sabato 26 gennaio 2008

TEFLON - MY WILL (Relativity/Epic, 1997)

Direttamente dagli angoli polverosi della storia e dal mio pomeriggio di sano cazzeggio, ecco a voi il primo e finora unico disco di Teflon. Un uomo di raffinata intelligenza, pari solo a quella degli Smif 'N' Wessun, che infatti come nom de plume se n'è scelto uno che gridava "HEY NEGRO, IO HO UN COPYRIGHT, FATTI SOTTO!". Non a caso, ora si chiama Tephlon. Geniale. Un po' come se io decidessi di pubblicare un disco chiamandomi Fiat o Domopak, insomma, e non a caso il nostro eroe sta in balotta con quel circolo di intellettuali che sono gli M.O.P. Per dirne una, nella sua striminzita biografia presente su Wikipedia (che ormai non si rifiuta a nessuno), di fianco a vari errori c'è una simpatica curiosità: "He is known to always be driving a BMW, as a reference to his mother". Huh? La quale lavorava alla BMW? Era grande come una BMW? Era bavarese? Ma, soprattutto, che uomo devi essere per essere ricordato come "colui che guida la BMW per onorare la propria madre"? E poi c'è gente che ancora mi chiede perché ascolto rap...
Facezie a parte, nel tempo libero restatogli tra la soluzione di un problema di trigonometria e la sconfitta della povertà nel mondo, Teflon è riuscito a mettere insieme dieci tracce e di farsele pubblicare dalla Relativity nel 1997. Prodotto principalmente dagli stessi M.O.P. e con qualche apparizione alle macchine di Big Jaz e Laz E Laze, l'album fu un flop epocale (ricordo in tutto mezza pagina di pubblicità sulla Source) e costrinse il nostro a tornare ad una vita fatta di 12" (alcuni anche parecchio fichi) e sporadiche apparizioni -e probabilmente un part time da Burger King. Tutto sommato è un peccato, perchè se l'album è un po' moscio come beat, lui è un discreto liricista ed un ottimo interprete, e qualche pezzo memorabile lo si trova anche. Rawness è quello senz'altro più famoso: al campionatore ed al microfono lo assistono gli M.O.P., il che si traduce in una bella scarica di aggressività di 4'28". Comunque, capiamoci: per "famoso" intendo dire che un mixtape degli ATPC del '98 ha lo stesso nome, che la frase "killin'em dead" è stata scratchata da Premier su un suo successivo pezzo, così come "Stepped through the door, tore shit off the hinges" è stata ripresa dagli Army Of The Pharaohs in Tear It Down. No, così per dare un'idea: Michael jackson è ancora distante. Comunque sia, oltre a questa ottima Rawness ci sono anche le belle My Will, Game Of Life (che per prima campionò il giro di piano di All Is Fair In Love di Stevie Wonder, dandogli un tocco hardcore molto apprezzabile) e Get Mine -il cui unico difetto è il drammatico ritornello cantato "da singolo" (quale era) su beat cartellone, una cosa che fa molto '95-'96. Il resto è ok, piacevolmente ascoltabile ma senza guizzi di genio, con l'unica eccezione di Off The Hook: una sonora porcheria che parte discretamente ma si sgretola pian pianino -prima a causa dell'entrata di un campione di piano übergay del tutto inutile, poi per via di una no-name-r&b-beeyotch che si lancia in un ritornello melenso che non c'entra una sega con Tef.
Tolta questa spiacevole parentesi, posso solo dire che è un disco non fondamentale. Chi apprezza le atmosfere hardcore di metà anni '90, in particolar modo gli M.O.P., se lo saprà godere; purtroppo, solo due/tre tracce di fattura medioalta su dieci sono un po' pochine. Lui però mi sta simpatico, al microfono è cazzuto e quindi non posso che augurargli buona fortuna per il secondo disco. Se mai arriverà.





