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giovedì 18 marzo 2010

SUNZ OF MAN - THE LAST SHALL BE FIRST (Red Ant Ent., 1998)

Coloro che hanno cominciato ad interessarsi al hip hop dopo il '99 non potranno capire -per loro fortuna- ma c'è stato un periodo in cui chiunque tra i 15 ed i 25 anni smaniava per qualsiasi puttanata che recasse da qualche parte il logo del Wu-Tang: dischi, portachiavi, calze, tazze da cesso -tutto. In particolare, i soggetti più impressionabili e fessi come lo ero io erano propensi a spendere cifre esorbitanti in CD senza prima appurarne la qualità; e se questo da un lato li ha aiutati ad imparare il valore del denaro, dall'altro ha lasciato loro in eredità una serie di cazzatone macroscopiche dal dubbio valore.
Il primo disco ufficiale dei Sunz Of Man a stento non rientra tra queste cazzatone, ma solo per un soffio; e difatti, conoscendolo bene ma non trovandoci un granché di degno, la mia voglia di recensirlo sta a zero. Ogni promessa è debito, però, e allora quantomeno vediamo di farla breve: uscito nell'estate del '98 pochi mesi dopo il solista di Killah Priest (una mossa che nei testi di marketing rientra alla voce «WTF?») e anticipato dal singolone Shining Star, The Last Shall Be First è stato forse il flop esiziale per la combriccola degli affiliati al Wu. Le aspettative erano infatti talmente alte che, quando i fan si sono trovati in mano una robetta al cui confronto qualsiasi peto dei Killarmy svetta, la delusione è stata tale che da lì in poi praticamente tutti i side projects del gruppo di Staten Island hanno toppato clamorosamente (anche perchè, salvo un par di eccezioni e contrariamente ai vari Pillage o Heavy Mental, si trattava di complete schifezze).
E si capisce bene il perchè. Vedete, su diciassette pezzi direi che quelli davvero belli sono due, quelli buoni quattro, ed il resto si colloca su una linea sinusoidale dove le ordinate positive variano tra il "accettabile" ed il "vabbè pazienza", mentre quelle negative stanno tra il "faccio finta di niente" ed il "incircolabile". E ciò non tanto per via del emceeing, che ad eccezione del tremendo 60 Sec. Assassin si mantiene su buoni livelli, quanto per i beat: i più sembrano difatti scopiazzature delle cattive idee di RZA, prive di qualsivoglia intuizione melodica o perizia tecnica. Sembrano, in poche parole, un ibrido tra gli stereotipi del sound di Staten Island e le relative caricature, con risultati che si concretizzano nelle ignobili Can I See You, The Grandz (che pure usa lo stesso campione di Recognize & Realize Pt. I) e nella cacofonica Inmates To The Fire. E se la colpa di questi scempi va data perlopiù a True Master ed un RZA già scoppiato -Supreme e 4th Disciple qualcosa di buono lo tirano fuori- bisogna aggiungere che in moltissimi casi un pezzo di per sè non brillante viene definitivamente assassinato da ritornelli di una bruttezza sesquipedale, in cui la tendenza pare essere quella di ripetere fino al rincoglionimento il titolo della canzone o lasciarsi andare a cori urlati o lamentosi (vedi ad esempio Not Promised Tomorrow o The Grandz). Insomma, siamo ben lontani dai buoni livelli di Fear Love And War e Heavy Mental e, col senno di poi, in TLSBF si possono cogliere (a partire dall'orrido singolo prodotto da Wyclef) i primi segni della sventura che da lì in poi s'abbatterà sulle vendite e sulla fama del Wu-Tang.
Epperò, va detto, assieme alle premonizioni negative vi sono alcuni echi della bontà che aveva contraddistinto il suddetto Wu fino a quel punto. Nella fattispecie si tratta di Natural High e The Plan, ossia le uniche due canzoni davvero belle e che meritano di essere ricordate anche da chi non è mai stato un grande fan dei Sunz Of Man. La prima è costruita su un irresistibile campione di tromba (di Al Green, secondo alcuni, ma a me non risulta) e su una linea di basso eccezionale su cui gli MC hanno tutto lo spazio di cui necessitano per lasciarsi andare al misticismo cazzaro che caratterizza i loro testi. In particolare, è il sottovalutato Prodigal Sunn a brillare, con un attacco di strofa fantastico: "A young king at the age of 15, caught up in things/ The golden scorpio sportin' material diamond rings/ Physical, historical, mystical, shinin' crystal-like/ Stackin, packin pistols, FA and they brought the crystal meth". Ascoltatela e ditemi se il fatto che tutto ciò non significhi pressoché nulla non diventi pressoché irrilevante.
L'altro gran pezzo, invece, è la magnifica The Plan: stavolta il sample è di Ann Peebles (la stupenda I'm Gonna Tear Your Playhouse Down, che scoprii propprio grazie a questo pezzo) e praticamente consiste in un loopaggio puro e semplice di alcune misure dell'originale. Non un grande lavoro dal punto di vista del beatmaking più puro, forse, ma a giudicare dai risultati ugualmente degno di plauso. Peccato solo per il mostruoso bridge di 60 Sec. Assassin, che sta ai Sunz Of Men come Islord sta ai Killarmy, e che a momenti rischia di mandare a ramengo una canzone altrimenti godibilissima.
Meno eccitanti ma comunque apprezzabili sono poi Cold ed il suo mood minimalista, l'epicheggiante Flaming Swords, Illusions ed infine -undici tracce dopo- Next Up, che a momenti si salva solo grazie al semplice beat e ad un featuring di Method Man particolarmente ben riuscito. Per il resto, come vi dicevo, meglio far finta di nulla. Il che è un peccato, perchè dal punto di vista del solo emceeing i Sunz Of Man sono sicuramente tra i più dotati del nutrito parco dei weed carrier; Killah Priest lo conosciamo e non c'è bisogno di aggiungere altro,mentre Prodigal Sunn si fa notare per la metrica serrata e la maggior linearità delle descrizioni, ed infine Hell Razah risulta essere quello più ghettuso fra tutti ma comunque favorito da una bella voce ed una presenza al microfono di tutto rispetto. E così come dell'altro scemo non voglio nemmeno parlarne, nemmeno mi pare il caso di snocciolare uno per uno i temi affrontati dai nostri Eroi: si tratta come al solito di un amalgama di misticismo da baraccone, oscuri riferimenti al movimento/religione della Nation Of 5%, un po' di street rap e ammiccamenti di vario genere all'hip hop. Solita roba, insomma, ma che a me non stanca mai.
Insomma, cosa posso aggiungere ora che non abbia già detto? Il disco pare essere fuori stampa e, fatte salve due o tre canzoni, non mi sembra una gran perdita per la storia del rap. Se proprio doveste morire dalla voglia di possederlo io vi sconsiglio di spenderci più di una decina di yuri, e comunque ascoltatelo per bene prima di prendere una qualsiasi decisione. Tre zainetti di cui mezzo praticamente ragalato.





Sunz Of Man - The Last Shall Be First

VIDEO: THE PLAN

lunedì 25 gennaio 2010

GHOSTFACE KILLAH - CLASSIC TONY STARKS (2010)

Oh visto che stavolta ce l'ho fatta? Niente, non ho altro da aggiungere se non che il secondo disco va masterizzato ad overburn attivato, in quanto dura circa 20" più del previsto. Per il resto, ecco la tracklist:

DISC 1
01. Iron Maiden feat. Cappadonna & Raekwon
02. Ghost Deini feat. Superb
03. It’s Over
04. 9 Milli Bros. feat. Wu-Tang Clan
05. Milk’Em feat. Trife Da God
06. Hideyaface *El-P Mix* feat. El-P
07. Ghost Is Back
08. Angels feat. MF Doom
09. One
10. Assassination Day feat. Inspectah Deck, RZA, Raekwon & Masta Killa
11. Real Live Shit *RMX* feat. Larry-O, Cappadonna & Killa Sin
12. The Champ
13. Motherless Child feat. Raekwon
14. New York feat. AZ & Raekwon
15. Holla
16. Be Easy feat. Trife Da God
17. Wu Banga 101 feat. Cappadonna, GZA, Masta Killa & Raekwon
18. Josephine feat. Trife Da God & The Willie Cottrell Band
19. Be This Way
20. Fish feat. Raekwon & Cappadonna
21. Mighty Healthy
22. The Roosevelts feat. Trife Da God & Raekwon

DISC 2
01. Return Of The Iron Man
02. Run feat. Jadakiss
03. Winter Warz feat. Masta Killa, U-God, Cappadonna & Raekwon
04. You Know I’m No Good RMX feat. Amy Winehouse
05. Buck 50 feat. Cappadonna, Masta Killa, Method Man & Redman
06. After The Smoke Is Clear feat. Raekwon, RZA & The Delphonics
07. Kilo feat. Raekwon
08. Metal Lungies feat. Sheek Louch & Styles P
09. Nutmeg feat. RZA
10. Outta Town Shit
11. R.A.G.U. feat. Raekwon
12. The Forest
13. He Comes feat. De La Soul
14. Malcolm
15. Real Niggaz feat. Planet Asia
16. Daytona 500 feat. Cappadonna & Raekwon
17. Biscuits feat. Trife Da God
18. Whip You With A Strap
19. Tony/Montana feat. Cormega
20. Tha Game feat. Raekwon, Prodigy & Pete Rock
21. Maxine
22. Killa Lipstick feat. Masta Killa & Method Man

GhostfaceKillah - Classic Tony Starks
GhostfaceKillah - Classic Tony Starks (Grafica)

martedì 19 gennaio 2010

GHOSTFAZZA RUFF MIX

E non è ancora finito... "How sick? So sick that you can suck my diiick..."

giovedì 19 novembre 2009

AA.VV. - WU TANG CHAMBER MUSIC (E1, 2009)

