lunedì 31 agosto 2009

ARSONISTS - AS THE WORLD BURNS (Matador, 1999)

Oggigiorno credo che nessuno si ricordi degli Arsonists, a meno che non abbia vissuto il periodo del loro *uhm* "successo" in prima persona; altrimenti, se il nome dice qualcosa è perchè si è fatta una ricerca, oppure perchè negli anni più recenti uno dei loro membri, Q-Unique, ha acquistato una maggiore visibilità grazie alla sua affiliazione alla Psychological Records. Tertium non datur: gli altri componenti più in vista sono scomparsi dopo qualche 12" (D-Stroy) o un album largamente trascurabile (Freestyle), mentre di Jise One e Swel Boogie non vi fu più traccia in assoluto dopo l'album Date Of Birth del 2001.
Ma nel '99 questa crew nuiorchese aveva guadagnato una notevole schiera di accoliti, perlomeno in Europa, tant'è vero che fecero persino una data al ormai defunto Binariozero di Milano. Io ovviamente vi andai, e benchè il pubblico presente se la giocasse in numeri con quello presente a Sean Price qualche anno fa (alias quattro cazzi in croce) gli Arsonists fecero uno show coi controcoglioni (con tanto di coreografie old school) che lasciò i presenti più che soddisfatti. Tutti i pezzi più importanti dell'album vennero eseguiti impeccabilmente, l'audio fu buono ed io me ne tornai a casa felice come una pasqua con pure un paio di autografi bonus.
A dieci anni di distanza questo entusiasmo è ormai pressoché del tutto scomparso per lasciar pazio casomai a qualche traccia di nostalgia, in quanto la senescenza ha saputo affinare il mio senso critico e nel 2009 posso dichiarare che As The World Burns è sì un buon album ma che soffre di alcuni difetti che vanno al di là della semplice qualifica di bello/brutto. Uno di questi è comune ai gruppi composti da più di due/tre membri, e cioè la più totale mancanza di coesione tra una traccia e l'altra. ATWB non è dunque un album propriamente detto, quanto una raccolta di singoli -almeno, questa è l'impressione che se ne ricava ascolto dopo ascolto. E così arriviamo al secondo difetto peculiare dell'opera: praticamente un terzo delle canzoni sono recuperate dai singoli precedentemente pubblicati, il che da un lato è positivo per ovvi motivi (ha permesso a gente come me di sentire chicche come Blaze delle quali avrei ignorato l'esistenza forse per sempre) ma dall'altro risulta oggettivamente una mossa un po' pigra e talvolta semplicemente fallace; inutile infatti cercare di nascondere il fatto che alcuni pezzi suonino ovviamente più vecchi di altri. La cosa non inficia poi più di tanto l'ascolto ma viene da chiedersi se forse non avrebbe avuto più senso dare alle stampe un progetto completamente separato oppure accludere un disco bonus.
Ciò detto, però, veniamo alle note positive: prima di tutto i beat. Prodotti al 100% in casa, principalmente da Q-Unique ma con contributi siginificativi da parte di Freestyle e D-Stroy, è innegabile che oggi possano suonare un po' datati e comunque "sporchi" e a budget basso: ma proprio questo li rende capaci di dare una struttura coerente ad un gruppo il cui suono è innegabilmente underground. Aspettatevi perciò un boombap classico e semplice nell'esecuzione, col caratteristico boomcha a fare da padrone nel più dei casi ma non per questo incapace di qualche variazione concettuale più interessante: vedi ad esempio Rhyme Time Travel, che accompagna acusticamente gli MC in un'esplorazione di tre epoche del rap (ed il secondo beat è semplicemente fantastico).
Il sound è comunque indubbiamente cupo, con archi e pianoforti a fare da padroni mentre bassi e batteria vengono caricati fino ai limiti della distorsione: che si ascolti Shaboing, Live To Tell o Blaze si resta avvolti in atmosfere caduche e pesanti, ideali per chiunque apprezzi l'hardcore più classico senza badare a fronzoli di alcun genere. In fondo, la semplicità delle basi non solo è piacevole -salvo qualche eccezione come Session o qualche esperimento andato male come Geembo's Theme- ma è anche funzionale ad un progetto di questo genere, dove l'aspetto più strettamente lirico e tecnico è bene che si prenda lo spazio necessario. E quando questa sintesi vede il raggiungimento del successo a tutto tondo i risultati sono indubbiamente encomiabili: tra le canzoni secondo me meglio riuscite inserisco senz'altro Backdraft, Blaze, Shaboing, Worlds Collide e Halloween - più una pletora di altre tracce dignitosissime ma prive di quel quid capace di farmi esaltare, come Venom, Rhyme Time Travel, Frienemies e altre. Insomma, malgrado l'indubbia prolissità del lavoro (21 pezzi) la media qualitativa è alta, con pochi scivoloni e qualche ridondanza tutto sommato perdonabile (a patto che si sia amanti del genere).
Ridondanza, questa, che trova la propria controparte anche nell'aspetto lirico: scava scava, ed alla fin fine ciò che si ha in mano è fondamentalmente un attacco a baionetta innestata contro gli MC scarsi e la commercializzazione/svalutazione dell'hip hop, con solo qualche piccola variazione sul tema sparsa quà e là (principalmente Underground Vandal, Rhyme Time Travel e Frienemies). Detto altrimenti, ATWB non è sicuramente il disco che potrà attrarre nuovi accoliti a questo genere ed in fondo si risolve in una predica ai convertiti, che però contrappone ad una inevitabile sterilità una buona realizzazione. Gli MC coinvolti sono infatti tutti competenti e diverse strofe -su tutte quelle di Freestyle e D-Stroy- sono semplicemente da applausi a scena aperta. Pochi i difetti tecnici ravvisabili, quindi: annoterei al limite un'eccessiva somiglianza tra gli stili e dunque un'assenza di alchimia propriamente detta (come si aveva invece nel Wu, per dirne una), ma se teniamo conto del target ideale di un progetto come questo allora possiamo anche chiudere un occhio.
Insomma, come dire? As The World Burns si può dire pressoché impeccabile solamente se teniamo a mente i destinatari di un simile disco: in questo caso, infatti, tutti i pezzi del puzzle combaciano perfettamente ed alla fine c'è poco di cui lamentarsi. Tuttavia, sia nell'impostazione stessa che nella forma, quest'album mostra i suoi anni e persino l'ascoltatore dell'epoca (quale io sono) oramai è cresciuto e, passati gli ardori da bibboi fiero, non può chiudere gli occhi a fronte di una prolissità indiscutibile ed una ripetitività sia formale che sostanziale. Ma cosa vogliamo fare, buttarlo via?





