
Nulla di male, in teoria, se non che questo HTWWO rischia ora di essere dimenticato mentre gli esegeti del bècchindedèis glorificano oltre ogni limite di ragionevolezza dischi in nessun modo reputabili come superiori. E qui entro in gioco io, seduto alla scrivania di casa pezzato come un muflone dopo aver fatto le pulizie domestiche [no homo], con in mente solo una cosa: riportare in auge un disco con due coglioni così.
Come già detto, al microfono abbiamo Planet Asia e Rasco: più agile nella metrica il primo, più contenutisticamente focalizzato il secondo; radicalmente diversi anche nelle voci, i due si complementano egregiamente nella maggioranza dei pezzi e negli scambi di microfono più rapidi si può notare un affiatamento certamente non figlio della casualità. A fornire il tappeto sonoro, invece, si trovano in maggioranza i Molemen -all'epoca decisamente più ispirati di oggi- ed una serie di "comprimari" come un esordiente (e rispetto ad oggi irriconoscibile) Madlib, Paul Nice, M-Boogie ed altri sconosciutoni che forse nominerò più avanti. Il sound nel complesso è smaccatamente derivativo, con in generale la costa atlantica come punto di riferimento (d'altronde i Molemen sono di Chicago); più nello specifico, a far da padrona è l'atmosfera da minimalismo underground con annessi e connessi quali loop di piano, bassi corposi e batterie secche e fondate pressochè unicamente su cassa, rullante e charleston. Curiosamente, quindi, benchè i due provengano da Fresno e San Francisco, sia come rime che come beat pare di avere tra le mani più un prodotto di Brooklyn che non uno californiano. Scordatevi atmosfere rilassate e solari perchè qui non ne troverete, l'unica cosa che identifica i due come abitanti della costa pacifica è l'accento.
La cosa è chiara fin dall'incipit: una serie di colpi ai timpani vengono assestati in breve sequenza dalla title track (vaghe reminescenze dei primi Dilated, se posso dire), la sobria e semplicemente fantastica Cali Agents Anthem ed infine la premierana nonché essenziale -ci si limita a basso e batteria- Crash The Boards. Titoli e beat a parte, le diversità tra queste tre tracce non sussistono: sia Asia che Rasco si scagliano contro gli scarsi e contro gli abbaioni, vantandosi al contempo della loro capacità di essere bravi e di saper far soldi senza doversi svendere: un approccio che farebbe inorridire il 90% degli ascoltatori di musica esterna al rap ma, dopotutto, non sono certo loro i destinatari di un disco come questo. Le solite paraculate tipo "è un disco per tutti" qui non trovano alloggio, e traccia dopo traccia, beat dopo beat non si può che esserne felici.
Con come unica eccezione l'urènda Real Talk (ahimè l'ennesimo tentativo di far roba da club, quando mai i reppusi underground impareranno?) non è possibile trovare un beat, dico uno, che sia fiacco. Pur con diverse sfumature, rientrano tutti nella categoria delle chicche e, per quanto alcuni possano risultare oggi un po' datati o scontati (On The Hustle, Up Close And Personal, Neva Forget) principalmente per via del tipo di campioni e dei relativi tagli, di sicuro non danneggiano l'ascolto in repeat dell'insieme. Anzi: con piccoli capolavori come Cali Agents Anthem, The Good Life, Talking Smack e Fuck What You Heard sparsi strategicamente lungo i sessanta minuti e quindici secondi di durata dell'opera, faccio fatica a vedere deluso chiunque abbia saputo apprezzare un Illmatic o un Moment Of Truth. Con piccoli ma costanti richiami a mood provati in dischi della seconda Golden Era, il lavoro svolto al campionatore dai vari protagonisti finisce col creare uno degli insieme più convincenti che mi sia stato dato di sentire negli ultimi dieci anni.
Stessa cosa si può dire per quel che riguarda le prestazioni dei due: Rasco non sarà certamente un mostro della metrica, ma grazie alla sua voce e a liriche ben scritte questa sua legnosità viene vivaddio diluita quel tanto che basta per renderlo apprezzabile e per non danneggiare gli sforzi del compare. Un Planet Asia quà in evidente stato di grazia e che, forse per l'unica volta nella sua carriera, riesce a far funzionare la sua caratteristica incapacità di dire qualcosa di contenutisticamente significativo pressoché sempre. Complici anche i beat, alcune sue uscite lasciano letteralmente a bocca aperta e sono potenzialmente capaci, ancora oggi, di far spendere ad un cristiano dei soldi per i suoi mediocri album solisti. E questo giusto nella speranza di poter rivivivere momenti come questo: "Ayyo we first class - Vergin' splurgin' mergin' with professionals/ Soul food fanatics all be strung out on my vegetables/ Mic merchants meditate on it 'til it's visual/ To what I believe in even if the situation's critical". Ok, non dice un cazzo: ma sentite come non dice un cazzo; come riesce ad aggirare la rigidità del 4/4, come gira attorno al beat anzichè remprimerlo come fa il suo compare... Scusatemi, ma quando sento certe cose non posso fare a meno d'infuocarmi come quando avevo quindici anni.
Nuovamente, il mio istinto sarebbe di dare quattro e mezzo ad uno dei pochi dischi underground dell'epoca che riesce a suonare fresco ancor'oggi. Purtroppo ci sono cose come l'oggettività eccetera eccetera che m'impongono di toglierli quel mezzo zainetto da "perfezione", ma non per questo dovete pensare anche per un solo secondo di lasciarvelo sfuggire. Tra le cose migliori prodotte dalla California negli ultimi dieci anni, non ci piove, e capace di pisciare in testa a (lo dico per pura e gratuita vis polemica) al tanto lodato Quality Control come e quando vuole.