Ieri sera, riascoltando Forever e stramaledendo nuovamente il Wu per non aver concentrato su un solo disco le tredici tracce da urlo che esso contiene, non ho potuto fare a meno di ripensare a come un marchio così prestigioso e rilevante sia riuscito a sputtanarsi nell'arco di pochi anni persino agli occhi di fan un tempo infervoratissimi come me. Contrariamente a quello che in molti suggeriscono, e cioè che la causa di ciò sia stata un'eccessiva profusione di affiliati mediocri, la mia opinione è che alla fin fine siano stati proprio i membri principali -RZA in testa- ad essersi scavati la fossa da soli salvo poi riemergere eventualmente per i cazzi loro oppure proseguendo lungo i sentieri della mediocrità. Puntualizzo una cosa: questo discorso esclude sostanzialmente le carriere di GZA e Ghostface, nonché l'ultimo album di Raekwon e 4:21 di Meth (lo sapete che non è un brutto disco, ammettetelo); in compenso include tutte le fetecchie a nome Bobby Digital, i mediocri dischi di Masta Killa, gli aborti di U-God (anche se Dopium ha delle belle produzioni) e, soprattutto, quelle gran delusioni che son stati i dischi del collettivo, culminati in quella mezza porcheria che è 8 Diagrams.
Il punto è che, visti i risultati, sarebbe meglio che quello che un tempo era considerato il Voltron dell'emceeing farebbe meglio a non unirsi più, dato che oramai ogni volta che li metti insieme riescono al limite ad assomigliare ad una versione smandruppata di Lionbot. A meno che... a meno che la loro unione sia meno rigida -cioè non coinvolga necessariamente tutti i membri- e che coinvolga degli esterni sia per quel che concerne il beatmaking che le liriche. Un primo assaggio del buon funzionamento di questo sistema c'era stato dato qualche anno fa con l'interessante Think Differently Music, ma solo con Chamber Music possiamo assaporarne il (quasi) completo sapore in (quasi) tutte le sue sfumature.
Quei "quasi" tra parentesi sono -lo dico subito- dovuti ad una cosa: questo disco è di una brevità spaventosa: 8 pezzi per appena ventiseiminutieduesecondi di musica. Proprio così. E mo' va bene che ho sempre elogiato la sintesi, va bene che GZA ha saggiamente suggerito di non allungare mai il brodo con le cazzate, va bene anche che tirarla in lungo con ritornelli può essere inutile, ma diocristo... Cioè, sei capace di mettermi insieme Rae, Sean P e Cormega e mi fai durare la canzone meno di tre minuti? Ma insomma, che carognata è!?! Corrisponde a dirmi "Hey, in quella stanza c'è Megan Fox nuda e bagnata. Puoi farci di tutto, anche prenderla a schiaffoni sul culone, queste sono le chiavi. Ah però mi raccomando, tra due minuti e trentasei secondi esci ché s'è fatto tardi". Aho ma sei scemo? Che condizioni sono?
Beh, questo è esattamente il capestro di Chamber Music, prendere o lasciare. Ora, così come non rifiuterei nemmeno un solo minuto di Megan Fox (almeno per un facciale basta), allo stesso modo mi faccio andar bene il misero minutaggio che qui mi viene concesso e prendo quel che passa il convento. E, a dirla tutta, il menu è decisamente buono: i nomi coinvolti sono tutti di alta qualità sia dal punto di vista dell'emceeing che delle produzioni. E partendo da queste ultime, sappiate che non c'è traccia nè di RZA, nè dei Wu-Elements; deus ex machina dell'intera operazione è infatti Lil' Fame, che coproduce tutti i beat, e soprattutto i Revelations, una band di Brooklyn che come diverse altre suona e compone musica rétro sulla scia del soul e del funk anni '70. Tuttavia, malgrado il coinvolgimento di strumentisti in carne e ossa, il sound complessivo mantiene comunque un effetto classico. I pezzi potrebbero infatti apparir come prodotti (molto bene, d'accordo) da una persona sola purchè estremamente competente, e alla fine, non essendoci particolari estri come assoli e altro, tutto sommato il risultato è quello di un album ben prodotto e che suona davvero bene. Lil' Fame alla fine probabilmente ha assitito e curato il solo mixaggio, dato che certe batterie o alcuni archi sono indiscutibilmente effettati per ricreare quel quid di sporcizia tipico del Wu degli esordi, ma comunque ha fatto un buon lavoro perchè in questo modo i suoni risultano ben diversificati e coerenti con le singole atmosfere.
Kill Too Hard, per esempio, è quasi minimalista nel suo ricorrere alle batterie come struttura portante del pezzo; lo stesso dicasi per Harbor Masters, mentre Radiant Jewels opta per una maggior cupezza grazie al superbo giro di archi, di una bellezza come non se n'era vista dai tempi di Publicity di GZA: indubbiamente il beat migliore dell'insieme, oltre che la canzone di punta del progetto (grazie anche agli ospiti, su cui tornerò più avanti). Niente male anche Evil Deeds, giocata tutta su una composizione di piano cupa lenta e sinistra durante le strofe e che progressivamente diviene sempre più tesa nei ritornelli; e dove quest'ultima potrebbe essere definita la Assassination Day di Chamber Music, I Wish You Were Here è senz'altro 260 o comunque qualsiasi pezzo in cui è stato campionato Al Green o Syl Johnson (l'omaggio -e non il plagio- è infatti evidente). Con ill Figures si torna invece alla ruvidità degli esordi del Wu, mentre Sound The Horns, pur viaggiando sulle stesse atmosfere, risulta enormemente più epica e movimentata; se ci avessero messo su qualche altro membro del Wu e l'avessero chiamata Protect Ya Neck 3: The Wu Strikes Back non avrei avuto nulla da ridire. Chiude infine NYC Crack, un titolo assolutamente idiota che però nasconde un'ennesima riuscita variazione sul tema «Wu-sound» nella sua accezione più algida. Insomma: come musica ci siamo, tutto è molto bello e tutto suona effettivamente come un eccellente omaggio al suono di Staten Island di metà anni '90: ottima idea e ottima realizzazione, quindi, bravi tutti.
E come emceeing? Beh, per quanto ci sia un po' troppo U-God e troppo poco GZA per i miei gusti, anche qui il livello è decisamente buono. Radiant jewels, di cui ho già elogiato il beat, vede la sua definitiva consacrazione a "pezzo della madonna" grazie al trio di Rae, Sean Price e Cormega, con quest'ultimo che ci regala una strofa da brividi e riuscendo così a bobbybrownizzare persino due giganti come i colleghi. Non da meno è sadat X, che su Sound The Horn trova uno sparring partner degno nel solo Inspectah Deck, il quale, dal canto suo e come del resto ci ha abituato, da il meglio proprio nelle collaborazioni. Chamber Music per lui non costituisce un'eccezione, e sia che lo si trovi in compagnia di Masta Ace (Kill Too Hard) che AZ e Ghostface (Harbor Masters) o, appunto, il buon vecchio 'Datty X, Ins se ne esce sempre a testa alta. Casomai, se proprio dovessi trovare qualche difetto, oltre alla sempre sconcertante mediocrità di U-God, ci sono la strofa di G-Rap, che non è male in quanto tale ma pare scritta per un altro tipo di beat, ed il featuring di tale Thea Van Seijen -che, ne sono certo, qualche saputone mi dirà essere una grande artista e blablabla ma che su NYC Crack non c'azzecca proprio per niente.
Comunque sia: stando a leggere quanto scritto, come voto potremmo trovarci nel reame del quattro o addirittura del quattro e mezzo, giusto? Beh, no. E nemmeno tanto per la brevità dell'opera, quanto per il fatto che questi otto pezzi sono intervallati da intermezzi musicali sui quali RZA ci snocciola saggezze a tutto spiano delle quali non solo non potrebbe fregarcene di meno, ma che spezzano l'ascolto in un modo oggettivamente insopportabile. Fossero state due o, toh, al massimo tre avrei potuto tollerare; ma così si abusa della logica dello skit, con l'effetto collaterla di farmi pensare male sull'onestà di una simile mossa: che vi abbian pistonato la bellezza di nove interludi per giustificare un prezzo pieno bnchè sia sostanzialmente un EP? Beh, meglio non pensarci; dopotutto, la carne al fuoco non è molta ma è saporita e, benchè quest'uscita sia stata oscurata da Cuban Linx II, direi che nessun (ex) fan sfegatato del Wu dei tempi d'oro può lasciarsi sfuggire Chamber Music.





AA.VV. - Wu Tang Chamber Music

giovedì 24 settembre 2009

TRIFE DIESEL - BETTER LATE THAN NEVER (Traffic Ent., 2009)