Teflon - My Will

KILLARMY - SILENT WEAPONS FOR QUIET WARS (Wu-Tang/Priority, 1997)

C'era un tempo in cui qua era tutta campagna, autunno e primavera ancora esistevano e i dischi marchiati "Wu-Tang" erano ancora considerati una garanzia ed io li compravo volentieri. Infatti: se non ricordo male, questo disco dei Killarmy fu il primo "derivato" del Clan ad uscire e, per quanto l'avessi approciato con una relativa diffidenza, ancora non avevo nelle mie orecchie (e nella mia collezione) autentiche cazzatone col botto come Royal Fam o Remedy. Ora, a distanza di undici anni dalla sua pubblicazione, Silent Weapons For Quiet Wars (che prende il nome da un capitolo di Behold A Pale Horse, un libro di William Cooper farcito di cospirazionismo -molto in auge in quegli anni) resta per me uno degli episodi più felici della discografia del Wu e senz'altro IL miglior prodotto degli stessi Killarmy.
Quasi interamente prodotto da 4th Disciple, SWFQW raccoglie al suo interno sei MCs che ci vengono così graziosamente presentati nel booklet:
1. 9th Prince: "The last lyricist of today's genesis" (WTF?)
2. Killa Sin: "Street specialist trained in urban warfare"
3. P.R. Terrorist: "Lyrical pioneer"
4. Beretta 9: "Marksman assassin of Killarmy on some... fuck it - let's go to war" (questa è impagabile)
5. Shogun Assason: "Seek and destroy" (WTF 2)
6. Islord: "Thief of Baghdad - specializing in disarming military weaponry"
A giudicare da questa tragicomica presentazione, ci si aspetterebbe una combriccola di cinghiali che racchia teronàte mitiche nel microfono, ma per quello avremmo dovuto aspettare gli Infamous Mobb. I Killarmy, invece, oltre ad avere un feticismo nei confronti dei riferimenti a guerra/militare, appaiono dei 5%er forse un po' confusi ma sicuramente curiosi. Sul versante delle liriche ci viene quindi dato un po' di tutto, alla rinfusa: knowledge of mathematics (vabeh), citazioni di Kuwait, Iraq e dittatori assortiti, onanismo lirico (oh-quanto-son-bravo) e un po' di sana vita da strada. La strit laif, sapete, quelle robe lì. Il come tutto ciò viene poi fatto varia chiaramente da MC a MC: c'è il trio dei 'bravi', che comprende 9th Prince, P.R. Terrorist (oggi "conosciuto" come Dom Pachino) e quel pirlone di Killa Sin -che è potentissimo ma che negli anni si farà legare ripetutamente, limitando giocoforza le sue apparizioni; seguono poi Beretta 9 e Shogun Assason (mediocri) e quell'inverecondo incapace di Islord, che non imbroccherebbe due rime nemmeno ricantando Illmatic.
Meno basculante è invece il contributo di 4th Disciple, che in questo disco fa meraviglie al punto tale che nel futuro diversi produttori (su tutti, lo Stoupe di Violent By Design) saranno associati alla sua scuola; il che è naturalmente bizzarro, trattandosi tutto sommato di un discepolo di RZA. Comunque sia, seghe paradinastiche a parte, il Nostro ci regala dei beat straordinari come Fair Love & War, Wu-Renegades (la mia preferita, se può interessare), Swinging Swords e Burning Season (quest'ultima impreziosita dal fatto che è la traccia solista di Killa Sin); altri sono un po' meno da FUCK YEAH! ma comunque godibili, come ad esempio Clash Of The Titans, Blood For Blood, Dress To Kill; altri, ancora, sono invece delle autentiche ciofeche (vedi alle voci Universal Soldiers, Under Siege, Shelter). Tutto sommato, però, il retrogusto che lascia il disco nel suo insieme è molto buono, grazie anche a RZA, che dona una splendida Wake Up ed una convincente War Face.
Come potete immaginare, si tratta di un disco che ho letteralmente consumato negli anni; tant'è vero che, riascoltandolo mentre sto scrivendo, mi viene in mente che il CD non salta. Strano, perchè un due-tre anni fa mi stava scivolando di mano, al che, per riacchiapparlo in volo, gli ho tirato un ceffone da kung fu che lo ha spedito a missile contro un angolo, creando un canyon sul lato argentato e facendomi tirare porchiddèi e porchemadonne assortite per qualche ora -negandomi di fatto un tavolo+bottiglia in paradiso, che come sapete ha la selezione all'ingresso. Se comunque doveste avere problemi, holla back che lo recupero buono. Il voto è oggettivamente esagerato -lo dico chiaramente- ma riflette anche la non comune longevità del disco.