Arsonists - As The World Burns (versione sucata da QUI perchè la mia copia si blocca a metà della seconda traccia)

VIDEO: PYROMANIAX/ BACKDRAFT

venerdì 28 agosto 2009

IT DOESN'T GET MORE OFF TOPIC THAN THIS

Ieri sera ho bevuto troppo e perciò stamattina mi sono completamente scordato di avere un blog, ergo sono uscito di casa a mani vuote. Ovverosia niente recensione; ma tanto sarei stato così rimbecillito che non ce l'avrei potuta fare lo stesso. Fatto sta che allora ho passato la mattina a girovagare per internet finché un mio amico -chiamato in uno dei momenti più estremamente rilassati della giornata- mi ha dato una dritta che vi giro. Ma prima una premessa.
Dovete sapere che oltre ad ascoltare rap e bere birra faccio anche altro: i fine settimana leggo, se la mia ragazza non c'è mi aggiorno sul pr0n game, mi sparo qualche film e talvolta mi dedico ad attività estemporanee quali mostre o cose così. Ma non avendo mai abbandonato la mia adolescenza, gioco pure ai videogiochi. Mai smesso.
Ebbene, fino a poco prima di partire per le vacanze ero convinto che non potesse esistere un gioco capace di tirare fuori la merda che hai nel cervello come lo fa God Of War: pensate, un bruto vagamente omoerotico dall'estetica tamarra che prende -letteralmente- la gente a catenate in faccia. Meglio se mostri. Credo che nemmeno un ultrà laziale sarebbe stato capace di superare queste vette di primordialità. Ma mi sbagliavo.
Non appena ho visto questo, uhm, video "motivazionale"

sapevo che qualcuno s'era spinto oltre. Molto oltre. Cosicché mi son fiondato su Amazon e mi son comprato una copia di Prototype. Ebbene, se al primo elicottero che son riuscito ad abbattere utilizzando un essere umano come proiettile mi è scesa una lacrima di gioia, quando ho incominciato a parruccare il protagonista con mille abilità che gli consentivano di tagliare, spremere, spaccare in due la gggente eccetera allora ho raggiunto un orgasmo. E di questi tempi capita che torni a casa sul presto, che mi piazzi davanti all'icsbòcs e che per due ore regredisca fino alla fase anale sghignazzando come un demente.
Bene: anche qui credevo che più scemo di me non ci potesse essere nessuno (a parte un tredicenne, ovvio) e invece mi sbagliavo: peep game.
Buon fine settimana a tutti.

giovedì 27 agosto 2009

SAUCE MONEY - MIDDLE FINGER U (Priority, 2000)

