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lunedì 22 marzo 2010

AA.VV. - RHYME & REASON (Priority, 1997)

In teoria questa dovrebbe essere una settimana abbastanza impegnativa al lavoro, e per giunta oggi non mi sento troppo bene; ne consegue che, al di là del numero di recensioni in quanto tale, ridurrò di molto la lunghezza delle stesse optando ovviamente per dischi che mi consentano di far questo. Questo a mo' di disclaimer -ora veniamo al disco.
Primo della serie è una delle tante colonne sonore che uscirono intorno alla metà degli anni '90 e che, salvo rarissime eccezioni, spesso si tradussero in discrete cacatielle di nessuna utilità; con al massimo una o due canzoni carine che facevano traino ad un carico di gentaglia strappata ai cantieri stradali. Ebbene, se Rhyme & Reason non fa parte di questa categoria già solo per via del calibro dei nomi coinvolti, è però pur vero che l'andamento qualitativo scostante del disco nemmeno lo può rendere paragonabile a piccole chicche del genere come Soul In The Hole o America Is Dying Slowly. Difatti, ad ascolto terminato è più che probabile che noteremo innanzitutto uno squilibrio che pende a favore della prima metà di R&R, dove si trovano quattro dei cinque pezzi belli di questa colonna sonora; e poi, in secondo luogo che, ad eccezione dei suddetti, il resto del materiale non è neanche «passabile», ma proprio brutto ed incoerente.
Ma laddove l'incoerenza si può giustificare col fatto che il film è un documentario che si occupa del rap a livello nazionale (e dunque è giusto che ad essere rappresentata sia l'America tutta e le varie differenze stilistiche legate alle regioni di provenienza degli MC), meno si comprende come mai siano stati accettati brani da parte di artisti rispettati come MC Eiht o KRS One che indiscutibilmente si collocano sotto la media del loro output. Perchè se posso accettare che un Master P produca schifezzuole in odore di funk californiano, se non mi stupisce che delle brutte copie dei Bone Thugs 'N' Harmony come i Crucial Conflict partoriscano una cacata immonda come Bogus Mayn, e se posso tollerare che Nyoo & DeCoca (chi!?!) rientrino nella categoria dei raccomandati di turno, quello che -no, proprio no- non posso comprendere è come mai RZA perda il senno e se ne esca con una Tragedy. Oppure, che KRS One campioni Don't Play That Song di Ben King (identica alla più famosa Stand By Me, peraltro) per lanciarsi in una delle sue prediche più fiacche di sempre. E che dire dei Lost Boyz, allora?, che se da un lato non sono mai stati famosi per aver prodotto canzoni di spessore, dall'altro perlomeno sapevano concepire pezzi come Music Makes Me High che facevano il loro dovere. Mah: sta di fatto che su quindici tracce almeno otto o nove vanno buttate nel cesso per direttissima e senza possibilità d'appello.
