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martedì 1 settembre 2009

GODFATHER DON - THE NINETIES SESSIONS (No Sleep, 2007)

Avere un blog può alle volte essere una seccatura: sei svogliato, hai altro da fare, l'apatia ti corrode, ma comunque qualcosa dovrai pur scrivere anche se proprio non ti gira per un cazzo. E lì per lì ti chiedi se non sia il caso di dedicarti alla coltura dei bonsai o alla costruzione di orologi a cucù. Ma nello stesso istante in cui ti passano per la testa mille modi diversi per passare il tempo libero, ecco che ti sovviene tutta la storia del uèbbeduepuntozzèro e dello scambio di informazioni tra utenti; scambio che, diversi mesi addietro, si è concretizzato, nella sezione dei commenti alla recensione di Diabolique, nel consiglio da parte di un frequentatore di ascoltare The Nineties Sessions.
Il suddetto disco rientra nella categoria delle raccolte di inediti, b-side e rarità di vario genere di artisti sconosciuti al grande pubblico, le quali sempre più nascono da iniziative di appassionati i quali, tessendo una tela di contatti con chiunque possa aiutarli nell'impresa (dall'artista stesso all'ex manager fino all'amico personale), alla fine riescono quasi sempre a raccogliere materiale di qualità che altrimenti sarebbe rimasto a conoscenza di pochi eletti. Ma se questa sorta di DIGGING ha già visto sforzi non comuni per entrare in possesso di materiale inedito (cfr. Rob-O), per questa raccolta di tracce di Godfather Don realizzate tra il '93 ed il '97 l'impegno dev'essere stato doppio se non triplo. Si tratta infatti di demo o poco più (l'unica canzone da me già sentita è Stuck Off The Realness), le quali per ragioni a me ignote sono rimaste ad ammuffire in qualche scatolone a Brooklyn e che ora, a distanza come minimo di dieci anni, possono ricevere il plauso che meritano.
Infatti, l'unica critica che mi sento di muovere a Nineties Sessions è l'esclusione della strepitosa On The Other Side (che potete prendere QUI), che però essendo stata pubblicata ufficialmente avrebbe stravolto il principio fondante del disco, che è appunto quello di raccogliere veri e propri inediti. Ma anche così, prescindendo dunque da questo mio infantile disappunto, il materiale disponibile merita parecchio.
Addirittura mi spingo a dire che, in un modo o nell'altro, almeno il 90% delle tracce avrebbero meritato una pubblicazione; trovo soprattutto validi quei pezzi come 7 Degrees Of Elevation o Forever My Lady, che attingono a piene mani dalla fusion e dal free jazz (deduzione mia) e la ripropongono in maniera molto diretta, usando quindi loop interi, per quanto brevi. Da questi si può inoltre evincere che la tanto (giustamente) lodata Properties Of Steel non è un caso unico e che il percorso che ha portato alla sua creazione è denso di spunti altrettanto interessanti.
Ecco. se il jazz è una delle componenti fondamentali di questa raccolta, altrettanto lo sono il funk e quella specie di pozzo nero -che sono incapace di identificare- da cui Don ha preso il materiale nei tempi più recenti (Diabolique, per l'appunto). Ecco: questi tre filoni sono qui ampiamente rappresentati e grossomodo caraterizzano anche l'evoluzione del beatmaker nuiorchese, sia in termini stilistici che prettamente cronologici; il conoscitore del Nostro, anche se non esperto come infatti non lo sono io, può quindi leccarsi i baffi e datare con una certa esattezza ogni pezzo sapendolo poi collocare all'interno della discografia di Don. In tal senso, quindi, non ha molto senso parlare di canzoni superiori o inferiori, visto che sarebbe come sostenere che Nas Is Like è superiore a Memory Lane; al massimo si può notare quali sono incomplete, da rifinire, e quali invece potrebbero tranquillamente essere utilizzate in un album vero e proprio.
Ma nonostante queste differenze, che riassumo in completezza e data di creazione, Nineties Sessions mantiene una sua relativa coerenza ed omogeneità grazie al mood virato alla cupezza ed al suono più puramente urban -e usando questo termine vorrei sottolinearne l'accezione più pura e radicale. Godfather Don insomma non è mai stato un cuor contento, diciamo così, e la cosa si riflette in ogni sua singola creazione; le atmosfere si fondono a prescindere quasi da sample e batterie andando a creare un unicum in cui il Nostro è libero di rappare "a piede libero", com'è sua abitudine, senza cioè focalizzarsi su un particolare tema. L'esibizione di stile è l'unica cosa che gli importa, che piaccia o no, per cui se questo non è un approccio che apprezzate potete lasciar perdere persino il download.
In caso contrario non ci sono scuse: The Nineties Sessions è un acquisto obbligato non solo per chi fantozzianamente stima l'MC/produttore di Bushwick, ma più in generale per chiunque ami il rap nuiorchese di metà anni '90, di cui questo disco è un ottimo compendio. Complimenti quindi non solo all'autore ma soprattutto a chi ha ideato e strutturato questa raccolta, e grazia ancora all'anonimo che me ne suggerì l'acquisto.

