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mercoledì 25 novembre 2009

KOOL G RAP - ROOTS OF EVIL (Illstreet/Down Low Music, 1998)

Volendo rimandare un mio giudizio sull'album di Masta Ace ed EdO.G, di cui non mi son fatto ancora un'opinione ben delineata, direi che non c'è nulla di meglio che rispolverare quello che a mio avviso è l'ultimo album degno di Kool G Rap: Roots Of Evil. La sua pubblicazione fu segnata al contempo da diverse complicazioni, che riguardavano sia G Rap stesso (che aveva grossi problemi a New York, tanto che in quel periodo s'era ritirato in Arizona), sia il marketing (limitatissimo, essendo passato da una major a una indie quando queste ancora erano poco più che etichette locali), sia l'hip hop nel suo insieme (che in quel periodo di transizione stava vedendo la definitiva divisione tra underground e mainstream). Fatto sta che il successo commerciale di Roots Of Evil fu pressoché nullo, ed anche la critica lo bollò come un'opera minore assolutamente trascurabile e in definitiva inferiore alle inevitabili aspettative generate dal curriculum artistico di Nathaniel Wilson.
Premetto che questa non aveva tutti i torti. In effetti, rispetto anche solo a 4,5,6, quest'opera soffre di diversi difetti tra cui dei featuring discutibili, una ingiustificabile prolissità e soprattutto alcuni beat non proprio ispirati -e sto usando un eufemismo. Ma è anche vero che ciascuno di questi difetti è proporzionalmente controbilanciato da altrettanti aspetti postivi, come ad esempio delle basi potenti ed efficaci, storytelling come al solito eccellenti ed una visione artistica dell'insieme forse discutibile ma che rappresenta forse la sintesi perfetta di quella che è stata quasi l'invenzione (una delle tante) di G Rap: il mafioso rap, termine tanto orrendo quanto comunque utile a descrivere la trasposizione in 4/4 dell'immaginario legato ai film di De Palma, Scorsese e Coppola. Roots of Evil si potrebbe infatti quasi definire un concept album, dal momento in cui non solo tutti i pezzi trovano l'ispirazione nella vena dei sopracitati «mob flicks», ma alcuni di essi vi si addentrano completamente. L'esempio più clamoroso può essere Thugs Love Story, suddivisa in tre capitoli e, assieme alla successiva Da Bosses Lady, dichiaratamente ispirata alla tresca da Pacino e la Pfeiffer in Scarface; ma pure Hitman's Diary, Foul Cats o One Dark Night si ricollegano perfettamente al genere, anche se meno lussureggiante e più da sottobosco criminale, à la Scorsese. Menzione a parte merita la magnifica Mobsta's, in cui G Rap dimostra nuovamente l'immenso talento di cui è dotato collegando in una trama, in uno storytelling, praticamente tutti i nomi del gangsterismo americano dello scorso secolo.
Insomma, ammesso che questo sottogenere vi piaccia, penso che Roots Of Evil sia forse la sua sublimazione e la sua declinazione in tutti i modi possibili, eseguiti oltretutto alla perfezione: dall'autoesaltazione allo storytelling, credo che quest'album possa legittimamente mettere la parola "fine" all'argomento. E scordatevi le pacchianate di Nas Escobar ed epigoni; vi garantisco che G Rap ha in questo mille marce in più rispetto ai suoi imitatori, in quanto è (stato?) l'unico capace di mescolare gli aspetti più pacchiani e reppusocentrici (i soldi, la figa, il potere e bla bla bla) a quelli più violenti e rivoltanti, esattamente come si può vedere in Goodfellas, in cui sì ci sono le macchinone e le pellicce, ma al contempo ci sono anche i pestaggi, le sepolture nei campi di grano e le uccisioni a tradimento. Insomma, paradossalmente risulta più credibile o, meglio ancora, verosimile (prendete con le pinze quest'affermazione).
Ma a parte il Leitmotiv dell'album, un altro motivo per ascoltare l'album - sarebbe più corretto definire "il solito" motivo- è la bravura di Kool G Rap. Come al solito, egli anche qui dà il meglio di sè nella tecnica, eccellendo nelle rime incrociate, nelle assonanze, e nelle rime multisillabiche come nel tempo egli ha insegnato a fare; ma, contrariamente a tanti, questa sua abilità non lo blocca dal saper strutturare narrazioni capaci di spingersi oltre al tipico «ti rompo il culo». Senza voler citare nuovamente Thugs Love Story, potrei prendere come esempio la breve ma impressionante One Dark Night: in un minuto e venti secondi egli racconta una storia di crimine usando solamente parole la cui desinenza ha