Talvolta mi risulta impossibile riuscire ad esprimere fino in fondo il mio giudizio o, più modestamente e correttamente, la mia opinione su un disco, specialmente se questo non possiede qualità tali da poterlo definire un classico a tutti gli effetti. I problemi sorgono insomma quando mi trovo per le mani un concentrato di beat e liriche che, pur nella sua palese imperfezione, inspiegabilmente riesce a competere sullo stesso livello di dischi fatti meglio: nella fattispecie, qualcuno sa suggerirmi un motivo per cui in quest'ultimo periodo mi trovo ad ascoltare Better Late Than Never con la stessa frequenza di quel capolavoro che è Cuban Linx II? È l'aria? Sto rincoglionendo? Oppure può essere che abbiamo tra le mani un gioiellino? Calma.
Cominciamo col dire che l'affiliazione di Trife a Ghostfazza gli è valsa un'iniziale spinta di popolarità ma, alla lunga, gli ha recato ingenti danni in termini di riconoscimento. Vedete, la linea tra l'essere un "protetto di" ed un "portaborse di" è molto sottile, e tanto più cresce lo spazio temporale in cui non si dimostra inequivocabilmente la propria specificità, tanto più ci si trasforma da "interessante promessa" a "insulso weed carrier". Di conseguenza, diventa anche più difficile convincere i pochi interessati rimasti che si vale qualcosa; ecco, la carriera di Trife è una cartina di tornasole per questo teorema.
Egli infatti bazzica dalle parti di Tony Starks fin dal lontano 2001 e, per quanto in realtà sia assorto agli onori della cronaca solamente nel 2004, principalmente grazie alla sua eccezionale strofa in Biscuits, questo è già un considerevole periodo temporale; aggiungiamoci poi che, malgrado ottime prestazioni ovunque si fosse presentato, sembrava che di suo non dovesse uscire più nulla ed ecco che viene incisa nella pietra della storia la seguente massima: non puoi essere una promessa per più di due anni. Tuttavia, è anche vero che in realtà qualche lavoro più completo l'ha anche fatto (gli LP con la Theodore Unit ed il disco "alla romana" con Ghost), ma di solista in questi non c'era nulla e quindi torniamo al punto di partenza. Vi confesso che persino io, che non avevo mai cambiato la mia opinione su di lui, ad un certo punto mi son detto "vabeh un altro balordo" ed avevo smesso d'interessarmi alla sua opera.
È stato solo per omaggio ai suoi trascorsi -ed alle mie passate opinioni- che ho deciso di spendere un po' del mio tempo per ascoltare il suo esordio solista ufficiale e per dargli quindi una chance. Alla fine il titolo Better Late Than Never aveva riscosso in me una certa simpatia e la recensione che lessi su HipHopDx, anche se non confortante, qualche curiosità me l'aveva instillata. Vai di Rapidshare, quindi: al primo ascolto m'era parso insignificante come beat, carino come liriche; al secondo qualcosa avevo trovato ma non tanto da farmi dire "bello"; il terzo, il quarto, il quinto ed il sesto invece ebbero luogo mentre passavo il mocio in casa [no homo, ci passerete anche voi e comunque ora s'è presa la donna delle pulizie] e in quell'altrimenti infausta situazione mi son reso conto che, fanculo, 'sto Better Late Than Never non era mica malaccio. Bene: salto ovviamente gli altri ascolti e giungo direttamente alle conclusioni, ossia la recensione e la valutazione.
Sappiate innanzitutto che in BLTN non troverete particolari estri o sperimentazioni di alcun genere ma solamente del rap fatto nel modo più classico possibile, ovverosia beat quadrati midtempo su cui una persona rappa stando fisso sui 4/4. Ma prima di storcere magari il naso, calcolate che per quanto possa essere difficile trovare nuovi stili e renderli efficaci senza alienare l'ascoltatore, anche buttarsi sul classico non è così facile, essendoci talmente tanta roba in giro che per svettare bisogna raggiungere un grado di raffinatezza fuori dal comune. Per usare una metafora scema delle mie, diciamo che persino dopo più di trecento anni di esperienze, i posti dove si può mangiare un buon risotto a Milano sono pochi (BTW: uno di questi, e dove non si viene derubati, è la Taverna Moriggi. Casomai v'interessasse). Ecco, Trife ha qui cucinato un risotto non eccellente ma gustoso e abbondante. Poco più di un'ora di durata per sedici brani e nessuno skit, featuring mediamente azzeccati (Ghost, ovviamente, ma anche Freeway, Termanology, Royce The 5'9'' e purtroppo qualche amichetto di troppo) ed una enorme iniezione di note autobiografiche che vanno a diluire positivamente un album in cui si può trovare anche dello storytelling, delle riflessioni mai abbastanza ripetute sull'hip hop e chiaramente la tradizionale strìt laif. La versatilità dimostrata nella scelta degli argomenti si riflette per fortuna anche nell'esecuzione materiale del tutto e così, fatte salve un paio di tracce ghettuse secondo me piuttosto generiche, ascoltare quest'album è interessante oltre che piacevole. La sensazione che Trife stia abbaiando salta fuori solo nei pezzi più orientati alla spacconeria di grana grossa, e questo in fondo non dovrebbe stupire nessuno.
Ma vediamo nel dettaglio cosa cuoce in pentola e vediamo se quest'album sa essere, nel suo complesso, un'opera personale oppure la solita robetta da emergente fallito. Prima di tutto affronterei la questione dei pezzi ghettus-generici, e comincio col lamentarmi del fatto che su troppi di questi figurano due personaggi che coi microfoni dovrebbero aver poco a che fare: Kryme Life e Tommy Whispers. Quest'ultimo, in particolare, ha uno "stile" che si pone a metà tra 60 Sec Assassin dei Sunz Of Man e Islord dei Killarmy, quindi non è esattamente bravo; non a caso, quasi ovunque egli appaia, la canzone del caso subisce una tremenda battuta d'arresto. Questo è il caso di Prey VS Predator, in cui si potrebbe anche perdonare un beat generico e delle strofe non proprio ispirate, ma che diventa una cacatiella da cestinare non appena attacca il suddetto Tommaso Sussurri: fiacco, fiacco, fiacco. Idem come sopra per Listen Carefully, analogamente moscietta come beat ma con come "marcia in più" prestazioni imbarazzanti addirittura da parte di entrambi i soggetti. Queste sono senz'ombra di dubbio le tracce peggiori di BLTN e già al primo ascolto appare chiaro che Trife dev'essere molto amico dei due, perchè oltre all'amicizia non c'è motivo per cui questi due dovrebbero trovarsi insieme sulla stessa traccia.
E dico "sulla stessa traccia" perchè, per dinamiche a me del tutto incomprensibili, quando li separi i risultati improvvisamente diventano nettamente migliori: è il caso di Direct From The Ghetto e Stronger Man, due canzoni nient'affatto malvagie dove oltre a delle performance immensamente più dignitose si assiste ad un minimo di direzione concettuale. Certo, continuano ad impallidire di fronte a Trife, ma rispetto agli echi di disgusto provocati in precedenza parrebbe quasi di sognare. Ovviamente, però, avrei lo stesso preferito o più tracce soliste oppure più featuring azzeccati, anche perchè è lì che il protagonista dà il suo meglio: contrariamente alle previsioni, infatti, Ghostface non riesce a stracciare il suo alunno, che anzi, in Respectfully sgancia due strofe eccezionali con giochi di parole ed una lunga alliterazione che a momenti fanno scordare l'esistenza di Tony Starks. Lo stesso avviene in Project Leaders, dove fa letteralmente a pezzi Termanology (uno che tra l'abuso del namedropping e lo stile semisussurrato fa cagare ogni giorno sempre di più), e solamente un ispirato Freeway ci blocca dal pensare che forse sarebbe stata meglio una maggiore lunghezza a disposizione del solo Trife. Già: alla fine della storia l'unico capace di dare la paga a Trife è Royce The 5'9'' -autore di una strofa eccezionale in Powerful Minds- mentre per il resto devo dire che raramente ho visto un esordiente comportarsi così bene.
Ma oltre a queste tracce, la cosa più interessante è la passione che il Nostro sa mettere nei pezzi. Lo storytelling di Blind Man non solo è fatto bene nella prima parte, ma anche l'omaggio che egli fa a Ray Charles, Stevie Wonder ed altri nella seconda risulta sentito; un analogo pathos lo si trova ovviamente nella dedica a mammà, com'è ovvio, ma anche in pezzi meno intimisti come per esempio la FAQ per aspiranti rapper che è Wanna Be A Rapper. Ma non è finita qui: critica sociopolitica la si trova in World Today, ed il risultato è ammirevole specie se si considera che lui non è esattamente specializzato in questo genere di cose, così come ammirevole è l'autocritica e lo scambio di vedute tra lui e tale Slash (una MC, contrariamente a quanto farebbe pensare il nome); siamo lontani mille miglia dal machismo tipico del genere, e trovo che per uno come sembra essere Trife mettersi così in gioco meriti un giusto plauso.
Mi rendo ora conto che la recensione sta assumendo le dimensioni d'una enciclica papale, per cui la smetto con 'aspetto lirico, del quale posso dirmi più che soddisfatto, e vado ad occuparmi dei beat. Questi sono curati da gente a me completamente sconosciuta, come DJ Snips, Lee Bannon, Noize Thievery... boh, non ho punti di pragaone con eventuali opere, perciò mi limiterò allo stretto essenziale. La parte del leone la fa tale Blunt, che con cinque produzioni da lui curate è indubbiamente il beatmaker prominente dell'album; fortemente influenzato dal soul, le sue opere riflettono quest'ispirazioni e anche se la formula appare ormai un po' abusata egli riesce lo stesso ad esibire pregevoli tappeti musicali come ad esempio Blind Man (ottimo il loop di piano), Project Leaders e Direct From The Ghetto. Le sue atmosfere ci trasportano direttamente nella New York di Superfly, ma fortunatamente questo taglio vintage viene alleggerito da altri contribuenti come appunto Snips, decisamente più orientato al pestone e autore fra l'altro dell'ottima We Get It In, oppure Animal House, autori della suggestiva Stronger Man ed invece assai influenzati dal miglior Kanye West (vedi ad esempio la struttura delle batterie). Questi pezzi sopraelencati non sono gli unici degni d'una menzione, ma per farla breve, ad eccezione di due colpi andati a vuoto -fortunatamente le canzoni con su quei due mentecatti, così perlomeno la merda si concentra in due latrine anzichè venir sparsa per tutto l'accampamento- il resto di Better Late Than Never è assai ben prodotto. Non si può forse parlare di originalità, ma è fuor di discussione che oscilliamo piacevolmente tra atmosfere ruvide e l'eleganza di alcuni tocchi, con un risultato finale ch reputo ben più che semplicemente soddifacente.
Alla luce di queste considerazioni vi esorto quindi a non commettere l'errore di bollare Trife come una merdina, perchè il ragazzo si è sforzato sotto ogni punto di vista ed il risultato è davvero molto, molto buono. Contrariamente a Termanology, che nel suo album ha tradito praticamente tutte le aspettative, e contrariamente a Saigon, che ha fatto perdere la pazienza pure ad un monaco benedettino, il Nostro ha compreso perfettamente che se voleva tornare ad essere "il" nome da tenere d'occhio doveva pubblicare qualcosa di superiore alla bontà. E così ha fatto, ed ora spetta solo a voi dargli questa chance - come già detto, l'unica sua sfortuna è la quasi concomitanza con Rae ma, vi garantisco, non è che arranchi di molto dietro all'opera dello Chef.





Trife Diesel - Better Late Than Never

RAEKWON - ONLY BUILT 4 CUBAN LINX PT.II (Ice H20/RSK Ent., 2009)

Come promesso, dopo la recensione eccovi il disco. In teoria non ci sarebbe molto da aggiungere, se non che le due tracce bonus (in verità dovrebbe essere una sola) sono una piacevole aggiunta alla già corposa tracklist. Walk Wit Me, in particolare, merita veramente tanto (il canto di sottofondo è da brividi), mentre The Badlands ha un beat discreto ma nulla più, e si riprende egregiamente solo grazie alle strofe di Rae e Ghostfazza.
Menzione a parte per il packaging, ma non in senso positivo: mentra la cover la trovo ben fatta, il resto è più o meno da buttar via (eccetto l'esilarante foto del tray in cui Rae fa il verso a Kanye -avete notato che ho fatto una tripla rima?), a partire dal retro -che sembra il classico demo italiano di fine anni '90- fino a giungere al tremendo booklet che oltretutto sa di fritto misto di pesce. Per carità, un "chissenefrega" a questo punto potrebbe anche starci, ma già che c'erano potevano sbattersi un po' di più.
Ciò detto, io sarei portato ad affibiargli lo status di classico anche solo sulla base del mio entusiasmo, ma sia per una questione oggettiva (non è perfetto, gli mancano pezzi paragonabili a Incarcerated Scarfaces o Heaven & Hell, è monotematico) che per una di pura logica (bisogna far passare del tempo per poter davvero capire se si tratta di un'opera immortale) gli affibbierò quattro e mezzo. Con riserva in chiave positiva.
A più tardi, invece, per il disco del giorno.