Guardate la scansione e soffermatevi sul bollino bianco situato sulla copertina; è collocato tra "Sauce Money" e il bollino "Parental Advisory". Visto? Ecco, leggete bene: 19,33€. Ebbene, questo è uno dei tanti tributi che negli anni ho versato a fondo perduto all'industria discografica, sia perchè sono il campione nazionale della mano bucata, sia perchè su certe cose ero e sarò sempre un boccalone carico di belle speranze. Infatti, girovagando nei prati verdi dove le suddette speranze crescono, m'ero fatto tutto un viaggione in cui c'era un MC di Brooklyn che in più e più occasioni aveva rotto i culi e che finalmente aveva modo di esprimere il suo potenziale con un disco intero. La bravura mostrata in pezzi come Foundation, Dead Or Alive, Bring It On, Against The Grain o From Marcy To Hollywood avrebbe finalmente avuto tutto lo spazio di cui necessitava, venendo poi accompagnata da beat di Premier, Marley Marl, Clark Kent ed EZ Elpee: un'orgia pantagruelica di rime e basi che sicuramente avrebbe proiettato Middle Finger U tra i classici del rap o quantomeno tra i dischi migliori del duemila.
Manco a dirlo, non è andata esattamente così. Sapete, c'è un problema se i due pezzi migliori sono riciclati da due mixtape del '97/'98 e le altre due tracce degne di un ascolto -se misurate con criteri di valutazione standard- risultano appena passabili. Più nel dettaglio: Face Off 2000 è stata vampirizzata da un mix che ascoltavo nell'estate del '97 (non mi ricordo il diggèi e quindi nemmeno il titolo originale, so sorry), mentre Pre-Game non solo ci giunge da Holiday Hold Up di Clue ma pure dalla colonna sonora di Belly. No comment. A queste vanno poi ad aggiungersi il singolo For My Hustlaz, che campiona il pezzo portante di quel filmaccio che è Staying Alive ma malgrado ciò funziona abbastanza, ed il contributo premierano, Intruder Alert, che pur giocandosela in ripetitività e noia con i lavori degli ultimi tempi perlomeno permette a Sauce Motherfuckin' (che è l'alias reppuso più bello di sempre, IMHO) di rappare su qualcosa di serio.
Per il resto, signori, è la Caporetto della decenza, la sintesi della disgrazia, l'apoteosi della ssshhchifezza: a fronte dei beat di Middle Finger U penso che persino quella merda a spruzzo che è Bon Appetit ne esca come il nuovo Nation Of Millions. Mai, e dico mai, ho avuto modo di sentire un tale concentrato di porcherie avente una consistenza inversamente speculare alla bontà delle basi di, che so, Illmatic. Clark Kent e Marley Marl danno il peggio di sè, e nel combinare suoni plasticosi si comportano come se fossero uno dei mille schiavi rimasti senza nome di Puff Daddy. Poi c'è Jaz-O, o meglio Big Jaz, che si copre di vergogna nello stesso analogo modo ed infine il vero deus ex machina di questa ciofeca: Mr. Rapture, un nome da pornostar dietro al quale si celano totale assenza di personalità, di buon gusto e, fondamentalmente, di talento. Calcoliamo poi che a fronte di una selezione di beat tendenti al jiggy da du' lire si va ad aggiungere un mixaggio ugualmente fiacco -o, se non fiacco, almeno non coerente con le ambizioni- ed ecco che non si fatica a capire il perchè Middle Finger U abbia venduto diciassette copie e sia bastato da solo ad affossare una carriera fino ad allora promettente.
Ed è un peccato: perchè malgrado Sauce Money si trovi (oddio, "si trovi": se li è scelti lui, i beat, 'sto coglione) ad aver a che fare con della musica inqualificabile le sue strofe confermano il talento mostrato fino a quel punto. La traccia che dà il titolo all'album è un susseguirsi di punchline veramente ben fatte e tutto sommato riassume le doti più puramente liriche ed egocentriche del Nostro. Che poi è quello che mi aspettavo: sentire di nuovo uno dei pochi la cui arroganza, per il periodo iniziale della carriera di Jay-Z, era alla pari con quella di Shawn Carter e che forse proprio per questo è stato da lui abbandonato (Jigga è come Berlusconi, per risaltare ancora di più adora contornarsi di patetiche schiappe - vedi Memphis Bleek, il Sandro Bondi dell'hip hop). Unica eccezione all'altrimenti irrefrenabile -e spesso divertente- autocelebrazione di Sauce è l'autobiografica Section 53 Row 78, davvero ben scritta e sfortunatamente rovinata da un ritornello orrendo (come orrendi sono l'80% di quelli presenti in Middle Finger U). Per il resto cosa posso dire? Dei featuring manco parlo (a parte Jay-Z fanno ridere), preferisco sottolineare un'ultima volta il potenziale di questo emsì, che a tecnica ineccepibile sa abbinare un ottimo flow -cfr. Intruder Alert- e punchline d'effetto, senza poi negarsi dei momenti più impegnativi.
Peccato che il tizio in questione si sia rovinato con le sue stesse mani. Infatti, lasciamo stare che non ha venduto un cazzo all'epoca della pubblicazione: diversi dischi oggigiorno reputati buoni o ottimi a loro tempo avevano floppato, ma col passare del tempo (e grazie alla rete) è stato possibile riascoltarli e rivalutarli. In alcuni di questi casi poi le ristampe ci sono state e sono pure andate bene, per cui il problema non è quello; no, il problema è che anziché creare un classico senza tempo, il Nostro s'è prodotto nella non comune abilità di confezionare una delle più macroscopiche boiate che ci si potesse aspettare da una persona dotata di quel curriculum. Middle Finger U: un titolo profetico e senza dubbio uno dei cinque peggiori album della mia collezione; uno zainetto e mezzo potrà sembrare esagerato, ma tenete sempre conto che io nei giudizi non parto dal denominatore comune più basso bensì da quello che reputo essere il minimo sindacale. Ecco, Middle Finger U sta sotto questa soglia.





