giovedì 11 dicembre 2008

THE BEATNUTS - THE ORIGINATORS (Landspeed, 2004)

Di ritorno dal ponte più sfigato degli ultimi dieci anni (Prato/Firenze a sgunfio da amici ma con la febbre, peraltro ancora non passata), eccomi di nuovo bello felice alla mia algida scrivania di piazzale Cadorna con zero voglia di fare alcunché che non sia frugarmi pigramente il pacco e contando i giorni che mancano a natale -chissà poi perchè. Sicchè resta ben poco in cui affogare la gnugna estrema di questo martedì al di fuori del rendermi in qualche modo utile, presentando dunque il disco più sottovalutato dei già di loro sottovalutati ed ormai semidimenticati Beatnuts.
Ora, non stando troppo bene, provo ancor più insofferenza del solito nel tracciare le note biografiche del duo del Queens e dunque insultare la conoscenza del frequentatore medio di questo blog; lasciatemi solo dire che io, come molti, di loro ho sempre enormemente apprezzato ovviamente i beat, ma anche le rime: pur nella loro trivialità di contenuti e nella loro goliardia, LES e JuJu sono tra i pochi tecnicamente poco dotati ad essere capaci di lasciare il segno nell'orecchio di ascoltatori abituati, che so, ad esaltarsi con un Immortal Technique o un Vakill. Come scordarsi infatti di perle di saggezza come "Fo' sheezy, keep my girl nice and sleazy/ With a gun tattooed on her ass that says 'Squeeze me'"? In termini cinematografici -tanto per tracciare un parallelismo gratuito- si potrebbe parlare dell'opera dei Beatnuts come di Eizenštein che si mette dietro alla macchina da presa per girare American Pie Redux; la maestria dei due al campionatore è difatti inversamente proporzionale alla caratura intellettuale delle loro liriche.
Ma funziona, questo abbinamento? Secondo me sì, e checchè ne dicano coloro che reputano Musical Massacre il loro album migliore (per me è il peggiore, e non lo dico per puro bastiancontrarismo), è Originators è la crème de la crème della loro discografia. Tutta l'estetica dei Nostri vi è difatti riassunta magistralmente, equilibrando per bene pezzi da club con escursioni nel funk e frequenti ritorni di fiamma all'hardcore de facto. Equilibrio: ecco cosa fa di questo disco un genuino pezzo da novanta dei tempi nostri; ascoltatelo dall'inizio alla fine e viceversa e vi renderete conto che il tutto fila via liscio come l'olio e solo i più schizzinosi potranno trovarvi del materiale sinceramente skippabile. Del resto, già solo l'eccellente pezzo d'apertura dovrebbe far capire quanto LES e JuJu abbiano trovato la sintesi perfetta dei loro stili: il coraggio di aprire con una crudissima Bring The Funk Back da parte di un duo che oramai non ha più nulla da dover dimostrare a nessuno è encomiabile; e se a seguirla è Yae Yo -che mescola sapientemente un loop accellerato di flauto a due scarne note di piano che praticamente da sole danno il ritmo al pezzo- allora non si può che idealmente abbracciare i Nostri eroi.
I quali hanno peraltro il merito di tirare fuori il meglio dalle varie collaborazioni sapendo anche quando tirarsi indietro: vedi ad esempio Originate, in cui Large Professor non solo regala un'ottima prestazione al microfono ma ci usa la cortesia di produrre l'eccellente beat; oppure U Crazy, dove per omaggiare Cormega e donare un'atmosfera più consona al suo stile riescono a produrre una base dalle atmosfere fortemente legate al Queensbridge. Naturalmente non potevano mancare gli onnipresenti Tony Touch (qui graziaddio in versione '88 e non reggaeton) e Problemz (a quando un solista?), ma anche le comparsate dell'ex membro Al Tariq o dell'ottimo Ill Bill iniettano vitalità in un album che, se lasciato ai soli Beatnuts, avrebbe potuto risultare un po' troppo lacunoso in quanto a rime. Anzi: persino io, che solitamente sono più per i featuring centellinati, trovo che le ospitate à go-go non facciano che del bene a Originators dato che lo arricchisce come se fosse una compilation.
Perchè è chiaro che il collante di questo sono le produzioni e non certo il pur divertente rap; coi piedi ben fissati nel sound nuiorchese, Psycho LES e JuJu sanno passare con l'eleganza del veterano da un'atmosfera all'altra, mantenendo una coesione ma senza sacrificare nulla sull'altare dell'intrattenimento. In tal senso fa piacere sentire quanto poco calcolo vi sia dietro all'album, che difatti si distingue da altre opere contemporanee -magari di paro livello qualitativo- anche per questo: cioè il gusto di far musica seguendo principalmente i propri gusti e poco più, cosa che nella fattispecie si rivela particolarmente positiva nella misura in cui la loro vena hardcore si fa viva in tutta la sua potenza.
Alla luce di questo ottimo risultato dispiace quindi che i Beatnuts si siano fermati all'onesto Milk Me e che da quattro anni siano -come gruppo- dispersi in azione. Fortunatamente essi hanno però lasciato ai posteri una discografia abbastanza succulenta in cui, se si esclude Musical Massacre, è difficile trovare materiale mediocre mentre è assai facile reperire delle chicche. Tra queste, per l'appunto, The Originators secondo me svetta.




