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lunedì 23 novembre 2009

CORMEGA - BORN AND RAISED (Aura, 2009)

Uno dei motivi per i quali ricorderò il 2009 come un anno particolare risiede senz'ombra di dubbio nel climax qualitativo che lo ha caratterizzato: l'anno è iniziato con i N.A.S.A. e si chiuderà probabilmente con i Clipse, come a dire dalla merda alla Nutella. Grossomodo si può infatti dire che nei primi sei mesi sia uscita solo munnezza o comunque robaccia dozzinale, mentre a partire dall'estate abbiamo assistito ad un'impennata di valore senza precedenti; in più, quand'anche questa curva crescente ha subito degli imprevisti, questi sono stati netti ed inequivocabili. Per fare un paio di esempi: Honda & Problemz -primo semestre- è una ficata, Rakim -secondo semestre- una vaccata; stesso discorso per Finale e Jay-Z.
Ma non solo: secondo il mio modesto parere ci troveremo a festeggiare il capodanno avendo in saccoccia almeno tre dischi eccellenti: il sopracitato Honda & Problemz, Only Built 4 Cuban Linx II ed infine questo Born And Raised. A conti fatti, quindi, benchè fino a marzo abbia sofferto i contraccolpi di un disco più fiacco dell'altro, direi che il bilancio di fine anno risulti essere non solo positivo ma anche superiore a quello del 2008 e del 2007. Bene... e allora?
Allora niente, è solo che oramai non so più come introdurre un disco di 'Mega e qualcosa dovevo pur dire, no? O mi sarebbe bastato scrivere "questo disco è una ficata, compratelo" e tanti saluti? Forse sì, sarebbe stato meglio, perchè in effetti come posso descrivere correttamente la bontà di Born And Raised essendo sprovvisto dell'abilità di un David Foster Wallace? Mi rispondo da solo: magari cominciando col dire che, considerata la lunga pausa fatta da 'Mega tra il suo ultimo album solista e questo (sette anni!), e considerate le voci che avevano cominciato a girare per la rete con un effetto domino impressionante -simile a quando Fantozzi guarda la Corazzata Kotiomkin e si vocifera che l'Italia stia vincendo sull'Inghilterra per venti a zero- le aspettative avevano raggiunto un livello spaventoso ed al di fuori di ogni controllo. In più, il fatto che Cory McKay finora non avesse prodotto cose paragonabili a Immobiliarity o Lex Diamond non gli dava nemmeno quella possibilità dell'uscirsene con materiale da "beh dai poteva andare peggio".
Fortunatamente, invece, le promesse sono state mantenute e se per una volta si può parlare di capolavoro (perlomeno personale), ebbene, questo è il caso. Born And Raised è IL disco da comprare se si vuole sentire il meglio che questo MC, partito in sordina e cresciuto artisticamente senza sosta nel corso degli anni, ha da offrirci. Sia come beat, in assoluto i migliori nell'insieme, sia come testi, sia, infine, come pura tecnica. Qui Cormega dà il massimo. Di più: la coesione dell'opera è superiore alle precedenti e, non per la prima volta ma meglio che in precedenza, la sensazione è quella di trovarsi di fronte ad un album vero e proprio e non una collezione di tracce. A partire dal preludio fino alla conclusiva Mega Fresh X, Born And Raised fluisce senza inceppi con una naturalezza oramai purtroppo rara, tant'è che si iunge al termine dell'ascolto con la spontanea tentazione di premere «play» un'ennesima volta.
