
Legendary Classics infatti non solo ha il pregio di fare il sunto della carriera dello Scoppiato di Long Island a partire dai suoi esordi nel '93 fino ad oggi, ma per di più si presenta come uno dei pochi esempi di raccolta fatta bene sotto ogni punto di vista: tutte le tracce sono state rimasterizzate, ci sono diversi inediti, la grafica è perfetta per il tipo di personaggio, ci sono brevi descrizioni per ogni brano e per giunta ci viene fatto dono di un DVD i cui contenuti posso solo immaginare. Insomma, se nel caso delle antologie preferisco non esprimere voti come se si trattasse di dischi qualsiasi, devo puntualizzare che già solo per la cura dimostrata nella concezione e nella realizzazione di Legendary Classics c'è da stringere la mano a R.A. e a chiunque lo abbia aiutato nel parto di questa sorta di greatest hits.
Detto questo, e avendo quindi constatato che l'aspetto tecnico e filologico è assolutamente ineccepibile, l'unica cosa che resta da vedere è l'effettiva offerta fattaci dal Nostro. Beh, dopo una breve lettura della tracklist possiamo stare tranquilli: la redistribuzione temporale delle tracce viene rispettata -anche il periodo oscuro, cioè la fine degli anni '90- e vengono proposti sia i classici, da Cunt Renaissance a Uncommon Valor passando per 50000 Heads, sia alcuni inediti (Windows Of The World, Who's Dat Guy e altri), sia pezzi finora reperibili esclusivamente in Mp3 (L.I.'s Finest, Poor People etc.). Ascoltandoli, pur non essendo stati ordinati cronologicamente, ci si può fare un'idea dell'evoluzione di R.A.: all'inizio stilisticamente molto aggressivo -com'era di moda all'epoca dei primi Onyx e M.O.P.- poi più rilassato e, se vogliamo, «normale», infine caratterizzato da metriche serratissime ed un flow definibile come "robotico". E se penso che chiunque lo preferisca in quest'ultima modalità, c'è da dire che anche le sue opere meno recenti conservano comunque un loro fascino: 50000 Heads, per esempio, gode di un beat lento che picchia sui timpani senza pietà, complice anche un bel campione di piano e la presenza di un ottimo Sadat X; Poor People, invece, da un lato può sembrare puzzona per via del beat denso di synth usati à la californiana (g-funk, insomma), ma dopo tre ascolti riesce a rapire l'attenzione dell'ascoltatore grazie ad un ritornello semplicissimo ma efficace ed un R.A. decisamente a suo agio (e divertente). Decisamente più cupa è la semiautobiografica Smithhaven Mall, che campionando Sade ci presenta il lato più serio e oscuro del Nostro, così come ugualmente rappresentativa dell'attitudine di Thorburn è Every Record Label Sucks Dick: concepita come un vero e proprio dispetto nel momento in cui la Jive gli chiese un potenziale singolo radiofonico, direi che essa è la più concreta manifestazione dell'antagonismo e dell'estremo purismo che da sempre lo caratterizza.
Questo può piacere o no, è chiaro; ma direi che se c'è una cosa di cui non lo si può accusare è di incoerenza. E oltre a non poterlo definire un ipocrita, ancor meno si può dire che sia scarso: pezzi come Give It Up, Renaissance, Supah e l'inarrivabile Uncommon Valor dimostrano quanto egli sia potente ed anche originale, pur vedendo nel Kool G Rap d'annata la sua più evidente fonte d'ispirazione. Inutile descriverli a parole: l'unica cosa è ascoltarli con grande attenzione e notare non solo come le sue ampie dimostrazioni di talento siano da lasciare a bocca aperta, ma soprattutto come egli riesca sempre a dare la paga all'ospite di turno (quantomeno per quel che riguarda le tracce incise dopo il 2000). E non parlo solo di un Vinnie Paz o, peggio ancora, di Big John (cito dal booklet: "Some people don't like Big John's rhyme style but he did his thing and he's the first one to put me and KGR together on a joint so that gotta count for something", come a dire: più in là di così non mi posso spingere); no, parlo di un J-Live, di un Tragedy Khadafi e persino di Kool G Rap stesso.
Poi, certo, per bravo che possa essere anche R.A. non può imbroccarle tutte: Stanley Kubrick per me continua ad essere a malapena passabile, Posse Cut delude un po' le aspettative (e potevano intitolarla Chains 1.1 da tanto che s'assomigliano i rispettivi beat), What The Fuck getta nel cesso un'apparizione di Akinyele a causa di una produzione sinceramente ignobile e, infine, Who's Dat Guy fa finalmente luce sul motivo per il quale Havoc all'epoca gli regalò la base anziché fargliela pagare: "rimasuglio", "scarto", chiamatela come vi pare ma vi assicuro che del Hav dei tempi d'oro non ha nulla.
Ma a parte queste macchie sul curriculum, reputo che Legendary Classics sia un disco assolutamente da avere, come e più del suo esordio ufficiale: non solo per questioni di completezza, ma anche in termini di bellezza tout court. E ora non resta che attendere il prossimo e apparentemente imminente album solista...
R.A. The Rugged Man - Legendary Classics Vol.1
VIDEO: POSSE CUT