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venerdì 18 settembre 2009

JERU THE DAMAJA - THE SUN RISES IN THE EAST (Payday/FFRR, 1994)

Dacché ho aperto il blog ho recensito album di ogni tipo ed il lettore affezionato potrà ormai essersi fatto un'idea di quelli che sono i miei gusti (posto che gliene importi qualcosa in primo luogo); egli saprà quindi che per me un certo tipo di grezzume ricopre un cospicuo valore nel mio indice di gradimento, ma per convesso saprà anche che non disdegno artisti più inclini alla positività ed alla coscienziosità. Il problema è però che questi ultimi sono facilmente soggetti alla pesantezza, salvo naturalmente che non si tratti di veri e propri campioni del genere come per esempio i De La Soul; e questo perchè i temi che trattano sono senz'altro condivisibili ma non particolarmente attraenti, e quando li si esprime in modo coerente, "pacifico", appunto, talvolta pare di trovarsi catapultati in una sorta di oratorio musicale.
Ecco perchè amo incondizionatamente artisti come Jeru: non è che predichino idee poi tanto diverse dalle loro controparti più hippie ma lo fanno con vigore e livore. Livore verso chi si comporta in maniera antisociale o comunque egoista, il quale verrà puntualmente accusato di essere ignorante, superficiale, pigro e quant'altro: in poche parole, una merda umana. Ora, certamente dubito che quest'atteggiamento da Savonarola possa scuotere le coscienze dei soggetti di tali attacchi, ma preferisco che si parli chiaro e perciò condivido questo tipo di aggressività, ché qua mica siamo all'ONU. Ad esempio: sei una donna che va a letto con qualcuno per ottenere vantaggi? Non sei una escort, sei una puttana. Oppure: quando vai al supermercato risparmi sul cibo per poterti comprare un vestito alla moda? Prima di essere una vittima del consumismo sei un coglione puro e semplice. E via così: trattandosi di musica e non di un trattato socio-psicologico, questo approccio sanguigno mi piace.
Ecco perchè The Sun Rises In The East riceve da parte mia almeno un ascolto completo al mese: perchè a distanza di 15 anni dalla sua pubblicazione il messaggio non ha perso forza e, anzi, forse ne ha addirittura guadagnata. Ma tutto ciò non basterebbe se non ci fosse il genio di Premier dietro alla produzione musicale, il quale si dimostra capace di fornire un'artiglieria acustica che calza a pennello allo stile stile di Jeru nonché all'atmosfera generale di cui TSRITE è permeato.
La sua ruvidità non consiste solamente nell'inflessibilità del pensiero dell'autore principale, bensì anche nel minimalismo dei beat che, congiuntamente ad altri contemporanei, sono di tale forza che riescono a far scordare le atmosfere soleggiate della costa californiana. Qui tutto sa di New York o più in generale di una metropoli in inverno, i cui unici rumori sono dati dai motori delle macchine e dallo sferragliare delle metropolitane mentre i vapori fuoriuscenti dai tombini azzerano la visibilità, col baluginio dei fari e dei lampioni che si riflettono sull'asfalto bagnato. Perdonate quest'attimo di lirismo da supermercato, ma la capacità suggestiva di certe musiche è innegabile e ciascuno la descrive come può.