Killarmy - Silent Weapons For Quiet Wars

VIDEO: WAKE UP

lunedì 21 gennaio 2008

GZA/GENIUS - RISE OF THE LIQUID SWORD (2006)

In seguito ad un repentino cambio di programma atto ad evitare, quando possibile, inutili sovrapposizioni di file, anziché l'ottimo U N Or U Out (che comunque potete trovare qui) oggi ve tocca il greatest hits di GZA. La cosa mi fa anche gioco perchè oggi il tempo a mia disposizione è limitato e, quindi, pistonare il greatset hits di un peso massimo mi toglie di dosso la briga di scrivere le mie solite quattro palle.
Difatti, cosa aggiungere? L'ormai quarantaduenne (!) Gary Grice ha alle spalle quattro album solisti più uno in collaborazione con DJ Muggs, oltre a numerose apparizioni sulle produzioni targate Wu; il tutto spalmato su 17 anni di onorata carriera. Una media piuttosto bassa se rapportata alle elefantiache discografie di svariati suoi colleghi, ma come disse una volta egli stesso: “Make it brief son, half short and twice strong” (da As High As Wu-Tang get -ve lo dico io così vi risparmiate la ricerca). In effetti, se si dovessero prendere in considerazione i suoi lavori, questa massima è stata rispettata con una non comune coerenza quantomeno a partire da Liquid Swords in poi.
Infatti, comprimere le sue manifestazioni di talento in sole 22 tracce è stato piuttosto difficile malgrado le fonti da cui attingere non fossero poi molte: tanto per cominciare, correttezza vorrebbe l'inclusione in toto di Liquid Swords (eccetto I Gotcha Back), il che è naturalmente impossibile. Secondo: le sue strofe sparse sui vari dischi marchiati Wu hanno sempre avuto un loro perché, ma del resto se avessi incluso, che so, Guillotine (da Cuban Linx) avrei dovuto anche piazzare Severe Punishment -e se avessi fatto ciò, allora perchè non anche Bring Da Ruckus, e così via all'infinito? Allora via tutti i dubbi del genere, e con la scusa della filologia ho deciso di inserire al massimo le collabo avute finora che ritenevo di maggior spessore. Last but not least, sempre per far spazio, ho deciso di non mettere nulla da Words From The Genius: un po' perché come suono non c'entra una sega col resto, ma poi anche perché a parte Pass Da Bone quel disco mi lascia indifferente.
Detto questo, a voi il disco (la grafica non ce l'ho con me, vedrò di caricarla in serata per cui ripassate dopo cena), separato perchè il peso complessivo supera i 100MB. Doh!

GZA/Genius – Rise Of The Liquid Sword (Tracce 1-11)
GZA/Genius – Rise Of The Liquid Sword (Tracce 12-22)
UPDATE 22/01: Grafica

VIDEO: SHADOWBOXIN' b/w 4th CHAMBER

giovedì 17 gennaio 2008

ICE CUBE - THE PREDATOR (Priority, 1992)