Innanzitutto, i testi: che lui sia un raro esempio di MC capace di incrociare poesia, hood tales, note autobiografiche e completa onestà è ormai un fatto assodato e di per sè non fa notizia. Ma che sia riuscito a perfezionare alcuni di questi tratti, su tutti la scrittura ma anche l'apertura personale (e senza cadere nel melodramma) dovrebbe esserlo: questo disco è difatti pieno fino all'orlo di quotables in maniera non dissimile da quanto Nas era riuscito a fare in Illmatic. A partire dall'intro, dove 'Mega rappa "This is my defining moment, my rhymes rose in the concrete/ Life imitates art so I spit on heartbeats" fino a giungere a "My jewels so colorful, my daughter don't gotta watch cartoons/ Dudes watch my moves, like Lebron fresh out of high school", le citazioni da fare sarebbero troppe e nemmeno avrebbe senso farle in questa sede. Vi basti sapere che, grazie anche ad una metrica fattasi più complessa ed un notevole miglioramento della tecnica, il Nostro dà la paga a tutti gli ospiti del disco escluso Big Daddy Kane. Scusate se è poco.
Ospiti che, peraltro, pur andando da Tragedy a Grand Puba, passando per Havoc e Lil' Fame, non sono messi lì così per fare ma aggiungono il loro timbro al concetto stesso della canzone su cui sono ospitati. E se la cosa risulta facile -vedi Lil' Fame- piuttosto che riuscita grazie alla stessa presenza -come in Mega Fresh X- il tutto risulta meno scontato nei casi di Define Yourself e, soprattutto, Love Your Family. Quest'ultima, che funge anche da esempio perfetto della capacità d'aprirsi di 'Mega, viene arricchita da un featuring di Havoc qui sorprendentemente capace di restare sul tema e dire la sua.
Insomma, liricamente siamo su livelli altissimi, ma apprezzabili solo se da un lato si parla bene l'inglese e dall'altro se si è capaci di andare oltre alla logica della punchline o della metrica ultracomplessa fine a sè stessa; le tematiche, come già detto, sono quelle caratteristiche del Nostro, ma ruotando comunque attorno a sue esperienze o punti di vista non risultano trite e ritrite nemmeno a chi ha consumato i suoi dischi precedenti.
Ed in quanto a beat, beh... Pete Rock, Large Pro, Premier, L.E.S., Ayatollah... diciamo che nessuno, a parte Easy Mo' Bee (la sua scarna e sottoprodotta Get it In lascia onestamente a desiderare), delude. Inoltre, a metà disco c'è un poker d'assi strabiliante formato dai seguenti pezzi: The Other Side (Fizzy Womack), Live And Learn (Pete Rock), Make It Clear (Premier) e Journey (Large Professor). In particolare, tra questi stupisce sì Primo, finalmente di nuovo tra noi in buona forma, ma soprattutto il membro degli M.O.P., che produce un beat che trasuda jazz da ogni poro -l'avreste mai detto?- grazie anche ad entrate di sax suonate dal vivo che aggiungono la canonica ciliegina sulla torta. Non male neanche Define Yourself, che campiona Go On And Cry di Les McCann, così come le souleggianti What Did I Do e Rapture, che pur attingendo ispirazioni dallo stesso pozzo si collocano ai lati più estremi dello spettro dell'uso dei campioni soul. In chiusura, invece, troviamo un Buckwild forse non al top dell'ispirazione ma che si difende bene, anche se avrei trovato più coerente col sound complessivo dell'album l'inclusione della versione di Fresh curata da Emile. Poco male.
Ora: devo aggiungere altro? Volete proprio che vi trovi qualche difettuccio perchè altrimenti vi sembro troppo un fanboy -cosa che oltretutto effettivamente sono- di Cormega? Beh, allora eccovi appunto Get It in, sinceramente skippabile (e a me gli M.O.P. abbinati al Nostro non hanno mai convinto troppo), e forse lo storytelling di girl, in cui si rappresenta la cocaina come una meretrice che con le sue liaisons ha mietuto diverse vittime (seguono diversi esempi); non che sia un brutto pezzo o che, ma un po' stona considerando che il resto di Born And Raised è assai autobiografico.
Contenti ora? Ecco, allora andate e compratelo perchè è sicuramente uno dei tre migliori dischi di questo 2009 nonchè il migliore della già ottima carriera di 'Mega.