The Beatnuts - The Originators

[P.S. Non ci crederete, ma ho cominciato a scrivere queste quattro righe martedì mattina. Se ci ho messo così tanto è perchè sono oberato dal lavoro che, proseguendo prevedibilmente con questo ritmo per un po', difficilmente mi consentirà di postare un granché nei prossimi giorni. Giusto per avvertirvi.]

venerdì 5 dicembre 2008

MA CHE SFIGA

Party Arty, uno dei più clamorosi bburini mai ospitati nella DITC, è morto. Era uno delle mie guilty pleasures dacché lo scoprii su Q&A parecchi anni or sono, confesso che me spias. Mi rendo conto che non si dovrebbero fare classifiche, ma certo se ci avesse lasciato un un Young Joc o un Yung Berg (ma faccio affidamento sul prossimo Trick Trick o Maino) la cosa non mi sarebbe dispiaciuta.

giovedì 4 dicembre 2008

LA THE DARKMAN - HEIST OF THE CENTURY (Supreme Team/ Wu-Tang Prod., 1998)

Essendomi per ora rotto un po' i maroni del rap più elegante e sobrio, negli ultimi giorni sono tornato a quelle che comunemente vengono definite cinghialate per un motivo o per l'altro. Nulla di estremo, per carità, ma confesso che l'ultimo di Ludacris mi sta dando qualche soddisfazione anche se mai potrà raggiungere la soddisfazione che mi sta regalando ad ogni ascolto l'ultimo degli EPMD (ascoltatelo, già solo i pezzi con Raekwon e Keith Murray valgono l'acquisto).
Ma sto divagando. Il punto è che anche nei gloriosi anni '90 la carne al fuoco da questo punto di vista era molta ed è per questo che diverse uscite dell'epoca oggi sono cadute nel dimenticatoio, eclissate sia per via di una qualità inferiore che per questioini più prosaiche quali -per dire- il successo commerciale. Nel caso di La The Darkman la questione è abbastanza curiosa: il suo Heist Of The Century meriterebbe menzione già solo per la sfrontata bruttezza della copertina, ma aggiungiamoci pure che uscì in un periodo tutto sommato piuttosto fortunato per gli affiliati del Wu, vendette l'impressionante numero di trecentomila copie pur non essendo sotto una major e, in ultima analisi, è effettivamente un prodotto meritevole (fa parte secondo me della trinità degli album realmente degni assieme a Silent Weapons ecc. e Heavy Mental) il cui unico difetto è forse di promettere più di quello che alla fine mantiene. Orbene: malgrado queste premesse sono ormai passati dieci anni dalla sua pubblicazione e a ricordarsene credo che siano pressoché unicamente i possessori materiali dell'album, mentre chiunque altro, sentendone il nome, risponde con un'alzata di spalle.
A questi mi rivolgo: se vi dicessi che Heist Of the Century può vantare un roster di produttori tra cui Carlos "Six July" Broady, Havoc, DJ Muggs, RZA e 4th Disciple; e se vi aggiungessi che tra gli ospiti vi sono Ghostface, Raekwon, Masta Killa, Killa Sin e Havoc, beh, mi auguro che almeno un pizzico di curiosità vi verrebbe. Anche perchè se andiamo a contestualizzare cronologicamente tutti questi nomi scopriremmo che per molti di essi il periodo era aureo perlomeno dal punto di vista artistico e che perciò -in teoria- quanto da loro prodotto dovrebbe essere di elevata qualità.
Ecco, spiace un po' dirlo, ma le cose non stanno proprio così. Fermo restando che effettivamente vi sono pezzi da applausi a scena aperta, è anche vero che a mente fredda la delusione in parte c'è, proprio a partire da quel Carlos Broady che in passato s'era coperto di gloria come membro dei Hitmen (pensate a T.O.N.Y. Who Shot Ya, 24 Hours to Live) e che in quest'occasione non sempre riesce a mantenere il passo con la sua fama. Ad esempio, tracce come What Thugs Do o Spring Water cercano di cavalcare l'equilibrio tra hardcore e robetta da club fallendo miseramente e meritandosi quindi ripetuti skip, mentre altre come Now Y, 4 Souls, Street Life e Wu-Blood Kin non sono in sè e per sè brutte e conservano almeno la matrice grimey di altre opere da 90 del Nostro, però appaiono un po' prive di personalità e/o mordente e fungono al massimo come "antipasto" per pezzi ben più potenti. I quali ci sono, senz'altro, ma hanno lo sgradevole compito di ricordarci cosa sarebbe potuto essere Heist Of The Century se appena vi fosse stata una maggiore selezione qualitativa da parte sia di Broady che, ovviamente, di LA. Esempio: Lucci è dotata di batterie dal suono fenomenale, capaci di soddisfare qualsiasi voglia di alzare il volume, ed il fatto di essere accompagnate da un loop di piano interamente costituita da note a una corda (o effettate a tal modo) rende la canzone un'invidiabile biglietto da visita per chiunque. La successiva Shine, invece, risulta ritmicamente più leggera e senz'altro suonerà familiare a chiunque abbia apprezzato la nostrana Street Opera di Fritz & Bean dato che il campione di Roy Ayers è lo stesso; I Want It All sintetizza invece i pregi delle due precedenti e conclude in modo più che degno il disco mentre, sempre verso la fine, l'ottima Gun Rule riesce a mandare il pensiero verso i lidi The War Report -il che è ovviamente una gran bella cosa.