Il 29 aprile 1992 la corte di Simi Valley dichiara innocenti tre dei quattro poliziotti accusati del pestaggio di Rodney King. La giuria è composta da dieci bianchi, un asiatico ed un ispanoamericano: a Los Angeles, e specialmente nei quartieri predominantemente abitati da afroamericani come South Central e Watts, ha inizio il primo di sei giorni di rivolta e violenza -i cosiddetti “race riots”- che porteranno a 53 morti e circa 2000 feriti. Come sostiene Jeff Chang nel suo Can't Stop, Won't Stop: A History Of the Hip-Hop Generation (Picador, 2005), l'album che ha definitivamente contrassegnato quei giorni ed il periodo antecedente è senz'ombra di dubbio Death Certificate di Ice Cube (uscito il 31 ottobre 1991), riassumendo nelle sue 21 tracce tutta l'atmosfera dell'epoca e fornendone al contempo la colonna sonora.
Tuttavia, per quanto di enorme influenza sociale, è il suo successore ad essere entrato nella cultura pop americana -con i suoi due milioni di copie vendute e l'imponente esposizione mediatica della quale ha goduto, The Predator fa parte di quelle pietre miliari sulle quali sarebbe delittuoso soprassedere. Purtroppo, vista l'aria che tira e considerate anche le mediocrità che il Nostro ci ha regalato da Lethal Injection in poi, la mia impressione è che questo disco rischi di trasformarsi nella solita chicca da aficionados, e da qui la mia decisione di riproporlo.
Tanto per cominciare, i beat: saranno anche passati 16 anni, ma come si possono tralasciare cose come We Had To Tear This Mothafucka Up, Wicked (che straccia la cover dei Korn come e quando vuole) o la celeberrima It Was A Good Day- dove l'uso del campione di Under Between The Sheets degli Isley Brothers è talmente perfetto che qualsiasi produzione successiva perde a prescindere? Ricordo inoltro che da lì a poco il g-funk sarebbe esploso in tutta la sua ridondanza, per cui se si vuole sentire un po' di roba californiana girata in chiave hardcore (grazie ai contributi di DJ Muggs e del sempre sottovalutato Sir Jinx), The Predator è l'ultima occasione, perché da The Chronic in poi i suoni si sarebbero fatti ben più morbidi.
Naturalmente non si può scordare Cube stesso: certamente meno creativo che in AmeriKKKa's Most Wanted (ad esempio, Gangsta's Fairytale 2 non è, non può essere all'altezza dell'originale), forse meno "socialmente impegnato" che in Death Certificate, resta però il fatto che questo dischi sintetizzi perfettamente la figura artistica di O'Shea Jackson: tecnica impeccabile, stile personale, rime d'impatto e ancor'oggi non scontate, c'è tutto quello che uno potrebbe desiderare. Francamente, tolta qualche piccola svista come Dirty Mack, non ho davvero nulla da eccepire. Giusto dei rincoglioniti storici come i signori di Rolling Stone potevano degradare un simile album, ma fortunatamente la storia gli ha inciso la parola "imbecilli" in fronte già da molto tempo.
In conclusione, uno dei miei dischi preferiti di sempre dacché lo sentì duplicato su cassetta nel '96; un ennesimo doloroso ricordo dell'Ice Cube che fu e, in ultima analisi, un prodotto quasi all'altezza sia di AmeriKKKa's Most Wanted che di Death Certificate- considerando che stiamo parlando di un classico e mezzo (a voler essere severi), non è poco.





Ice Cube - The Predator

VIDEO: IT WAS A GOOD DAY

lunedì 14 gennaio 2008

PEANUT BUTTER WOLF - 2K8 B-BALL ZOMBIE WAR (Stones Throw, 2007)

