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martedì 19 gennaio 2010

INFAMOUS MOBB - REALITY RAP (Sure Shot/IM3 Records, 2007)

Come molti di voi ormai sapranno, ieri è morto Prince AD aka Killa Sha, un veterano del Queensbridge che dopo una partenza in sordina negli ultimi anni s'era fatto notare soprattutto grazie ad un ottimo LP quale era il suo God Walk On Water. Ora, siccome quel disco l'ho già recensito non posso esibirmi in grandi tributi alla sua memoria, perciò tanto vale tuffarsi su altro: e quale miglior pretesto per parlare del capitolo conclusivo della Trilogia del Cinghiale, ovverosia il terzo ed ultimo album firmato (probabilmente con una X) dagli Infamous Mobb? Reality Rap -i cultori del trio in questione lo sapranno- sarebbe dovuto uscire nel 2004 o comunque non più tardi del 2005; tuttavia, una serie di lungaggini burocratiche legate alla distribuzione hanno comportato un cospicuo ritardo e perciò si è potuto ascoltare quest'opera tanto attesa solo nel 2007, forse fuori tempo massimo, visto che il successo di vendite è stato pressoché nullo.
Ad ogni modo, quest'attesa è stata una vera tortura per chi, come me, guardando il DVD allegato a Blood Thicker Than Water s'era imbattuto nell'anticipazione di Bloah (ora «Blauu!», sempre peggio) e aveva cominciato a salivare come in base ad un riflesso pavloviano. In effetti, questa canzone ha saputo riportarmi emotivamente ai miei sedici anni, cioè quando sentivo un pezzo e mi piaceva al punto da farmi smaniare come un posseduto per averlo: e qui la cosa si è ripetuta. Sarà il campione tagliato di Love Over Gold dei Dire Straits (il vantaggio di essere un bianco trentenne è che 'sti sample li becchi al volo), che conferisce un taglio enormemente melancolico al tutto, saranno le batterie relativamente semplici oppure, ancora, sarà l'approccio senza fronzoli dei tre: fatto sta che Bloah non solo si colloca tra le tre migliori canzoni dei Im3, ma tra quelle migliori del 2007 (e per quel che mi riguarda del decennio, ma mi rendo conto di essere esagerato e di meritare gli insulti che verranno nei commenti). Per carità: il testo è sempre la solita roba ghettusa e visceralmente ignorante, ma mi parrebbe scorretto pretendere altro da un gruppo che ha fatto dell'estremizzazione rozza del connubio fica-soldi-hoodness la propria cifra stilistica.
E difatti anche qui, come nelle loro opere precedenti, avremo a che fare con questi profondi temi la cui unica rilevanza sarà data dal modo in cui ci vengono esposti. E stavolta qualche novità dal punto di vista dell'emceeing c'è, e consiste molto semplicemente in questo: sia Twin che Knitty sembrano migliorati dal punto di vista della tecnica. Non ci credete? Ascoltatevi le loro tracce soliste (in Reality Rap ogni membro ne ha una) e ditemi se Gambo nella sua Closer quasi non riesce a far scordare la mediocre produzione di Sid Roams, così come Knitty alla fin fine riesce addirittura a suonare competente sul bel beat di Get It Poppin' e quindi a valorizzarlo una minima. Certo, che sia ben chiara una cosa: i due restano delle capre e alla fine G.O.D. resta ancora l'unico tra i tre dotato di un minimo di spessore lirico; però devo dire che non dispiace notare un minimo di crescita sia da parte di chi potrebbe farne a meno per altri motivi (Gambino), che da chi invece ne aveva un bisogno enorme (Knitty). E con questo chiudo l'apologia dei Mobb.