Ciò che invece non è affatto positivo è che Havoc delude parzialmente con City Lights -il sample fatto girare al contrario su batterie semplicissime sa molto di leftover di Hell On Earth- e Figaro Chain, due produzioni francamente non all'altezza del suo curriculum dell'epoca, i cui unici indiscutibili pregi sono di essere comunque più ascoltabili della media. Au contraire, Muggs tira fuori una gran bella base che sa di Soul Assassins già solo per come sono effettate le note di piano, per come la scala salga e scenda di ottave e come questi cambi vengano evidenziati dall'uso di archi; aggiungiamoci u tiro piuttosto veloce ed ecco che Heist Of The Century non avrebbe sfigurato sul primo solista del produttore dei Cypress Hill. Chapeau dunque a lui, che grazie al suo contributo valorizza al meglio una delle tracce portanti del disco e che vede l'alternarsi di LA e l'immenso Killa Sin in uno storytelling a metà tra Kool G Rap e William Cooper (cfr. i riferimenti alla tecnologia vista come mezzo tipicamente del Potere, gli accenni cospirazionisti ecc.). Nella media invece -e lo dico spiacendomene- l'apporto di 4th Disciple, che ci fa dono di due cosucce nient'affatto malvage ma un po' inspide e che in ultima analisi lasciano il tempo che trovano, mentre RZA conferma l'opinione oramai diffusa che quello era il periodo discendente della sua creatività (fa specie notare, però, come Polluted Wisdom tenga il passo delle migliori cose di Bronze Nazareth et similia).
Quanto a LA stesso, alla luce di quanto scritto per le produzioni appare chiaro che da solo non sia capace di tirare su una canzone nella sua interezza. Il Nostro ha infatti una bella voce, una tecnica non complessa ma pulita nell'esecuzione ed una discreta inventiva; ma anche quando tutte queste tre doti si trovano aggrappate a beat che non sono né carne, né pesce -vedi appunto la liricamente valida Polluted Wisdom o anche Love- l'impressione finale è che vi sia più fumo che arrosto. il che è solo parzialmente vero, dato che al di là di non essere certamente uno Stanley Kubrick (ma nemmeno un Michael Bay) bisogna comunque apprezzare lo sforzo che fa sia per produrre storytelling non indegni, sia di spargere piccole perle di saggezza quà e là, sia infine di essere tamarro quanto basta per risultare credibile e fondamentalmente divertente. In più, anch'egli fa parte dei beatopatici, e cioè di coloro che si danno più da fare in proporzione alla bontà della base; il che se da un lato è negativo, dall'altro contribuisce enormememente a trasformare buoni pezzi in ottimi. E gli ospiti, beh, che dire... tolto Killa Sin che vince e convince, tolti Havoc e Ghostface che fannno il loro mestiere, ci restano gli altri che non è che si sbattano più di tanto. E passi per Masta Killa o per quel poraccio di U-God, ma Raekwon poteva anche provare a tirar sù quel cessaccio ignobile che è Spring Water. Vabbè, pazienza.
Insomma, il succo della faccenda è che a distanza di dieci anni Heist Of The Century mostra chiaramente quello che era sempre stato: un discreto prodotto, migliore di molti che lo hanno seguito ma peggiore di quelli che l'hanno preceduto. In tutta franchezza mi sfuggono i perché ed i percome del suo incredibile successo di vendite -Heavy Mental sarebbe dovuto essere il Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del rap, a 'sto giro- ma chissenefrega; ribadisco, cinque tracce sono da applausi ed una di esse (la title track) ancor'oggi mi fa sbavare, due o tre sono semplicemente ignobili ed il resto galleggia nella broda del buon rap nuiorchese di fine '90. A voi la decisione se comprarlo o meno, ovviamente; dal canto mio non mi lamento dell'averlo acquistato ed ancora nel 2008 mi tira il culo di riascoltarlo seppur scremato delle minchiate.