Tra le tante cose che mi piacciono della Stones Throw (oltre ad avere una fortissima identità alla quale però non si può associare un suono ben definito), la più triviale ed al contempo fondamentale è che puoi comprare una sua qualsiasi pubblicazione a scatola chiusa: mal che vada si tratterà di un buon disco o, più sovente, di un prodotto più che buono o addirittura ottimo. Insomma, ciò che contraddistingue la casa discografica californiana è il fatto che essa ha conservato negli anni una delle qualità dell'hip hop che nella maggior parte dei casi oggigiorno è assente, e cioè la garanzia di qualità legata ad un nome. Ad esempio, mentre dieci-quindici anni fa c'erano il Wu, i Native Tongues, la Boot Camp Clik o comunque altri nomi dove potevi andare a colpo sicuro, col tempo e con l'accumularsi di dischi dalla qualità dozzinale si è arrivati a diffidare di TUTTO. Con un'unica eccezione: la Stones Throw, appunto.
Rientra nell'eccezione anche questo 2K8 B-Ball Zombie War, da me reperito a scatola chiusa a 17,50€ ma senza provare rimorsi per i soldi spesi e soprattutto senza essermi avvicinato alla cassa carico di dubbi e scetticismo, del tipo "li starò buttando nel cesso o no?". Alla prima occasione buona ho poi pistonato il CD nel lettore, e la mia spensieratezza è risultata essere più che giustificata: di bel disco si tratta. In fondo, Stones Throw o non Stones Throw la cosa non era poi così scontata: dopotutto il progetto nasce come colonna sonora di NBA Live 2008 Espn 2K8, cioè di un videogioco, e quindi poteva essere foriero di cazzatone allucinanti 'a tema'; oppure, ancora, rischiava di essere una raccolta di cosiddette throwaway tracks senza capo né coda (se penso che persino il solitamente affidabile Amon Tobin in una situazione analoga è riuscito a creare qualcosa di appena accettabile...).
Fortunatamente no, non è così, nemmeno per il cazzo. Certo, come colonna sonora lato sensu non vale un fico secco, trattandosi in sostanza di un label sampler che non fa altro che raccogliere sotto un unico ombrello buona parte dei suoi artisti: ma questo riguarda casomai più i committenti, per quel che riguarda l'ascoltatore basta dire che si comincia ad avere massicce erezioni già al secondo pezzo. Break It Down, questo il titolo, vede il da me precedentemente sbeffeggiato MED prendere un beat carico di schitarrate ultrafunkettone di Just Blaze per farlo a pezzi in soli 2'07''. Segue l'atteso Guilty Simpson, che rende giustizia al talento di J Dilla con la sua Make It Fast; e poi... poi potrei andare avanti praticamente fino all'ultimo pezzo dicendo bene del disco, ma sarebbe inutile e ridondante. Sappiate solo che c'è veramente una quantità di tracce di alta qualità dalle quali estrapolare le vostre preferite. Vogliamo parlare della collabo tra Dilla, MF Doom e Guilty Simpson, che sa di RZA primi tempi? O, ancora, di Find A Way, dove Rhettmatic regala ad Aloe Blacc una produzione a cavallo tra il cool jazz ed i ritmi della da me pur odiatissima samba? O, ancora, della conferma che Oh No è bravo al microfono quasi quanto all'MPC -vedi il remix di Action? Chiaramente qualche pezzo un po' "meh" volendo lo si trova: Now You Know ha un bambino di quattro anni -pensa te- che, anche se relativamente bravo, spreca un buon beat (d'altronde a quell'età il suo posto dovrebbe essere la villa di Michael jackson, non una sala d'incisione); Big Girl, Skinny Girl mi sembra francamente una minchiata da cerebrolesi -ascoltarla m'ha fatto pensare all'odioso Calvin Harris, vedete un po' voi- e Professor X Saga avrà anche il suo perchè, ma nel complesso stona un po'. L'unico vero difetto che però posso trovare in questo sampler è che la discontinuità nell'ascolto si fa occasionalmente un po' troppo marcata perfino per un sampler (anche se, considerando che si va dal rap avanguardista -passatemi il termine- all'electro old school passando per un pizzico di soul, la cosa era quasi inevitabile); certi accostamenti spiazzano un po' e possono risultare disturbanti.
Tutto sommato, però, l'ascolto del disco risulta più che piacevole, ed in tutta onestà non vedo validi motivi per il quali questo dovrebbe mancare nella raccolta di qualsiasi amante dei suoni Stones Throw. Non sarà un giro di boa come Madvillainy e nemmeno potrà offrire una visione a 360° dell'identità della ST (per quella procuratevi o aspettate che pubblichi il greatest hits pubblicato agli inizi del 2007), ma di certo fornisce un'idea di ciò che uno si può aspettare dalla creatura di quel geniale sgorbio che è Peanut Butter Wolf (il cui ritratto campeggia, con sommo sprezzo delle regole di marketing e dell'estetica tout court, in copertina).

P.S. Benché ne parli molto bene, affibbio "solo" un 3 e 1/2 al progetto in quanto cosciente del mio essere un otaku della ST; per alcuni, quattro potrebbe essere troppo e forse avrebbero ragione.





