Visualizzazione post con etichetta Wildchild. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Wildchild. Mostra tutti i post

venerdì 12 giugno 2009

WILDCHILD - SECONDARY PROTOCOL (Stones Throw, 2003)

Vorrei iniziare questa recensione con una confessione shock: da almeno un anno Madlib (ed in misura minore Oh No) non mi dice più niente. La quasi totale maggioranza delle sue produzioni mi scivola addosso lasciandomi addosso il senso di aver assistito a poco più di una esibizione di stile, complessa quanto si vuole ma che secondo me quasi sarebbe più utile come tutorial per aspiranti produttori che non come beat su cui rappare. Eresia? Mannò, mica voglio dire che non sia bravo; semplicemente reputo che, più che manieristico (accusa ingiusta se si parla di stile personale), 'Lib da un lato produca troppo materiale privo d'ispirazione e dall'altro abbia perso un po' il contatto con il suo ruolo di produttore. Detta altrimenti, se ne batte il belino di creare qualcosa che non schiacci l'MC di turno: lui si prende tutto lo spazio e chi c'è, c'è. Ne consegue che, per quanto non sia un fanatico degli album strumentali, da un po' di tempo a questa parte reputo enormemente migliori questi che non i suoi sforzi in coppia con qualcuno.
Ciò detto, nella speranza che il Nostro posi un attimo quella canna e si liberi di un po' di quell'autocompiacimento che mi pare abbia ingigantito il suo ego e danneggiato la sua produzione musicale, l'unica cosa che mi resta da fare è riprendere in mano le opere del periodo Stones Throw che preferisco, cioè quello che va grossomodo dal 2003 al 2006. Tra i dischi usciti in quel periodo uno di quelli che forse conosco meno bene è l'esordio di Wildchild, già membro dei Lootpack ed autore nel 2003 della sua prima prova come solista. Diciamolo subito: non è un disco eccezionale, ma, analogamente a quello di Medaphoar o al primo di Oh No, rappresenta uno di quei casi in cui si può ascoltare un album dall'inizio alla fine venendo trasportati da esso. In un certo qual modo si potrebbe definire questo tipo di musica come l'equivalente rap dei dischi dei REM dei primi anni '90, ovverosia una colonna sonora ottima per lunghi viaggi in macchina o lunghi pomeriggi di cazzeggio al sole: nessuna canzone particolarmente brutta, qualche colpo di vita ed una media confortantemente sopra la media. Ne consegue che non parlerò molto a lungo di Secondary Protool sviscerandolo traccia per traccia o descrivendo per filo e per segno lo stile del protagonista (avendolo peraltro già fatto QUI), semplicemente mi limiterò ad evidenziarne i tratti positivi e negativi usando una penna dal tratto spesso.
Innanzitutto i lati positivi: Madlib e suo fratello Oh No si dividono i compiti in parti quasi uguali alternandosi a intermittenza al campionatore; pur avendo all'epoca stili piuttosto simili che conferiscono una certa coesione al tutto, questo modus operandi consente comunque una buona varietà di suoni ed atmosfere. Particolarmente degne di note trovo l'epicheggiante Code Red, la rilassata Hands Up (stupendo il sample vocale appena accennato in certi passaggi), la melancolica Movement Pt.2 (bella l'accoppiata chitarra classica e archi) e l'eccellente posse cut Knickknack 2002. Giunti però con questa alla metà del disco, ciò che segue poi perde un po' di vigore ed alla fine dell'ascolto ci ritroviamo "soltanto" con altre due canzoni degne: la stupenda Wonder Years e soprattutto la über-madlibbiana Operation Radio