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venerdì 4 settembre 2009

DJ HONDA - HII (Relativity, 1998)

Siccome da un lato ho ricevuto apprezzamenti per il bècchindedeis fatto nell'ultimo periodo, e dall'altro ho recentemente scritto di Honda e Problemz, la mattutina scelta del disco da recensire nel corso della giornata è stata di una semplicità adamantina: uno dei solisti di Honda, ovvio. Quale, però? Il terzo è escluso, non possedendolo, mentre il primo ha sì i suoi momenti ma per molti versi oggi mi pare un po' acerbo; scelta semplice anche in questo caso, allora, e così andiamo di HII, che non solo è l'opera del diggèi nipponico più conosciuta ma indubbiamente la migliore.
Pubblicato sul finire di quella che molti -me incluso- reputano la seconda età dell'oro del rap americano, HII è interessante, oltre che dal punto di vista strettamente musicale, perchè a posteriori si può vedere come esso fotografi per certi versi il mutamento che stava avvenendo nella scena in termini di estrazione artistica. Provo a spiegarmi meglio: pur non potendosi definire una regola dal rigore matematico, verso la fine dello scorso millennio il percorso tipico dell'artista reppone veniva costretto ad una mutazione dettata dallo spropositato allargamento del mercato di quegli anni. Dove un tempo cominciavi come sconosciuto e se eri valido passavi ad un certo grado di notorietà senza dover per forza cambiare il tuo stile, a partire dal '95 in poi questa evoluzione non era più così automatica. Poteva infatti benissimo essere un campione al microfono, ma questo non ti garantiva assolutamente un posto nella top ten di Billboard. E se andiamo a scorgere i nomi presenti nella scaletta di quest'album possiamo renderci conto che in molti casi il sopracitato percorso abbia visto una sua conferma pratica. A fianco infatti di nomi affermati e che all'epoca non venivano considerati underground -i Beatnuts, i De La, KRS One, Keith Murray ecc.- ce ne sono altri che, pur avendo tutte le carte in regola per avere successo (in un mercato dalle dinamiche dei primi anni '90), nel nuovo scenario non avrebbero avuto questa fortuna: A.L., i Rawcotiks, No I.D., Problemz e, in minor misura Mos Def, sono i primi nomi a risaltare anche perchè in buona parte provenienti dagli ambienti della Lyricist Lounge. Certo, va detto che molti di questi hanno anche difettato di prolificità e di costanza (e altri come tali Syndicate, S-On o Dug Infinite semplicemente difettavano di talento), ma con l'orecchio e le conoscenze di allora mi sarei aspettato un maggior ritorno d'immagine dopo le capacità dimostrate in alcuni di questi pezzi.
Alla luce di queste considerazioni direi che a Mos Def tutto sommato è andata pure relativamente bene; credo che il successo ottenuto da Travellin' Man abbia contribuito enormemente ad accrescere la sua reputazione e la sua fama e, per una volta tanto, i motivi sono tangibili. La canzone è infatti uno dei momenti più alti di HII, sia dal punto di vista del beat che dell'emceeing. Il primo è infatti al contempo accessibile e di classe, con campioni effettati di flauto e organo elettrico che s'appoggiano su batterie pulite ed una linea di basso bella spessa, mentre il secondo è a dir poco impeccabile sia nella costruzione che nell'esecuzione. Aggiungiamoci anche un cantato di Mos, che all'epoca non potevamo sospettare delle atrocità fatte su The New Danger, ed ecco che così ci viene confezionato l'archetipo del singolo commerciabile e di qualità. Chapeau.
Al lato opposto dello spettro vediamo invece dei buoni esempi di hardcore melodico -se la cosa può aver senso- ugualmente di classe ma certamente meno foriero di successo; ma questo è irrilevante per i nostri fini di ascoltatori, che consistono semplicemente di godere di buona musica, e da quest'ottica Around The Clock di Problemz non presenta problemi. Con un campione fusion in odore di Gary Burton il beat non può che vincere, e se poi alle consuetamente ottime strofe di Prob aggiungiamo un ritornello scratchato contenente nientemeno che una barra tratta da Liquid Swords, ecco che abbiamo un'altra chicca di cui tenere conto. Serve altro? E allora gustatevi l'ibridazione tra i campioni di Did You Hear What They Said di Gil Scott-Heron e la classica Street Life di Randy Crawford, con quest'ultima che da il titolo alla canzone dei Rawcotiks, e godete in silenzio: pur trattandosi sempre della solita pappardella sulle miserie della vita nel ghetto c'è da dire che a fianco di una performance più che buona dei Nostri avere a disposizione un beat così atmosferico non può che aiutare.
E mentre un po' più in basso nella scala qualitativa collocherei la tautologicamente intitolata When You Hot You Hot aka Stigrancazzi, che vede un emceeing accettabile sorretto efficacemente da un beat decisamente più allegro della media (pur ricordando la discomusic sbirluccicosa da Febbre Del Sabato Sera), a far salire nuovamente il livello ci pensano a questo punto i veterani. Tra di essi svettano i De La Soul e la loro Trouble In The Water, impeccabile sotto ogni punto di vista e piacevolmente distante dal loro sound di quegli anni in termini di beat (Gary Burton pure qui), così come i sempre affidabili Beatnuts che, pur non regalandoci una seconda Do You Believe, con Who The Trifest aggiungono un'altra solida pietra nella loro discografia. A deludere un po' sono invece la traccia con KRS One e tal Doe-V (che altri non è che Truck Turner, autore di tre pezzi carini negli anni successivi), insipida sotto ogni punto di vista eccetto che per le due strofe del Blastmaster, e Hai!, in cui Keith Murray viene affiancato da uno dei suoi portaborse con risultati analogamente "meh". Sospendo il giudizio per la posse cut On The Mic, che da giovine mi piaceva assai ma che adesso reputo un po' kitsch nei suoni e mal assortita in termini di featuring (Cuban Link e Problemz esclusi, gli altri sembrano rappare su un altro beat).
Ecco: il maggior problema di HII è forse un'eccessiva abbondanza di canzoni "carine", cioè istantaneamente trascurabili. Per un motivo o per l'altro, infatti, a parte le due tracce sopracitate, ve ne sono altre che francamente lasciano il tempo che trovano e che, specie nel caso dei pezzi con Black Attack, riescono financo ad annoiare. E se questo va ad aggiungersi ad un pezzo genuinamente orribile come Every Now & Then e ai troppi skit (cinque) sparsi per l'album, ecco che un disco potenzialmente ottimo perde parecchia della sua ascoltabilità "in sequenza".
Questo significa che abbiamo di fronte un disco in odore di mediocrità? No, ovviamente no: come s'è visto, i pezzoni da 90 non mancano e buona parte di ciò che rimane è tutto fuorchè malvagio. Ma se vi fosse stata una maggior selezione tra ciò che andava incluso e ciò che sarebbe stato meglio utilizzare come b-side, con una conseguente riduzione della lunghezza e perciò dei tempi morti, allora ci troveremmo tra le mani un'opera imprescindibile. Così com'è, invece, merita "solo" un acquisto convinto.





