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martedì 9 marzo 2010

GANGSTARR - MOMENT OF TRUTH (Noo Trybe, 1998)

Moment Of Truth è, come ogni capolavoro, un insieme di sfaccettature la cui somma delle parti trascende la mera matematica per diventare un qualcosa di assolutamente unico da qualsiasi prospettiva lo si voglia inquadrare. Non è solo un disco oggettivamente perfetto in cui si ritrova la sublimazione di una formula, è anche una specie di "segnalibro" avente un valore al contempo universale e personale: esso segna l'apice di un'epoca, indicando en passant l'evoluzione di quella che la seguirà e lasciando, di sponda, un segno indelebile nella memoria di chiunque lo abbia ascoltato all'epoca.
La pubblicazione di Moment Of Truth contrassegna infatti la definitiva spaccatura tra mainstream e underground, caratterizzando lo stile di quest'ultimo come nessun'opera era riuscita a fare fino a quel punto e nemmeno più vi riuscirà in futuro: pensate solo all'ondata di beat di Premier che avrà luogo tra il '98 ed il 2002 e, durante e dopo di essa, l'ondata di relativi imitatori (che quasi finirà con lo screditare un certo tipo di produzioni). E così si può dunque senz'altro parlare di enorme influenza in ambito musicale, non c'è dubbio; ma sarebbe peccaminoso fermarsi qui, e allora aggiungiamo che esattamente così come sorprendente fu il cambio di rotta di Primo in Daily Operation, ad esserlo qui è quello di Guru. Keith Elam forse non si era mai distinto per capacità di stupire, bensì per qualità e consistenza; ma in MOT è impossibile non riconoscere la vertiginosa crescita avuta da questi, prima ancora che in termini puramente tecnici, in quelli di scrittura.
Bene: questa unione di talenti è riuscita, dodici anni fa, a creare una di quelle poche opere dotate di tale bellezza da farti ricordare esattamente cosa stavi facendo nel momento in cui dalle casse dello stereo cominciavano ad uscire i primi suoni del campione di Flash It To The Beat e si sentiva Primo andare in voiceover gridando "The real... hip hop... emceeing and deejaying, from your own mind you know". Non vi annoierò con inutili note autobiografiche, ma state pur certi che è assai probabile che anche tra vent'anni mi ricorderò di quel pomeriggio di aprile del '98.
E come è già stato fatto notare altrove, il miglioramento di Guru è la prima cosa che si nota dopo essersi ripresi dall'impatto delle batterie di Preem: le sue tre strofe di battle rap purissimo trasudano personalità e confidenza in sè stesso come solo uno come lui potrebbe avere, e ora che si giunge al primo ritornello -cuttato, va da se- si ha abbassato ogni sorta di guardia e ci si è lasciati conquistare ancora una volta da questo duo. Una sorta di ipnosi, questa, che se subisce un microscopico rallentamento nella successiva Robbin' Hoodz Theory, vede da Work in poi un'impennata che prosegue pressoché senza soste fino alla fine del disco. Un fattore raro e che diventa quasi unico se consideriamo la durata dell'opera, cioè 20 tracce per quasi ottanta minuti di musica.
Ora, stabilire quali sono le fondamenta che reggono l'eccezionalità di Moment Of Truth è abbastanza semplice: si tratta di perfezione, varietà e profondità. La prima delle tre è facile da riconoscere ma difficile da spiegare, a meno che non si voglia provare a mettere nero su bianco quello strano «qualcosa» che spinge noialtri ascoltatori di rap a nicchiare con il capo come dei piccioni dementi. Più semplice risulta allora provare ad illustrare le altre due principali caratteristiche di questo disco, partendo dalla varietà. Varietà che si manifesta sia in termine di beat che di contenuti: i primi infatti possono passare con disinvoltura dalla