Raekwon - Only Built 4 Cuban Linx II

VIDEO: NEW WU

martedì 22 settembre 2009

RAEKWON - ONLY BUILT 4 CUBAN LINX PT.II

Benchè l'album non mi sia ancora arrivato (spero questa settimana, se non già oggi), ovviamente, grazie ai prodigi della tecnologia, ho potuto comunque produrmi una recensione che, per l'occasione, è stata ospitata da Martini & Jopparelli. Clikkate l'header oppure QUI. Va da sè che non appena ho il disco in mano ve lo giro, pur sapendo/osando sperare che già l'abbiate in un qualche formato (per caso ha ripetuto il trick del tray viola come per il primo?).

mercoledì 2 settembre 2009

WU-TANG KILLA BEES - THE SWARM VOL.1 (Wu-Tang/Priority, 1998)

In questo 2009 altrimenti privo di grandi rivelazioni c'è stata però una sorpresa del tutto inaspettata: una raccolta/compilation legata al Wu s'è dimostrata essere degna di un ascolto se non addirittura di un acquisto. Mi sto riferendo naturalmente a Chamber Music, che grazie a beat e featuring convincenti è riuscita ad infrangere una regola che durava ormai da quasi undici anni (anche se potrei fare uno sconto a Think Differently), e cioè che le compilation legate alla crew di Staten Island si rivelano essere delle puntuali cazzatone col botto. Una regola, questa, colpevolmente montata ad arte dai coordinatori di questi progetti che, oltre a permettere a delle sostanziali pippe di fregiarsi di un'affiliazione al clan facendogli perdere prestigio, così facendo generavano confusione tra i fan meno avveduti che non sapevano più districarsi tra eventuali soci validi (Sunz Of Men, Killarmy e pochissimi altri) ed i cosiddetti weed carrier (North Star, Royal Fam e moltissimi altri). Com'è noto, quindi, la decadenza del Wu passa anche e soprattutto per questa "atomizzazione" del marchio e del valore ad esso connesso.
Ma nel '98 questa tendenza, pur avendo già fatto sentire i propri vagiti (Shyheim), sembrava essere più un malore passeggero che una malattia cronica, e questo perchè venne dato alle stampe un disco contenente nomi di affiliati in larga parte sconosciuti che però per l'occasione tirarono fuori (quasi sempre) il meglio di sè: questo disco è appunto intitolato The Swarm. In esso si possono trovare 15 tracce in cui dei Carneadi quali i Ruthless Bastards, A.I.G., Wu-Syndicate e altri fanno il loro esordio ufficiale a fianco di qualche sporadica apparizione d'eccellenza (Rae, Deck ecc.), spesso e volentieri dando la paga a questi ultimi.
Oggi come oggi, se vedessi un progetto simile, non credo che perderei il mio tempo manco per scaricarlo; ma allora, nel pieno del mio stan-ismo verso tutto ciò che era in odore di Wu, era bastato leggere un "RZA Presents" per farmi spendere i pochi sghèi che avevo e, devo dire, per non farmene pentire affatto. Insomma, non solo beccavo una traccia semisolista di Deck -le cui quotazioni erano a livelli paurosi- ma ad essa potevo aggiungere i Killarmy, i Sunz Of Men, Ghostface, Cappa e altra gente che -non nutrivo dubbi in merito- sicuramente mi sarebbe piaciuta. Ebbene, in buona parte avevo ragione.
Dico solo "in buona parte" perchè The Swarm presenta comunque qualche motivo di delusione, facilmente riassumibile nelle produzioni di RZA. Prima fra tutte quella di Justice For All, tra il poco ispirato ed il cacofonico, con tre note in croce che si alternano in un crescendo di monotonia e fastidio da parte dell'ascoltatore e che, prima di subire il cappotto dal trucido ritornello (firmato Islord: a suo modo, un nome, una garanzia), viene salvata in corner da buone strofe dei vari personaggi coinvolti -Killa Sin e Dom Pachino su tutti. Co-Defendant, invece, nemmeno viene recuperata dall'emceeing perchè gli autori sono Shyheim e Hell Razah; e comunque credo che nemmeno Rakim e Kool G Rap sarebbero stati capaci di tirar fuori dall'abisso della bruttezza quell'accozzaglia di sample vocali, arpeggi e batterie plasticose che ne compongono lo sfondo musicale. Infine, meno peggio va con Execute Them, la cui unica colpa è di non essere all'altezza degli ospiti (Rae, Deck, Street Life e Masta Killa), ma in fondo il semplicistico loop di chitarra non è malvagio ed al limite ci si chiede perchè ad un certo punto del pezzo RZA abbia deciso di toglierlo del tutto: misteri dell'abate.
Anche perchè egli è in fondo lo stesso capace di produrre una '97 Mentality, forse il pezzo migliore del futuro solista di Cappadonna, così come l'ottima Concrete Jungle - che ad un primo ascolto può apparire scarna ma che in realtà gode di quell'aura di ruvidezza tipica di 36 Chambers e che perciò, dopo un iniziale momento di sgomento, entra a far parte del tris di bombe presenti in The Swarm.
Tris del quale fa parte, oltre a '97 Mentality e la suddetta Concrete Jungle (che strofe!), la storica Never Again di Remedy. Dico "storica" perchè da quanto ne so io è l'unica canzone mai scritta riguardante l'olocausto e, soprattutto, perchè è effettivamente toccante. Autoprodotta, questa inizia con una preghiera in ebraico sulla quale va immediatamente ad innestarsi un beat dal sapore hollywoodiano ma indubbiamente efficace, composto perlopiù da archi e veloci arpeggi, che veicola in modo perfetto il testo del Nostro: "Rabbis and priests, disabled individuals/ The poor, the scholars - all labeled common criminals/ Mass extermination, total annihilation/ Shipped into the ghetto and prepared for liquidation/ Tortured and starved, innocent experiments/ Stripped down and carved up or gassed to death, the last hour/ I smelled the flowers [immagino si riferisca al vago odore di mandorla del Zyklon B], flashbacks of family then sent to the showers". Un classico, pochi cazzi.
Ma attenzione: queste tre canzoni sono semplicemente la punta di diamante dell'insieme. A farvi da seguito vi sono almeno altri cinque o sei pezzi che definire semplicemente "degni" sarebbe riduttivo e che contribuiscono in modo determinante a trasformare The Swarm in un album che secondo me va comprato a prescindere che si sia fan del Wu o meno. Il primo di questi pezzi è S.O.S., in cui su una produzione minimalista di Inspectah Deck, incentrata più sull'impatto sonoro che altro, si vedono quest'ultimo e Street Life scambiare strofe con rara efficacia; seguono a ruota i Ruthless Bastards con la semiomonima Bastards -fiaccata solo da un ritornello asinino- e tali Beggaz, ed ambedue i gruppi si affidano ai loro beatmaker per dotarsi di classiche basi fondate su un giro di piano -più cupo nel primo caso, più allegro nel secondo. E se ai Wu-Syndicate è affidata la narrativa triste ghettusa di turno -che, cinismo a parte, è scritta davvero bene- per il consueto shit talking di professione c'è qualcuno superiore a Ghostface? La sua Cobra Clutch è uno dei tanti esempi per cui nel rap un pezzo può essere figo anche se non esprime una ceppa, e per quanto il beat non rientri tra le cose migliori di Mathematics fortunatamente è più che sufficiente per permettere al Nostro di sbizzarrirsi nei suoi viaggi.
Note finali: i Black Knights Of The North Star firmano due tracce che godono di basi decenti ma che risultano prive di una grande personalità, mentre tali A.I.G. stanno dietro alla noiosa e banalotta Bronx War Stories e vengono incorrettamente creditati per le decisamente migliore Legacy, di cui sono autori i Royal Fam o perlomeno Timbo King (Discogs non ne parla, ma ascoltate con le vostre stesse orecchie e ditemi se ho torto).
Ciò detto, a costo di ripetermi, il mio consiglio è di ascoltare The Swarm. Non sarà fondamentale come un Liquid Swords o un Cuban Linx, ma nella logica delle compilation è una delle cose meglio fatte che abbia mai potuto sentire.





Wu-Tang Killa Bees - The Swarm Vol.1

VIDEO: COBRA CLUTCH

mercoledì 24 giugno 2009

GHOSTFACE KILLAH - IRONMAN (Epic/Razor Sharp, 1996)