Raid, che francamente non avrebe stonato se inserita in Madvillainy. Comunque sia, sei pezzi più che validi su quindici non è affatto male; soprattutto, il loro essere belli si manifesta comunque in una forma all'epoca ancora relativamente nuova e cioè quella della scuola di Oxnard, in cui oltre ad usare campioni cosid. "left of the field" li si taglia, abbina ed effetta in maniera tutt'altro che ortodossa andando a creare così un effetto che qualcuno ama definire "lo-fi". Mi faccio andare bene questa definizione: pur pestando, il fascino di queste produzioni consiste anche nel fatto che suonino sporche, conferendo così una maggiore atmosfera "d'epoca" al tutto (non credo di essermi spiegato molto bene, confido nei vostri sforzi di comprensione ed immedesimazione).
Tuttavia, saltando a pie' pari le canzoni semplicemente "ok", vi sono comunque un paio di atrocità francamente evitabili: Bounce risulta idiota a partire dal titolo per proseguire nella (banalissima) scelta di usare i soliti sintetizzatori per creare l'effetto "scoreggia in vasca da bagno"; Kiana è forse fin troppo minimalista e certamente troppo lunga per quel tipo di beat, tant'è vero che viene a noia già alla fine della prima strofa; Puttin' In Work appare quasi più come uno "schizzo" di beat, mentre, infine, Party Up presenta alcune idee carine in quanto a campionamenti ma viene secondo me un po' rovinata da delle batterie fin troppo "condensate" e sporche che, per giunta, fanno un po' a pugni con l'idea generale del pezzo e col ritornello di Vinia Mojica.
Ecco, giustappunto, i ritornelli: qui davvero si può dire che Wildchild per questi non sia dotato. A parte rarissime eccezioni in cui magari c'è un cantato (vedi sopra), dei cut (Secondary Protocol, Wonder Years) o delle sorte di bridge (Heartbeat), l'impressione che si tratti di un'unica lunga strofa è pressoché inevitabile e, come già scrissi nella recensione del suo successivo album, ciò comporta alla lunga un effetto logorrea devastante per i testicoli. Logorrea accentuata dal suo stile denso di rime e privo fondamentalmente di qualsiasi inflessione che, se da un lato può andar bene sulla breve durata, alla lunga o asciuga oppure fa sì che l'ascoltatore rinunci a concentrasi con attenzione su ogni pezzo. Ecco: se così facendo Secondary Protocol va a guadagnare quell'effetto "colonna sonora" a cui ho precedentemente accennato, è anche vero che non risulta essere un grande traguardo per chi come Wildchild s'è evidentemente prefisso di focalizzarsi sull'aspetto più tecnico del rap. Ed in questo gli ospiti purtroppo aiutano solo in parte, dato che o questi sono sprecati sulle produzioni meno brillanti dell'insieme (vedi i Liks su The Come Off o Planet Asia, Aceyalone ed altri su Bounce) oppure sono grossomodo fatti della stessa pasta (M.E.D., LMNO e volendo persino Percee P).
Che dire, quindi? Di sicuro non si tratta della punta di diamante della produzione dell'etichetta discografica di Peanut Butter Wolf, però trovo che, malgrado tutti i suoi difetti, nel complesso resti un'opera fondamentalmente valida. Wildchild non entrerà mai nell'Olimpo degli MC e di sicuro non può nemmeno essere considerato più che superiore alla media, questo è chiaro, ma quantomeno ha una sua dignità ed un certo gusto enllo scegliersi i beat al punto che, secondo me, preferisco attribuire un voto all'effetto finale dato dall'ascolto che non fare una media matematica tra i singoli aspetto che lo compongono.