durezza di You Know My Steez al soul di JFK To LAX, dalla malinconia di Betrayal all'aggressività di Militia, dal minimalismo di It's A Setup alla ricchezza di suoni di Royalty. Eppure, in tutti questi si sente il tocco di Premier e soprattutto affiora la convinzione, la certezza, che nessuno eccetto lui avrebbe mai potuto produrre del materiale così efficace oltre che bello: Work, per esempio, cattura l'ascoltatore non solo grazie alla sua forza d'impatto ma anche grazie alla melodia, esattamente così come il loop di piano di What I'm Here 4 attrae grazie alla sua leggerezza pur risultando a conti fatti piuttosto semplice nella struttura. Un'efficacia che si rispecchia anche nelle prestazioni di Guru, che mantiene una personalità a cavallo tra la durezza, la coscienziosità ed un generale coolness che da sempre contribuisce a rendere i suoi testi ancor più interessanti da ascoltare.
E volendo ora spendere due parole sulla terza ed ultima caratteristica di rilievo di Moment Of Truth, ossia la profondità, è doveroso tirare finalmente in ballo Guru e vedere quali sono stati i suoi miglioramenti. Il primo risulta evidente e riguarda la tecnica; laddove egli era sempre stato pulito ma un po' rigido nella metrica, qui ha fatto un notevole salto di qualità costruendo intrecci di sillabe ben più complessi ma che comunque non vanno a scapito del messaggio. Ed è proprio questo messaggio, o per meglio dire le modalità con cui esso viene portato all'ascoltatore, ciò che in realtà alla fine risalta maggiormente nei testi di quest'album. Attraverso gli occhi dell'autore ci viene consegnata una visione su diversi aspetti della vita che passano dai più futili a quelli più seri, col risultato finale di riuscire a stimolare un pensiero senza per questo annoiare o suonare eccessivamente autoesegetico. Difatti, per quanto il Nostro gonfi giustamente il petto in pezzi come You Know My Steez o The Rep Grows Bigga, le numerose autocritiche contenute in JFK To LAX o Moment Of Truth non lo fanno sembrare un abbaione; e se la serietà di una Betrayal o di una What I'm Here 4 potrebbero risultare pedanti se ripetute in ogni traccia, allora ecco che, senza sconfinare nel semplice battle rap, ci pensa un B.I. VS Friendship a riportare il mood su un binario più leggero. Aggiungiamo a tutto questo una serie di pezzi fatti per deliziare il palato del fan di rap duro & puro -la celebre Above The Clouds, It'z A Set Up o The Militia- oltre a numerosi ammiccamenti al mondo femminile, ed ecco che l'equilibrio presente in questi 80 minuti scarsi di musica si guadagna un'importanza pari a quella della tanto acclamata produzione musicale di Premier.
Dal canto loro, gli ospiti spezzano adeguatamente il flusso del disco e nessuno di essi si produce in performance inferiori alle aspettative. Anzi: Deck fa meraviglie e la sua strofa in Above The Clouds è giustamente considerata come una delle sue cose migliori; gli M.O.P. conferiscono una sana dose di aggressività a B.I. VS. Friendship, così come del resto fa Bumpy Knuckles in Militia; Scarface si conferma come uno degli MC più sottovalutati di sempre e Hannibal Stax, infine, scrive sedici misure assolutamente eccezionali dove usa una metrica che ancor'oggi mi lascia a bocca aperta. Unica nota negativa: G-Dep e Sha in the Mall che, come del resto tutta la canzone (francamente fiacca -e stupida- se paragonata al resto dell'album), si producono in versi che fortunatamente il flusso del tempo ha già cancellato.
Conclusione? Massimo dei voti, si capisce; più il mio personale riconoscimento come miglior album dei Gangstarr nonché uno dei dieci dischi fondamentali degli anni '90, accanto a robette come Illmatic, Enter The Wu e Infamous.