LINK RIMOSSO DATO CHE LA STONES THROW HA MINACCIATO DI FARMI IL CULO
LINK REMOVED BECAUSE OF STONES THROW THREATENING ME TO EFF ME THE EFF UP

VIDEO: 2K8 B-BALL ZOMBIE WAR PROMO

venerdì 11 gennaio 2008

PETE ROCK - HIP HOP UNDERGROUND SOUL CLASSICS (BBE, 2003)

Ieri sera sono rientrato a casa dopo essermi scofanato circa quattro Slalom medie e, benché non avessi mal di testa, stamattina ero (sono) egregiamente rintronato. Al momento di scegliere cosa ascoltare sulla via pel lavoro, ho avuto praticamente un'illuminazione: il disco degli InI. Perchè? Perchè è un disco dalle atmosfere generalmente rilassate ma che comunque non ricade nella categoria *YAWN* come invece spesso avviene oggigiorno. “Grazie al cazzo”, dirà qualcuno: è Pete Rock, mica 9th Wonder o, peggio ancora, un emulo di 9th Wonder, e a conti fatti non potrei che dargli ragione. Tuttavia, prima di liquidare così frettolosamente la faccenda, mi preme sottolineare che questa è senz'altro la sua opera meglio riuscita dai tempi del suo esordio con CL Smooth (forse anche migliore), ed il fatto che sia uscito con sette-otto anni di ritardo rispetto a quanto previsto è una cosa che grida vendetta al cielo, perchè qui si può tranquillamente parlare di “classico mancato”.
Il gruppo era composto da quattro elementi: il sopracitato Pete Rock, suo fratello Grap Luva, Rob-O e Rass (che francamente faccio fatica ad identificare), e benchè gli MC non siano certamente dei pesi massimi questi si accompagnano molto bene ai beat di Pietrino Roccia (anzi, direi che la loro funzione sia quasi parificabile a quella di strumenti veri e propri), essendo lui il vero catalizzatore dell'intera opera. Difatti, Rock ci regala una serie di produzioni impeccabili, che possono passare da brevi loop di piano ai celebri campioni di tromba che da sempre caratterizzano i suoi lavori, e che per quanto abbiano un denominatore comune (atmosfere jazz) riescono comunque a distinguersi marcatamente l'una dall'altra -complice anche l'ottimo lavoro di basso e batterie. Un'opera letteralmente perfetta, quindi, degna di finire nel pantheon delle migliori uscite degli anni '90.
Altro discorso invece per la collaborazione con Deda: Baby Pa, questo il nome del disco, merita di restare nel sottobosco di quegli anni in quanto definibile al più come mediocre. Il problema non sta tanto in Pete Rock, che comunque non stupisce ed anzi tende a suonare ripetitivo (ma con qualche momento di lucidità, cfr. Blah Uno o Markd4Death), bensì nell'MC stesso. Deda sfonda le porte della mediocrità in quanto a scrittura, ha uno stile assolutamente generico ed un flow raccapricciante, ma soprattutto fa a pugni con i beat. Per dirla con Cecco Il Nipote Del Fornaio, Deda è la sintesi della dishgrazia, l'apoteosi della shchifezza. Definire quindi il connubio tra Rock e Deda “cacofonia” sarebbe fargli un complimento, ed è per questo che gli zainetti complessivi possono essere solamente quattro: Center Of Attention se ne merita senz'altro cinque, ma The Original Baby Pa arriva a due SOLO perchè il lavoro al campionatore denota almeno competenza.
Il mio consiglio è comunque di reperire il disco non appena vi si dovesse presentare l'occasione, prima che diventi introvabile; costa come un CD solo ma ne contiene due, e poco importa se Baby Pa lo ascolterete giusto una o due volte: il resto è da antologia.
Come bonus aggiungo la raccolta dei campioni originali usati da Pietrino Roccia per comporre i beat di Center Of Attention, così vi potrete pure fare un'idea del lavoro che vi sta dietro.





InI - Center Of Attention
Deda - The Original Baby Pa
Ini - Original Samples

mercoledì 9 gennaio 2008

JAY-Z & K-DEF - REAL LIVE GANGSTER (2008)