Ebbene, attestato che le tematiche sempre quelle sono e che i tre alla fine sono un po' migliorati, sia presi singolarmente che nel complesso, veniamo ora ad occuparci delle basi. Anche stavolta queste si rivelano essere le naturali fondamenta dell'album e per l'occasione si possono notare un paio di novità. I nomi sembrano innanzitutto essere più noti/importanti -sempre in termini relativi- rispetto al passato, e così stavolta possiamo beccarci un po' più di Alchemist, diverso materiale dei Sid Roams, più qualche contributo sparso di Evidence, Erick Sermon (!?), Chaze dei parigini Grim Team ed il già "apprezzato" Steve Sola. Ora, il fatto di avere nomi relativamente più noti non significa automaticamente un incremento della qualità, però devo dire che rispetto a Blood Thicker Than Water quest'opera ha il pregio di suonare un po' più varia: si esplora infatti sia la tipica cupezza del QB con Bloah, Who Can U Trust o la übercafona It's A Gift (con Sola che campiona la il tema principale di Bourne Identity), sia i pestoni nuiorchesi contemporanei che si rifanno al passato (Capitol Q, That Smell, Reality Rap, Hustle Hard), sia un certo sound un po' cafunciello ma sempre e rigorosamente orientato all'universo del cosiddetto street rap. In tal senso, quindi, Reality Rap sembrerebbe sorpassare i predecessori e potrebbe risultare financo "maturo".
Purtroppo, però, non tutto è rose e fiori: infatti, quello che poteva essere un canto del cigno si rivela invece essere semplicemente un disco passabile, sempre ammettendo che siate fan degli Im3 e siate quindi disposti a tollerare le loro lacune. Ma prima di sparare ad alzo zero, vediamo cosa c'è di buono: beh, innanzitutto Bloah, che è evidentemente il pezzo trainante dell'album, seguita a ruota dall'ottima Reality Rap, in cui un Alchemist d'annata si dà da fare tagliando campioni soul ed inserendovi cut come da tempo non faceva. Ottimo anche l'altro suo contributo, Hustle Hard, che risulta ruvida e martellante al punto giusto. Dal canto loro si difendono bene pure EBlaze e la sua energica Capitol Q, la triviale ma efficace It's A Gift (ma il merito è del compositore John Powell più che del pigrissimo Sòla) e Get it Poppin' e Streetz Of NY -ambedue di Sid Roams.
Tuttavia, a fianco di queste ci sono tutta una serie di smagliature che alla fine rovinano non di poco la fruizione del disco nel suo complesso, prima fra tutte la genericità. Vale a dire che a fronte di una maggiore varietà in quest'occasione dobbiamo sucarci beat privi d'anima (e mordente!) come quello di Borderline o quello di We Here (decisamente, gli ACD han fatto una cosa valida in vita loro, e quella è stata Street Life. Poi, il nulla), che potrebbero andar bene per tutti e per nessuno. Poi, anche stavolta c'è una lunghezza eccessiva (diciotto tracce, maddài...) e, soprattutto, anche a questo giro dobbiamo sopportare gli ospiti pacco: Erick Sermon come rapper non solo è trascurabile ma coi Mobb non c'entra nulla, Alchemist non sa rappare, V-12 e Chinky sono l'antitesi del canto e Flame Killer -che si può sentire nel singolo!- è una mezza chiavica. A questi nomi, insomma, l'onore di rovinare qualsiasi traccia sulla quale appaiano -sempre che non ci pensi qualcun altro. E questo qualcun altro può essere il produttore (Sid Roams con Closer), l'MC (Knitty su 4/20 e non solo) oppure entrambi (il pessimo doppio tempo di G.O.D. sull'assordante That Smell). Insomma, per dirla brutalmente, pure stavolta i Nostri potevano e dovevano scremare un po': sia quantitativamente che qualitativamente.
Ma in fondo li si può perdonare... Credo che il malinteso possa esservi stato quando all'uscita di Special Edition si pensò che loro fossero un gruppo dotato di qualche particolare marcia in più, mentre in realtà sono dei grezzoni che generalmente fanno rap grezzo nel modo più grezzo possibile. E, accettata questa sorta di «visione artistica», uno si mette il cuore in pace riuscendo pure a godersi le canzoni belle da loro fatte; tuttavia non si riesce a scacciare il pensiero che se si fossero limitati ad un solo disco con il materiale più potente sarebbe forse stato meglio... ma del resto i greatest hits esistono anche per questo, per cui tra non molto provate a ripassare da queste parti. Intanto, a Reality Rap do un tre pieno e che non se ne parli più.