DJ Honda - HII

VIDEO: TRAVELLIN' MAN

giovedì 3 settembre 2009

DJ HONDA & PROBLEMZ - ALL KILLA NO FILLA (DJ Honda Recordings, 2009)

All Killa No Filla è stato per me un parto doppio: sia perchè è dai tempi del primo Lyricist Lounge (dove Problemz furoreggiava in Society) che aspettavo un esordio solista di questo straordinario MC di Brooklyn, sia perchè nel momento in cui ciò è avvenuto mi sono dovuto districare tra pagine web in giapponese e continui problemi di consegna, che non solo mi hanno fatto sgambettare per portinerie ma mi hanno fatto passare momenti d'estasi al numero verde della FedEx. Ma ora ci sono, finalmente ci sono: il travaglio è stato lungo ma posso finalmente presentarvi il disco che fino ad ora reputo quanto di meglio sia uscito nel 2009 e che dubito potrà essere sorpassato da altri che non Cuban Linx II o Cormega -sempre che quest'ultimo esca.
Come avete potuto facilmente intuire da queste righe poche righe introduttive, non sono esattamente la persona più obiettiva quando si tratta di parlare di Problemz, ma cosa vi devo dire? Ogni sua strofa mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta, ogni sua cameo ha fatto a pezzi il padrone di casa e lui è fondamentalmente l'unico elemento che salva dall'incenerimento e dalla scomunica quel aborto di disco dei Big City uscito un paio d'anni fa. Aggiungiamoci anche il fatto che stavolta s'è scelto un produttore coi controcoglioni e che ho sempre amato -anche lui ha giocato un ruolo non indifferente nel salvare in extremis le prestazioni non eccelse di Parrish Smith- ed ecco che risulta facile capire il motivo per cui All Killa No Filla è per me una sorta di wet dream divenuto realtà.
Una realtà, questa, che s'apre sotto i migliori auspici: dopo una breve introduzione ecco che Da Payback stabilisce quale sarà l'aria che tirerà nei successivi tredici pezzi, ovverosia boombap classico privo di facili nostalgismi accompagnato da rap fatto per il gusto di rappare. Il piglio epico di questo pezzo potrebbe teoricamente sovrastare lo stile di Problemz, che è estremamente pacato nell'esposizione, ma la sua profonda voce baritonale compensa ampiamente l'assemblaggio di violini e tamburi concepito dal produttore giapponese. Sulla stessa falsariga di Payback è la successiva Neva Had, ma per quanto l'ispirazione sia simile si nota comunque una vena un po' più dimessa e "meno da Ben Hur", non so se mi spiego; in altre parole, pur conservando una certa solennità, Neva Had è meno roboante e si distacca così da quell'impostazione classica che hanno i pezzi di questo genere (vedi ad esempio le intro dei dischi di Jay-Z d'inizio millennio).
Una scelta, questa di abbassare i toni, perfetta anche nell'ottica della scaletta complessiva; infatti, con Give It Up si passa ad atmosfere decisamente più minimaliste e ruvide. Qui a dettar legge sono basso, batteria e poche note di piano accompagnate da un occasionale flauto, salvo nel ritornello in cui intervengono anche dei fiati. L'estrazione del campione pare essere il funk, ma contrariamente a quanto si sarebbe portati ad immaginare il risultato finale è tutt'altro che funkeggiante ed anzi fa sì che Give It Up si classifichi tra i pezzi più cupi, oltre che più belli, di AKNK. Del resto sono proprio i beat minimalisti quelli in cui il talento di Problemz risalta maggiormente; la sua metrica assolutamente originale, combinata