Ma volendo abbandonare il pathos poetico prima che sia troppo tardi, veniamo al succo della faccenda: esclusa forse Statik non c'è una canzone brutta che sia una. Non scherzo: quale più, quale meno, sono tutte delle bombe, a partire dalla classica Come Clean. Uscita come singolo l'anno precedente, questa aveva lasciato giustamente a bocca aperta persino chi aveva ravvisato nella strofa di Jeru su I'm Da Man una promessa: tra l'inimitabile beat, in cui un bizzarro campione che può ricordare lo sgocciolìio d'acqua nelle tubature (!!!) s'appoggia a delle batterie impressionanti, e le liriche, iperrealistiche nel loro smascherare i parrucconi che già allora infestavano l'hip hop, non c'è una cosa fuori posto e a coronoare la grandiosità del pezzo sta un cut degli Onyx. E se penso che a me inizialmente non piaceva...
Beh, anche allora avevo le mie brave alternative: personalmente colloco alla pari della precedente la straordinaria My Mind Spray: figuratevi che ad oggi mantengo l'opinione che sia uno dei casi in cui l'utilizzo del campione di Nautilus sia riuscito meglio, e se pensiamo alla quantità di artisti che hanno campionato il pezzo di Bob James allora l'affermazione si fa rivelatrice. Non da meno, poi, sono la storica Da Bichez (che batterie, signori, l'uso dei charleston è da applausi), il duetto con l'allora passabile Afu-Ra intitolato Mental Stamina, e la solenne Ain't The Devil Happy - un richiamo dai toni apocalittici che Jeru fa alla propria gente per non cadere in gesti e comportamenti autolesivi, sia sul piano concreto che quello spirituale. Certo, andrebbe poi anche menzionato il tipo di campionamento jazz tipico del Premier di quegli anni, che sapeva conferire un taglio ruvido ai pezzi usando brevi sample di piano, sax e quant'altro: vedi la già citata da Bichez così come D.Original e, naturalmente, Come Clean.
Insomma, con questi beat il disco sarebbe stato una bomba persino con Melachi The Nutcracker come MC principale. Ma vivaddio non solo non ci troviamo tra i piedi una schiappa, ma addirittura ci viene fatto dono, per così dire, di un rapper coi controcoglioni. Come diceva uno dei suoi sponsor principali, "it's mostly the voice" e 'Ru qui lo dimostra ampiamente: bassa ma non cavernosa, sprizzante carisma, esige e ottiene l'attenzione dell'ascoltatore. Uniamola ad una tecnica impeccabile sotto ogni punto di vista e ad una prospettiva sempre originale sia nell'aspetto stilistico che in quello contenutistico (e qui l'ampio vocabolario aiuta in ambedue i casi), ed ecco che francamente non si può chiedere nulla di più a questo MC. La sua battaglia contro l'ignoranza in tutte le sue forme e dimensioni viene suddivis aper tredici tracce e ciascuna gode di un taglio così particolare che, pur rifacendosi ad un unico punto di vista, non risulta mai ripetitiva. Non sto a fare esempi con citazioni troppo lunghe, preferisco piuttosto citarvi qualche titolo che mi fa avere ragione con relativa semplicità: ascoltate -nella sequenza preferita- da Bichez, Come Clean, You Can't Stop The Prophet e Ain't the Devil Happy; scoprirete che non solo vien facile capire che sono state scritte dalla stessa persona, ma anche che fanno parte dello stesso album, dello stesso insieme.
Boh francamente non so che dirvi... classico lo è senz'altro, non so se dargli quattro e mezzo o cinque. Ma direi che, viste le proteste del volgo ai miei 4 e 1/2 agli Smif 'N' Wessun, meglio andare a colpo sicuro. [edit: m'ero dimenticato d'augurarvi il consueto buon fine settimana. A lunedì]