la medesima assonanza di "ike", "ife", "ice" e "ipe". Detta così vi fa ridere? beh beccatevi parte del testo: "He tryin to make the wiped out nigga layin up under the white/ But I ain't tryin to go up in no dark tunnel and burn to the light/ And let myself be one more nigga that just got spun in the night/ And done in on sight, and tryin to breathe with one in my pipe/ But I'm not one of the type, and I'd rather lose all hung on the mic/ Than to be up in the yard receivin CPR at one in the night/ Now I can run and take fllght, but alright, yo son'll be hyped/ And I've played mother nature before so yo I'm clappin' thunder tonight/ I step right, inside of the street light, my gun it was bright/ Send him to kiss Christ, and let my shit slice in front of him twice"
Come al solito, sentirla è ben diverso dal leggerla e pertanto è ovvio quale possa essere il mio suggerimento. Aggiungo -prima di concludere la sezione dedicata a rime e tecnica- che proprio in questo periodo G Rap stava passando dall'usare un tipo di metrica molto regolare e scandita con precisione millimetrica in base alle battute, ad un'altra in cui si prendeva maggiore libertà nello distribuire le parole facenti rime sia all'interno del verso che della strofa tutta. In seguito, poi, egli avrebbe ulteriormente accentuato quest'aspetto -in cui talvolta accelera molto- fino a portarlo alla sua forma attuale; forma attuale che reputo un po' forzata e non sempre adeguata al beat (l'impressione è che chiuda in anticipo rispetto alla battuta, fateci caso), per cui questa sorta di ibrido tra precisione chirurgica e maggiore libertà è secondo me l'opzione, la scelta diciamo, più fortunata che si possa avere. Non a caso, egli fa a pezzi tutti i suoi ospiti rappanti, tra cui un prepubescente Jinx Da Juvy, con la voce di Topolino sotto elio, ed un Papoose non ancora in fase di Swaggacation.
Detto questo, passiamo ai beat. I produttori sono principalmente tre, di cui uno solo mediamente noto, e cioè Dr. Butcher (già abbondantemente sentito nel precedente 4,5,6). Gli altri sono tale CJ Moore e tale Fade. Ebbene, contrariamente alle aspettative, chi vince tra i tre è proprio quest'ultimo, che firma due dei pezzi migliori di Roots Of Evil: One Dark Night, col suo cupo loop di piano e le batterie lente e pesanti (ed i rullanti "strascicati" a me fanno sempre impazzire), e Mobsta's, la quale campiona Ain't No Sunshine When She's Gone di Tom Jones meglio di qualsiasi altra versione da me sentita (inclusa, sì, Endangered Species di Cormega). Comunque sia, medaglie al valore escluse, l'intero album gode di un suono adeguato al tipo di liriche qui presenti. Si va dal minimalismo in odor di Premier di Let The Games Begin al piglio epico di Home Sweet Funeral Home, senza scordarsi qualche ammiccamento indiretto alle atmosfere di Scarface (il sample di chitarra di Mafioso ma soprattuttoil campione delle Sister Sledge di Bosses Lady) e, purtroppo, anche al jiggy-vorrei-ma-non-posso (Daddy Figure, Can't Stop The Shine). Insomma: è chiaro che pur restando in territori sinistri, il sound è molto più melodico di quanto non fosse negli album precedenti; pure, un po' di materiale brutalmente hardcore c'è, e per quanto Da Heat e Mafioso suchino rispettivamente il Showbiz del '96 ed il Buckwild più progressivo (potrebbe essere un suo beat del 2000-01), il risultato è ottimo.
Certo, non è che abbiamo solo capolavori: oltre alle già menzionate Daddy Figure e Can't Stop The Shine, a rovinare la festa ci sono pure Tekilla Sunrise e Cannon Fire, e questo senza contare una generale anonimità dell'operato. Tuttavia, in fin dei conti la struttura musicale è ben più solida di quanto la si fosse accusata d'essere all'epoca, e per quanto non rivoluzionaria né perfetta, direi che ancor'oggi regge bene il test del tempo.
E ora il giudddizziodiddio: come valutare questo Roots Of Evil? Io direi che se proprio non ne potete più dei riferimenti a mafiosi di vario genere, avete le balle piene di sentire di sparatorie e cercate dei suoni che si discostino dall'ortodossia, allora lasciate perdere. Au contraire, se invece gli argomenti vi interessano a patto che siano ben presentati -e qui lo sono, eccome- allora non potete farvi scappare questo album. Tolte cinque o sei tracce tra il brutto ed il trascurabile, sono convinto che Roots Of Evil saprà darvi più soddisfazioni di quante non osereste aspettarvi.