Sauce Money - Middle Finger U

VIDEO: MIDDLE FINGER U

mercoledì 26 agosto 2009

WTF? CUBAN LINX II SAMPLER

Prima che qualche e-thug di Rae icegrillasse Amazon e facesse toglier loro la possibilità del preascolto, qualche altro geniaccio li aveva registrati. Promette bene, no? Io già pensavo al peggio mentre ci sono un po' di robe che non sembrano affatto male, tutt'altro: il singolo poi per me è una chicca. Insomma, salvo qualche scivolone vuoi vedere che ci scappa il discone?
Già, così pensavo anch'io, fin quando non ho scoperto che, nascosta in fondo alla tracklist, la pomposamente intitolata "Kiss The Ring" campiona nientemeno che Goodbye Yellow Brick Road. Sì, quella Goodbye Yellow Brick Road. E mi ammazza tutto.

Toccherà rivalutare gli Spandau?

JAY-Z - THE BLUEPRINT (Roc-A-Fella, 2001)

Ultimi giorni dell'agosto 2001: ero da poco rientrato da una lunga vacanza in America, pronto per sorbirmi il secondo (e ultimo) anno di lingue straniere e in quei giorni stavo per lasciare -o essere lasciato: è stata una mera questione di tempismo- la mia ragazza d'allora. All'epoca vivevo da solo ed onestamente non è che fosse un gran periodo. Anche se col senno di poi posso dire che non stavo malaccio, in quei giorni preferivo lasciarmi andare a decadenze di vario genere, come ad esempio provarci con una barista in circostanze a dir poco imbarazzanti, collassare a casa di sconosciuti vomitando un po' ovunque e mandando il padrone di casa al San Giuseppe per una corroborante ed oltremodo necessaria lavanda gastrica, oppure ciularmi la prima disponibile solo perchè aveva tette di dimensioni gargantuesche ed io non avevo mai provato l'ebbrezza di una quinta (e poco importa se collocata in un contesto altrimenti discutibile).
Sfortunatamente, poi, non solo non avevo internet ma per giunta mi trovavo ad investire soldi in dischi di gente teoricamente valida che però puntualmente si scoprivano essere delle colossali puttanate. Qualche esempio? Il primo di Jadakiss, la compilation di Dame Grease (che aveva prodotto alcune delle meglio cose per l'esordio di DMX: pensateci, prima di prendermi per il culo), Malpractice di Redman, Firestarr di Fredro Starr, Infamy dei Mobb Deep eccetera eccetera. Insomma: proprio mentre si stava consumando la rottura definitiva tra underground e mainstream, con alcuni nomi storici che viravano verso quest'ultimo spesso con risultati disastrosi, io mi trovavo privo dei mezzi necessari per poter entrare a conoscenza di materiale valido e ciò non faceva che peggiorare il mio umore. Occasionali spiragli di luce come Cormega, gli Screwball, 7L & Eso o i Lone Catalysts restavano appunto solo spiragli in un mondo altrimenti composto da synth pacco, batterie plasticosissime, e soprattutto i primi vagiti di successo commerciale del crunk. Ora, se devo trovare un colpevole per questo scempio penso innanzitutto a quella scarsa merdina di Swizz Beatz e a quella crew di mastodontiche seghe che era la Ruff Ryders (e da Yonkers viene pure Lady Gaga, si vede che è l'aria di lì a creare idioti), ma pure Jay-Z, che infatti aveva veicolato enormemente quel tipo di suono, non è immune dalle accuse.
Vol. 2 e Vol. 3 e, in minor misura Vol.1, sono a mio avviso dischi di rara bruttezza salvati in zona Cesarini dall'occasionale So Ghetto o It's Like That. Ma tolte appunto le suddette rare eccezioni -comunque irrilevanti al fine della regola- essi rappresentano il peggio del peggio del mainstream dell'epoca e soprattutto sono simboli e al contempo catalizzatori evidenti del declino artistico di vasta parte della costa atlantica. Non a caso oggigiorno quegli album suonano datati come una merda secca e, sempre non a caso, persino pezzi a loro tempo acclamati come capolavori oggi possono al limite far ridere. Money Cash Hoes è la summa di tutto quanto scritto finora e vi invito a riascoltare quel beat e farvi un esame di coscienza qualora all'epoca vi fosse piaciuto. Fate ancora in tempo a pentirvi. Ma procediamo oltre.
Insomma, visto quanto detto finora, potete immaginare quanto mi potessi aspettare da un nuovo disco di Jay-Z. Quella che oggi considero inconsistenza nel saper fare buoni dischi era, allora, l'incapacità conclamata di sapersene uscire con qualcosa di buono, punto e basta. Reasonable Doubt lo vedevo ormai come un caso fortuito o comunque irripetibile, e l'unica cosa che mi spinse ad acquistare Blueprint fu il packaging. Stop. Devo quindi innanzitutto ringraziare Jason Noto, l'art director del progetto, per avermi spinto ad esborsare quelle trentacinquemila lire per un album che altrimenti avrei evitato come la peste; e che invece fin dalle prime battute di Ruler's Back cominciava a far breccia nei miei timpani facendomi pensare il classico "vuoi vedere che stavolta, invece..."