Ma per fortuna ci sono quelle cinque che un po' salvano la baracca e, anzi, conservano un che di memorabile anche a distanza di tanto tempo. La prima è la sconosciuta The Way It Iz, in cui Guru, Lil' Dap e tale Kai:Bee si cimentano in un pezzo «street conscious» di chiara matrice gangstarriana che fa del beat -autoprodotto dal signor Elam- la propria forza; il campione di flauto di pan è infatti assolutamente spettacolare, e il suo alternarsi con una linea di basso filtrata è indiscutibilmente magnifico. Le batterie picchiano sui timpani e questo, se aggiunto a pause e svuotini piazzati sempre al punto giusto (vedi la seconda strofa di Guru), oltre ad un ritornello semplice ma efficace, la rende indubbiamente il pezzo più bello di Rhyme & Reason nonché una delle mie tracce preferite degli anni '90. Non esagero: quel beat è qualcosa di superbo e non conosco nessuno che l'abbia ascoltata restandovi indifferente. CA-PO-LA-VO-RO, non si discute, ascoltare per credere.
Più in basso, ma sempre in zona «molto bello», si trova la collabo tra Busta Rhymes e Q-Tip intitolata Wild Hot. Incentrata su un arpeggio tratto da The Human Fly di Lalo Schifrin, la traccia regge benissimo l'età grazie ai due MC in perfetta forma e la breve durata del tutto (due strofe appena), che ne sottolinea il minimalismo ed al contempo enfatizza l'ottima strofa di Busta. Stesso coefficiente di apprezzamento si ritrova in Nothin' But The Cavi Hit, uno dei pochi esempi di tarda scuola Death Row che non risulta invecchiato come aceto. Il merito principale va all'ottimo emceeing di Kurupt, certo, ma anche il beat prodotto da Daz (che sceglie un tiro veloce per le batterie ed un bel sample di xilofono, limitando al minimo i synth) gioca una sua parte, così come in fondo anche Mack 10 riesce a fare la sua sporca figura.
Le ultime due canzoni degne di essere ricordate provengono invece da artisti distanti anni luce gli uni dagli altri: sto parlando di Ras Kass, gli Heltah Skeltah e Canibus, che si riuniscono per la buona ma un po' troppo fracassona Uni-4-Orm, e 8Ball & MJG, che invece ci regalano un classico esempio di Dirty South di classe. Il loro pezzo, intitolato Reason 4 Rhyme, è esattamente ciò che il titolo suggerisce: una spiegazione tutt'altro che banale del loro amore per l'hip hop, infarcita di aneddoti autobiografici e voglia di riscatto sentita. Ottimo anche il beat, melodico quanto basta e soprattutto non troppo invadente, cosa che consente ai due di dimostrare soprattutto una cosa: che anche a sud della linea Mason-Dixon c'è gente capace di fare a pezzi un microfono come se nulla fosse. Tant'è vero che quando si arriva a Uni-4-Orm si resta quasi un po' delusi da quello che in teoria avrebbe dovuto essere un sabba del liricismo; il problema è semplicemente che il beat è troppo epicheggiante e caotico, col risultato che le prestazioni degli MC (soprattutto di quelli che hanno le voci meno possenti, Sean Price e Ras Kass) vengono soverchiate da tutto quel casino che si sente in sottofondo. Intendiamoci: a conti fatti il pezzo regge anche se troppo lungo, eppure è impossibile osservare come questo avrebbe fatto una «figura» migliore se si fosse avvalso di una base dei Beatminerz e se avessero scremato quei quaranta secondi di troppo.
Detto questo, come potrete ben notare, complessivamente il bilancio non è particolarmente positivo. Tuttavia, nella logica delle colonne sonore gli esiti non sono nemmeno da buttar via, e per quanto il voto corretto sarebbe due e mezzo, un mezzo zainetto va aggiunto vista la bontà di quelle poche tracce davvero di classe. Personalmente mi spingo addirittura a consigliarvene l'acquisto: già solo The Way It Iz lo giustifica.