Jeru Tha Damaja - The Sun Rises In The East

VIDEO: D ORIGINAL

martedì 22 luglio 2008

JERU THE DAMAJA - WRATH OF THE MATH (Payday/FFRR, 1996)

Nella memoria collettiva dei nostalgici degli anni '90 il nome di Jeru The Damaja viene automaticamente associato a The Sun Rises In The East e alla storica Come Clean, le quali contribuirono -assieme a Illmatic, Enter The Wu e Ready To Die- a riportare New York sulla cresta dell'onda dopo la carestia di notorietà dovuta all'esplosione del g-funk losangelino. Purtroppo, ho però l'impressione che la magnificenza del suddetto disco determinò altresì un oscuramento del suo successore: essendo stato ristampato Wrath Of The Math proprio in questi giorni, quale migliore occasione per parlarne e cercare in qualche modo di farne vendere qualche copia, seppur in ritardo di dodici anni?
Incomincio dalle cose facili: l'intero album è prodotto da Premier. E vorrei sottolineare l'ovvio: era un Premier in stato di grazia, era quello che tra il '94 ed il '98 ci donava perle come Livin' Proof e Moment Of Truth come se nulla fosse. Naturale dunque aspettarsi grandi cose in termini di beat, e difatti va detto che non c'è un unico pezzo che sia meno che "potente", con alcune vere bombe piazzate strategicamente quà e là. Riascoltarlo oggi fa impressione, un po' perchè torna in mente quanto fosse ruvido l'hardcore di allora, e un po' perchè dimostra purtroppo quanto Primo si sia fossilizzato negli ultimi anni su un unico modo di produzione. In Wrath Of The Math, infatti, possiamo sì ascoltare dei campioni tagliati e delle batterie inadatte a woofer dal diametro inferiore ai 20cm, ma la gamma dei campioni e la conseguente ricaduta sulle singole atmosfere è decisamente varia e passa con eleganza dai suoni minacciosi di Not The Average e How I'm Living alla calma di Whateva, senza contare naturalmente la musicalità di una Me Or The Papes o The Frustrated Nigga. Vi dirò di più: per quanto mi riguarda, la produzione nel suo complesso è per me sullo stesso altissimo livello qualitativo di Livin' Proof, compensando l'assenza di singoloni come l'omonima canzone o Supa Star con quattordici pezzi di prim'ordine che solo in due casi (Tha Bullshit, Revenge Of The Prophet) recedono dalla definizione di "ottimo".
Contestualmente, il leitmotiv dell'album è ugualmente ben strutturato attraverso le diverse canzoni; il nemico di Jeru è sempre l'ignoranza nelle sue più svariate forme, ed egli l'individua e la combatte nei modi più diversi. Ad esempio, Tha Bullshit è una sostanziale presa in giro, narrata in prima persona, dei manierismi gangsta-jiggy in auge allora come oggi; in Not Your Average e Me Or The Papes affronta il rapporto con l'altro sesso sottolinenado cosa è per lui una vera donna e cosa, invece, la può rendere degna della definizione "puttana"; lo svilimento dell'hip hop viene poi affrontato in maniera decisa nella celebre Ya Playin' Yaself e in One Day, mentre sprazzi di critica politica-sociale si avvertono in particolar modo in Invasion e Scientifical Madness. Ora, non intendo proseguir oltre in questa lista della spesa perchè reputo che sia noioso per voi oltre che per me, e pertanto chiudo dicendo che il Jeru che possiamo sentire in questo disco è senz'altro un personaggio interessante con molte cose da dire (tra cui un paio di diss nemmeno troppo velati ai Fugees -in risposta a quanto disse di lui Pras in Zealots- oltreché a Puffy, Foxy Brown eccetera), e che l'esposizione delle sue idee riesce a risultare all'altezza delle stesse. Difatti, al di là della linearità dei ragionamenti, ad aiutare il Nostro sono, oltre ovviamente ad una buona tecnica, un vocabolario piuttosto ampio ed un carisma innegabile che si manifesta sia tramite le rime che attraverso la sua voce da oratore.
Devo dire che sono profondamente dispiaciuto di non essere riuscito a scrivere più su questo disco, e non vorrei pertanto che il mio apprezzamento nei suoi confronti venisse sottovalutato. D'altronde, dopo dodici anni di "conoscenza" mi viene difficile saltarmene fuori con l'entusiasmo che pure meriterebbe (e all'epoca ebbe); ad ogni buon conto, onde evitare equivoci metto nero su bianco che Wrath Of The Math è una delle perle dimenticate di metà anni '90 nonché uno dei migliori esempi del talento di Premier. Imprescindibile dunque -se non possederlo- almeno conoscerlo, calcolando che da lì in poi Jeru avrebbe solamente sfornato cagate su cagate (ad eccezione, forse, del non malvagissimo Divine Design).





Jeru The Damaja - Wrath Of The Math

VIDEO: YA PLAYIN' YASELF