Upload selvaggio, oggi, ma ne vale la pena. Prima che me ne scordi, infatti, vorrei segnalare uno tra i mille remix albums di American Gangster: quello di K-Def. Una biografia più accurata la si può trovare sul suo sito ufficiale, basti dire che nasce come discepolo e coproduttore di Marley Marl per poi trasformarsi a partire dalla seconda metà degli anni '90 in uno dei produttori più sottovalutati del genere. Con Larry-O incide l'ottimo The Turnaround (ne avevo già parlato QUI ma comunque tra non molto lo renderò disponibile su queste pagine) salvo poi scomparire nell'oscurità; negli ultimi anni il nostro ne è riemerso e, come dimostrano questi remix, non ha perso nemmeno un grammo della sua bravura. Purtroppo la qualità degli mp3 è inspiegabilmente bassa (confido in una pubblicazione semiufficiale che si lasci ascoltare), ma anche così da riescono a dare una botta di vita ad un album che secondo me risente di una certa pesantezza dei beat. Il connubio è per me più che ottimo, ed anche se non ha molto senso, quattro bei zainetti non glieli toglie nessuno.





Jay-Z & K-Def - Real Live Gangster (via Unkut)

martedì 8 gennaio 2008

PHAT KAT - CARTE BLANCHE (Look Rec. 2007)

È dal 10 febbraio 2006 che non si può vivere: quel giorno, infatti, morì James Yancey alias Jay Dee alias J Dilla. Si potrebbe discutere per ore sui suoi meriti artistici, la sua carriera e quanto sia stato sottovalutato mentre era in vita (in tutta onestà, a me ha più o meno asciugato fino al 2002 circa, produzioni su Labcabincalifornia escluse), ma francamente non trovo la cosa più che tanto urgente. Quello che trovo strepitoso -da qui la prima frase del post- è la straripante abbondanza di “coccodrilli” apparsi da quel di' sul 70% dei dischi dei cosiddetti repponi conscious o presunti tali: più o meno tutti si son infatti lanciati in tributi, omaggi vari, soprattutto in inclusioni di interminabili messaggi da lui lasciati sulle segreterie telefoniche di mezza America.
Tuttavia, uno dei pochi ad aver pieno diritto di fare questo a ragion veduta dovrebbe essere Phat Kat -che invece si limita ad una canzone dedicata all'amico- il quale formò col suddetto J Dilla il gruppo “1st Down” nel lontano '95, salvo scomparire dalla scena dopo la pubblicazione di un paio di singoli. Ma mentre Yancey riuscì a proseguire nella sua carriera di produttore ed occasionale MC, di Kat si persero le tracce fino al 2004, anno in cui pubblicò il suo esordio da solista: The Undeniable. Passato piuttosto inosservato sia dal pubblico che dalla critica (comunque non lusinghiera), l'album non era malaccio ma francamente non faceva gridare al miracolo.
Sia detto che nemmeno Carte Blanche è il nuovo Illmatic, ma rispetto al precdente una cosa spicca su tutte: la bontà delle produzioni, affidate al nec plus ultra dei maggiori fautori del sempre meraviglioso suono di Detroit. I beat di J Dilla, Young RJ, Black Milk e Nick Speed costituiscono le fondamenta del disco, con Phat Kat come principale inquilino ed occasionalmente aiutato al microfono da ospiti di stretta cittadinanza detroitiana: Slum Village (sparsi qua e là), Guilty Simpson, Melanie Rutherford e Fat Ray.
Il risultato è la somma delle due parti? No. Phat Kat ha uno stile privo di fronzoli, piuttosto aggressivo, contraddistinto da una metrica classica ed una voce abbastanza bassa (oltrechè purtroppo da un vocabolario non esattamente vasto), e quando questa è supportata dal giusto beat le cose filano che è un piacere: Nasty Ain't It, My Old Label, Cold Steel e Nightmare sono in diversa misura dei pezzi da urlo (¾ prodotti da Dilla, che qui da il suo meglio); al contrario, non appena il beat cala d'intensità, lo spiazzamento è grande -senza contare poi che i racconti delle sue presunte imprese sessuali si collocano tra le cose da überfreak di Big Pun e l'attitudine di Common, non una bella cosa insomma. Fortunatamente, le cadute di stile sono poche e comunque glissabili; con “sole” 14 tracce l'ascolto fila via che è un piacere e si può trovare comunque abbastanza varietà tra un pezzo e l'altro per far sì che Carte Blanche risulti più che longevo. Lungi dall'essere un album perfetto, quindi, ma senz'altro una delle mie scelte dell'anno appena chiusosi.