1996, Milano. In quell'anno la mia passione per il rap aveva raggiunto dei livelli di preoccupante maniacalità, tanto che da tempo ormai mettevo da parte tutti i soldi che mi passavano i miei per mangiare, in modo da potermi permettere il lusso di un CD ogni due settimane (cosa che oltretutto mi permise di passare dal bombolotto che ero ad una forma più longilinea, fino a raggiungere il cosid. Pookie status nel '98 con un ricco 1,86 x 66kg). Ricordo esattamente il giorno in cui venni in possesso di Ironman: avevo lezione nel pomeriggio e così decisi di fare una puntata-lampo al TimeOut assieme al mio amico e mentore Paul, tornando così a scuola con in mano sia l'esordio solista di Ghostface Killah che ATLiens; inutile dire che vi fu una feroce lotta per il possesso dell'unico Discman disponibile (il suo) che si concluse con un ascolto lampo da parte mia che -onestamente- mi lasciò deluso. Non ci credete?
Ebbene sì, al primo ascolto Ironman non mi convinse affatto: a parte l'inclusione truffaldina di due tracce già edite su altrettante colonne sonore (Winter Warz da Don't Be A Menace To South Central While Drinking Juice In The Hood, Motherless Child da Sunset Park), ciò che mi mancava era il suono cupo e sporco dei vari Liquid Swords, Cuban Linx, Tical eccetera eccetera. Al suo posto era sopraggiunto un mood più sofisticato che all'epoca, data la mia ancor maggiore ignoranza musicale, non riuscivo a decifrare e che oltretutto si poneva in netto contrasto con ciò a cui s'era abituato il mio orecchio. Detta altrimenti, il motivo per il quale Ironman non aveva saputo impressionarmi è che ero giovane e fesso, e dunque non ero capace di rendermi conto che con quel disco ebbe luogo una svolta nel suono del Wu: lo spostamento definitivo verso il soul come primaria fonte d'ispirazione per il proprio stile. Ora, leggendo queste righe penserete: "Non è che in passato i sample provenissero da Rita Pavone, e dunque dove starebbe la novità?". Giusto. Ma considerate quanto diverso può essere l'utilizzo di Ann Peebles in Shadowboxin' rispetto a quello di Al Green in 260: loop brevissimo e quasi privo di chiare connotazioni il primo, più lungo e contenente elementi ampiamente riconoscibili (il mormorio di Green in primis) il secondo. Ancora: se nella storica Heaven & Hell il sample di Syl Johnson ne rivelava la matrice anni '70, esso è comunque quasi minimo rispetto a quanto avviene per O.V. Wright in Motherless Child. E, in breve, grossomodo in tutte le tracce si respira un'atmosfera più calda e avvolgente che non nelle precedenti opere del colletivo di Staten Island, con come uniche eccezioni Assassination Day, Winter Warz e Marvel. Non è peraltro un caso se, a distanza di diversi anni, è stato lo stesso Ghostface -che in questo album invita direttamente i Delfonics- a reintrodurre in maniera massiccia i campionamenti soul ed a portare ad un necessario rinvigorimento di un Wu che, dopo il duemila, sembrava essersi perso dietro agli eclettismi poco ispirati di RZA.
Insomma, per quanto reputi che non si possa parlare di momento storico, è indubbio che Ironman rappresenti un passo importante nell'evoluzione del Wu ed uno fondamentale per Ghostfazza. Tanto per cominciare perchè in quest'occasione egli dimostra una volta per tutte di essere un vero mostro al microfono, e questo nonostante venga affiancato sia da un Raekwon al massimo della forma, sia da un emergente Cappadonna che -a pensarci vien da ridere- in Ironman manifesta un talento all'epoca assai notevole (cfr. la sua strofa in Iron Maiden). Ma poi, soprattutto, perchè Ironman alla fin fine è la prova più tangibile della sua capacità di reggere da solo intere canzoni e comporre dischi aventi capo e coda, contrariamente a quanto era avvenuto fino ad allora con Method Man e che più avanti si sarebbe ripetuto con i vari Cappadonna, RZA, Inspectah Deck e via dicendo. No: Ghostface riesce invece ad infilare diciassette canzoni una dopo l'altra quasi senza sbagliare un colpo e, pur non essendovi un reale filo rosso che conduca dall'una all'altra, tra il suo stile a libera associazione ed il collante formato dalle produzioni e dai vari skit, si riesce a giungere ad una sintesi quasi perfetta.
Geniale è l'idea di aprire con Iron Maiden, che non solo figura tra i pezzi migliori del "pacchetto" ma, soprattutto, sia come tiro che come campione prepara l'ascoltatore a ciò che seguirà; aggiungiamoci delle performance di Rae e Cappa indiscutibilmente eccezionali che si aggiungono a quella altrettanto valida di Ghost ed ecco che le aspettative cominciano ad essere soddisfatte. Seguono e abbassano i bpm il grezzissimo e ultramisogino storytelling di Wildflower e la mediocre -per via del beat- Faster Blade, finché con 260 non solo si ritorna a velocità più sostenute ma anche la qualità vede un'ascesa: forse si può opinare il taglio del campione di You Oughta Be With Me, che per l'occasione non sfrutta il bridge originale (come fa invece il remix di Format di AZ, che trovate anche su RNS), ma francamente mi sembra chiedere troppo. Già così la canzone è una perla, trovo pertanto inutile spaccare il capello in quattro.
Dunque: giunti che siamo alla quinta traccia abbiamo avuto modo di notare i primi accenni del cambio di direzione nel sampling di RZA; ebbene, siccome all'epoca qualcuno poteva restarne spiazzato, ecco che il Nostro decide di fare una mossa inaspettata. Assassination Day, che oltre ad avere un titolo fighissimo ed essere una delle posse cuts del Wu al contempo più belle e sottovalutate di sempre (assieme a Spazzola di Meth), non solo vede un ritorno alle trentasei camere da parte di Robert Diggs ma si fa notare anche per la curiosa assenza di Ghostface, che in compenso lascia tutto lo spazio a Deck, RZA, Rae e Masta Killa. Ecco: giunti a questo punto posso dire una cosa? Viste le strofe la sua mancanza non si sente. Leggete e poi ascoltate anche solo le entrate di Deck ("I move through the third world, my third eye's the guiding light/ Invite to fight, we all die tonight"), RZA ("I stop producers careers, the weak spot was their ears/ Scorpion darts hits their mark pierce their heart with silver spears"), Rae ("First of all, before we move on, this shit is like a Yukon/ Don, spread it out like Grey Poupon") e Masta Killa ("War is extremely serious and it saddens me/ To have to take tings to deadly measures/ And have you measured and shot for no pay/ It's assassination day I stalk my enemy like prey"). Da applausi? Io direi di più.
Di tracce su questo livello però ce ne sono altre, state tranquilli: Fish (unica base curata non da RZA bensì da Tru Master) è eccezionale, così come anche Daytona 500 (miglior uso del sample di Nautilus? Diciamo che se la gioca con Follow The Leader e Stray Bullet) e l'uno-due dato da Black Jesus e After The Smoke Is Clear. E naturalmente anche Motherless Child e l'eccellente Winter Warz, pur figurando tecnicamente come ricicli, assurgono tra le cose migliori del disco; anzi, a dirla tutta faccio prima a dire quali sono i pezzi secondo me meno ispirati. È facile, si riconoscono subito: Faster Blade, Box In Hand (che si salva in zona Cesarini grazie ad una bella strofa di Meth) e Marvel (dove alcune delle peggiori tendenze del Diggs che verrà cominciano a farsi notare, vedi ad esempio la cacofonica e striminzita melodia).
A queste poi aggiungo in piena enfasi di soggettività la tanto acclamata All That I Got Is You, che a prescindere da qualsiasi valutazione critica mi risulta di una melensaggine insostenibile e francamente, con quel popò di coro di Mary J. Blige, davvero non riesco a sopportare più. Ma questa è una valutazione completamente personale, per cui datele il peso che merita e soprattutto non scatenate un inferno nella sezione dei commenti -grazie.
Ma alla fine dei conti cos'altro c'è da aggiungere? Qualche senese frequentatore del blog mi odierà, ma cinque non riesco a darglielo; per me qualche fiaccata c'è e anche se queste vengono facilmente dimenticate grazie alle chicche qui presenti, cosa che mi permette di dargli un quattro e mezzo, purtroppo non posso conferire il pieno dei voti. So sorry. Tenete però conto che, come sempre, quando mi trovo a giocare coi zainetti cerco di contestualizzare quanto più possibile e quindi quest'opera se la deve giocare con robette da nulla come OB4CL, Infamous o Liquid Swords. Non -con tutto il rispetto- coi Cunninlynguists.





Ghostface Killah - Ironman

VIDEO: DAYTONA 500

martedì 26 maggio 2009

GZA/GENIUS - BENEATH THE SURFACE (MCA, 1999)

Sono molto dispiaciuto ('na roba) nel dirvi che, come del resto avrete già notato da soli, malgrado abbiate espresso delle preferenze per questa settimana io me ne impipperò. Il motivo di questa scelta è dato un po' dall'aria che si respira in politica, ma soprattutto dal fatto che è una settimana pesantissima in termini di lavoro e che, pertanto, se voglio recensire qualcosa, questo qualcosa deve soddisfare due fondamentali criteri: a) lo devo conoscere bene, b) deve farmi venir voglia di scriverne. Labcabincalifornia purtroppo non risponde a nessuno di questi due criteri e, siccome ieri l'ho riascoltato e m'ha fatto cadere le braccia -non so, si vede che non ero dell'umore giusto, non mi pare una buona idea dedicargli il mio tempo. Abbiate dunque comprensione.
Un disco che invece corrisponde alle sopracitate prerogative è l'ottimo Beneath The Surface di GZA, passato ovviamente in sordina in quanto sequel di Liquid Swords, ma comunque capace di resistere al logoramento del tempo quasi quanto il predecessore. Infatti, pur non essendo privo di scivoloni in un certo senso "gratuiti" (mi spiegherò meglio più avanti), esso ha l'inconsueta peculiarità di mantenere gli stessi pregi e gli stessi difetti a dieci anni di distanza: le canzoni belle quelle sono, i beat brutti quelli sono, punto e basta. Un disco in bianco e nero, dunque, dove le scale di grigi sono secondo me ben poco utilizzate.
Vogliamo farla semplice? Benissimo, allora: Beneath The Surface, Breaker Breaker, High Price Small Reward, 1112 e Mic Trippin' sono i pezzi (quale più e quale meno) definibili come "belli". Per converso, Hip Hop Fury, Crash your Crew, Stringplay e Feel Like An Enemy sono quelli brutti e, infine, Amplified Sample e Victim sono quelli a cui manca qualcosa per ottenere un giudizio positivo. È poi quasi sottinteso (ma non si sa mai) che la bruttezza di alcune creazioni è da considerarsi relativa, visto che abbiamo a che fare con GZA e non Gucci Mane, ma preferisco comunque parlarne in simili termini giusto per non confondere le acque e perchè, in fondo, quando si ascolta un album di Gary grice il metro di giudizio è tarato sulle sue potenzialità e non su quelle di un mammalucco qualsiasi.
Ciò detto, cominciamo a scendere nei dettagli di un album atteso al varco con una certa trepidazione e in generale delle attese fuori dal comune. Quando agli inizi dell'estate '99 venne pubblicato Beneath The Surface, infatti, esso dovette relazionarsi a due problemi: il primo era ovviamente lo scomodo paragone col classico che lo aveva preceduto; il secondo invece riguardava più in generale lo sfascio qualitativo del Wu-Tang nel suo complesso, che dal pubblicare Cuban Linx e Liquid Swords in un anno era passato a promuovere prodotti infinitamente inferiori specialmente per quel che riguardava i duemila suoi affiliati. Considerate le circostanze, quindi, il pubblico (incluso il sottoscritto) sperava che il buon GZA riuscisse a raddrizzare la rotta mediante un album quantomeno ineccepibile e, in tutta onestà, l'assaggio dato dal singolo Publicity b/w Breaker Breaker aveva lasciato ben sperare. La prima canzone, prodotta magistralmente da Mathematics, segue la falsariga di Labels spostandosi stavolta nel campo delle riviste: inutile dire che il carisma, la voce e la tecnica di GZA sono eccelse perchè è quasi scontato. Sorprendono di più la bellezza del campione e l'efficacia con la quale questo si sposi da un lato con Grice stesso, e dall'altro con delle batterie la cui complessità è giustamente mantenuta su bassi livelli per favorire invece il suono, effettivamente imponente (persino la breve durata del tutto non danneggia affatto la canzone). Promossa con lode. Breaker Breaker, invece, gode di atmosfere più leggere e di un sample meno cupo; ciò nondimeno "funziona" altrettanto bene grazie ad un'orecchiabilità che va di pari passo con la negazione di qualsiasi sconto alla faciloneria "da singolo": nuovamente, ringraziamo sia GZA che Arabian Knight, un altro dei discepoli di RZA che in quest'album riescono a sopperire più che bene alla pressoché totale assenza dell'abate.
Ricapitolando, dunque: sia il singolo che la b-side (curiosamente divenuta il video di lancio) si pongono su livelli oggettivamente molto elevati, anche e soprattutto considerando che sono fatti da un maestro come il Nostro. Ebbene, dopo poco tempo dall'uscita di questi finalmente esce l'album vero ed è ovvio che a questo punto ci si aspetti una bomba come dio comanda. Beh, scandalo degli scandali, non è così: Beneath the Surface è "solo" un bel disco. Ma a cosa è dovuta questa semi défaillance? A GZA? Ai beat? Agli ospiti? A cosa?
Sgomberiamo il campo dai dubbi: Gary Grice è come sempre un mostro di bravura sia che scriva storytelling, sia che si lasci andare all'autoesaltazione e sia che partorisca concept track. Non si discute: tutto il suo talento, del quale ho abbondantemente scritto in precedenza e che perciò non descriverò nuovamente, è onnipresente sia in una Mic Trippin' che in una Beneath The Surface. Se ho mai visto un MC capace di dare prove di bravura così costanti quello può essere Nas, e scusate se è poco; insomma, come liriche "ci siamo". Per quel che riguarda gli ospiti, anche se il livello non è ugualmente alto, direi che non ci si può lamentare più di tanto. Assodato che non è Liquid Swords dove ogni featuring era una bomba, in BTS c'è molto Killah Priest (e a casa mia questo è un bene), qualcun altro dei Sunz Of Man e dei Royal Fam (e passi), qualcheduno del Wu (ODB, Masta Killa, Meth) che pur non facendo miracoli se la cava più che bene (ma scordatevi le strofone di Deck o Ghostface) ed infine la sconosciuta Njeri: onestamente è quest'ultima la rivelazione del disco, dato che sia in 1112 che Victim fa dei numeri eccezionali e, alla luce di ciò, risulta incomprensibile il motivo della sua pressoché fulminea scomparsa dalla scena. Ma tant'è.
Insomma, per esclusione si può giungere alla conclusione che i motivi per i quali Beneath The Surface non riesce a bissare il successo sono fondamentalmente i beat. Crash Your Crew è il primo fallimento in cui ci imbattiamo ed il suo stanco e fracassone loop riesce a venire a noia nell'arco di circa trenta secondi; aggiungamoci che è del tutto privo di un qualsiasi tipo di melodia ed ecco che il tasto Fast Forward può essere usato per la prima volta. Hip Hop Fury è un po' meno peggio, ma nuovamente la pigrizia nel loopare e pitchare un amelodico campione di pianoforte ad libitum senza alcun tipo di variazione (eccetto un irrilevante sample di archi in levare ogni quattro misure) affossa un'altrimenti discreto pezzo; ma la delusione maggiore viene da Stringplay, lasciatemelo dire. Quella che poteva essere una seconda Shadowboxin' viene massacrata da una merda di base in cui un suono a metà tra l'arpeggio e dei synth da tastiera Bontempi impera per ben tre minuti e qualcosa, ed il fastidio che esso genera è tale che molti comprensibilmente nemmeno riusciranno a giungere fino al termine della canzone. Infine, volendo chiudere il tour nella galleria degli orrori con una nota semipositiva, c'è Feel Like An Enemy che più brutta pare un po' generica e fondamentalmente pacchiana (sapete, c'è tutto un casino di archi che va in sottofondo e non è che lasci impressionati) ma che quantomeno gode di un bel bridge sui cui, oltretutto, c'è un attacco di strofa ("Vocal imbalance, a code of silence converses violent...") da applausi.
Quanto ai due pezzi "nì" i problemi sono semplicissimi: Victim ha un ritornello cantato che francamente si potevano risparmiare, mentre Amplified Sample vede un'inspiegabile ripetizione della prima strofa forse non fastidisossima ma comunque priva di qualsiasi motivo. Tolti i rispettivi difetti va detto che le canzoni in sè e per sè sono pure belle (specialmente Victim), per cui a uno gira un po' il culo che siano state danneggiate da due svistine simili, peraltro facilmente evitabili.
Ma nel complesso -e a distanza di dieci anni- reputo che Beneath the Surface sia decisamente un buon album. Naturale: poteva essere meglio. Indiscutibile. Tuttavia la serie di pezzi belli (e qui oltre a rimarcare la bellezza della finora non citata title track vorrei aggiungere la purtroppo breve Outro) è di una caratura tale da far dimenticare certi errori e orrori relativi alla fase del beatmaking. In fin dei conti tutti i pezzi sono rappati bene e, ad eccezione delle tremende Crash Your Crew e Stringplay, volendo si può anche glissare sulle relative basi. Insomma, non quello che i fan del Wu si aspettavano all'epoca ma indubbiamente un'opera valida anche nel 2009.