AA.VV. - Rhyme And Reason

VIDEO: RHYME & REASON DOCUMENTARY (PT.1/9)

martedì 26 gennaio 2010

AA.VV. - BEST OF BEYOND REAL RECORDINGS Beyond Real, 2003)

Per la serie "mamma mia che voglia che ho di scrivere", ecco che (apparentemente) mi rendo la vita facile proponendovi un'antologia di una casa discografica di cui probabilmente pochi conoscono più di due o tre uscite: la Beyond Real, fondata nella seconda metà degli anni '90 da DJ Spinna.
In realtà, più che "Best Of Beyond Real", sarebbe meno fuorviante intitolare questa raccolta "Best Of DJ Spinna 1995-2003", in quanto a parte pochissimi contributi di Geology, Joc Max e Nick Fury ben 30 basi su 38 provengono dal campionatore del mai abbastanza noto beatmaker di Brooklyn. E difatti la bellezza di quest'antologia consiste sostanzialmente in questo: riuscire a raccogliere diverso materiale prodotto da quel genio di Spinna andando ad attingere anche alla sua fase iniziale tramite il recupero di oscuri 12" ormai probabilmente irreperibili, coprendo in maniera piuttosto completa un arco temporale altrimenti difficilmente decifrabile. Perchè diciamolo pure: ancora ancora le opere dei Jigmastas, ma i singoli di Dynas e Akil richiederebbero un impegno da Indiana Jones del vinile che io -non so voi- non ho nemmeno per il cazzo.
Best Of Beyond Real invece ci viene incontro a braccia aperte offrrendoci tutto questo ben di dio su un piatto d'argento, e pur avendo secondo me qualche difetto in termini di logica (praticamente include metà delle canzoni di Infectious -perchè?) alla fin fine il piatto è così ricco da lasciar soddisfatti anche gli appetiti più voraci come il mio. Per dirne una: se mi fa abbastanza piacere avere Street Serenade di I.G. Off & Hazadus in qualità da CD, ancora di più ne provo andando a scoprire canzoni a me del tutto sconosciute come Vibrate dei Basement Khemists, Hip Hop dei Jigmastas e soprattutto la straordinaria Hey Love di Akil (non quello dei J5). E d'accordo che magari l'aficionado della Beyond Real queste cose già le conosce, ma le antologie in genere sono pensate anche per raccogliere nuovi estimatori ed in tal senso questa centra il segno.
E lo fa dimostrando innanzitutto la bravura di un produttore, ma soprattutto mostrandone l'evoluzione: dal beatmaker piuttosto generico degli esordi -vedi Beyond Real ed il suo sample dei Kraftwerk- si arriva ad avere un sound unico, corposo, classico nell'impostazione ma molto originale nei dettagli (come ad esempio l'effettaggio dei campioni, l'uso dei sample vocali ecc.). Un percorso senz'altro interessante per chiunque ne aprezzi l'operato, ma anche per chi nel suo DNA d'ascoltatore ha quel minimo di curiosità in più che lo distingue da chi ascolta "un po' di tutto". Quanto all'emceeing, invece, per quanto sia difficile dare un giudizio complessivo direi che esso soffre un po' delle magagne dell'underground di fine millennio. Esso è ciò sovente molto tecnico senza comunicare un beato cazzo di niente, con alcuni tipo Skam o Dynas (che in questi anni è enormemente migliorato, comunque) che si perdono in giochini di sillabe o metafore fiacche -"You're Atari 2600 I'm Nintendo 64" fa pietà non solo perchè oggi il riferimento fa ridere- giusto per il gusto di trovare la rima. In compenso, la sorpresa è che Kriminul dei Jigmastas si dimostra essere un MC migliore che non nei loro LP, e come bonus aggiuntivo ci sono un tot di featuring e apparizioni niente male: Guru, Mr. Complex, Grap Luva, Sadat X e svariati altri.
Insomma, per farla breve: questa raccolta non costa niente -mi sembra sette sterle o giù di lì- e ad un prezzo irrisorio vi portate a casa trentotto canzoni di cui più della metà sono di ottima fattura. Non solo: a conti fatti, acquistando questo disco potreste teoricamente evitare Infectious in quanto i pezzi migliori sono già inclusi. Cosa volete di più, scusate?

The Best Of Beyond Real Recordings (Disc 1)
The Best Of Beyond Real Recordings (Disc 2)

VIDEO: BEYOND REAL

giovedì 8 ottobre 2009

AA.VV. - NEW JERSEY DRIVE VOL. 2 (Tommy Boy, 1995)