Cormega - Born And Raised

VIDEO: JOURNEY

giovedì 22 ottobre 2009

CORMEGA - THE TESTAMENT (Legal Hustle, 2005)

Come qualsiasi aficionado del rap degli anni '90 sa, la decade in questione è stata caratterizzata non solo dalla definitiva emersione commerciale dell'hip hop, ma anche da alcune delle pratiche più becere per cui le case discografiche sono tristemente note, in primis il cosiddetto "shelving": in pratica si tratta di mettere sotto contratto un artista, farlo lavorare fino a quando ha in mano un prodotto più o meno finito e pronto per la distribuzione, salvo poi gettare lui ed il suo album nel limbo dei dischi annunciati e mai più pubblicati senza particolari motivi. Tra le tante major che in quegli anni si cimentarono in questo comportamento ai limiti della criminalità, la Def Jam si contraddistinse in particolar modo per la sua incompetenza e la sua cecità, bloccando prima l'esordio di Trigger Tha Gambler (ad oggi reperibile solo via internet) e poi l'altrettanto atteso debutto di Cormega. I motivi per compiere una simile azione mi sono completamente sconosciuti e spero perciò che qualche insider che dovesse passare da queste parti riesca ad illuminarmi, perchè anche con il famoso senno di poi posso tranquillamente affermare che i suddetti due dischi avrebbero soddisfatto le aspettative dell'epoca al di là di ogni ragionevole dubbio. Cosa ancor più grave, ricordo che per ambedue i prodotti erano stati spesi fior di dollari in pubblicità ed in promo di vario genere, per cui le ragioni che possono aver portato ad una reclusione dei relativi master mi risultano ancor più ineffabili, portandomi di conseguenza a pensare ad un abuso di droghe pesanti negli uffici della Def Jam se non peggio.
Ora, la fortuna di restare un fan del rap anche nel 2009 consiste tra le altre cose nel poter approfittare di ristampe e raccolte curate in genere da estimatori del genere oppure da etichette discografiche dotate di un pochino di sale in zucca, ma è raro se non impossibile vedere lo stesso artista-vittima muoversi per dare ai suoi fan la possibilità di entrare in possesso di un'opera a cui egli stesso probabilmente non è nemmeno tanto interessato. Bene: dite "buongiorno" a Cormega. Nel 2005 egli è riuscito a riacquistare i master di Testament dalla Def Jam e, dopo averli risistemati e un po' "aggiornati" in termini di mixaggio masterizzazione, a raccoglierli in quello che sarebbe dovuto essere il suo album d'esordio nel '99.
Inutile dire che, da fan sfegatato di 'Mega quale sono, come ho saputo della sua uscita, mi sono fiondato a comprare l'originale; fino a quel momento avevo sempre più o meno snobbato le versioni che giravano su internet, e dunque alla fin della fiera di suo materiale originale ed "autorizzato" avevo solamente Testament (pubblicata sul disco bonus allegato a It's Dark And Hell is Hot di DMX) ed il singolo Killaz Theme b/w Angel Dust. Inutile quindi dire che, quando ho inserito il CD nel lettore, come sono partite le prime note di Dead Man Walking e Montana Diary ho avuto un'erezione retroattiva che mi ha portato a riavere 17 anni; roba che a momenti mi mettevo a farmi una cassettina da mettere nel mio vecchio glorioso walkman (l'ho ritrovato! So che non ve ne frega un cazzo, ma è LUI!) per andare a scuola. Insomma, com'è ovvio l'effetto nostalgia è inevitabile, e pertanto ho deciso che, avendo buona memoria, recensirò quest'album con i criteri corretamente contestualizzati e non -come ho purtroppo visto fare- con quelli del 2005.