Genius/GZA - Beneath The Surface

VIDEO: BREAKER, BREAKER

giovedì 4 dicembre 2008

LA THE DARKMAN - HEIST OF THE CENTURY (Supreme Team/ Wu-Tang Prod., 1998)

Essendomi per ora rotto un po' i maroni del rap più elegante e sobrio, negli ultimi giorni sono tornato a quelle che comunemente vengono definite cinghialate per un motivo o per l'altro. Nulla di estremo, per carità, ma confesso che l'ultimo di Ludacris mi sta dando qualche soddisfazione anche se mai potrà raggiungere la soddisfazione che mi sta regalando ad ogni ascolto l'ultimo degli EPMD (ascoltatelo, già solo i pezzi con Raekwon e Keith Murray valgono l'acquisto).
Ma sto divagando. Il punto è che anche nei gloriosi anni '90 la carne al fuoco da questo punto di vista era molta ed è per questo che diverse uscite dell'epoca oggi sono cadute nel dimenticatoio, eclissate sia per via di una qualità inferiore che per questioini più prosaiche quali -per dire- il successo commerciale. Nel caso di La The Darkman la questione è abbastanza curiosa: il suo Heist Of The Century meriterebbe menzione già solo per la sfrontata bruttezza della copertina, ma aggiungiamoci pure che uscì in un periodo tutto sommato piuttosto fortunato per gli affiliati del Wu, vendette l'impressionante numero di trecentomila copie pur non essendo sotto una major e, in ultima analisi, è effettivamente un prodotto meritevole (fa parte secondo me della trinità degli album realmente degni assieme a Silent Weapons ecc. e Heavy Mental) il cui unico difetto è forse di promettere più di quello che alla fine mantiene. Orbene: malgrado queste premesse sono ormai passati dieci anni dalla sua pubblicazione e a ricordarsene credo che siano pressoché unicamente i possessori materiali dell'album, mentre chiunque altro, sentendone il nome, risponde con un'alzata di spalle.
A questi mi rivolgo: se vi dicessi che Heist Of the Century può vantare un roster di produttori tra cui Carlos "Six July" Broady, Havoc, DJ Muggs, RZA e 4th Disciple; e se vi aggiungessi che tra gli ospiti vi sono Ghostface, Raekwon, Masta Killa, Killa Sin e Havoc, beh, mi auguro che almeno un pizzico di curiosità vi verrebbe. Anche perchè se andiamo a contestualizzare cronologicamente tutti questi nomi scopriremmo che per molti di essi il periodo era aureo perlomeno dal punto di vista artistico e che perciò -in teoria- quanto da loro prodotto dovrebbe essere di elevata qualità.
Ecco, spiace un po' dirlo, ma le cose non stanno proprio così. Fermo restando che effettivamente vi sono pezzi da applausi a scena aperta, è anche vero che a mente fredda la delusione in parte c'è, proprio a partire da quel Carlos Broady che in passato s'era coperto di gloria come membro dei Hitmen (pensate a T.O.N.Y. Who Shot Ya, 24 Hours to Live) e che in quest'occasione non sempre riesce a mantenere il passo con la sua fama. Ad esempio, tracce come What Thugs Do o Spring Water cercano di cavalcare l'equilibrio tra hardcore e robetta da club fallendo miseramente e meritandosi quindi ripetuti skip, mentre altre come Now Y, 4 Souls, Street Life e Wu-Blood Kin non sono in sè e per sè brutte e conservano almeno la matrice grimey di altre opere da 90 del Nostro, però appaiono un po' prive di personalità e/o mordente e fungono al massimo come "antipasto" per pezzi ben più potenti. I quali ci sono, senz'altro, ma hanno lo sgradevole compito di ricordarci cosa sarebbe potuto essere Heist Of The Century se appena vi fosse stata una maggiore selezione qualitativa da parte sia di Broady che, ovviamente, di LA. Esempio: Lucci è dotata di batterie dal suono fenomenale, capaci di soddisfare qualsiasi voglia di alzare il volume, ed il fatto di essere accompagnate da un loop di piano interamente costituita da note a una corda (o effettate a tal modo) rende la canzone un'invidiabile biglietto da visita per chiunque. La successiva Shine, invece, risulta ritmicamente più leggera e senz'altro suonerà familiare a chiunque abbia apprezzato la nostrana Street Opera di Fritz & Bean dato che il campione di Roy Ayers è lo stesso; I Want It All sintetizza invece i pregi delle due precedenti e conclude in modo più che degno il disco mentre, sempre verso la fine, l'ottima Gun Rule riesce a mandare il pensiero verso i lidi The War Report -il che è ovviamente una gran bella cosa.
Ciò che invece non è affatto positivo è che Havoc delude parzialmente con City Lights -il sample fatto girare al contrario su batterie semplicissime sa molto di leftover di Hell On Earth- e Figaro Chain, due produzioni francamente non all'altezza del suo curriculum dell'epoca, i cui unici indiscutibili pregi sono di essere comunque più ascoltabili della media. Au contraire, Muggs tira fuori una gran bella base che sa di Soul Assassins già solo per come sono effettate le note di piano, per come la scala salga e scenda di ottave e come questi cambi vengano evidenziati dall'uso di archi; aggiungiamoci u tiro piuttosto veloce ed ecco che Heist Of The Century non avrebbe sfigurato sul primo solista del produttore dei Cypress Hill. Chapeau dunque a lui, che grazie al suo contributo valorizza al meglio una delle tracce portanti del disco e che vede l'alternarsi di LA e l'immenso Killa Sin in uno storytelling a metà tra Kool G Rap e William Cooper (cfr. i riferimenti alla tecnologia vista come mezzo tipicamente del Potere, gli accenni cospirazionisti ecc.). Nella media invece -e lo dico spiacendomene- l'apporto di 4th Disciple, che ci fa dono di due cosucce nient'affatto malvage ma un po' inspide e che in ultima analisi lasciano il tempo che trovano, mentre RZA conferma l'opinione oramai diffusa che quello era il periodo discendente della sua creatività (fa specie notare, però, come Polluted Wisdom tenga il passo delle migliori cose di Bronze Nazareth et similia).
Quanto a LA stesso, alla luce di quanto scritto per le produzioni appare chiaro che da solo non sia capace di tirare su una canzone nella sua interezza. Il Nostro ha infatti una bella voce, una tecnica non complessa ma pulita nell'esecuzione ed una discreta inventiva; ma anche quando tutte queste tre doti si trovano aggrappate a beat che non sono né carne, né pesce -vedi appunto la liricamente valida Polluted Wisdom o anche Love- l'impressione finale è che vi sia più fumo che arrosto. il che è solo parzialmente vero, dato che al di là di non essere certamente uno Stanley Kubrick (ma nemmeno un Michael Bay) bisogna comunque apprezzare lo sforzo che fa sia per produrre storytelling non indegni, sia di spargere piccole perle di saggezza quà e là, sia infine di essere tamarro quanto basta per risultare credibile e fondamentalmente divertente. In più, anch'egli fa parte dei beatopatici, e cioè di coloro che si danno più da fare in proporzione alla bontà della base; il che se da un lato è negativo, dall'altro contribuisce enormememente a trasformare buoni pezzi in ottimi. E gli ospiti, beh, che dire... tolto Killa Sin che vince e convince, tolti Havoc e Ghostface che fannno il loro mestiere, ci restano gli altri che non è che si sbattano più di tanto. E passi per Masta Killa o per quel poraccio di U-God, ma Raekwon poteva anche provare a tirar sù quel cessaccio ignobile che è Spring Water. Vabbè, pazienza.
Insomma, il succo della faccenda è che a distanza di dieci anni Heist Of The Century mostra chiaramente quello che era sempre stato: un discreto prodotto, migliore di molti che lo hanno seguito ma peggiore di quelli che l'hanno preceduto. In tutta franchezza mi sfuggono i perché ed i percome del suo incredibile successo di vendite -Heavy Mental sarebbe dovuto essere il Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band del rap, a 'sto giro- ma chissenefrega; ribadisco, cinque tracce sono da applausi ed una di esse (la title track) ancor'oggi mi fa sbavare, due o tre sono semplicemente ignobili ed il resto galleggia nella broda del buon rap nuiorchese di fine '90. A voi la decisione se comprarlo o meno, ovviamente; dal canto mio non mi lamento dell'averlo acquistato ed ancora nel 2008 mi tira il culo di riascoltarlo seppur scremato delle minchiate.