Phat Kat - Carte Blanche

VIDEO: COLD STEEL (w/ Elzhi)

lunedì 7 gennaio 2008

NAS - A QUEENSBRIDGE LEGACY (2007)

Qualcuno potrebbe pensare che per inaugurare un audioblog che risponde al nome di Rugged Neva Smoove, la scelta più logica sarebbe dovuta ricadere sul LP d'esordio degli M.O.P.. Arriverà anche quello, come anche il resto del mio archivio musicale, ma intanto mi preme correggere uno dei vizi più frequenti dell'industria musicale: il greatest hits.
Tanto per cominciare, cosa potrebbe desiderare il potenziale acquirente di un greatest hits? Semplice: la visione d'insieme della carriera dell'artista 'X' fino a un dato momento, cosicché uno possa capire se 'X' sia degno di un qualche ulteriore interesse/approfondimento o meno. Di conseguenza, ci si aspetterebbe che un greatest hits tradisca parzialmente il suo significato letterario, andando ad includere dunque non solo i pezzi di successo ma anche tutto ciò che possa essere considerato di valore artistico a prescindere dalla notorietà (gli esegeti dell'anticonformismo di maniera mi verranno a dire che il valore “artistico” è cosa più che opinabile, ma se uno non vuole raccontarsi troppe palle sa benissimo quali sono le opere di un artista che valgono e quali no).
Tuttavia, la risposta dell'industria musicale all'esigenza del potenziale acquirente non può essere soddisfacente, in nessun caso. E ciò in quanto fornire una visione completa (e onesta) di una carriera significherebbe automaticamente escludere un buon 90% di materiale oggettivamente trascurabile, sicché, avendo quindi l'acquirente a disposizione la crème de la crème, difficilmente questo andrà poi a spendere soldi per comprare gli album veri e propri. Un altro motivo, decisamente più prosaico, è che sovente l'artista 'X' ha inciso per altre case discografiche e collaborato con dei colleghi, ragion per cui raccogliere il materiale registrato “fuori casa” ed acquistarne i diritti di pubblicazione diventa legalmente complesso oltreché generalmente antieconomico.
Le conseguenze di questi ragionamenti si traducono perciò in raccolte che possono andare dalla più totale indecenza (cfr. Jay-Z) alla relativa soddisfacenza (Big Daddy Kane). In quest'ultima categoria cade anche il greatest hits di Nas pubblicato pochi mesi addietro dalla Columbia, il quale tutto sommato si è sforzato di includere pezzi da aficionados come One Love ma ha al contempo (necessariamente) dovuto calare le braghe di fronte a robacce inascoltabili come I Can. In più, esso ha dovuto tralasciare svariate collabo ma, soprattutto, qualsiasi cosa proveniente da Hip Hop Is Dead, essendo questo di proprietà della Def Jam. Ed è qui che entro in gioco io. Senza pretendere di dare una visione completamente oggettiva di Nas -che necessiterebbe anche l'inclusione di svariate cacatone tanto per dimostrare di cosa è capace il nostro quando ci si mette- ho messo insieme quello che ritengo essere le sue registrazioni migliori e/o significative. Non a caso ho del tutto escluso in toto quel aborto che è Street's Disciple, mentre ho preferito dar spazio a collabo quali la storica Fast Life (con Kool G Rap), Verbal Intercourse (contenente una delle migliori strofe di Nas di sempre) o la mai abbastanza conosciuta Calm Down (con Noreaga e Tragedy, inizialmente prevista per The War Report e poi finita su oscuri white label). Non ho poi potuto resistere di fronte all'inclusione di pezzi concettuali come Rewind, Book Of Rhymes o I Gave You Power, mentre l'esclusione di deliranti stronzatone quali appunto I Can o l'allucinante Oochie Wally.
Il tutto, suddiviso su due CD (che potrebbero diventare tre) e corredato di relativa grafica, lo trovate a questi link:

Nas – A Queensbridge Legacy CD1
Nas – A Queensbridge Legacy CD2
Grafica fronte & retro

giovedì 3 gennaio 2008

BRAND OPENING: 07/08/2008

Da domani il blog prenderà vita. Ripassate a partire dalle 14:00 per godere del primo disco.