Kool G Rap - Roots Of Evil

giovedì 26 marzo 2009

KOOL G RAP - 4,5,6 (Cold Chillin'/Epic Street, 1995

In attesa che Robbie ufficializzi il voto su chi è il miglior MC per l'internets (indovinate un po' chi ho votato) [edit: fanculo], mi pare giusto dare seguito alla saga di Kool G Rap con la recensione di una di quelle opere la cui creazione è avvolta nel mistero, ed il cui gradimento da parte degli ascoltatori è variato enormemente nel tempo. A 'sto giro, volendo procedere in quest'ordine, pare infatti che 4,5,6 sia stato registrato in maniera semiclandestina in uno studio a nord di New York situato in una zona isolata tra i boschi (!?!), in quanto all'epoca G Rap doveva avere non poca ruggine con certi ambienti malavitosi della grande mela (la versione più accreditata accenna a problemi con Eric B), tanto più che in seguito si trasferì per un lungo periodo in Arizona in una sorta di vacanza forzata. Della serie "when keepin' it real goes wrong".
Ma questa è un'altra storia: illazioni a parte, il punto è che questo disco ha avuto una gestazione che molto probabilmente ha influito discretamente sia sulla sua lunghezza che sulle atmosfere in esso contenute e che, se all'epoca già non erano allegre, qua raggiungono vette di cupezza considerevoli; in più, G Rap stesso non ha morso il freno per quel che concerne la crudezza del linguaggio, e se questo già in passato non si poteva dire d'essere ricco di parafrasi o di eufemismi, in quest'occasione si pone allo stesso livello di Rated XXX.
Ciò detto, arriviamo al fulcro del discorso e cominciamo col dire che 4,5,6 è l'album dove Nathaniel Wilson ha forse spinto al massimo la sua tecnica pentasillabica prima di modificarla e complessivamente alleggerirla. Non servirebbe che vi citassi alcun particolare passaggio, essendo tutte le canzoni qui presenti ricche di esibizioni di abilità assolutamente incredibile, ma già che ci sono sceglierò una delle mie tracce preferite, Executioner Style: "'Cause what I carry's much bigger than Dirty Harry's do a 'hail mary' I make Bloody Maries outta your capillaries" oppure "Charged up with anger, six slugs in every chamber, dangerous stranger with itchy trigger fingers like Lone Ranger" danno un'idea dell'effettiva ferocia al microfono di G Rap, ed il bello è che egli la sguinzaglia praticamente ovunque nel corso dei tre quarti d'ora scarsi di durata di 4,5,6. Tant'è vero che, per quanto mi riguarda, questo è tra le altre cose una lezione di tecnica compattata in 43 minuti e che andrebbe spinta a forza nelle orecchie di tutti quei babbei che oggi sostengono che le rime incrociate e serrate sono ormai sorpassate: per favore, prendete un innovatore come il Nostro, ammirate come negli anni ha saputo perfezionare e forse portare ai limiti un certo tipo di metrica oggettivamente difficile da realizzare e poi, beh, poi se avete ancora voglia di ascoltarvi i vostri falliti idoli stagionali -datevi fuoco.
Devo però puntualizzare che questo eccezionale lavoro va un po' a scapito della scrittura; ma non nel senso che ci sono canzoni composte da parole messe lì giusto perchè fanno rima, solo che certe immagini e lo storytelling in generale ne risentono. In effetti, basta prendere una Streets Of New York e paragonarla a Ghetto Knows per vedere come quest'ultima, pur rappata meglio e più complessa dal punto di vista metrico, risulti indubbiamente meno evocativa della prima. Fanno un'eccezione in tal senso 4,5,6, For Da Brothaz e Blowin' Up In The World, che invece riescono a rendere benissimo i rispettivi contenuti; tuttavia, non essendo questi particolarmente ardui da affrontare risulteranno senz'altro meno incisivi del -tanto per fare un esempio- splendido storytelling di On The Run.