Ebbene sì, stavolta invece Jigga ha fatto centro. Lo ha fatto innanzitutto perchè per Blueprint abbandona finalmente la vena più smaccatamente elettronica virando nettamente verso atmosfere soul, le quali faranno scuola negli anni a venire e contribuiranno enormemente a proiettare Just Blaze e Kanye West nell'Olimpo dei produttori (Bink invece no, chissà perchè), ma che prima di ciò danno un tocco di classe del tutto coerente con l'immagine che Jay-Z ha sempre voluto proiettare fin dai tempi di Reasonable Doubt: non uno sceicco pacchiano che nuota in piscine d'oro ma che in fondo non conta un cazzo, bensì un businessman pacato e tanto elegante nelle apparenze quanto crudo nelle gesta. Non Tony Montana ma Vito Corleone, quindi: aspirazioni ed immaginario che ad un borghese europeo come me fanno sorridere ma che quando limitate alla musica danno lo stesso un certo piacere. E la stessa eleganza è poi data da metrica e contenuti, con questi ultimi che raggiungono considerevoli vette di megalomania mescolate ad uno snobismo del tutto personale, e con la prima che si fa tecnicamente più semplice -all'apparenza- ma che in realtà risulta più più elaborata per quel che riguarda giochi di parole, uso della voce, pause eccetera eccetera. Tra Jigga e gli altri passa insomma la stessa differenza che c'è tra Agnelli e Ciarrapico: entrambi sono sostanzialmente dei delinquenti ma il primo sa celare la sua natura dietro apparenze perlomeno più ricercate.
Difatti bisogna dire che la forza di Jigga non è mai stata la profondità degli argomenti ma la forma in cui li sa esprimere: cosicché persino la tipica ode alle mignotte si trasforma nella divertente Girls Girls Girls, così come la costante autoesaltazione che si respira ovunque viene (mal)celata da un understatement che ovviamente non fa che far crescere la credibilità del personaggio, oltre che la sua sicurezza. In tal senso, Heart Of The City, U Don't Know e Never Change formano un trio perfetto che poi viene puntellato da tracce più evidentemente cazzare (Hola Hovito, Izzo, Jigga That Nigga) così come da altre più serie (Renegade, Song Cry, Momma Loves Me). Una nota a parte va invece fatta per i molti riferimenti ai Mobb Deep, a Nas e a tutti quelli che nel 2001 avevano dei conti aperti col Nostro: ebbene, per quanto Takeover riassuma grossomodo la risposta di Jigga ai suddetti, sparse per le tracce vi sono diverse frecciate rivolte ai suoi detrattori che fanno credere quanto la cosa evidentemente gli dovesse pesare. E bisogna dire che quando sentì quel pezzo rimasi fulminato sia per alcune uscite di Jay, che più che un dis sono semplici fatti, sia per l'implicita arroganza e sboroneria consistente nel campionare in un solo pezzo David Bowie e i Doors. Poi si può discutere su chi abbia vinto tra lui e Nas (parere: la terza strofa di Ether riscatta tutto il resto del pezzo, mentre Takeover è una bella canzone a tutto tondo e perciò arriviamo al pareggio), certo è che era da tempo che nel rap non saltava fuori uno scazzo così evidente tra artisti di indubbia rilevanza sulla scena mondiale, e questo sicuramente ha giocato a favore del "riscatto" di credibilità ottenuto dal Nostro con questo album.
Un riscatto che però s'ha da cercare anche e soprattutto nell'impeccabile scelta dei beat: chiudendo un occhio sulle produzioni dei Trackmasterz e di Timbaland, che tra l'altro stonano pure un po' nell'insieme, su quindici pezzi non ce n'è uno che si ponga sotto ad un livello qualitativo medio-alto. Persino il beat di Eminem funziona più che egregiamente, mentre altre produzioni non possono essere definite con aggettivi al di fuori di "stupendo" o "fantastico": personalmente amo partire da Takeover per giungere a Girls Girls Girls, passando per Heart Of The City e Never Change, in modo tale da formare un poker di pezzi incapaci di invecchiare e che da soli mi fecero poi comprare College Dropout ad occhi chiusi. Kanye & soci, infatti, pur attingendo sempre nel reame del Motown soul et similia dimostrano una capacità d'interpolazione notevole, riuscendo a creare atmosfere decisamente variegate e che molti ancor'oggi possono sognarsi; tant'è vero che, come accennavo prima, Blueprint è una pietra miliare anche perchè ha reintrodotto di forza l'uso dei campioni soul, sdoganandolo agli occhi delle masse e rendendolo dunque nuovamente efficace anche dal punto di vista commerciale. Senza Blueprint, ad esempio, i Dipset avrebbero fatto persino più schifo di quanto non facessero nel 2003, e credo che anche solo per questo Jigga e compagnia vadano ringraziati.
Ricapitolando, quindi: quindici canzoni di cui solo due personalmente non piacciono, mentre il resto oscilla tra il bello e l'immortale; destrezza lirica seconda solo a quanto mostrato sul Black Album; culturalmente influente e capace di suonare fresco anche a distanza di anni e malgrado le numerose imitazioni a cui ha dato luogo. Il voto pieno è scontato, naturalmente, così come il fatto che rientri a pieno titolo nel tris delle meglio cose mai prodotte da Jay-Z e che sia uno dei dischi fondamentali del decennio; ma rispetto a Reasonable Doubt come lo vediamo? A ciascuno la propria 'opinione, ma per quanto mi riguarda Blueprint non solo è complessivamente più godibile di RD (anche se mancano una Brooklyn's Finest o una D'Evils), ma per giunta è uscito in un periodo dove per emergere dalla monnezza sarebbe bastato fare un disco "ok" (cosa poi avvenuta con American Gangster) mentre l'impegno e l'esito finale sono stati a livelli di competizione da '96.