Gangstarr - Moment Of Truth

VIDEO: ROYALTY

martedì 5 maggio 2009

GANGSTARR - HARD TO EARN (Chrysalis, 1994)

Dopo l'epocale svarione che mi ha visto recensire Daily Operation al posto di Hard To Earn, eccomi che cerco di rispettare la volontà popolare presentando il disco forse più ignorato della carriera dei Gangstarr dopo No More Mr. Nice Guy (che secondo me soffre anche di una delle copertine più imbarazzanti che la storia del rap ricordi): Hard To Earn. Un disco che nel tempo ho imparato ad amare alla follia ma che inizialmente mi aveva lasciato un po' sbigottito in quanto il mio orecchio non era ancora abituato a certe ruvidità, e del resto l'indiscutibile orecchiabilità del singolone Mass Appeal mi aveva tratto in inganno. Ma, come si suol dire, questa è storia.
Devo infatti dire che Hard To Earn è invecchiato molto bene, quasi quanto me, e, per quanto condivida l'opinione generale che sia uno dei dischi del duo meno "coerenti" dal punto di vista musicale e più "liberi" nell'approccio concettuale da parte di Guru, non riesco francamente a vederlo come un'opera minore. Perchè sono d'accordo che ci siano pezzi relativamente poco riusciti come Brainstorm o Planet (che poi se ne potrebbe anche parlare), ma bisogna dire che Hard To Earn contiene delle chicche della madonna in una quantità forse superiore a qualsiasi altra loro uscita. Detta in maniera più chiara, la qualità media è altalenante ma proporzionalmente ci sono più singole tracce d'impatto che in nei loro altri lavori. Chiaro?
E allora tanto per cominciare c'è Alongwaytogo: a parte il ritornello scratchato che è da urlo, c'è pure Snow Creatures di Quincy Jones che viaggia su batterie tagliate su misura per un Guru sempre ad ottimi livelli. Una traccia asoolutamente fantastica il cui unico difetto è di precedere la storica Code Of The Streets, uno dei classici del duo ed un classico tout court, in cui un bel loop di archi fa da taccuino in cui "the Voice" annota le regole della cosiddetta stritlaif in un modo davvero personale e che non pecca di esagerazione: "And fuck turnin' my back to the street scene/ it gives me energy, so I keed fiends comin'". Ed altrettanto focalizzata è Tonz 'O' Gunz, dove un beat non particolarmente ispirato viene resuscitato da un Guru sul piede di guerra nei confronti di tutti coloro che usano le armi da fuoco con troppa disinvoltura; spesso sottovalutata da parte degli estimatori del cosiddetto "conscious rap", questa è uno dei migliori manifesti contro la libera circolazione e la relativa diffusione delle armi in America ed in tal senso la reputo una delle cose concettualmente più significative mai prodotte dai Gangstarr.
Mi interrompo per segnalare una cosa: l'abbondanza di featuring da parte di membri della Gangstarr Foundation: Jeru, i Group Home, Big Shug... ci sono tutti. E, sorprendentemente, queste partecipazioni funzionano anche quando gli MC non sono il top. Non parlo ovviamente di Speak Ya Clout (cioè il sequel di I'm da Man, strutturata allo stesso modo e coinvolgente gli stessi personaggi) ma di F.A.L.A. e Words From The Nutcracker; nella prima possiamo ammirare lo stile di un Big Shug per l'epoca non obsoleto e nemmeno tanto malvagio che, pur non facendo faville, bene accompagna Guru al microfono in uno dei pezzi essenzialmente più ghettusi dell'intera opera. Nella seconda, invece, allo scarsissimo pugile-rapper viene fatto dono di un beat straordinario composto da scale di pianoforte, loop di tromba e sample vocali inseriti come si faceva all'epoca che da solo fa svettare la traccia e addirittura comporta un certo dispiacere nel momento in cui essa, dopo un misero minuto e mezzo termina: visto l'ospite, questo significa che il beat è davvero bello.
Tornando però a bomba al resto dell'album, in scaletta abbiamo Mass Appeal (con uso eccellente del campione Horizon Drive e messaggio anticommercializzazione assolutamente condivisibile), la fantastica Suckas Need Bodyguards (in cui Guru si dimostra inusualmente eccitato e Premier mostra i primi segni della sua successiva melodicizzazione ed uso di archi) e la curiosa Now You're Mine, che a fronte di una rappata impeccabile pare avere qualche anno in più delle altre canzoni. Ma il fatto che appaia di primo acchito una ghost track di Daily Operation non è affatto un insulto, come del resto potrebbe dimostrare DWYCK: quest'ultima, realmente del '92, contiene alcune delle batterie più pesanti dell'epoca ma anche -purtroppo- una strofa iniziale di Greg Nice che mi ha sempre fatto letteralmente schifo e che me lo ha fatto odiare a morte in tutte le sue successive apparizioni (è un incapace, punto, sa solo fare il toaster e forse manco quello). Malgrado ciò resta il fatto che è innegabilmente un pezzo da 90, ancor'oggi capace di far venir giù sia un club che un centro sociale proprio grazie alla sua assenza di fronzoli.
Quanto al resto ci sono un paio di canzoni relativamente insulse (Mostly The Voice, Comin' For Datazz) ed altre due che per un verso o per l'altro non convincono: Brainstorm perchè molto semplicemente Guru non sa stare a tempo (!) e Planet perchè ha un beat francamente non convincente, sia per quel che riguarda la programmazione delle batterie sia per ciò che concerne il campione secondo me non troppo ispirato; ed è un peccato perchè il testo -uno storytelling ambientato guardacaso a Brooklyn- è in sè e per sè indubbiamente valido.
Traendo dunque le conclusioni da questa disamina non posso purtroppo dire di avere di fronte un disco perfetto, dove cioè nessuna traccia presenta dei difetti oggettivi. Ma, contrariamente a quanto fatto finora, gli do lo stesso un ricco quattro e mezzo perchè è vero che a fronte di qualche scivolone ci sono almeno sette pezzi del calibro di una You Know My Steez o giù di lì e le restanti, una volta scremate dagli episodi meno riusciti, si pongono su un livello decisamente elevato. Ed allora ecco che la regola di cui sopra non può più reggere, dato che grazie questi pregi il tasso di godibilità di Hard To Earn raggiunge de facto quello di un album impeccabile, ed è ciò l'unica cosa che conta. Del resto, se vi fossero stati solo pezzi perfetti avremmo di fronte un altro classico, o sbaglio?