ad una voce da quello che s'è magnato le palle der leone, crea momenti in cui anche se concettualmente siamo sullo zero lo stile trasuda da ogni sillaba: "May I please have your attention, undivided no division/ There's a demand for the supply I'm givin/ Distributin' rivetin' paragraphs, words pivoting/ And tremblin' contributin' to a non-stop listening/ Pleasure is my pleasure supply you with any measure/ Any weather any clever down for whatever, the cheddar/ However, by any means, I choose to serve many fiends/ I get it poppin' like [?] and [?] with 'em/ Paragraphs are oxygen -aaah- a breath of fresh air/ A solution to the pollution you usually hear/ In conclusion I leave 'em rootin' and givin' cheers/ On the contraire, you leave 'em booin' and tossin' beers".
Come vedete non dice assolutamente nulla, ma perdio quanto lo fa bene. Tutta, dalla voce alla metrica alla tecnica più pura (pause, adlib, doppie voci in sottofondo ecc.), combacia perfettamente e restituisce un MC che credo nessun aficionado del rap possa ignorare. Persino quando Prob decide di lasciare il tema libero per concentrarsi su argomenti meglio definiti i risultati sono tecnicamente eccelsi; e perciò sia la doppia ode, alla sua città (NY/NY) e al suo quartiere (BKLYN), funziona benissimo così come anche i pezzi in cui decide da un lato di omaggiare l'hip hop (Crookz) e dall'altro di criticarne gli aspetti più desolanti (Boycott The Game). Insomma: la sua passione nei confronti di questo mondo si manifesta sia nella pratica e nell'impegno che ci mette, sia nella "teoria"; perchè se Crookz forse non brilla per originalità, Boycott The Game risulta molto sentita e questo si sente.
Ma tornando a Honda, che dirne? In breve, si può definire il suo lavoro in All Killa No Filla atmosferico e cupo, non particolarmente originale (ma i guizzi di genio ci sono) ma più che adeguato. Certo, questa pesantezza un po' potrebbe risultare indigesta a chi non è completamente aperto a questo sottogenere, ma il rovescio della medaglia è che finalmente ci ritroviamo un disco vero e proprio, e non una di quelle classiche paraculate del tipo "it's an album for everyone". L'identità impressa dal produttore nipponico va a braccetto con quella di Prob, e difatti si verifica un'alchimia assai rara tra i due e che in certi episodi si concretizza in autentiche perle del genere: Give It Up, NY/NY, BKLYN, Puff Puff & B Out (l'ultimo minuto e mezzo è da stracciarsi le vesti), P Rated R e Boycott The Game sono semplicemente strepitose.
Facciamo quindi i conti: tredici tracce effettive di cui sei sono da applausi a scena aperta e le restanti sette sono molto belle (anche se Stack Billz è l'unica tra tutte a non convincermi appieno), un produttore bravo ed un MC di straordinaria bravura, meno di quaranta minuti di musica... Sì, il duo è stato fedele alla promessa insita nel titolo. Per ora è l'album dell'anno, non ci sono discussioni; occhio però a comprarlo dal Japone perchè rischiate di dover pagare dazi doganali folli (18,12€). Il mio consiglio è di ascoltarlo e digerirlo per benino, come ho fatto io per mesi, e dopo decidere se lasciar giù qualcosa come 50 e rotti sacchi. Io non me ne pento.





DJ Honda & Problemz - All Killa No Filla

VIDEO: ALL KILLA NO FILLA PROMO

CAZZO NON CI SPERAVO PIU'

Arrivato. L'ho pagato uno sproposito ma finalmente è arrivato. A dopo per la recensione.