LA The Darkman - Heist Of The Century

martedì 2 dicembre 2008

PRESTO - STATE OF THE ART (Concrete Grooves, 2008)

Vi anticipo che a fine anno pubblicherò una sorta di microsondaggio nel quale chiederò un par di consigli inerenti il blog, ma se tra questi dovesse saltare fuori qualcosa di anche solo lontanamente correlabile alla regolarità di pubblicazione dei dischi, sappiate che lo ignorerò: un po' perché alle volte mi piace lasciare il tempo alle persone di ascoltarsi un disco, e un po' perchè -ovviamente- alle volte mi capita di non avere voglia di scrivere alcunché. Nella fattispecie, se da martedì a ieri sera ho allegramente cazzeggiato è anche vero che sarebbe stato delittuoso accostare due bei dischi come il precedente Travel At Your Own Pace e questo State Of the Art perchè, proprio per via dell'analoga bontà e delle radici in comune, finirebbero per sovrapporsi nella mente dell'ascoltatore. Al contrario, ciascuno va assaporato singolarmente, nello stesso modo in cui dopo cena si prende un dolce e non due diversi, per quanto buoni possano essere.
Ma dicevo delle comuni radici: non geografiche -Presto è californiano- ma stilistiche e musicali, e cioè le origini dei primi ibridi tra jazz e rap. Anche in questo caso, infatti, abbiamo di fronte un produttore che pesca a piene mani a dal repertorio delle varie Blue Note o Impulse di fine anni '50, strizzando al contempo un occhio a chi per primo fece ciò per i Native Tongues e compagnia bella; tuttavia, laddove Damu aveva un'impronta più "rara" da trovarsi oggigiorno (e cioè un sound tendenzialmente più ruvido, accostabile ai primissimi anni '90), qui invece si sposta l'asticella dell'ispirazione alla metà dello scorso decennio. Non è poi un caso che a mixare buona parte delle canzoni sia Troy Hightower, che al di là di essere un tecnico del suono coi controcoglioni -ce lo ricorda in ogni traccia da lui curata- è anche colui che sta dietro a pezzi storici come In Vetro (Organized Konfusion), How High (Red & Meth), I Juswannachill (Large Pro) o 1999 (Common & Sadat X). Da questo punto di vista tutto torna, quindi, ma non so quanto senso possa avere relegare anche State Of The Art a semplice "throwback album" come mille altri.
Difatti, se da un lato si potrebbe contestare al progetto una scarsa originalità, è anche vero che non solo si potrebbe controbattere "dopotutto cosa lo è?", ma soprattutto si dovrebbe dire che ciò non è vero sic et simpliciter. Una simile sentenza sarebbe superficiale, oltreché falsa, perchè sono in pochi ad osare un approccio così ortodosso e privo di fronzoli dove l'equilibrio tra bontà del campione e utilizzo delle batterie e del basso dev'essere calibrato con la massima attenzione; non a caso, di dischi aventi un suono così "organico" ma allo stesso tempo ruvido ve ne sono pochissimi in giro, al massimo qualche traccia quà e là. Serve una prova? Allora il singolo Conquer Mentally è forse l'esempio migliore dell'originalità e del talento di Presto, in quanto quest'ultimo si fa bastare poche note di piano, un campione appena sussurrato di tromba e, ovviamente, basso&batteria per creare una traccia ben più significativa e memorabile di svariate altre composizioni di suoi colleghi. Questa capacità di stupire non è data secondo me solo dalla linea di basso, davvero essenziale in questo caso e giustamente spinta, ma anche dall'uso di hihats aperti e della quadrupla ripetizione della stessa nota ogni otto battute, che risulta tanto scarna quanto fondamentale per spezzare un ritmo altrimenti regolare quanto non mai; un simile approccio, minimalista anche all'interno del contesto dei primi anni '90, è esattamente il motivo principale per cui mi sento di elogiare l'intero disco. Ma per tornare a Conquer Mentally, vorrei aggiungere che a coronarne l'eccellenza ci sono tre pilastri del good 'ole boombap -vale a dire Sadat X, O.C. e Large Pro- che pur non producendo le strofe migliori delle loro carriere vanno a complementare eccellentemente una delle tracce migliori tra le diciotto presenti sul disco (incluso, ebbene sì, il remix di Large Pro stesso).