I beat, prodotti perlopiù da Nashiem Myrick e con singoli contributi di Sha Money XL, RNS (quello del GP Wu e Shyheim), Hot Day, Havoc e altri, rientrano pienamente nelle atmosfere del Queensbridge come precedentemente dettate da Hell On Earth. Ci sono tuttavia alcune differenze, prima fra tutte una maggiore epicità del tutto: i campioni hanno spesso un piglio orchestrale, e quindi -tanto per fare un esempio abbastanza emblematico- è più facile incappare in loop di intere sezioni d'archi che non di singoli violini. Come seconda cosa, il suono è più corposo, da un lato, e più pulito dall'altro: questo è dato probabilmente da una revisione del mixaggio, ma già quando uscii Testament si poteva notare una certa differenza tra i lavori di Cormega e quelli, ad esempio, dei Mobb Deep o di Capone 'N' Noreaga. La terza differenza è, infine, quasi una conseguenza delle precedenti: in termini relativi, si può dire che quest'album rappresenti una sorta di apertura al resto di New York, tanto più che vi sono purtroppo alcune concessioni (come i ritornelli cantati) che fino ad allora erano stati del tutto assenti -o quasi- nei lavori provenienti dal QB.
Ma su quest'aspetto ritornerò più avanti; intanto penso che sia impossibile non restare ancor'oggi affascinati dalla title track, prodotta dallo stesso Dave Atkinson di Affirmative Action, che mescola molto bene tutta una gamma di suoni che vanno dall'organo all'arpa, passando per un bel sample vocale che viene fatto entrare nel ritornello; lo stesso dicasi per Dead Man Walking e Montana Diary, con la prima più essenziale nel suo sinistro loop di piano e la seconda invece nuovamente orientata in direzione orchestral-peschereccia. Havoc, dal canto suo, si fa notare per la valida Angel Dust e soprattutto per l'ormai celebre Killaz Theme, che non avrebbe sfigurato (anzi!) se inserita in Murda Muzik a fianco di una Quiet Storm. Ottima, nella sua semplicità, pure '62 Pick Up (autoprodotta) e Love Is Love, grazie al riutilizzo dello stesso sample degli Ohio Players già sentito in B.I.B.L.E. di Killah Priest.
Purtroppo, come dicevo, moltissimi beat (e strofe) validi vengono massacrati da incursioni cantate tipiche del pessimo gusto di quegli anni: Love Is Love, Every Hood e Coco Butter presentano degli idioti che si sgolano senza un apparente motivo che non sia quello di rendere pacchiano il tutto. Ed è per esempio in questi casi dove si nota una certa immaturità artistica di 'Mega, che qui non solo talvolta scrive in maniera del tutto impersonale (Coco Butter non presenta molto di suo, è generica), ma soprattutto usa espedienti di bassa levatura per imprimere una direzione al pezzo (vedi i cantati o l'occasionale scarrellamento d'arma da fuoco, come a dire "ehi, questo pezzo fa brutto, capito?").
Tuttavia, i segni del suo talento sono complessivamente evidenti in più d'una occasione: sia come MC puro e semplice (Testament, Killaz Theme, Angel Dust), sia come storyteller fuori dal comune ('62 Pick Up, Dead Man Walking, Montana Diary) che, infine, come scrittore puro semplice: la sua one Love, una sorta di risposta all'omonima canzone di Nas, non raggiunge i livelli dell'originale ma ne risulta una degnissima controparte e riesce ad anticipare una certa sensibilità e maturità che si sarebbero poi viste negli album successivi. E a questo punto certe mancanze tecniche -principalmente enfasi e controllo del respiro- passano in secondo piano; si può quindi dire che già nel '98 'Mega fosse un artista da tenere d'occhio.
In conclusione, quindi, se da un lato Testament non può essere paragonato a pietre miliari come Infamous o Illmatic, e nemmeno a debutti eccellenti come War Report, dall'altro l'esito è di una bontà tale che non si capisce francamente perchè mai questo disco non abbia visto la luce del giorno nei tempi previsti. Ora, se io dovessi consigliarvi un album di Cormega questo non sarebbe certamente il primo della lista, dato che oramai è possibile avere un MC unico e completo mentre qui, volendo, è un po' generico rispetto agli standard attuali. Se però cercate un qualcosa capace di riportarvi ai fasti del Queensbridge ed in particolar modo del suo particolare sound, allora direi che questo esordio merita senz'altro un ascolto; quattro zainetti vintage, allora, non si discute.