Godfather Don - The Nineties Sessions

venerdì 16 gennaio 2009

GODFATHER DON - DIABOLIQUE (Hydra/ Sneak Tip, 1998)

Voglio cominciare questa recensione con una breve e, volendo, anche banalotta riflessione sulla differenza che passa tra l'acquisto di dischi oggi e prima dell'avvento di internet. Infatti, benchè io reputi comodissimo Amazon e soprattutto ne sappia valutare l'importanza per quanto riguarda certi album esclusi dai circuiti commerciali ai quali s'appoggiano Vibra (o Goody Music, per dire), quando posso preferisco comunque recarmi di persona in negozio. Questo perchè, da romanticone decadente quale talvolta sono, mi piace dare la possibilità di associare un dato momento della mia vita alla musica; non a caso, posso facilmente ricordarmi di dove e quando acquistai la maggior parte dei CD che fanno parte della mia collezione. Esempio: so che Jealous One's Envy e Once Upon A Time In America li comprai insieme in un giorno di giugno del '96 durante il quale venne giù un acquazzone da tirare porchiddèi senza sosta; Mr. Smith lo presi all'ormai defunto Virgin di piazza Duomo (come molti altri, incluso The Awakening di Finesse), i Real live al WOM di Berlino centro, Stakes Is High ed il primo Sadat X a Monaco, War Report alla Tower Records di Piccadilly Circus eccetera eccetera.
Nel 2000, invece, mi imbarcai con due miei amici nell'immancabile interrail e, durante l'altrettanto obbligatoria sosta ad Amsterdam (ebbene sì, sono un luogo comune ambulante), non solo feci visita alla Fat Beats locale (come da indirizzo scansito dall'agendina che tutt'oggi porto nel portafogli) ma trovai per puro colpo di culo in un negozietto questo Diabolique, del quale avevo sentito parlare in precedenza in una recensione apparsa su Blaze. 44,95 fiorini olandesi -un casino coi cambi- e via; purtroppo queste mie spesucce mi costrinsero ad accorciare la vacanza e vabbè, ma intanto a distanza di quasi dieci anni posso dire di conservare un tot di ricordi anche grazie ai souvenir reperiti nei paesi bassi.
Bene: tutto questo per dire cosa? Assolutamente niente, è solo che ogni tanto mi piace piazzare du' palle autobiografiche, così, tanto per soddifare il mio ego. Ma ora arriviamo finalmente al succo del discorso: il secondo album da solista di Godfather Don, Diabolique. Questo arrivò nei negozi nel '98, durante una fase cruciale per il futuro del rap, in cui il mainstream non era più solo definibile come tale per via del successo commerciale, ma per via del suono: vale a dire che mentre fino a pochi anni prima -tolte alcune eccezioni irrilevanti ai fini della regola- era possibile che un album riscuotesse un buon successo ma ciò non significava automaticamente che esso si distinguesse particolarmente da altre produzioni meno fortunate (pensate anche solo a Tical, disco di platino nel '95). Nel '98, invece, il divario nel sound tra i dischi di successo e quelli relegati al secondo e terzo piano andava vieppiù allargandosi e conseguentemente gli alfieri delle due squadre consolidavano le loro rispettive identità in maniera sempre più forte ed urlata. Godfather Don esce in parte da questa logica, in quanto bene o male non si lascia andare a particolari dichiarazioni d'intenti, favorendo piuttosto l'autoesaltazione più classica e tradizionale. Questo è poi sostanzialmente il limite di Diabolique, e cioè che salvo gli addetti ai lavori dubito che qualcuno potrà trovarlo di particolare interesse se non per questioni puramente tecniche. Ma essendo ciò in fondo uno dei fondamenti dell'hip hop, di cosa ci possiamo lamentare? Per citare Phonte: "Dope beats, dope rhymes... what more do ya'll want?"