Infamous Mobb - Reality Rap

VIDEO: BETTI BYE BYE

lunedì 11 gennaio 2010

INFAMOUS MOBB - BLOOD THICKER THAN WATER (IM3 Records, 2004)

Visto che venerdì vi ho scritto di Infamous, ancora ieri sera m'è venuto in mente che per questioni di completezza filologica -oltreché di ricerca di emozioni forti- sarebbe stato delittuoso non battere il ferro finché è caldo e dunque scrivere qualcosa sui da me tanto amati Infamous Mobb. Il trio composto da G.O.D. Pt. III (che è come se io mi facessi chiamare «Amarcord» o «Miracolo A Milano», se ci pensate), Ty Knitty ed il divino Twin Gambino, evidentemente non appagato dal successo di Special Edition, non si è addormentato sugli allori e a distanza di soli due anni dall'episodio precedente ha dato alle stampe un sequel del loro ottimo debutto, corredandolo peraltro di un DVD autocelebrativo contenente video "ufficiali", interviste e amenità varie. Imperdibile!
Ma volendo lasciar da parte l'aspetto cinematografico di Blood Thicker Than Water, impossibile da descrivere a parole nel suo essere così ghettusamente oltre, vediamo di fare il punto della situazione: nel primo capitolo della Trilogia del Cinghiale avevamo lasciato i tre nella sporcizia e nel degrado del Queensbridge, loro quartiere d'origine, mentre si trovavano a combattere un'eterna battaglia contro la polizia, i rapper parrucconi, le fake hoe$ e gli onnipresenti playa-hatin bitch-azz nigguz. Una battaglia senza esclusione di colpi in cui il trio non faceva ostaggi, e a suon di banconote, droga e rime AABB i nostri cercavano di emergere dallo squallore in cui le circostanze li avevano fatti precipitare. Ora, nel secondo capitolo, cos'è cambiato?
Assolutamente nulla, e difatti la loro lotta si presenta dura come non mai; ma loro, mai domi, si dimostrano pronti ad affrontare qualsiasi avversità e, a partire dalla copertina (in cui si vede G.O.D. accendersi un sigaro con delle banconote da 100$, roba che nemmeno Rockerduck), decidono di mettere in campo tutto il loro arsenale. Il singolo Empty Out (Reload, che fa parte del titolo a mo' di suggerimento) ne è l'esempio migliore: su un bel loop di archi sottolineato da batterie quadrate volte esclusivamente ad accentuarne la potenza ed a conferire un tiro ben serrato al tutto, G.O.D., Ty Knitty e l'ospite nonché mentore Prodigy si lasciano andare a quel che sanno fare meglio: scagliare minacciose invettive contro chiunque si frapponga tra di essi e le loro ambizioni, il tutto ribadito da numerosi effetti di arma da fuoco nel ritornello. Direi che non si potrebbe chiedere di più: il beat di Masberg picchia, gli MC fanno il loro dovere ed alla fine l'unica cosa che spiace è che Gambino sia relegato al solo ritornello. Ma per gli orfani del Sandro Ciotti del QB c'è molto altro materiale: Greenback, per esempio, oltre a godere di un'altra cartella di Masberg (stavolta incentrata su un giro di piano che renderebbe orgoglioso l'Havoc dei tempi d'oro) vede i tre avvicendarsi al microfono e, come prevedibile, è Twin a rubare la scena grazie ad entrate come "You can jump, we can thump, dunn, whatever you want/ You don't want me to send Alamo out with the pump/ He a young ass kid