficili da seguire ma che in qualche modo risultano coerenti con il tono ed il mood dato dal beat.
Ecco, venendo alle produzioni, prima di criticare alcune scelte è doveroso ringraziare il patrono del buonsenso: finalmente Ski è tornato tra noi e finalmente abbiamo un album dei Camp Lo musicalmente dotato di capo e coda. Pur essendo decisamente breve (undici tracce ed un remix), nei momenti migliori Another Heist riesce a far rivivere la bellezza di Uptown Saturday Night e solo talvolta si perde in svarioni; epperò questi svarioni, in sè e per sè perdonabili, purtroppo, data la suddetta brevità, finiscono comunque col nuocere all'opera più di quanto si vorrebbe e di conseguenza la bloccano dal prendere il volo. Ad esempio, trovo che nel complesso non avrebbe guastato un mixaggio più aggressivo: sovente, infatti, basso e batteria sono molto leggeri, e se quest'approccio può funzionare in una Satin Amnesia o Black Connection (dove sono le stesse atmosfere eteree ad imporre una scelta di questo tipo), nella stragrande maggioranza dei casi si nota la mancanza di un bel rullante che faccia BAM! anzichè prodursi in poco più di una puzzetta. E chissà perchè talvolta questo avviene (Get 'Em Lo) e talvolta no (Bionic, Uptown...); gli autori del mixaggio e del mastering sono ignoti, ma almeno per il primo penso che sia stato lo stesso Ski a farlo.
Inoltre, almeno un paio di basi lasciano il tempo che trovano: Boogie Nights soffre della sindrome da chipmunk soul del 2004 e francamente risulta inutile e basta; Bionic parte in maniera interessante ma si perde in campioni di archi che non vanno da nessuna parte e, infine, Another Heist ed i suoi synth appaiono un po' fuori fase rispetto al respiro generale dell'album. Tolte queste, nel resto del disco si può partire da buone intuizioni, come gli abbinamenti di piano e flauti in I love It Then oppure il sobrio sample vocale di Black Connection 3, fino ad autentici pezzoni quali Satin Amnesia, Get 'Em Lo, Son of A..., Good Green e Beautiful People. Queste produzioni hanno complessivamente il pregio non indifferente di riflettere perfettamente il taglio generale delle colonne sonore della Blaxploitation, e così si può passare dalla scena di sesso (Beautiful People) all'inseguimento (Son of A...); dalla presentazione del protagonista che cammina per una New York autunnale (Get 'Em Lo) all'esplicito momento in cui tutti si fumano una bella torcia in barba alle leggi dell'uomo bianco (Satin Amnesia). Ecco: rispetto a USN questo è forse l'unico elemento di Another Heist che supera il "maestro", perchè se nel primo c'erano l'atmosfera e dei beai beat, qua, nei momenti migliori, pare davvero di trovarsi all'interno di un film dotato di una certa coerenza.
In ultima analisi, quindi, non volendo ripetere quanto già scritto nei primi paragrafi, posso solo raccomandare l'acquisto a chiunque sia un fan dei Camp Lo. Come dire? "È stata dura ma ce l'hanno fatta"; finalmente possiamo ascoltare un loro prodotto post-1997 senza provare quel senso di disagio che credo qualsiasi loro fan abbia sentito durante Stone & Rob oppure Let's Do It Again. Alla buon'ora.





Camp Lo - Another Heist (link altrui ma non so di chi; la mia copia non viene letta dal Mac, so sorry)

VIDEO: SON OF A...

lunedì 15 settembre 2008

CAMP LO - UPTOWN SATURDAY NIGHT (Profile, 1997)

