
Tuttavia, uno dei pochi ad aver pieno diritto di fare questo a ragion veduta dovrebbe essere Phat Kat -che invece si limita ad una canzone dedicata all'amico- il quale formò col suddetto J Dilla il gruppo “1st Down” nel lontano '95, salvo scomparire dalla scena dopo la pubblicazione di un paio di singoli. Ma mentre Yancey riuscì a proseguire nella sua carriera di produttore ed occasionale MC, di Kat si persero le tracce fino al 2004, anno in cui pubblicò il suo esordio da solista: The Undeniable. Passato piuttosto inosservato sia dal pubblico che dalla critica (comunque non lusinghiera), l'album non era malaccio ma francamente non faceva gridare al miracolo.
Sia detto che nemmeno Carte Blanche è il nuovo Illmatic, ma rispetto al precdente una cosa spicca su tutte: la bontà delle produzioni, affidate al nec plus ultra dei maggiori fautori del sempre meraviglioso suono di Detroit. I beat di J Dilla, Young RJ, Black Milk e Nick Speed costituiscono le fondamenta del disco, con Phat Kat come principale inquilino ed occasionalmente aiutato al microfono da ospiti di stretta cittadinanza detroitiana: Slum Village (sparsi qua e là), Guilty Simpson, Melanie Rutherford e Fat Ray.
Il risultato è la somma delle due parti? No. Phat Kat ha uno stile privo di fronzoli, piuttosto aggressivo, contraddistinto da una metrica classica ed una voce abbastanza bassa (oltrechè purtroppo da un vocabolario non esattamente vasto), e quando questa è supportata dal giusto beat le cose filano che è un piacere: Nasty Ain't It, My Old Label, Cold Steel e Nightmare sono in diversa misura dei pezzi da urlo (¾ prodotti da Dilla, che qui da il suo meglio); al contrario, non appena il beat cala d'intensità, lo spiazzamento è grande -senza contare poi che i racconti delle sue presunte imprese sessuali si collocano tra le cose da überfreak di Big Pun e l'attitudine di Common, non una bella cosa insomma. Fortunatamente, le cadute di stile sono poche e comunque glissabili; con “sole” 14 tracce l'ascolto fila via che è un piacere e si può trovare comunque abbastanza varietà tra un pezzo e l'altro per far sì che Carte Blanche risulti più che longevo. Lungi dall'essere un album perfetto, quindi, ma senz'altro una delle mie scelte dell'anno appena chiusosi.

Phat Kat - Carte Blanche
VIDEO: COLD STEEL (w/ Elzhi)
Sia detto che nemmeno Carte Blanche è il nuovo Illmatic, ma rispetto al precdente una cosa spicca su tutte: la bontà delle produzioni, affidate al nec plus ultra dei maggiori fautori del sempre meraviglioso suono di Detroit. I beat di J Dilla, Young RJ, Black Milk e Nick Speed costituiscono le fondamenta del disco, con Phat Kat come principale inquilino ed occasionalmente aiutato al microfono da ospiti di stretta cittadinanza detroitiana: Slum Village (sparsi qua e là), Guilty Simpson, Melanie Rutherford e Fat Ray.
Il risultato è la somma delle due parti? No. Phat Kat ha uno stile privo di fronzoli, piuttosto aggressivo, contraddistinto da una metrica classica ed una voce abbastanza bassa (oltrechè purtroppo da un vocabolario non esattamente vasto), e quando questa è supportata dal giusto beat le cose filano che è un piacere: Nasty Ain't It, My Old Label, Cold Steel e Nightmare sono in diversa misura dei pezzi da urlo (¾ prodotti da Dilla, che qui da il suo meglio); al contrario, non appena il beat cala d'intensità, lo spiazzamento è grande -senza contare poi che i racconti delle sue presunte imprese sessuali si collocano tra le cose da überfreak di Big Pun e l'attitudine di Common, non una bella cosa insomma. Fortunatamente, le cadute di stile sono poche e comunque glissabili; con “sole” 14 tracce l'ascolto fila via che è un piacere e si può trovare comunque abbastanza varietà tra un pezzo e l'altro per far sì che Carte Blanche risulti più che longevo. Lungi dall'essere un album perfetto, quindi, ma senz'altro una delle mie scelte dell'anno appena chiusosi.

Phat Kat - Carte Blanche
VIDEO: COLD STEEL (w/ Elzhi)