and he ready to ride/ Don't even look this way 'fore I punch you in your eye". Analogamente, più avanti nel disco c'imbattiamo nell'ottima U Know The Ratio, che riprende il mai abbastanza noto campione di archi tratto da Instant Love di Leon Ware (la parte meno prevedibile, peraltro) e la rende di una cupezza tale per cui la presenza di Twin e di cut azzeccatissimi nel ritornello non sono che la proverbiale ciliegina sulla torta. Non male nemmeno il lavoro del californiano Nucleus, che omaggia apertamente il miglior Alchemist con Watch Your Step, e che viene seguito da un Joey Chavez forse un po' pigro (un loop della zozzissima Millie Jackson che viene lasciato girare senza fronzoli) ma certamente dotato di buongusto. Chiaramente, questi sono beat che al sanno pestare su woofer ma al contempo mantengono una melodia orecchiabile: esattamente ciò di cui abbisognano i nostri, i quali puntando tutto sul carisma necessitano sia di batterie che enfatizzino quest'aspetto, sia di aspetti melodici che distraggano dalle loro evidenti lacune tecniche.
Qui Quo e Qua non brillano infatti per altre doti che non siano le voci, e pur sapendo far di necessità virtù in modo davvero invidiabile (peccato per Ty Knitty, che il più delle volte è proprio inascoltabile) hanno sempre bisogno di beat di qualità superiore alla media. E per quanto anche stavolta si può dire che nell'insieme ci riescano -pur essendo sprovvisti di Alchemist- vi sono diversi episodi in cui l'aspetto musicale crolla portandosi appresso gli Im3. More Hoes Than Hefner è un ottimo esempio di questa pochezza, nel senso che a fronte di una base accettabile il talento lirico complessivo non è sufficiente a riscattare la canzone dall'alveo della mediocrità tendente al brutto; idem come sopra per Got That Iron, apparentemente un'ode al ferro da stiro, che precipita sotto i colpi dell'ignobile ritornello di Chinky e soprattutto del generico beat "curato" da tale Steve Sola -quando si dice nomen est omen. Peccato infine per l'uso fiacco fatto della mitica Supernatural Supernature di Cerrone (ascoltatevi Venom degli Arsonists per notare la differenza) in King From Queens, e peccato anche per la bruttarella Gunz Up -unica apparizione di un Alchemist col pilota automatico innestato e quindi piuttosto inutile.
Insomma, arriviamo al dunque: i tre porcellini stavolta hanno allungato il brodo con le cazzate spingendosi oltre la soglia del «vabbè pazienza, so' regazzini»: non solo includendo materiale che avrebbe fatto meglio a restare negli hard disk di V.I.C. (che ha curato il mixaggio del tutto facendo un ottimo lavoro) ma anche arrivando ad inserire pezzi -Gunz Up e Tonite- in cui non c'è alcuna traccia degli Im3 stessi ma solo di alcuni loro amici! Giusto loro potevano... Comunque sia, diciamo che vista oltretutto la ripetitività lirica dei tre, sarebbe stato molto meglio avere una tracklist sulle tredici-quattordici unità, in quanto la qualità di alcuni pezzi sarebbe risaltata molto di più. Così com'è, invece, si tratta di un piccolo passo indietro per gli Infamous Mobb, che se da un lato non gli farà perdere i fan, dall'altro nemmeno li aiuterà a farsene di nuovi.