Jay-Z - The Blueprint

VIDEO: GIRLS, GIRLS, GIRLS

martedì 25 agosto 2009

MEMORANDUM ACQUISTI

Continuo a perderli, su carta.

  • DJ JS-1 - Ground Original Vol.2
  • Slaughterhouse - Slaughterhouse
  • Big Twins - Project Kid
  • DJ Spinna - Sonic Smash
  • Wu-Tang Clan - Chamber Music
  • Blitz The Ambassador - Stereotype
  • Kev Brown - I Do What I Do
  • Large Pro- The LP

BEANIE SIGEL - THE B.COMING (Roc-A-Fella, 2005)

Nel corso della mia breve vacanza ammetto di non aver ascoltato molto rap, né di averlo seguito un granché tout court; un po' perché i dischi portati dietro li conoscevo fin troppo bene ma soprattutto perchè non è che ci fosse nulla per cui valesse la pena di eccitarsi più dello stretto necessario. In compenso mi sono fatto una (non richiesta) pera di Snoop, dato che l'amico col quale son andato a fare un paio di escursioni in montagna aveva in heavy rotation nientemeno che Rhythm & Gangsta, forse la sua opera ufficiale più brutta di sempre ma che, contrariamente a quanto fosse oggettivamente lecito aspettarsi, non solo non gli ha stroncato la carriera ma gli ha pure fatto vendere uno spataffio di copie.
Ma non c'è da stupirsi: quell'album riassume grossomodo tutti i motivi per cui la roba mainstream -anche se fatta da chi un tot di bravura ce l'ha- mi risulta indigesta: beat raccolti con lo spazzolone da chiunque sia considerato "in" al momento, ospiti gestiti con la stessa logica, contenuti più che scialbi ulteriormente annacquati da ritornelli cantati dal cretino di turno ed una generale impressione di inconsistenza che grida vendetta al cielo. Chiaro che venda. Ma, soprattutto, è la pigrizia che in casi simili mi da più sui nervi: così è troppo facile, troppo prevedibile, mentre a volersi impegnare si possono ottenere gli stessi risultati in termini di vendite e magari finire pure col creare un album che a torto o a ragione entra nella storia della musica o del genere musicale. Esempio classico: The Blueprint.
Ebbene, per quanto The B.Coming non sia qualitativamente all'altezza della sopracitata opera, ad esso va riconosciuto il merito di muoversi grossomodo sugli stessi binari, sia come ambizioni che come struttura vera e propria. Esso è infatti un lavoro che fotografa l'artista in una fase di maturità e di relativo successo e ciò gli consente di apparire più riflessivo pur senza abbandonare gli argomenti che l'avevano contraddistinto fino a quel momento; in secondo luogo, l'accompagnamento musicale riflette quest'aspetto e benché non si rinunci ad invitare più produttori in una sola volta, esso riesce a mantenere un sound sorprendentemente coeso; last but not least, il protagonista si trova qui nella forma più smagliante possibile (e prima di pensare che ciò sia ovvio pensate anche solo a Nas). Quanto alle differenze, invece, sono poche ma sostanziali: la prima è l'abbondanza di ospiti (15 circa) e la seconda una scaletta meno azzeccata. Stop. Per il resto, come dicevo, Blueprint e B.Coming sono due gemelli dizigoti e per quanto il secondo faccia un po' la figura dello scrondo rispetto al primo non si può negarne il valore oggettivo.
Valore che gli viene conferito innanzitutto da Beanie, che stavolta riesce finalmente ad equilibrare la sua innegabile vena ghettusa con sobrietà e riflessività assolutamente inaspettate; e se a ciò vogliamo aggiungere una scrittura enormemente evolutasi dai tempi di The Truth, unita ad una metrica a sua volta fattasi più complessa, ecco che non trovo del tutto fuori luogo associare l'MC di Philadelphia a Cormega, con il quale condivide una prospettiva matura su temi e argomenti troppo spesso affrontati primitivamente sotto ogni punto di vista. Il quasi-storytelling di Feel It In The Air vede la sua perfetta sponda nel braggadocio di Don't Stop, mentre la para-misoginia di Bread & Butter viene presentata con una vena di leggerezza che non rende impossibile credere che sia lo stesso Beanie capace di scrivere strofe come quelle di Change o Lord Have Mercy: "Pressure bust pipes, pressure can also make a diamond/ Pressure can bust a man wrestling with his conscience/ His self-accusing spirit of his past, but I know Allah's mercy is greater than his wrath". E se a una cosa servono i molti ospiti, questa è il dimostrare che Beans riesce a reggere benissimo il confronto: giunti alla fine del disco ci si rende infatti conto che eccetto Jay-Z non v'è stato nessuno capace di dare la paga al Nostro (fatto salvo Redman, favorito però dal beat), che grazie anche solo alla voce baritonale esige (e ottiene) attenzione praticamente sempre.