Cormega - The Testament
Bonus: Enhanced CD Video

lunedì 19 ottobre 2009

CORMEGA - BORN AND RAISED ALBUM SAMPLER

QUI: inizia così così, poi prende il volo. Acquisto obbligato, comunque. [via Unkut]

venerdì 11 settembre 2009

CORMEGA - THE REALNESS (Legal Hustle/Landspeed, 2001)

E con Cormega eccoci anche oggi all'ormai quasi consueto appuntamento con il rinfrescamento della memoria: pur non avendo conosciuto il successo nel corso degli anni '90, egli è uno dei pochi artisti ai quali ancor'oggi faccio affidamento (come e più dei mostri sacri di quella decade) perchè so perfettamente che non se ne uscirà con cagate fatte tanto per fare. Il suo nuovo album uscirà il 20 ottobre e potete star certi che lo comprerò a scatola chiusa, vuoi anche solo per il suo curriculum artistico, che volentieri definisco ineccepibile. Con questo non voglio dire che abbia prodotto dei classici in senso stretto, ma che la sua consistenza nel sfornare ottimi dischi a tutto tondo senza intervallarli da inutili mixtape o orpelli di questo genere è pressoché unica. E in tutto questo getto anche la sua padronanza della scrittura che, mescolata ad un'onestà non comune e -pare- un'intelligenza non comune, lo rende uno dei pochissimi artisti che prendo sul serio e che ascolto con estrema attenzione.
Alla luce di questo è per me quasi scontato che abbia intitolato il suo esordio ufficiale The Realness, perchè per una volta tanto questo titolo roboante corrisponde a verità oltre che descrivere in genere ciò che si troverà nell'album. Album che, pur con le sue magagne e le sue imperfezioni, non esito a definire essenziale per chiunque nutra una passione per questo genere musicale e, più in generale, per buona musica a cui corrisponde personalità.
Liberiamo il campo dai dubbi: The Realness è secondo me lievemente inferiore al successivo The True Meaning, ma non per questo vale meno. A rendere possibile questa apparente contraddizione è 'Mega stesso, che nel corso di 50 minuti ci porta a braccetto nella sua realtà come solo i migliori affabulatori -e intendo questo termine nella sua accezione più positiva- sanno fare. A partire dall'intro fino a giungere a They Forced My Hand egli ci racconterà di compagni morti, di vita nel Queensbridge, di rivalità, di galera e in generale di tutto ciò che ha contribuito a renderlo la persona che è. Non mancheranno i momenti Amarcord, dai quali traparirà una evidente nostalgia anche quando narrerà degli eventi non esattamente edificanti che potevano aver luogo in un ghetto americano durante gli anni '80. Insomma, grossomodo la stessa formula (anche se è offensivo definirla tale) che affinerà poi in True Meaning, ma che già in questa versione "adolescente" risulta capace di coinvolgere l'ascoltatore.
Un coinvolgimento che avrà l'effetto secondario di far notare, oltre all'eccellente scrittura ed ampiezza di vocabolario, una tecnica buona anche se non immacolata. Qualche sbavatura quà e là la si trova, più che negli aspetti tecnici, però, in quelli strettamente legati all'esperienza; vale a dire che talvolta la pausa ad effetto c'è dove non ci dovrebbe essere e viceversa, oppure in un passaggio si dilunga troppo su certi aspetti tralasciandone altri, oppure ancora si ripete (non letteralmente, ovvio) in due canzoni. Sciocchezze, se vogliamo, ma di cui tenere conto se vogliamo giudicare la sua crecita artistica prima ancora che The Realness stesso.
Ciò comunque non inficia più che tanto l'ascolto dell'album dal versante lirico; a farlo sono casomai i beat che, analogamente a quanto avverrà nell'opera successiva, hanno fin troppo la tendenza a suonare di già sentito. E questa tendenza si manifesta nel modo più prevedibile possibile: molti campioni sono stranoti a chi ascolta rap da qualche tempo. Qualche esempio: Fallen Soldiers è Beggar's Song (It's Like That di Jay-Z); Unforgiven è Un Bon Son ecc. degli IAM; You Don't Want It è Alone In the Ring (Victory di Puff Daddy) e via dicendo. Ora, non per questo le suddette canzoni sono brutte o che; semplicemente suonano, diciamo, famigliari e questo comporta inevitabilmente una minore longevità. Peccato, perchè quelle che invece suonano freshe vengono a questo punto un po' penalizzate, nel senso che si fatica un po' più ad ascoltare il disco di filata; tuttavia, autentiche chicche come Thun & Kicko con Prodigy, They Forced My Hand con Tragedy (pezzo migliore, non c'è discussione), The Saga o la ghost track Killaz Theme Pt.II lasciano il marchio. Insomma, per quanto alcuni beatmaker si siano un po' impigriti, alla luce dei risultati direi che la media è medioalta/alta: pur non essendo nomi notissimi (J-Love, Spunk Bigga, Sha-Self, Ayatollah...) questi dimostrano buone capacità, tant'è che l'unico a fallire è Alchemist ed il suo remix di Fallen Soldiers, in sè e per sè non brutto ma incompatibile con tema e rappata di 'Mega.
Che altro dire? Come esordio direi che Realness è davvero molto buono ed in fondo dimostra quanto l'attesa necessaria per vedere pubblicato un disco di Cormega non sia stata vana; rispetto a Testament la crescita artistica è sostanziale e, pur non possedendo nè la ruvidità di quest'ultimo, nè la pulizia di The True Meaning, direi che non possederlo sarebbe quantomeno delittuoso. Oscilla insomma tra il tre e mezzo ed il quattro, ma voglio essere generoso. promosso.