LINK RIMOSSO DATO CHE LA STONES THROW HA MINACCIATO DI FARMI IL CULO
LINK REMOVED BECAUSE OF STONES THROW THREATENING ME TO EFF ME THE EFF UP

VIDEO: WONDER YEARS

giovedì 26 giugno 2008

WILDCHILD - JACK OF ALL TRADES (Nocturne/On the Corner, 2007)

[Prima di qualsiasi commento su Wildchild, solo un paio di cose su Germania-Turchia per i miei connazionali che passano per il blog: Bratwurst schlägt Döner, und darüber kann man sich freuen solange man will, aber... die erste Halbzeit war für mich und meine Mutter ernst peinlich (Gott sei dank sind wir daran gewöhnt, denn nach Italien-Holland kann uns überhaupt nichts mehr erstaunen). Die Türkei hat Deutschland beschämt, und trotz des positiven Ergebnis gehören Lehmann und Ballack irgendwo anders (z.B. zur Zwangsarbeit in einem Bergwerk), denn mit solchen miserabelen Leistungen können wir gegen Rußland (denn Rußland wird gegen Spanien gewinnen, darüber bin ich mir sicher) nichts anfangen. Und jetzt zurück zum Thema...]

In inglese "jack of all trades" connota positivamente colui che è ben versato in qualsiasi arte ed è dunque capace di adattarsi a tutte le situazioni. Tuttavia, esiste una variante del detto che recita "jack of all trades, master of none", sulle cui implicazioni negative mi pare superfluo aggiungere altro. Wildchild, già membro dei Lootpack nonché autore di un bel esordio solista nel 2003 col suo Secondary Protocol, vuole evidentemente collocarsi nella prima parte del suddetto modo di dire, ma questa sua ambizione forse non tiene conto di un paio di cose...
Tuttavia, prima di giungere a conclusioni andrei per passi, sottolineando una curiosità: benché il suono e le collaborazioni di Jack Of All Trades siano di marcato stampo stonesthrowiano, l'album è pubblicato dalla francese Nocturne/On The Corner. Chissenefrega, per carità, è solo che ciò in un primo momento mi ha sorpreso; ma tutto sommato si vede che l'essenza è sempre quella, difatti tra i produttori troviamo principalmente Madlib e Oh No, seguiti a ruota da Georgia Anne Muldrow (ovviamente ospitata anche come cantante) e poi da qualche outsider -come ad esempio Black Milk e Kev Brown. Un sogno per ogni backpacker che si rispetti? Decisamente, e aspettate di sentire gli ospiti: Prince Po, M.E.D. e Oh No, Frank 'N' Dank, i Souls Of Mischief e poi, tutti su una traccia, Special Ed, Percee P, Masta Ace e MC Lyte. Beh, capirete che quando ho letto questi nomi non potevo crederci, ed il fatto di ricevere un disco bonus pensato per il mercato europeo mi ha fatto correre ad ordinare Jack Of All Trades a scatola chiusa -mi pareva lecito aspettarsi una sorta Secondary Protocol all'ennesima potenza, per cui perchè no?
E invece alla lunga sono rimasto deluso. Innanzitutto perchè il Nostro ha portato agli estremi il suo stile che, per chi non lo sapesse, si può riassumere in una rapidità di dizione ed un accumulo di rime molto particolare e, soprattutto, piacevole da ascoltarsi. Se per certi versi può ricordare l'immenso Tash, Wildchild tiene comunque meno conto del beat ed è solito viaggiarci restando sulla battuta ma senza usare troppa enfasi; stargli dietro al primo ascolto è molto difficile ma alla fine, dopo ripetuti ascolti, si spegne lo stereo soddisfatti dell'esperienza. Almeno fino ad ora, perchè in Jack Of All Trades si ha l'impressione di ascoltare ad un vero e proprio parlato che raramente si apre ad elementi "musicali" come pause ad effetto, melodie o variazioni nel tono di voce. Al che poco importa che vi siano letteralmente quintalate di rime e (un po' meno) di contenuti da sminuzzare ed esaminare ascolto dopo ascolto: ci si annoia, non ce n'è! Se dovessi definire in maniera sprezzante quel che ho sentito in meno di un'ora, la parola più vicina alle sensazioni avute è senz'altro "logorrea" -difatti, giunti che si è alla sesta o alla settima canzone quasi vien da dire "e statte zitto du' minuti diobono", il che, capirete, per un disco rap non è proprio l'ideale.
Ed anche le produzioni tradiscono secondo me le aspettative. Certo, non esiste più quell'effetto sorpresa che si poteva avere cinque anni fa ascoltando la roba di Madlib & soci, ma resta il fatto che persino sul disco di Guilty Simpson si riuscivano a trovare delle gran belle cose. Ecco, il punto è che qui da un lato non ci sono scivoloni che sconfinino nell'incircolabile, ma d'altro canto non v'è nulla di straordinario. Tutta la produzione s'attesta tra il molto buono ed il meno buono, affidando quindi l'effetto WHOA puramente alle liriche. E considerando quanto da me scritto nel paragrafo precedente, a questo punto non dovrebbe stupire che i momenti migliori li si ha quando Wildchild chiama a collaborare qualcuno: vedi ad esempio le belle Puppetmasters, The League (pezzo migliore... ma va'?) e Day 'N' The Funk. Aggiungo che comunque, se presi a piccole dosi, alcuni episodi solisti sono comunque godibili (penso a Love At 1st Mic e l'ottima Rest 'N' Beats); peccato, davvero peccato, che se inseriti nel contesto generale rischino di passare inosservati o comunque privati dell'attenzione che meriterebbero.
Giunto che sono al momento delle conclusioni, la faccenda si fa ardua. I problemi di Jack Of All Trades li ho evidenziati e da un certo punto di vista d'insieme sono pure piuttosto gravi; d'altro canto, non c'è davvero molto di oggettivamente scandaloso (oddio, Da Herc Dance ci si avvicina ma glissiamo) ed anzi ci si può imbattere in pezzi in sè e per sè più che degni, dispersi purtroppo in un mare di materiale privo di mordente e dunque di longevità. Mah, tre zainetti e mezzo e tanti saluti, con il consiglio di recuperare al volo Secondary Protocol, a mio modo di vedere le cose meno "maturo" ma complessivamente più riuscito o, quantomeno, godibile.

P.S. Il secondo CD, International Intellect, è egregio nonché decisamente superiore alla media di questo genere di "offerte". Tuttavia, valgono le critiche mosse all'album principale.





Wildchild - Jack Of All Trades
Wildchild - International Intellect

VIDEO: FRESH AIR