Il problema degli ospiti è casomai l'opposto: viste le prestazioni di Beans ci si chiede se davvero ci fosse bisogno delle numerose incursioni di Peedi Crakk, Young Chris o Oschino & Sparks (?!?), e la risposta è, più che un secco "no", "va bene ma un po' meno spesso". I Can't Go On This Way ad esempio va benissimo così com'è, mentre Oh Daddy avrebbe retto benissimo anche senza la presenza di Young Chris; per converso, Flatline avrebbe funzionato meglio come posse cut, e via dicendo. Oltretutto, il fatto di avere così tanti featuring crea qualche problema anche sul piano tematico: si passa dallo struggimento all'egotrippin', dall'ode al sizzurp alla ghettuseria più pura eccetera eccetera, e questo più che altro per mettere l'ospite di turno a suo agio, nella sua comfort zone. Il che può anche andar bene, volendo, ma appunto alla fine crea un po' di superflua confusione nel momento in cui il tracklisting è tale da imporre continui sbalzi.
Ma quest'osservazione può essere fatta solo dopo ripetuti ascolti, in quanto inizialmente tutto scorre più che liscio. Merito, questo, dei beat, che in buona parte si rifanno alla scuola del campionamento soul più puro. Aspettatevi quindi molti archi, qualche fiato e l'immancabile sample vocale lievemente accelerato. In tal senso fa sempre piacere risentire i Dramatics (Purple Rain) o Johnny Watson (Bread & Butter), specialmente se ad essi vengono accostati pezzi di estrazione diversa che quindi rendono l'insieme più variegato. Vedi ad esempio i Neptunes, che assieme al precedentemente citato Snoop funzionano assai bene in Don't Stop (così bene che sembra più un pezzo di Snoop che con Snoop), oppure Bink, che si dimostra capace di produrre un beat dal tiro veloce perfetto per l'ospitata di Redman; e questo senza contare gli ottimi contributi di Buckwild, Just Blaze e Deric "D.Dot" Angelettie. Uniche note stonate sono la tremenda Gotta Have It -francamente inascoltabile, Flatline (più che altro banalotta) e infine Wanted, la quale campiona l'omonimo pezzo dei Bon Jovi e, onestamente, mi pare un po' troppo.
Ma anche con questi piccoli difetti ci troviamo in mano un album del tutto solido, dotato di capo e coda e sorretto da liriche e beat di indiscutibile qualità. È, in altre parole, uno di quei pochi dischi capaci di fare da ponte tra aficionados dell'underground e mainstream, ma, soprattutto, è eccellente -punto- e merita senz'altro di essere acquistato da chiunque si reputi appassionato di questa musica.





Beanie Sigel - The B.Coming

VIDEO: FEEL IT IN THE AIR
Beanie Sigel - Feel It In The Air

sabato 1 agosto 2009

BUONE VACANZE (LINK GALORE!)

Mi spiace lasciarvi così, senza una recensione d'addio, ma che volete farci: stiamo chiudendo due numeri (settembre e ottobre) contemporaneamente, per di più mi sto occupando dell'allestimento grafico per una mostra sòla (questa) e perciò nutro forti dubbi che settimana prossima potrò scrivere alcunchè. Per cui meglio salutarsi subito.

Prima cosa, la musica: il 2009 si conferma essere a dir poco loffio e finora sulla lista degli acquisti da fare figurano Spinna, Large Pro e poco altro. Ergo, quest'estate mi porterò dietro magari qualche classico, qualche altra roba più recente (Black Milk sicuramente) e poi qualcosa dei National e di Mark Lanegan (sia solista che in combo con Isobel Campbell o con Greg Dulli), senza scordarmi di Sharon Jones. Poi stop, tanto sto via solo due settimane.

Seconda cosa, il grande comune denominatore delle estati italiane: avremo quest'anno il nostro Garlasco quotidiano? Qualche becerone vivente tra Milano e Verona o Varese saprà infiammare le discussioni pomeridiane al Cantuccio? Vi saprò dire, ma dubito che stavolta riusciremo ad avere qualcosa di più grottesco e caricaturale di Rosa e Olindo.

