
Si può dissentire ma questa è la percezione generale; peccato però che tra i tanti dimostratisi incapaci di mettere il culo correttamente in carreggiata vi sia proprio Mos Def, ed il mio personale sospetto è che ciò sia avvenuto non a casua di scarsa intelligenza, bensì per pochi contatti con la realtà. Infatti, nell'arco di pochi anni è passato dall'essere un MC relativamente conosciuto al venire idolatrato come faro spirituale capace di guidarci nella notte; il suo talento d'artista è stato magnificato e a momenti ci scappava il paragone tra le sue inesistenti doti canore con quello di un Thom Yorke; non per ultimo, l'aver intrapreso una carriera cinematografica, mostrando lì sì discrete qualità recitative, deve aver contribuito a dare il colpo finale ai suoi collegamenti con la realtà. I risultati concreti di questa lievitazione eteroindotta dell'ego li conosciamo bene: due album, uno più brutto dell'altro, dove anziché seguire l'unica disciplina in cui davvero eccelle ha preferito virare in territori che sarebbe stato meglio gli venissero preclusi da una fatwa o da qualche divinità pagana, meglio se incazzosa. New Danger era una sonora cagata ma un briciolo di dignità traspirava quà e là, mentre True Magic era completamente incircolabile.
Simili svarioni sarebbero dovuti bastare per sbriciolare la carriera finora costruita, e invece eccoci qua con tra le mani il nuovo lavoro di Mos Def che, ne ero certo fin da quando era stato annunciato, che sarebbe stato una boiata. Beh, mi sbagliavo. Almeno in parte.
Cominciamo dalle buone notizie: Mos Def qui rappa di più, molto di più, rispetto ai precedenti lavori. È cosa buona: per quanto spesso inserisca ritornelli canticchiati, sono poche le canzoni in cui mantiene la convinzione di essere un grande cantante e perciò il tutto non suona più come una specie di Jovanotti di Brooklyn. Non solo: vivaddio i beat stavolta sono di qualità medio-alta con punte di ficaggine, e a curarli troviamo Madlib, Oh No, Dilla (figurarsi se no), il produttore francese Mr. Flash e, purtroppo, anche il tristemente noto Preservation.
Sta di fatto che talvolta mostra ampiamente di non essere il menoso hipster eclettico-wannabe che avevo ritenuto fosse, basandomi sui suoi ultimi dischi: Auditorium, con Slick Rick, da sola vale tutto l'album ed è in ultima analisi il motivo per cui ho deciso di comprare Ecstatic. Davvero. Come ho sentito quei flautini venir sostituiti da un'alternanza di organo elettrico e complesso d'archi, con sotto le tipiche combo di basso e rullante di Madlib, ero già praticamente venuto: talvolta mi chiedo come sia possibile uscirsene con pezzi così fighi, davvero non lo so. E sempre Madlib produce Wahid, che pure lei merita assai, così come Revelations e Pretty Dancer, il cui unico difetto è di avere sopra un Mos Def alle prese con la sua migliore interpretazione di MF Doom (in Revelations la cosa diventa sconvolgente, cambiategli voce e ufficialmente è Daniel Dumile).
Ma anche tale Mr. Flash non se la cava affatto male, e benché avrei molto da dire sul suo nom de plume, devo dire che i suoi tre beat dimostrano una buona versatilità nel saper conferire toni diversi di traccia in traccia: dall'elettonica ottantona di Life In Marvelous Times agli accenni di jazz/funk di Workers Comp fino al sapore d'India di Embassy, il beatmaker francese dimostra talento. E sempre validi si confermano essere Oh No e Dilla, che pur non regalandoci momenti spettacolari riescono a mantenere vivo l'interesse dell'ascoltatore. Insomma, per farla breve, come beat direi che piùo meno ci siamo: non tutto è rose e fiori (Quiet Dog Bite Hard, No Hay Hada Mas, Casa Bey lasciano molto a desiderare) e certamente bisogna accettare un'impostazione sommariamente poco ortodossa, ma diciamo che, a meno che non ci si aspetti robe da Finesse o Pete Rock, musicalmente Ecstatic è bello solido.
Purtroppo, ad un certo punto entrano in gioco l'ego e l'esageratamente alta autostima di Mos Def: così vediamolo mentre si lancia in spericolati ritornelli cantati capaci al massimo di rovinare la canzone se tirati troppo a lungo; peggio ancora, ci sono occasioni dove miagola lagnosamente tutto il tempo e, se nel casi Worker's Comp si può pensare ad una cacchina, in No Hay Nada Mas pare di ascoltare Jarabe De Palo in eroina. E con questo ho detto tutto.
Che poi, quando vuole, riesce anche a rappare e creare cose serie: peccato che lo faccia ancora troppo raramente, e che anche quando questo avviene, quasi sembra -l'ho già scritto- di trovarsi in un disco di Doom. E questo fatto, deprecabile in sè e per sè, lo diventa ancor più se si prendono le sue strofe di Auditorium e le si paragonano all'80% di ciò che resta. Come si suol dire, il ragazzo è intelligente ma non s'impegna.
Conclusione: come basi direi che Ecstatic è valido, specialmente nella prima parte; come liriche è invece già più debole, cosa che da Life In Marvelous Times in poi raggiunge talvolta vette di surrealismo e puro e semplice orrore. In altre parole, da un lato considererei questa sua opera come un passo avanti nella giusta direzione, ma dall'altro anche come una delusione: la sua convinzione di essere bravissimo a far altro che non sia rappare, unita ad una voglia di sperimentazione cieca che talvolta raggiunge picchi di velleitarietà imperdonabili, alla fin fine rovina l'ascolto nel suo complesso. Ciò nonostante l'album fila -non chiedetemi come- per cui diciamo che gli affibbio un tre e che non se ne parli più (sarebbe un quattro scarso se si fosse limitato alle prime 8 canzoni più un paio della seconda metà).

Mos Def - The Ecstatic