Gangstarr - Hard To Earn

VIDEO: CODE OF THE STREETS

lunedì 4 maggio 2009

GANGSTARR - DAILY OPERATION (Chrysalis/Cooltempo, 1992)

"Vox populi, vox dei" diceva quello; probabilmente non aveva mai dovuto svegliarsi sapendo che gli sarebbe toccato recensire un album che conosce a menadito e del quale paradossalmente non avrebbe saputo bene che scrivere. Ma pazienza: la prossima volta rifletterò più a lungo su quali dischi mettere sul piatto, e poi diciamo che in fondo ci sono cose peggiori che sentirsi un disco del miglior duo della storia dell'hip hop. Anzi, non solo un disco: secondo molti, Daily Operation è il miglior disco dei Gangstarr, e se andiamo a vedere il resto della loro discografia siamo obbligati a renderci conto che quest'affermazione pesa parecchio.
Per quel che mi riguarda non condivido appieno l'opinione riportata poc'anzi, ma forse solo per questioni anagrafiche; io difatti gli preferisco Moment Of Truth in quanto ha marcato a fuoco in tempo reale la mia adolescenza, tuttavia non ho remore a porre la loro opera del '92 sullo stesso piano qualitativo (e questo lo dico anche per tener buono DjMP45 che sennò mi fa sfaceli nei commenti). Daily Operation è infatti un concentrato di ruvidità nuiorchese che pur non perdendo l'impronta jazzistica di Step In The Arena si spinge oltre, le conferisce un taglio più pesante e così facendo contribuisce enormemente a creare una base per quello che a partire dal tardo '94 diventerà il tipico sound della rinascita della Grande Mela.
Ma non vorrei sperticarmi troppo in elogi a Primo, per quanto meritatissimi: ricordiamoci infatti che l'apporto di Guru e della sua voce baritonale è sempre stato essenziale per la buona riuscita di qualsiasi produzione dei Gangstarr, e qui Keith Elam è decisamente al meglio della sua forma. Pezzi come Conspiracy, Flip The Script, Ex Girl To Next Girl o la superba Soliloquy Of Chaos dimostrano tutto il talento del nativo bostoniano, che pur mantenendo inalterato il suo tono di voce riesce a far mutare atmosfera al pezzo tanto quanto lo fanno i campioni e le batterie di Chris Martin. non scordiamoci inoltre del fatto che la versatilità concettuale del Nostro è da sempre uno dei suoi punti di forza, tanto che essa, quando combinata al suo innegabile carisma, va a chiudere una sorta di cerchio perfetto del rap dove l'alchimia tra MC e produttore si fa notare in tutta la sua impareggiabile efficacia.
Più nel dettaglio, apprezziamo innanzitutto l'ode a Brooklyn di The Place Where We Dwell: pur concdendo di aver sentito campioni in sè e per sè più belli di Cannonball Adderley, tra le odi a Brooklyn questa svetta sia per il mood che riesce a creare grazie al minimalismo dato dalle batterie e dal classico sample di Go Stetsa, sia per la sobria passione di Guru nel descrivere il suo quartiere d'adozione: "Alantic terminals, Red Hook, Bushwick/ Come to Brooklyn frontin' and you'll get mushed quick/ We ain't just known for flipping and turning out parties/ But also for the take no bullshit hotties/ On the subject of blackness, well, let me share this/ Brooklyn is the home for cultural awareness/ So in all fairness, you can never compare this/ Some good, some bad, little hope for the weak/ Dangerous streets and Coney Island Beach". Poco