LA The Darkman - Heist Of The Century

lunedì 6 ottobre 2008

GZA/GENIUS - PRO TOOLS (Babygrande, 2008)

Finalmente ho una buona scusa per affrontare l'onere di recensire il quinto album solista di GZA (propendo però per definirlo "sesto" in considerazione della joint venture con Muggs): nella notte mi devo essere schiacciato un nervo del braccio sinistro e così mi trovo con una mano pressochè inutilizzabile, il che mi costringe a scrivere con la sola destra. Ergo, ho un ottimo pretesto per non sprecare più di tanto tempo per compiere un'azione abbastanza semplice come quella di definire Pro Tools una (relativa, se volete) stronzatona col fischio e col botto, il cui acquisto può essere giustificato solo se siete parenti di primo grado di GZA oppure se siete dei nerdoni che tutto potrebbero tollerare fuorchè l'avere una discografia incompleta di uno dei propri artisti preferiti. Anche se, come dicevo, comprarlo corrisponde sostanzialmente a gettare una ventina di euro dalla finestra.
Vedete, il punto è uno solo: Pro Tools è un album scritto e registrato col pilota automatico, con l'aggravante di appoggiarsi ad un bel pacchetto di beat dal sound genericamente Wu che, in ultima analisi, non lasciano nulla. Insomma, non solo è artisticamente prevedibile ma -ben più grave- annoia mortalmente e riesce così a meritarsi degnamente il titolo di peggior opera del Nostro di sempre (ad esclusione di Words From The Genius, che però per me si colloca al di fuori di ciò che ha reso Gary Grice un household name tra gli aficionados del genere).
Certo, liricamente siamo sempre su livelli medioalti con punte di eccellenza (Short Race, Path Of Destruction, Cinema e Paper Plate) ed in tal senso non è più di tanto inferiore alle aspettative, però è anche vero che non ci sono tracce nè della genialità manifestata in canzoni come Labels o Animal Planet, nè della ferocia sfogata sul microfono come invece avvenne in Duel Of The Iron Mic o Illusory Protection, nè, infine, degli storytelling d'atmosfera à la Cold World o Exploitation Of Mistakes. Il che sarebbe anche perdonabile se avessimo dei beat quantomeno significativi a farvi da contraltare; peccato che persino gli episodi meno noiosi (Short Race, Paper Plate, Life Is A Movie e Path Of Destruction) impallidiscano di fronte ad una qualsiasi traccia "minore" del passato (che so, Mic Trippin'), tanto che verrebbe da chiedersi se GZA non abbia dopotutto optato per una serie di beat a costo zero raccattati da uno dei milioni di imitatori del RZA "storico" che si trovano in rete. E invece no: guarda un po', a fare un lavoro così insulso sono stati proprio quei RZA, Arabian Prince o Mathematics che invece furono capaci un tempo di concepire grandi cose.
E allora cosa resta? Massì, qualche batteria equalizzata male, l'occasionale excursus nel soul degli anni '70 (vedi la strausata Love Serenade di Barry White in Columbian Ties), oppure dei loop di archi e piano troppo brevi, ripetitivi e per giunta privi di una melodia decente. Buoni esempi di questa mediocrità sono Alphabets, Pencil o 7 Pounds ma, soprattutto, la didascalica 0% Finance, così intitolata in quanto evidente riferimento ai soldi sborsati per un beat così sorprendentemente noioso e permeato fino alle ossa di amatorietà da risultare patetico (nel senso più cristiano del termine).
Oh, dimenticavo: ad eccezione di Rock Marcy degli U.N., le prestazioni degli ospiti sono mediamente penose. Chapeau, in tal senso, alla fiacchissima performance di Masta Killa in Pencil: mai così loffio in quindici anni! A degno coronamento del tutto, infine, la grafica: una vera sfida leggere i titoli persino per chi, come me, possiede 10/10 su ambedue gli occhi. Bravi!
Morale? Credo che gli unici motivi per cui mi ricorderò di possedere Pro Tools saranno la cocente delusione derivante dall'ascolto, ma soprattutto il fatto che è il terzo disco in assoluto che io possegga in versione censurata. Pure!, direbbe uno, ma a parte che GZA non è un gran smadonnatore, tanto chi lo ascolterà più? Ad ogni buon conto, i tre zainetti sono un voto ultrageneroso conferito al disco solo perchè rispetto alla media attuale non si può parlare di mediocrità; ovviamente, se lo volessimo porre in rapporto diretto al resto della discografia scenderemmo almeno di mezzo punto. Almeno.




Genius/GZA - Pro Tools

mercoledì 28 maggio 2008

SHABAZZ THE DISCIPLE - THE BOOK OF SHABAZZ (Battleaxe, 2003)

Se dovessi fare una lista delle cose che mi fanno frullare i coglioni a vortice, il rischio sarebbe di restare davanti allo schermo fino a notte inoltrata; mi limterò a dire che molte di esse si possono raccogliere sotto l'ombrello della sciatteria. Ad esempio, sono disgustato dalla gente che va in giro in tuta "perchè è comoda", detesto chi mi passa i lavori fatti a cazzo "perchè tanto la foto sborda di soli due millimetri", e disprezzo profondamente chi crea antologie prive di rigore filologico e completezza d'informazioni.
È senz'altro il caso di questo Book Of Shabazz, erroneamente scambiato per un disco solista vero (almeno, mi auguro che non sia mai stato inteso come tale) quando in realtà si tratta di fatto di una raccolta dei suoi lavori dal '95 al 2003 con come aggiuntine l'occasionale b-side o rarità. Ora, prima di demolire il lavoro, vorrei precisare che qui non è in discussione Shabazz come artista, bensì l'operazione che ha portato a mettere insieme tredici tracce sostanzialmente senza alcun criterio razionale.
Tanto per cominciare, i tipi della Battleaxe hanno avuto la sconsiderata idea di allungare il brodo con le cazzate, e cioè, nella fattispecie, di inserire la bellezza di otto skit dalla dubbia utilità, i quali spezzano ogni qualsivoglia parvenza di continuità in modo intollerabilmente fastidioso (basti dire che per sentire il primo pezzo ci sarebbero da sucarsi due interludi di fila... almeno unirli, perdio!). Ma, al di là di questo non esattamente secondario difetto, perchè ho solo parlato di "parvenza" di continuità? Ma perchè questi incompetenti non solo hanno buttato le tracce alla rinfusa, senza che da una tipologia di atmosfera si passi all'altra con una certa logica (a questo punto sarebbe stato meglio optare per il didascalico ma corretto ordine cronologico), ma nemmeno si sono premurati di equalizzare i pezzi in maniera omogenea. Attenzione: non parlo di rimaneggiare in toto pezzi del '96 per far suonare il mixaggio più contemporaneo -il che sarebbe scorretto- ma perlomeno portare tutti i volumi allo stesso standard! Ma cosa ci vuole? Lo faccio io con un programma crakkato in tre minuti ed i risultati sono quantomeno palpabili...
Non parliamo poi del packaging: oggettiva pochezza della grafica a parte (tanto valeva riprendere paro paro il lavoro fatto per Red Hook Day), la cosa più scandalosa è che nel booklet non vi siano informazioni che vadano al di là dello standard "prodotto/registrato/mixato da". Ma insomma, ho capito che esiste internet, discogs eccetera, ma senza nemmeno pretendere una microscopica descrizione della storia della singola canzone, era troppo chiedere che puntualizzassero, che so, "singolo pubblicato nel '95" o "traccia inedita"? Perdio, manco questo minimo sindacale...
Last but not least, i pezzi veri e propri. Senza voler mettere in dubbio la completezza -che comunque tale non è- del lavoro, alcune delle scelte operate sono quantomeno meritevoli di dubbio. Sorvolando sul fatto che esisterà pure una versione di Crima Saga priva di censura e che magari poteva essere la volta buona di pubblicarla, mi chiedo come mai non abbiano ad esempio scelto di inserire il remix di Carlos Bess di Ghetto Apostles piuttosto che quello fatto da 7L per Thieves In Da Nite, ambedue nettamente superiori agli originali. E, a proposito di Thieves In Da Nite, vorrei sottolineare la parruccata estrema di voler far passare una canzone palesemente più vecchia come il sequel della prima, pubblicata nel 2003. Via, chiunque abbia una minima di conoscenza dell'hip hop capisce benissimo -anche solo da come è mixata- che Surrender può esser fatta risalire al massimo al '99. Il fatto che sia un inedito e che nel ritornello si usino le parole "thieves-in-the-night" non la rende certo più moderna se non al registro della RIAA.
Insomma, in due parole, l'unica cosa che salvi quest'oscenità è alla fin fine la comodità di avere (in un modo o nell'altro) alcune gran belle tracce come Crime Saga, Organized Rime o Red Hook Day. Ma davvero non riesco a capire come 'Bazz abbia potuto tollerare un simile insulto, che comincia col packaging, prosegue nell'arbitraria esclusione di pezzi potenti come Death Be The Penalty o i sopracitati remix, e si conclude nell'inesistente lavoro di postproduzione. Ora, è per pura coerenza che mi esimo dall'appioppare l'unico zainetto che quest'operuccia si merita- posso solo augurarmi che la Battleaxe lasci perdere progetti così ambiziosi e che si limiti a gestire cose più alla loro portata come i Swollen Members, Moka Only e LMNO (che, tra parentesi, ha rovinato in solitaria l'altrimenti bel disco fatto con Kev Brown).