E difatti questo è l'approccio che ha Godfather Don per tutto il disco, sia per quel che riguarda le liriche che per ciò che concerne i beat, da lui interamente prodotti e mixati. Questi ultimi sono senz'altro la parte più interessante del disco, dato che il suo gusto è decisamente particolare sia nella scelta dei campioni che nel modo di adoperarli. Sintetizzando, si tratta di brevi loop sulle cui origine è difficile per me pronunciarmi anche con l'ausilio di the-breaks.com: si tratta sicuramente perlopiù di funk e fusion con qualche incursione nel soul e nel jazz classico, ma visti i suoni che egli decide di estrarre è francamento ardua per un profano come il sottoscritto intuire cosa si celi dietro (beh, Dip Dip Die credo che adoperi lo stesso campione di 10 Sacchi Per Ogni Smi, se vi può interessare). Le atmosfere che ne risultano sono comunque particolari e -passatemi il termine, vi prego- urbane; perchè è vero che di allegro non vi sia pressoché nulla, ma è altrettanto vero che non si può paragonare Diabolique a The Infamous: innanzitutto perchè il tiro è generalmente più veloce, e poi perchè la brevità dei sample, il tagliarli più volte per chiudere la misura ed il modo di effettarli si avvicina quasi di più all'elettronica. Che si tratti di pianoforte, archi, fiati o chitarra, Godfather smanetta di pitch ed equalizzatore fino a quando è talvolta difficile riconoscere l'esatta natura di un suono (cfr. Diabolique, Pick Up The Mic, Burn RMX e altre). Tutto ciò comunque si traduce -essendo lui uno capace- in un'estrema godibilità ed omogeneità del disco: il materiale skippabile è veramente pochissimo e, fatta salva Make'Em Suffer (davvero una cacata a spruzzo), ciò dipende perlopiù da gusti personali che non da questioni di qualità intrinseca. Ma gusti o non gusti, dubito che qualcuno non potrà apprezzare alcune tracce che si fanno notare per potenza: prima fra tutte la stranota Properties Of Steel, ma poi anche Connections (ed il suo campione a metà tra David Axelrod e Gary Byrd), la cupa Connections e le ottime collabo con Scaramanga e Mike L (Life Ain't The Same e No Competition) e Kool Keith (Voices).
Il successo di queste poi dipende anche da come esse riescono a "funzionare" se messe insieme all'emceeing. Fa piacere scoprire che Don deve avere ben chiare le sue capacità, perchè confeziona beat che calzano a pennello con il suo stile a metà tra Big Daddy Kane -velocità ed intrecci di rime- e Kool Keith -libera associazione del pensiero. Una buona sintesi di quello che il Nostro sa fare è rappresentato da Live & Let Die, in cui si può capire che a fronte di una piattezza vocale totale abbiamo di fronte un intreccio di rime relativamente semplice ma di grande impatto, essendo l'esecuzione veloce, pulita e, soprattutto, piena. Un esempio: "You wish you was half the lyricist that I persist to be/ Don't say shit to me, Godfather like Sicily/ The misery's consistency through similees will blemish these abnormalities in the industry". In quest'ottica è naturale che i pochi ospiti invitati gli siano artisticamente vicini: non solo Kool Keith, che fa la sua porca figura in Voices, ma anche tale Mike L (non eccezionale ma valido) e Sir Menelik alias Scaramanga, il quale in Life Ain't the Same caccia la strofa migliore del disco ed in generale regala una prestazione da lasciare a bocca aperta tutt'oggi. Come già detto prima, non sono i contenuti -che quando ci sono rientrano nei cliché del genere- a contare quanto la pura esecuzione tecnica, e da questo punto di vista non posso dire che Don sia la miglior cosa che mi sia mai capitata di sentire. Però il pregio del suo stile è di correre assieme alla traccia, risultando dunque quasi d'accompagnamento, ed in quest'ottica si può facilmente sorvolare su alcune sue manchevolezze (una su tutte: la pronuncia zoppicante nelle parti più tirate delle strofe).
In conclusione, Diabolique è pesantemente soggetto -molto più di altri dischi- ai gusti dell'ascoltatore. Il punto fermo è che come produttore è inngabilmente capace (sai che scoperta), un po' meno come MC; ma anche a distanza di undici anni dall'uscita originale, per godere appieno di questo prodotto si deve necessariamente essere aficionados del rap più essenziale e, dico sul serio, hardcore. Posto che si rientri quindi in questa categoria, allora non si corrono rischi. In caso contrario, meglio rivolgersi altrove.




Godfather Don - Diabolique