più di una strofa e due minuti e mezzo sono sufficienti a Guru per dipingere un quadro completo di Brooklyn, e così quando finisce la traccia si resta un po' spiazzati di fronte alla potenza delle batterie di Flip The Script: queste da sole basterebbero a reggere l'intero pezzo, ma un brevissimo sample contribuisce a mantenere l'equilibrio tra liriche e beat e, quando infine entra il ritornello, credo che chiunque abbia la mia età se non meno rimpiangerà di non aver mai assistito ad un'esecuzione dal vivo.
Ebbene, quando oramai uno pensa di aver carpito il sound dell'album e dei Gangstarr tout court, ecco che salta fuori Ex Girl To Next Girl: tralasciando il fatto che è la terza bomba di fila in un solo disco, nuovamente si resta spiazzati. Il jazz leggero di Step In The Arena fa di nuovo capolino ed abbassa i toni finora mantenuti, grazie anche ad uno storytelling invero cinico che è il seguito ideale di Lovesick e che, contrariamente alla precedentrice, a ragione entrerà nel novero dei capolavori del gruppo.
Ma francamente basta leggere la tracklist di qualsiasi greatest hits dei Gangstarr per notare quanti dei pezzi contenuti in Daily Operation puntualmente vengano indicati come pietre miliari: Soliloquy Of Chaos, Bust Yo Shit, Take It Personal, I'm The Man... senza poi contare quelle che avrebbero meritato un posto ma che solo a causa dello spazio disponibile non hanno mai potuto essere incluse: Hardcore Composer, Conspiracy, Flip The Script... insomma, come nelle antologie del Wu andrebbe messo tutto 36 Chambers, in quelle dei Gangstarr andrebbe messo tutto Daily Operation, molto semplice. Soprattutto perchè l'album è costruito in modo tale da rapire l'ascoltatore e mostrargli, canzone per canzone, tutte le sfaccettature artistiche del duo. Così facendo lo si può ascoltare di filata anche due o tre volte senza grossi problemi perchè per quanto essa contenga oggettivamente delle manate capaci di richiamare tutta la concentrazione del fruitore (Soliloquy Of Chaos in primis, assolutamente pezzo migliore del disco), esso fluisce perfettamente.
E, fluendo nelle nostre orecchie in questo triste 2009, ci aiuta enormememnte a ripulirle dalle tante porcherie che finora le hanno insozzate. Purtroppo però ci fa anche rimpiangere i cari bei vecchi tempi, perchè di album così non se ne faranno più: la ricchezza dei campioni, la varietà degli argomenti, la sporcizia del suono che oggi può solamente essere ricreata ex post (cfr. il tremendo Fully Loaded w/ Statik dei Beatminerz) sono ormai segni di un'epoca passata. Certamente, dischi belli verranno ancora prodotti -e credo che la crisi del mercato aiuterà molto in tal senso- ma come Daily Operation no. Ma consoliamoci sapendo che così come nella letteratura ci sono opere non più riproducibili, esse comunque si sono ben guadagnate un posto nella storia e lì restano. Certo, mi si obietterà che oramai sono in pochi a venerare Daily Operation ed ancor meno ad averlo in mente quando producono un disco; io posso solo rispondere che nemmeno Federico Moccia sa chi sia Fenoglio, ma a dio piacendo di Moccia nessuno si ricorderà più tra dieci anni, contrariamente a quel che avverrà con l'autore de Il Partigiano Johnny.




Gangstarr - Daily Operation

VIDEO: TAKE IT PERSONAL