Se però si riesce ad accettare questa relativa mancanza (dico relativa perchè KGR dà comunque la paga al 90% della gente in circolazione) ci si renderà conto di quanto alla fin fine siano i testi ad elevare a semicapolavoro un disco che, purtroppo, soffre di alcune produzioni non esattamente brillanti e di ritornelli discutibili. Fast Life è un esempio di quest'ultimo caso: la conoscete tutti, lo so, ma ditemi se anche a voi il cantatino non pare rovinare un pezzo altrimenti perfetto. Persino il campione un po' plasticoso -l'originale è della seconda metà degli anni '80, se non ricordo male- aggiunge la giusta atmosfera ad una traccia molto à la Scarface, e pertanto ci sta benissimo, ma quel terribile "caaaause yoooou've got to make it happen... yeeeah yeah, get this monaaaa-ay" davvero fa crollare gli zuccheri. Idem come sopra per quel che riguarda l'originale di It's A Shame, che già non gode di una base esattamente figa e per giunta viene ingiuriata da una sorta di clonazione andata male degli Isley Brothers (sentite che differenza con l'invece ottimo remix!); e pure Blowin' Up In The World non se la passa benissimo, per quanto utilizzi un ritornello urlato tipo Black Moon e quindi teoricamente piacevole... non so, semplicemente la senti e pensi che c'è qualcosa che non va.
Fortunatamente, però, i beatmaker (T-Ray, Dr. Butcher, Buckwild e Naughty Shorts) sanno riprendersi dalle occasionali cadute di stile e ciascuno di loro firm almeno un pezzone da '90. La palma va però indubbiamente a Butcher, che ci fa dono delle ottime Executioner Style (Gary Burton virato al più cupo possibile). il sopracitato remix di It's A Shame e la posse cut Money On My Brain, in cui lo stesso sample di Herbie Hancock già sentito nella contemporanea Get Up Get Down di Coolio fa nuovamente il suo dovere e permette a B-1 e MF Grimm di non sfigurare. Questi due si sentono poi anche in Take 'Em To War, curata da T-Ray e che gira sulla buona vecchia Holy Thursday di David Axelrod, e come nota a margine vorrei segnalare che qui B-1 riesce nell'incredibile impresa di superare -vuoi anche di poco- il maestro.
A questo punto cosa mi resta da dire? Che 4,5,6 non sia l'opera migliore di G Rap è chiaro, ma è altrettanto chiaro che chi lo condannò all'epoca dell'uscita del disco andrebbe oggi bitchslappato con un guanto di ferro mentre gli si urla nelle orecchie VERGOGNATI BRUTTO PIRLA CHE NON SEI ALTRO!. Non ho altro da aggiungere.




Kool G Rap - 4,5,6

VIDEO: IT'S A SHAME

mercoledì 25 marzo 2009

KOOL G RAP - ROYALTY STATUS (BOOTLEG)

Tendenzialmente è raro per me trovare compile in giro che soddisfino i miei bisogni, i miei gusti o la mia pigrizia. Tuttavia, di recente ho visitato il blog di 187 dove il buon Mak ha ceduto una raccolta di featuring di Kool G Rap dal '94 circa ai tempi nostri. Certamente ci sono inclusioni che non approvo, ma trattandosi di un'antologia vera e propria questa mia rimostranza lascia il tempo che trova; inoltre, la grafica è ben fatta e di gusto, per cui consiglio a tutti voi di scaricarla. Per ovvi motivi di internetsrespects non vi do il link diretto, ma già che ci siete, fatevi un giro ché ho potuto scorgere altre raccolte interessanti. Niente tracklist perchè c'è da spararsi, usate il tray e ciao.

Kool G Rap - Royalty Status

VIDEO: LETTER P