Cali Agents - How The West Was One
VIDEO: THE GOOD LIFE
Come già detto, al microfono abbiamo Planet Asia e Rasco: più agile nella metrica il primo, più contenutisticamente focalizzato il secondo; radicalmente diversi anche nelle voci, i due si complementano egregiamente nella maggioranza dei pezzi e negli scambi di microfono più rapidi si può notare un affiatamento certamente non figlio della casualità. A fornire il tappeto sonoro, invece, si trovano in maggioranza i Molemen -all'epoca decisamente più ispirati di oggi- ed una serie di "comprimari" come un esordiente (e rispetto ad oggi irriconoscibile) Madlib, Paul Nice, M-Boogie ed altri sconosciutoni che forse nominerò più avanti. Il sound nel complesso è smaccatamente derivativo, con in generale la costa atlantica come punto di riferimento (d'altronde i Molemen sono di Chicago); più nello specifico, a far da padrona è l'atmosfera da minimalismo underground con annessi e connessi quali loop di piano, bassi corposi e batterie secche e fondate pressochè unicamente su cassa, rullante e charleston. Curiosamente, quindi, benchè i due provengano da Fresno e San Francisco, sia come rime che come beat pare di avere tra le mani più un prodotto di Brooklyn che non uno californiano. Scordatevi atmosfere rilassate e solari perchè qui non ne troverete, l'unica cosa che identifica i due come abitanti della costa pacifica è l'accento.
La cosa è chiara fin dall'incipit: una serie di colpi ai timpani vengono assestati in breve sequenza dalla title track (vaghe reminescenze dei primi Dilated, se posso dire), la sobria e semplicemente fantastica Cali Agents Anthem ed infine la premierana nonché essenziale -ci si limita a basso e batteria- Crash The Boards. Titoli e beat a parte, le diversità tra queste tre tracce non sussistono: sia Asia che Rasco si scagliano contro gli scarsi e contro gli abbaioni, vantandosi al contempo della loro capacità di essere bravi e di saper far soldi senza doversi svendere: un approccio che farebbe inorridire il 90% degli ascoltatori di musica esterna al rap ma, dopotutto, non sono certo loro i destinatari di un disco come questo. Le solite paraculate tipo "è un disco per tutti" qui non trovano alloggio, e traccia dopo traccia, beat dopo beat non si può che esserne felici.
Con come unica eccezione l'urènda Real Talk (ahimè l'ennesimo tentativo di far roba da club, quando mai i reppusi underground impareranno?) non è possibile trovare un beat, dico uno, che sia fiacco. Pur con diverse sfumature, rientrano tutti nella categoria delle chicche e, per quanto alcuni possano risultare oggi un po' datati o scontati (On The Hustle, Up Close And Personal, Neva Forget) principalmente per via del tipo di campioni e dei relativi tagli, di sicuro non danneggiano l'ascolto in repeat dell'insieme. Anzi: con piccoli capolavori come Cali Agents Anthem, The Good Life, Talking Smack e Fuck What You Heard sparsi strategicamente lungo i sessanta minuti e quindici secondi di durata dell'opera, faccio fatica a vedere deluso chiunque abbia saputo apprezzare un Illmatic o un Moment Of Truth. Con piccoli ma costanti richiami a mood provati in dischi della seconda Golden Era, il lavoro svolto al campionatore dai vari protagonisti finisce col creare uno degli insieme più convincenti che mi sia stato dato di sentire negli ultimi dieci anni.
Stessa cosa si può dire per quel che riguarda le prestazioni dei due: Rasco non sarà certamente un mostro della metrica, ma grazie alla sua voce e a liriche ben scritte questa sua legnosità viene vivaddio diluita quel tanto che basta per renderlo apprezzabile e per non danneggiare gli sforzi del compare. Un Planet Asia quà in evidente stato di grazia e che, forse per l'unica volta nella sua carriera, riesce a far funzionare la sua caratteristica incapacità di dire qualcosa di contenutisticamente significativo pressoché sempre. Complici anche i beat, alcune sue uscite lasciano letteralmente a bocca aperta e sono potenzialmente capaci, ancora oggi, di far spendere ad un cristiano dei soldi per i suoi mediocri album solisti. E questo giusto nella speranza di poter rivivivere momenti come questo: "Ayyo we first class - Vergin' splurgin' mergin' with professionals/ Soul food fanatics all be strung out on my vegetables/ Mic merchants meditate on it 'til it's visual/ To what I believe in even if the situation's critical". Ok, non dice un cazzo: ma sentite come non dice un cazzo; come riesce ad aggirare la rigidità del 4/4, come gira attorno al beat anzichè remprimerlo come fa il suo compare... Scusatemi, ma quando sento certe cose non posso fare a meno d'infuocarmi come quando avevo quindici anni.
Nuovamente, il mio istinto sarebbe di dare quattro e mezzo ad uno dei pochi dischi underground dell'epoca che riesce a suonare fresco ancor'oggi. Purtroppo ci sono cose come l'oggettività eccetera eccetera che m'impongono di toglierli quel mezzo zainetto da "perfezione", ma non per questo dovete pensare anche per un solo secondo di lasciarvelo sfuggire. Tra le cose migliori prodotte dalla California negli ultimi dieci anni, non ci piove, e capace di pisciare in testa a (lo dico per pura e gratuita vis polemica) al tanto lodato Quality Control come e quando vuole.

Cali Agents - How The West Was One
VIDEO: THE GOOD LIFE