Infamous Mobb - Blood Thicker Than Water

VIDEO: WHO WE RIDE FOR

martedì 1 luglio 2008

INFAMOUS MOBB - SPECIAL EDITION (Landspeed/IM3, 2002)

Stamane avevo voglia di recensire The Chosen Few della Boot Camp Clik ma, ancora intontito dal sonno, ho clamorosamente sbagliato ad acchiappare CD e così ora mi trovo in mano Special Edition e voglia zero di inventarmi qualcosa di intelligente che lo riguardi. Capita. Fortunatamente, la loro musica non richiede chissà quale grande sforzo interpretativo e d'altro canto i loro testi non finiranno nei libri sotto la voce "dolce stilnovo", per cui posso anche andare col pilota automatico ché tanto 'sto album lo conosco a memoria.
Dicevo: gli Infamous Mobb. Non mi ricordo esattamente quale fu la prima occasione in cui mi capitò di ascoltarli -se su Episodes Of A Hustla, Soul Assassins o Hell On Earth- ma di sicuro era il '96 e all'epoca mi parvero abbastanza inutili. Impressione confermata successivamente tramite la loro apparizione in Murda Muzik, prima, e su Mobb Niggaz Pt.1, poi (che, a dire il vero, era rovinata più da un Prodigy vergognoso che da G.O.D. ed il gustoso beat di Domingo). Pure, quando nel 2002 mi trovai di fronte a questo disco non ne rifiutai l'acquisto -in fondo avevo già toccato il fondo con God's Favorite- e così, vuoi anche svogliatamente, giunto a casa lo inserii nel lettore e pigiai "play" essendomi prima assicurato di aver azzerato le mie aspettative.
Dopo due tracce ero lì a darmi del coglione. Sbattendo la testa contro il muro e scottandomi le palle con un Bic. Cosa non stavo ascoltando... Cercate di capirmi: il 2001 è stato uno degli anni peggiori per il rap, dove la quantità di porcherie sfornate era giunta ad un livello che quasi m'era venuta voglia di chiudere baracca e burattini e mandare a fanculo quei due coacervi di incapacità che erano i Ruff Ryders e la Murda Inc. Poi, vuoi per inerzia o per connessione a Fastweb, ero riuscito a trovare delle valvole di sfogo, ma si trattava pur sempre di roba underground che indubbiamente aveva un valore ma era (ed è tuttora) davvero diversa come impostazione dal classico suono grimey della Grande Mela. E invece, ecco che in maniera del tutto inaspettata mi si presentano questi tre cinghiali ed un Alchemist con due palle quadrate a ridarmi speranza! Chi l'avrebbe mai detto! Essì che i titoli avrebbero dovuto farmi capire: Killa Queens, Mobb Ni**az, Make A Livin' e la canonica We Don't Give A Fuck -tutta roba priva di genio o inventiva ma carica di una grezzaggine intrinseca che nessuno se non dei "genuini" potrebbero mai concepire ed al contempo mostrare le facce in pubblico.
Comunque sia, fatto sta. Dal versante lirico posso liquidare il tutto in meno di 500 battute: G.O.D. è il più bravo dei tre ed unisce un bel tono baritonale ad uno stile pulito ed essenziale; Twin Gambino ha una voce roca oltre ogni ragionevolezza e dice le prime cose che gli passano per la testa ma almeno lo fa con un certo savoir faire; Ty Nitty è una sega a tutti gli effetti ed è lì solo perchè da piccolo Twin gli rubava le stilografiche e se le mangiava e per questo si sente in colpa. Contenutisticamente, tutti e tre fanno all'apparenza bruttissimo, scopano più fiche di noi, sono più ricchi di noi, spacciano più di noi e vengono dallo struggle del Queens mentre noi no. Insomma, loro sono loro e noi no.
Tutto chiaro, mi sembra. E allora cosa li rende particolari? Beh, innanzitutto che sono dei tamarri d'eccellenza che non si sprecano nemmeno un cicinin ad indorare la pillola con chissà che metafore o giochi di parole. Tolto il fatto che si esprimono in rima, i loro testi sono, come dire: essenziali, asciutti. Ovviamente, questa mia argomentazione può essere messa in discussione da chiunque non veda in loro nulla in più rispetto ad altri, ma del resto di gente col salame sugli occhi ce n'è ovunque. Piuttosto, ciò che persino i salamoveggenti più hardcore non possono ignorare sono i beat di Alchemist. Quando il Nostro era ancora decisamente in forma e non s'era spinto troppo in là nell'uso dei synth, i suoi prodotti meno buoni potevano assomigliare a Premier The Name's Bill è da denuncia) mentre quelli migliori avevano un sapore a metà tra il maestro Muggs e la cupezza nuiorchese. Da qui l'abbondare di loop di piano, cori orchestrali, escursioni nel soul ecc., il tutto sapientemente mescolato a beat i cui suoni -specie cassa e rullante- nulla hanno della secchezza caratteristica delle produzioni targate Queensbridge di quel periodo. Difatti, è curioso notare come una Back In The Days ed il suo pitchatissimo campione soul sia stata curata dalla stessa persona stante dietro a, che so, B.I.G. T.W.I.N.S. o IM3, le quali presentano rispettivamente un rozzo (nel senso buono) boombap ed un campione di archi degno di un John Williams (anzi, no, James Horner che è più cafone).
Ora: sarei un cacciaballe di primissima se provassi a raccontarvi che il disco vale a pari merito per beat e testi. Non è così. I primi sono la spina dorsale sulla quale vanno ad incastrarsi i vari elementi aggiuntivi, IM3 in primis. La struttura regge perchè le fondamenta sono solide -contribuiscono inoltre V.I.C., Havoc, Muggs ed un altro paio- e difatti, le volte in cui questa inciampa nelle produzioni "meh" (I Rep, Reality Rap, Make A Livin') le insufficienze dei Nostri si vanno vive in tutta la loro forza. Quantomeno, in questi casi saltano fuori anche i soliti incapaci tipo V-12 o Chinky che, così facendo, fortunatamente evitano di inquinare altre tracce meglio riuscite. Insomma, a parte tre tracce secondo me orride ed altre due meno riuscite, Special Edition è un signor disco dal quale nessun fan di rap può prescindere. Sì, l'inventiva non è di casa... certo, l'emceeing è quello che è... ma, vi garantisco, l'intrattenimento c'è ed è impossibile da non apprezzare.





Infamous Mobb - Special Edition
Bonus: Mobb Niggaz Pt. 1 (da Game Over II -Jcor, 2001)

VIDEO: MOBB NIGGAZ PT.II (THE SEQUEL)