Cormega - The Realness

VIDEO: R U MY NIGGA

giovedì 4 settembre 2008

CORMEGA - THE TRUE MEANING (Legal Hustle/Landspeed, 2002)

Benchè Cormega affondi le sue radici nella seconda metà degli anni '90, è difficile mettere in dubbio che la sua rilevanza abbia cominciato a crescere solamente a partire dal 2001 e la relativa pubblicazione del suo The Realness. Questo scarto temporale è dovuto principalmente a causa della sua casa discografica di allora, ovverosia una Def Jam capace di bloccare la pubblicazione di The Testament almeno fin quando pochi anni or sono 'Mega decise di ricomprarne il master e darlo alle stampe indipendentemente. In realtà -se si eccettua un featuring sul disco dei PHD nel '91- tra la sua apparizione su Affirmative Action e The Realness vi furono un paio di tappe intermedie: prima la pubblicazione del singolo Testament sul disco bonus allegato alla prima tiratura di It's Dark And Hell Is Hot; poi un paio di pezzi live (Dead Man Walking e un altro) su una compilation della Def Jam; infine, il singolo Killaz Theme Pt.II b/w Angel Dust nel '99. Nulla di significativo, per carità, ma la cronaca è pur sempre la cronaca.
Fatto sta che quando The Realness uscì sugli scaffali la mia impressione fu quella di avere tra le mani un album nel complesso solido ma ancora un po' immaturo o, se preferite, non all'altezza di quanto fosse lecito aspettarsi da uno che comunque era riuscito a mettere insieme una They Forced My Hand, The Saga o Fallen Soldiers. Fortunatamente non mi toccò aspettare molto prima che ciò avvenisse: nel 2002 il Nostro raggiunse la suddetta maturazione con questo The True Meaning, ad oggi la sua opera migliore (ma aspetto con ansia l'imminente Born And Raised) nonché una delle cose migliori sentite nel corso di quell'anno. Innanzitutto perchè la selezione dei beat è mediamente eccellente, ma soprattutto perchè la diversità degli argomenti ed il modo in cui vengono affrontati mostrano chiaramente come 'Mega non sia il solito ignobile bburino bensì qualcuno con decisamente più neuroni a disposizione della media (un po' come Tragedy Khadafi, insomma); ne consegue che The True Meaning si presta a più tipi di ascolto, da quello cazzeggiante in macchina a quello più impegnato quando si è tranquilli, seduti a non far altro che concentrarsi sulla musica.
Tuttavia, qualche difettuccio quà e là c'è: ad esempio, per quanto i beat siano appunto mediamente più che buoni, l'aficionado di hip hop un po' più scafato non potrà non notare che diversi di essi non brillino per originalità: Love In Love Out è il remix di Usual Suspects di Big Noyd; Soul Food è 3 Card Molly di Xzibit; Endangered Species è Mobsta's di Kool G Rap; Verbal Graffiti è Lotta Armata Chatty Boy Disser (vabeh). Ora, questo significa semplicemente che i campioni sono gli stessi e che sono tagliati allo stesso modo, non che le canzoni siano oggettivamente migliori o peggiori delle precedenti controparti; tuttavia, è inevitabile avere una sensazione di già sentito. A ciò va poi aggiunta una verità: la sopracitata Endangered Species è l'unico pezzo davvero brutto dei 13 offertici, in quanto il Nostro non solo non si spreca in inventiva (aka è il solito "ti rompo il culo") ma, ben più grave, non va a tempo e piazza pause quà e là alla sperindio al punto che sospetto che il testo sia stato scritto avendo in mente tutt'altro beat. Sia come sia, il risultato finale si può definire in un solo modo: amatoriale, e questo per un veterano è imperdonabile.
Fortunatamente, però, il resto di True Meaning non delude: i beat dei vari Emile, Hangmen 3 (sissì, proprio quelli degli Almighty RSO), Hi-Tek, Buckwild, Alchemist, Large Professor e D/R Period fanno da sfondo ideale alle capacità narrative nonché strettamente liriche di Cormega, e così si passa elegantemente dall'amarcord di The Legacy all'ultima puntata della diatriba con Nas (Love in Love Out) -fortunatamente gestita non con toni esagerati bensì trattata con buona sobrietà, senza naturalmente scordarsi delle cosiddette hood tales e degli struggimenti correlati. Menzione particolare in tal senso va a A Thin Line (storia di un tradimento da parte di un ex amico, decisamente personale) e Soul Food, una delle poche canzoni d'amore che risultano sobrie ma al contempo scevre dal machismo d'accatto che invece così spesso si trova all'interno dell'hip hop. Ad ogni modo, in mezzo a tutto questo valido materiale è difficile stabilire quali siano i pezzi oggettivamente migliori: ad esempio, il mio preferito è Therapy (principalmente per via del beat di Hot Day), ma non troverei scandaloso se qualcuno preferisse Thin Line o The Legacy; poco conta, in fondo.
In conclusione, benché alcuni destestino 'Mega per via della sua voce (davvero! ne ho già beccati due che la pensano così) è innegabile la sua crescita in quanto a scrittura e tecnica, così come non si può sorvolare che queste trovino dei degni partner in una pletora di beat dalle melodie tendenzialmente orecchiabili ma che non ne pregiudicano la matrice ruvida. The True meaning è dunque un album importantissimo all'interno della carriera di questo artista, certo, ma soprattutto un ascolto più che consigliato a chiunque sia portato verso un rap che non si nasconde nè dietro a trucchetti da baraccone come gli adlib ad effetto, nè tantomeno dietro ad un fare pretenzioso di chi si reputa "avanti".