Shabazz The Disciple - The Book Of Shabazz

VIDEO: CRIME SAGA

lunedì 26 maggio 2008

INSPECTAH DECK - UNCONTROLLED SUBSTANCE (Loud, 1999)

Brutta bestia, l'aspettativa: dacché uscì Wu-Tang Forever, dove ogni qualvolta appariva Deck il resto dei suoi colleghi restava indietro di svariate misure, qualsiasi pezzo provenisse direttamente o indirettamente dal Nostro aveva il dovere sociale di essere come minimo una bomba. E per un po' la cosa ha anche funzionato (Above The Clouds, Tres Leches, Tru Master ecc.), senonché, giunti a metà 1999, il suo tanto atteso LP non ha potuto far altro che deludere le aspettative dei fan in quanto -molto semplicemente- non conteneva traccia della potenza di nessuna delle sopracitate tracce. E così fu che un discreto disco venne catalogato vita natural durante sotto la voce "occasioni perdute" essendo, peraltro, in buona compagnia di svariati suoi soci del Clan. Ma che col senno di poi si possa rivalutare (almeno in parte) quel giudizio di nove anni fa? Beh, sì e no.
Cominciamo col dire che la copertina è quanto di più brutto sia stato dato di vedere nel '99 al di fuori delle operucce della Pen & Pixel (quelli della No Limit degli anni d'oro, per intenderci), e che il fotoromanzo contenuto all'interno del booklet riesce a toccare delle vette di esilarante tristezza che vi consiglio di esaminare in prima persona. Che poi questo non vada ad incidere sui contenuti dell'album sarà anche vero, ma quando ci si trova di fronte a siffatta porcheria è impossibile non denunciarla.
Detto questo, la prima bella sorpresa arriva dopo l'obbligato skip di una stupida intro, e il suo nome è Movas & Shakers: come tutte le volte in cui RZA ha campionato Syl Johnson, anche questa produzione non fa eccezione e si rivela essere come una delle tracce più solide di Uncontrolled Substance. Il campione di tromba è supportato semplicemente da batterie che schioccano come dio comanda e da una linea di basso equalizzata da dio, il che consente a Deck di fare ciò in cui è maestro, e cioè sventrare il microfono: "This style has no origin or birth date/ And scientists' research can not calculate/ The great mind skatin' through space and time/ Vibratin' through the basslines that stun mankind/ Reclined in the leather seat the cassette blasts/ Vocals that smash out the bullet proof glass". Lo sventramento prosegue poi nella successiva 9th Chamber, in cui, su un beat invero un po' troppo fracassone per i miei gusti, INS è assistito da La The Darkman, Street Life, Beretta 9 e Killa Sin; considerati i nomi, è lecito aspettarsi una rima migliore dell'altra, cosa che puntualmente avviene, e tutto ciò in meno di tre minuti e senza nemmeno l'interruzione di un ritornello.
I primi problemi cominciano però ad affiorare con Uncontrolled Substance, dove un ritornello piuttosto discutibile in quanto cantato con l'enfasi di Man Before Your Time (Napoli Violenta, nella scena in cui si vede Gennarino semiazzoppato... trisshtezza) riesce a rovinare un pezzo altrimenti abbastanza degno. Per converso, Femme Fatale se la rovina il solo Deck: non tanto per le strofe -in realtà parecchio belle in quanto a rime e abilità nello storytelling- quanto per la cacofonica base da lui prodotta.
Interrompo la lista della spesa perchè devo tornare a lavoro quanto prima possibile: riassumendo, il problema principale del disco sono i beat. Alcuni risultano difatti semplicemente incircolabili: oltre ai sopracitati, ci sono per esempio Grand Prix (ammiccamento al funk da denuncia) e The Cause (autentico aborto fortunatamente posto in chiusura d'opera). Altri, invece, suonano di già sentito (Elevation riutilizza per la zilionesima volta Terri's Tune di David Axelrod, ma basta!) oppure risultano, purtroppo, un po' tanto generici (ed è il caso della maggioranza di essi, vedi ad esempio Longevity, Forget Me Not o Friction). Il che è uno spreco, perchè Deck raramente sbaglia un colpo, e quando lo fa, al limite inciampa sui ritornelli. Svariate prove di quello che può avvenire quando il Nostro è dotato di un beat adeguato lo si ha, oltre che in Movas & Shakers, nei singoli R.E.C. Room e Show 'N' Prove, senza poi contare le altrettanto valide Hyperdermix (cupissima) e Word On the Street.
Insomma, a conti fatti si può fare del sano revisionismo? Direi di sì, vuoi anche solo perchè quanto fatto da Deck nei suoi successivi album è stato ben peggiore di ciò che si può sentire all'interno di Uncontrolled Substance. Ciò però non significa che quest'ultimo sia un disco eccelso e men che meno un disco all'altezza delle promesse; si limita a contenere cinque canzoni assolutamente da sentire più una pletora di strofe più o meno sprecate. Peccato.





Inspectah Deck - Uncontrolled Substance

VIDEO: WORD ON THE STREET

lunedì 14 aprile 2008

KILLAH PRIEST - HEAVY MENTAL (Geffen, 1998)

Mi piacerebbe poter copiaincollare spudoratamente l'introduzione alla recensione di Silent Weapons For Quiet Wars che scrissi qualche tempo fa, visto che vale anche per Heavy Mental; ma questo, oltre che essere una manifestazione di pigrizia, dimostrerebbe scarsa creatività. E questa mancanza, condannabile in quanto tale, sarebbe offensiva nei confronti dell'allora sottovalutato disco d'esordio di Killah Priest. Dico "sottovalutato" perchè uscì in un periodo dove da ogni uscita del Wu e compagnia bella ci si aspettava un Liquid Swords o, male che andasse, un Ironman; questo disco, che oltretutto era vittima di aspettative molto alte, ovviamente non poté sopravvivere alla delusione di molti fan fessi -tra cui anch'io- per quanto ricco di spunti e ben concepito.
Anticipato intorno a marzo '98 dalla presenza del singolone Cross My Heart sulla colonna sonora di Caught Up, quando Heavy Mental vide finalmente la luce la reazione fu piuttosto tiepida. Più curiosamente, One Step, una delle tracce portanti dell'album, campionava I Forgot To Be Your Lover di William Bell, alias lo stesso pezzo che fece diventare Worst Comes To Worst una hit: ebbene, ciò non bastò, e pensare che l'uso che ne fa Tru Master è in tutto e per tutto superiore alla sopravalutata produzione di Alchemist!
Col senno di poi, però, si può dire che questo LP è senza dubbio il migliore mai creato da KP, ma soprattutto che è uno dei pochi derivati del Wu ad avere il diritto di stare nella "casta" dei dischi che hanno segnato il periodo d'oro del collettivo di Staten Island (comunque, a chi dovesse interessare, KP è di Brownsville). Questo non solo perchè è un ottimo connubio tra liriche e beat di qualità, ma soprattutto perchè la diversità del Nostro rispetto ai suoi colleghi è decisamente marcata in quanto a contenuti: gli uni tendono generalmente all'essere dei sostanziali tamarroni con influenze da 5%er che vanno di pari passo con quelle di film come Scarface mescolato a Lone Wolf & Cub -righteous ign'ant, come si suol dire; Priest invece è fortemente legato a temi biblici, al giudaismo, e al parallelismo tra le sfighe del popolo ebraico e quelle della sua gente -senza dimenticare naturalmente una buona iniezione di orgoglio nero. Quindi non si tratta di una forma di temporalismo piuttosto che di proselitismo messa in rima, si tratta "semplicemente" della decisione di usare un dato punto di vista come fonte d'ispirazione per descrivere determinate realtà. Un approccio in sè non molto originale se si considera l'arte nel suo insieme, ma che diventa decisamente particolare se lo si applica al rap e alle (poche) volte in cui esso ha deciso di sfruttare a fondo un dato humus culturale.
Fortunatamente la faccenda non si limita a questo, altrimenti avremmo un epigone ante litteram del 5% Album di Lord Jamar: un esperimento che asciuga. No, qui si trova spazio anche per pezzi più classici come Cross My Heart, Fake MC's o Tai Chi: esposizioni di stile pure e semplici ma fortunatamente sorrette dal talento di Priest e, nuovamente, sufficentemente "personali" da non risultare manieriste. Oppure, ancora, c'è spazio per veri e proprii flussi di coscienza (la classica Heavy Mental), pezzi a sfondo parascientifico (Atoms To Adam) o altri legati a temi distopici/cospirazionisti come Information. Tutto ciò trova poi le sue fondamenta pratiche nella bella voce baritonale di KP, nella sua metrica pulita ma comunque piuttosto "elastica" (ascoltare in sequenza One Step, It's Over e Heavy Mental per credere), e nello stile di scrittura non semplice da seguire ma sicuramente appassionante e raramente scontato. Insomma, sul versante lirico c'è ben poco di cui lamentarsi, e quel qualcosina deriva dal fatto che l'album è fin troppo gordo di tracce per evitare che chiunque, anche il più bravo, scivoli alle volte in ripetizioni o rime di seconda scelta.
Quanto ai beat, la varietà c'è e la qualità media è buona, solo che la bontà del lavoro è concentrata nella prima metà dell'album: uno squilibrio molto marcato e che purtroppo può portare alcuni ad ignorare la seconda parte dell'album, nella quale pur si possono trovare belle cose come Atoms To Adam, la celeberrima B.I.B.L.E., e Information. Purtroppo ci sono canzoni nelle quali i beat puzzano da lontano di scarto (è il caso di Almost There, Mystic City, Fake MC's e la pessima Wisdom), e francamente ci si chiede perchè mai il Nostro abbia deciso di includere le suddette in un album già denso di liriche e concetti. Per il resto, i produttori (principalmente 4th Disciple e Tru Master) hanno fatto un buon lavoro che alle volte svetta: vedi appunto One Step, From Then Till Now, Tai Chi e l'ultraminimalista Blessed Are Those (curiosità: sto recensendo il disco avendolo scaricato al volo in ufficio, e in questa versione Blessed Are Those presenta un'inutile vocina femminile di sottofondo che da me non c'è. Mistero).
Infine, i featuring rientrano nello standard Wu del periodo, e cioè nessuno al di fuori del Clan. Quindi ci saltano fuori Tekitha, GZA e Inspectah Deck, qualche membro sparso dei Sunz Of Men e pochi altri. Peccato solo che sia raro che questi aggiungano qualcosa (Deck e GZA esclusi), casomai è l'occasionale accompagnamento cantato a dare un qualcosa in più al pezzo: lontani dagli schemi dell'R&B/rap & bullshit di allora, i cantati qui vengono utilizzati molto bene per conferire maggiore atmosfera alle canzoni, suonando più come muezzin in depressione che come idioti che usano la parola "freak" al posto di "fuck".
E' ovvio, visto quanto scritto finora, che non posso che consigliare vivamente l'acquisto di questo disco, i cui lati positivi sovrastano di centinaia di metri quelli negativi. Peccato però che, da lì in poi, Priest non saprà bissare l'ottima performance di Heavy Mental- di recente ho acquistato The Offering solo per i testi, e tutto sommato è stata una delle poche volte dove non ho cambiato opinione sulla validità delle motivazioni stanti dietro l'acquisto.





Killah Priest - Heavy Mental

VIDEO: GHOST DOG/FROM THEN TILL NOW