Analoga bontà viene espressa dalla buckwildiana Pour Another Glass, che pur presentando un suono più cristallino ed una melodia più complessa risulta lo stesso facente parte di un imprinting che lascia poco spazio a trucchetti di facile orecchiabilità; perchè è vero che il loop di xilofono associato al pianoforte è di per sè piacevolissimo, ma il campione di sax ripetuto incessantemente durante il ritornello riporta la mente alle prime cose dei Black Moon o, appunto, della D.I.T.C. Dal canto suo, Blu fa la sua sporca figura ma francamente faccio fatica a capire cosa ci trovi di così eccezionale la gente in lui -dico questo solamente per vis polemica, beninteso, perchè sulla sua prestazione qui non ho nulla di negativo da dire se non forse che il ritornello non brilla per inventiva.
Au contraire, chi invece è sottovalutato fin dal '92 è il buon CL Smooth, che recentemente non solo ha dato alle stampe il valido American me, ma soprattutto ha letteralmente ucciso qualsiasi traccia sulla quale qualcuno avesse avuto il buonsenso di invitarlo; non sorprende quindi che Part Of Greatness svetti, anche perchè sono tuttora pochi coloro che riescono a trasmettere una sensazione di tranquillo cazzeggio come CL. E di certo quest'ultima è enormememnte coadiuvata dal bel beat, più veloce di altri e senz'altro più pulito nei suoni e nelle atmosfere.
Sia come sia, oramai penso di essermi spiegato sufficentemente bene: sotto il profilo dei beat c'è davvero poco che possa essere detto a sfavore degli intenti di Presto, al quale va riconosciuta sicuramente una ottima conoscenza del genere musicale a cui attingere ed un'altrettanto grande capacità nel saper tradurre tutto ciò in beat d'impatto che non sfigurano certamente se paragonati a quelli dei maestri a cui s'ispira. Il problema risiede casomai altrove: Altered Saints richiama secondo me fin troppo Electric Relaxation (d'accordo, campiona persino il "ha-ha-ha" originale di Q-Tip, ma insomma...), altre risultano un po' troppo generiche e si perdono nel mezzo del sound generale (Let It Circulate, Still Here, Street Sport) al punto che forse sarebbe stato meglio adoperarle come interludi. Last but not least, per quanto alcuni degli esordienti si dimostrino degni d'attenzione o quantomeno competenti (Dhurti Whoutr, Mhax Montes ma soprattutto LOWD e la sua ottima On), è però vero che alcuni sono di una prevedibilità tecnica e concettuale disarmante (mi riferisco in primo luogo a tal Ark e al figlio rinnegato di Grand Puba alias Raashan Ahmad) e per giunta suonano un po' tanto simili tra loro: non solo stilisticamente o tematicamente, ma persino come voci! E se contiamo che nessuna di queste denota particolare personalità, allora appare evidente come lo stacco con i vari Sadat X, CL Smooth, Fatlip e compagnia bella diventi davvero incolmabile nel momento in cui il massimo approfondimento concettuale è rappresentato dal solito amore-per-il-reps, l'autoesaltazione o il cosid. self righteousness (che talvolta raggiunge vette di pedissequo moralismo e generale pedanteria da risultare fastidioso)
In conclusione mi sento di dire che se solo il Nostro avesse operato una maggior selezione degli ospiti (riunendone casomai due o tre su un solo pezzo), avesse scremato qualche beat e si fosse trattenuto dallo spingersi un po' troppo oltre nel "trovare l'ispirazione", allora avremmo un altro discone da quattro e mezzo. Purtroppo, però, le limature non ci sono state e perciò non solo gli affibbio un personalissimo quattro, ma puntualizzo anche che tal voto vale solo ed esclusivamente se siete fan di questo genere di nicchia; altrimenti, consideratelo un tre e mezzo.




Presto - State Of The Art

VIDEO: CONQUER MENTALLY b/w ON