Cormega - The True Meaning

VIDEO: THE TRUE MEANING

venerdì 21 marzo 2008

CORMEGA - CHILD OF THE GHETTO (2005)

Siccome oggi ho la mezza giornata, il tempo per scrivere una recensione è decisamente poco. Inizialmente pensavo di pistonare Layover di Encore, che è piuttosto "estivo" come atmosfera, ma poiché le previsioni del tempo danno merda a spruzzo su tutta la penisola ho optato per qualcosa di più cupo.
Questo greatest hits di Cormega l'ho compilato agli inizi del 2005 (prima di fare la grafica per Popolare) e include tracce sia dai suoi tre solisti che da Legal Hustle, più naturalmente un paio di comparsate. Ad eccezione del remix "casalingo" di Killaz Theme Pt.II, persino oggi lascerei la tracklist pressoché invariata. Immodestamente, reputo di aver fatto un buon lavoro nel mettere insieme un quadro che ripropone fedelmente la versatilità di Cormega, uno che è sì ghettuso fino nell'anima (vincitore per un paio d'anni del torneo interno di boxe di Riker's Island, per dire) ma che non risulta un coglionazzo a tutto tondo come, ma è solo un esempio, gli Infamous Mobb. Al momento, dopo la parziale delusione che è stata Who Am I (che ho comprato praticamente solo per il DVD), è in lavorazione il suo quarto disco ufficiale da solista, che vedrà avvicendarsi alle macchine Pete Rock, Premier, D/R Period, Ayatollah e Nottz. Detto questo, via alla tracklist e buon ponte:

01) Introspective
02) Montana Diaries
03) Thun & Kicko feat. Prodigy
04) Loyalty feat. Screwball
05) Testament
06) Get Out My Way
07) Killaz Theme Pt.II (RMX) feat. Mobb Deep
08) Dead Man Walking
09) Verbal Graffiti
10) They Forced My Hand feat. Tragedy Khadafi
11) Therapy
12) '62 Pick-Up
13) Legacy
14) What's Ya Poison feat. Mobb Deep
15) The Saga
16) Fallen Soldiers
17) The True Meaning
18) Tony/Montana feat. Ghostface Killah
19) Three feat. Prodigy
20) Sugar Ray & Hearns feat. Large Professor
21) Thin Line
22) Let It Go feat. M.O.P.

Cormega - Child Of The Ghetto