Allora, lasciate dunque che vi aggiorni su una cosa di cui TROPPO vi fregherà: ho trovato casa e mi trasferirò lì dal prossimo fine settimana. Date le mille tarantelle che questo comporta (tra le quali il trasporto dei miei dischi) è possibile che nel prossimo periodo gli aggiornamenti saranno più saltuari. In ogni caso non perdete la fiducia.
Detto questo, vorrei indicare un fatto più che positivo: nel periodo recente mi pare proprio che stiano venendo ristampati un sacco di dischi finora irreperibili nei negozi. Solo sabato, per esempio, ho pouto upgradare la mia collezione di svariati titoli finora posseduti solo su cassetta o mp3, tra i quali The Main Ingredient, Hold It Down dei Das EFX, Return Of The Boombap e Uptown Saturday Night. In particolare è quest'ultimo che più mi ha fatto sudare sangue: al tempo dell'uscita decisi di non comprarlo subito, salvo poi pentirmene negli anni successivi arrivando ad elemosinarne l'acquisto di seconda mano da un mio amico che però, pur essendo già allora era passato ad altri generi musicali, per principio si rifiutò sempre di cedermi la sua copia. Va da sè che se per così tanto tempo ho potuto rinunciare alla mia dignità è per un solo, semplice, motivo: l'esordio dei Camp Lo è una ficata.
I più ricorderanno il duo del Bronx per via della hit Luchini e poco più, ma posso garantirvi che Uptown Saturday Night riserva delle sorprese che si spingono ben oltre questa canzone, a partire dal carico d'innovazione che (inconsapevolmente?) si porta dietro: come si può notare infatti già dalla sola copertina -una rielaborazione della cover di I Want You di Marvin Gaye- l'intera opera affonda le proprie radici nel soul degli anni '60 e '70. E se ciò di per sè non fa notizia, è però vero che in molti casi il produttore principale di USN (il delinquentemente dimenticato Ski) ha fatto un lavoro di campionamento che per molti versi precede quel che si sentirà in dosi sempre più massicce a partire circa dal 2003. Egli difatti sovente usa interi loop preservandone la matrice originaria e dunque il sapore settantone, come per esempio nel caso della magnifica Black Connection o di Black Nostaljack. Certo, non siamo ancora nel reame delle vocine pitchate alla Alvin e dunque le differenze d'epoca si sentono, però è inevitabile ascoltare l'LP e sentirsi trasportati indietro nel tempo di 30 anni. Sensazione, questa, in netta contrapposizione però con le metriche e gli stili di Geechi Suede e Sonny Cheeba: assolutamente originali ed ancora capaci di lasciare l'ascoltatore a bocca aperta.
Questo avviene già alla prima traccia, Krystal Karrington, dove i due cavalcano magistralmente un beat inusualmente ruvido per i loro standard e che ben si pone come contraltare ai loro flow rilassati. La batteria e la singola nota di piano sono incessanti e vengono sottolineati da un costante fruscio di maracas, e solo l'occasionale entrata in gioco di un campione di fiati dal taglio epicheggiante ne spezza la continuità; dal canto loro, i due presentano immediatamente il loro personalissimo stile, che si contraddistingue innanzitutto per l'uso massiccio di slang e la scrittura a mo' di flusso di coscienza. In tutta onestà devo dire che questo fa sì che la maggior parte dei testi sia pressochè incomprensibile: solo in alcuni casi si riesce ad intuire vagamente i contenuti propostici, ma considerando quanto suoni bene l'insieme si tratta di un difetto facilmente relegabile in secondo piano. E dopotutto, non è che si discostino un granché dai soliti cliché dell'essere fichissimi, pieni di dané e brögna: solo che lo fanno in un modo tale per cui la forma diventa contenuto, per la maggior gioia di McLuhan e dell'ascoltatore. Difatti, ascoltare Luchini è un piacere non solo per -scontato- lo storico beat, ma anche perchè i due si scambiano il microfono con una naturalezza tale da fargli meritare il titolo di una delle coppie meglio combinate della storia del rap. Poi hai voglia a dire che Geechi Suede è più bravo di Cheeba... non è importante.
Non lo è perchè nel momento in cui viene spontaneo prestare maggiore attenzione alla musicalità di un tale flow che non alle effettive rime (spesso accantonate in favore di assonanze) significa che si antepone lo stile (in senso lato) alla pura tecnica, e va benissimo così. D'altronde, se così non fosse sarebbe altamente probabile che l'altrimenti immensa Black Connection (pezzo preferito del disco) ne risulterebbe danneggiata; considerando infatti la forte melodicità del tutto (una rielaborazione della strumentale di Love Is The Answer degli Stylistics) la cosa che meglio vi si può abbinare è un equivalente vocale, e difatti i Camp Lo vi scivolano sopra impeccabilmente. Lo stesso dicasi per l'ottima Sparkle, Black Nostaljack (chapeau per il lavoro svolto con il tecnicamente abusato Nautilus di Bob James), Say Word, Coolie High e Killin 'Em Softly. Escludo dalla lista Negro League non tanto per colpa loro -anzi, Sonny Cheeba qui regala una prima strofa da pelle d'oca- quanto per la presenza di due weed carriers di cui uno è dotato di una voce spiacevole quanto lo stridio del coltello sul piatto (no, davvero, agghiacciante) o l'estrazione di un'unghia senza anestesia.
Insomma, giunti a questo punto parrebbe tutto rose e fiori... e invece no. Vedete, sono due i problemi che affliggono Uptown Saturday Night. il primo, volendo anche banale, è che la maggior parte dei pezzi migliori sono concentrati nella prima parte del disco. Il secondo è che quei pezzi che meritano sono davvero da dieci e lode; e dunque è inevitabile che quelli invece meno riusciti (Swing, Park Joint, Nicky Barnes e l'unica oggettivamente fiacca Rockin' It) appaiano come loffi. E' solo un'impressione, certo, eppure a questa non si sfugge. Voglio dire, B-Side To Hollywood farebbe la gioia di molti artisti oggi presenti sul mercato, eppure dopo aver sentito una Krystal Karrington o una Sparkle ti fa pensare "niente de che". Ingiusto quanto vuoi, ma capita.
Tolte queste imperfezioni, le uniche cose che mi vengono in mente sono domande. Per esempio, come mai Ski non se lo fili più nessuno. Voglio dire, dopo le belle cose prodotte per Jay-Z e quest'ottimo Uptown Saturday Night (suo vero biglietto da visita) cosa doveva fare? Sconfiggere la fame nel mondo? Oppure, ancora, com'è che chi è stato capace di mettere insieme un simile disco abbia poi ampiamente deluso con quelli successivi? E perchè USN non viene mai tirato fuori nelle discussioni da Amarcord del tipo "si stava meglio quando si stava peggio"? Misteri. Comunque sia, dategli un ascolto e, soprattutto, compratevelo originale ché il lavoro di mixaggio è ottimo e, garantisco, la differenza tra mp3 e originale si sente.





Camp Lo - Uptown Saturday Night

VIDEO: LUCHINI