Terza cosa: le letture. Non molto nemmeno sotto questo profilo. Dopo aver soddisfatto il mio voyeurismo con questo libro, mi resta da finire l'ultimo di Kapuscinski (che vi consiglio, come del resto qualsiasi cosa scritta da lui) e poi ho in scaletta Glamorama, Giustizia Bendata di Prosperi (che è sigillato dalla Fiera del libro di Torino) e Le Notti Di Salem -tanto per tornare ai miei quindici anni. Mi permetto un paio di consigli: La Questione Immorale di Bruno Tinti, il sempre eccezionale Le Benevole di Jonathan Littell ed il tanto citato ma ormai poco letto Storia D'Italia Dal Dopoguerra Ad Oggi di Ginsborg,

Terza cosa: la politica. Nell'attesa che qualcuno dia del "faccia da pèèrla" a D'Alema non credo che seguirò lo svolgersi delle primarie del PD. Uno, perchè, ammesso che la coa m'appasionasse, non potrei comunque votare e quindi sai chemmefrega, ma soprattutto perchè stamane, aspettando che aprisse il Cash Converters di via Vittorio Veneto, ho letto un lungo articolo su L'Espresso che m'ha fatto venire un'orchite fulminante. Stavo per svenire su una delle panchine dei giardini di Palestro con incubi di Franceschini e Bersani che girano un sextape con Marino che ci si fa una sega su Youporn. Roba da farti venir voglia di accodarti a quelli che dicono "son tutti uguali".

Insomma, visto la classe dirigente che teoricamente dovrebbe rappresentare l'alternativa al nano piduista, verrebbe voglia di mandare tutto in ostia. Poi però penso sempre a un mio collega, che per questioni di riservatezza chiamerò solamente G, e mi torna la forza di mantenermi quanto più possibile informato e menoso. Perchè, dirà qualcuno, chi è questo G? G è un uomo di circa cinquant'anni e da trenta lavora sempre nella stessa azienda, ricoprendo peraltro, almeno credo, la stessa carica. Ma questo è marginale, in fondo. Fatto sta che è uno di quelli che portano le Hogan -non so se mi spiego- o comunque tutte quelle calzature a metà tra lo sportivo ed il wannabe-elegante che tanto successo mietono negli esclusivi circoli degli impiegati bancari milanesi e, più recentemente, tra gli agenti immobiliari della PirelliRe. Fisicato come un nano tisico, oltre a tifare Inter ama andare a pescare ma solo per fare a gara con qualcuno. Dipendesse da lui, vista la finezza, credo che gli andrebbe bene pure la pesca con le bombe a mano purchè lui vinca. Vinca facile, come nella famosa pubblicità, si capisce. La sua fissa è infatti quella di primeggiare, sempre, ma trattandosi di un povero cretino non si rende conto che è il suo stesso pool genetico a remargli contro e dunque cerca sotterfugi nelle piccole miserie di tutti i giorni. Ad esempio, lui è uno di quelli che quando prende una multa per sosta vietata o eccesso di velocità non si limita né a dire "sticazzi, la pago", né a dire "contesto e speriamo in una botta di culo", bensì fa venire le frange alle orecchie a chi gli sta intorno narrando di amici di amici che sono riusciti ad ottenere ragione per questo o quel cavillo del codice stradale (naturalmente non c'è nulla di vero e spesso se la ritrova maggiorata). Più in generale, è uno di quelli carichi di nozionismo a trecentosessanta gradi che sono del tutto incapaci però di contestualizzare queste nozioni, di giungere ad una sintesi. La sua via è quella del "furbo" autoproclamato. Ed in quanto tale, mentre il contesto in cui si trova crolla grazie anche alle persone che puntualmente lui elegge, a G basta trovare la scappatella ogni tanto: la peggiore delle quali è indubbiamente l'aver fatto fotocopie del permesso di sosta per handicappati della suocera (deceduta già da mo') grazie alle quali può venire a parcheggiare impunemente in piazza Cadorna. Detta in poche parole, è il classico "uomo della strada" che tanto piace alla destra e a parte della sinistra cosid. riformista; non a caso vota Forza Italia.
In ultima analisi, è la tipica merda servile coi nuovi potenti e sciacallo coi vecchi; colui che si avventa contro questi ultimi con smisurata ferocia perchè finalmente si accorge di essere governato da delinquenti dopo averli votati per tre lustri. Insultare il prossimo provoca in lui una catarsi e chèta i suoi sensi di colpa, che in quanto tali sono tratti tipici o dell'ingenuo o del coglione a tutto tondo. Statene certi: se mai il bavoso lombrico di Arcore dovesse fare la fine del suo degno mentore, G sarà in prima linea a tirargli addosso monetine gridando "prendi anche questi, ladro". Rovinandomi così la voglia di stappare una bottiglia di champagne.
Ecco, quando penso a cosa c'è dall'altra parte mi convinco che per il mio bene prima ancora che quello del mio prossimo mi conviene continuare a leggere.

Buone vacanze, ci rivedremo il 24 o il 25.