Nel magico mondo della cosiddetta "Blaxploitation's new wave", ossia quell'ondata di film aventi al proprio centro tematiche legate ai neri d'America che ebbe luogo tra il '90 ed il '96, New Jersey Drive si colloca come una scarsa merdina in termini assoluti ed un'opera passabile in termini relativi. Ma questo non ci deve interessare, perchè se una cosa buona è stata fatta da questi film, questa è consistita nella creazione di colonne sonore mediamente valide ed in certi casi addirittura ottime, in cui, contrariamente alla tendenza degli ultimi dieci anni, non venivano riversati gli scarti dei nomi più caldi del momento (perlomeno non era una regola), bensì si potevano trovare tracce di prima classe e soprattutto fungevano anche da trampolino di lancio per nuovi artisti da poco entrati a far parte della scuderia della casa discografica che se ne occupava (ben nota è anche la funzione di sampler dei dischi in circolazione in quel periodo, vedi ad esempio High School High).
Nel caso che oggi andremo a vedere questo è doppiamente vero, perchè se il primo volume raccoglieva pezzi misti di rap e R&B fatti da gente piuttosto nota all'epoca (Ill All Skratch, Redman ma anche tali Undacova e la celeberrima Can't You See delle Total, con Biggie), risultando a tratti gradevole ma complessivamente un po' dozzinale, il secondo invece si proponeva come la versione più hardcore di questa formula. Difatti, persino i Naughty By Nature, all'epoca tra i gruppi di punta della Tommy Boy, propongono uno dei pezzi più ruvidi della loro carriera e così facendo il resto delle tracce trovano una loro collocazione indubbiamente coerente: che si tratti di Headz Ain't Ready della Boot Camp Clik, così come dell'unione tra O.C. e gli Organized Konfusion -leccatevi pure i baffi- il filo conduttore è la cupezza e l'essenzialità del suono east dell'epoca. Aggiungiamoci un classico come Nobody Beats The Biz, dei semiesordienti (gli E. Bros) ed il classico asso nella manica, cioè la combo tra Premier e Jeru, ed ecco che questa sorta di appendice al primo volume diventa in due nanosecondi uno dei dischi da me più amati.
Inutile nascondere che la parte del leone la fa una delle posse cut secondo me più riuscite della storia, ovverosia Headz Ain't Ready: erroneamente attribuita ai soli Black Moon con gli Smif 'N' Wessun, in essa appaiono invece anche gli Heltah Skeltah e gli OGC al completo. Non è quindi un caso che il pezzo duri oltre cinque minuti ma, considerata la bravura degli elementi e lo straordinario beat fornito dai Beatminerz, col sempre efficace campione di Las Vegas Tango, questi letteralmente volano; e se pure a quasi quindici anni di distanza dal primo ascolto la canzone non asciuga minimamente, non solo abbiamo forse il pezzo più bello mai fatto dalla Boot Camp Clik, ma anche una delle tracce più potenti di tutto lo scorso decennio. Punto.
Già solo questa canzone, quindi, varrebbe da sola l'acquisto di NJD2, ma le sorprese non finiscono qui. You Won't Go Far vede per una delle ultime volte O.C. nello studio con Pharoahe Monch e Prince Po, e visti i risultati non si può non esserne dispiaciuti: con un'ottima produzione curata dagli stessi Organized (che non avrebbe stonato se inserita nel loro album del '94, per dire) il trio potrebbe anche lasciarsi andare a viaggioni tutti loro, ma invece favoriscono uno storytelling grossomodo in linea con la trama del film in cui recitano la parte, appunto, dei ladri d'automobili. Come al solito, in casi simili è la forma a vincere sulla sostanza ed anche questa canzone non costituisce un'eccezione. Per convesso, se cercate stile e contenuti li potete trovare in Invasion di Jeru: su una base del miglior Premier lo sporco e corrotto monello (dirty rotten scoundrel, hahahah adoro latinizzare i reppusi) si lancia in un'anatema contro la violenza ed il razzismo della polizia nei confronti dei neri, e per quanto anche questo aspetto si ricolleghi alla pellicola (in cui gli sbirri sono presentati in modalità "irruzione alla Diaz"), il testo è strutturato in maniera tale da poter benissimo essere separato da essa -e difatti la traccia riapparirà poi in Wrath Of The Math.
Niente male anche Connections, dei Naughty, che gode non solo di un ottimo abbinamento tra un sample vocale ed il doppio colpo di basso presente nel martellante beat, ma anche di performance eccellenti dello strasottovalutato Treach ed un cut di Method Man, tratto da The What, che sigilla il ritornello con un tocco di genio in più. E se su Nobody Beats The Biz non c'è molto da aggiungere, se non che Marley Marl era un genio, qualche parola va spesa non tanto su Mad Lion (che m'ha sempre fatto cagare, come tutto il raggamuffin', e perciò la sua Own Destiny può anche bruciare) quanto sull'introduttiva Funky Piano. Prodotta dal recentemente scomparso Roc Raida assieme a Knobody, e da questo punto di vista valida seppur non eccezionale, essa è la dimostrazione palese che non tutti quelli che rappavano nel '95 erano bravi e che anzi, persino in quell'epoca d'oro, si poteva trovare qualcuno sullo stesso livello d'incompetenza di un Jim Jones; ora, non mi è chiaro chi sia a rappare ma garantisco che di chiunque si tratti, è un bene che sia tornato ai piatti e al campionatore. Cosa che hanno fatto i Flip Squad All Stars, che chiudono questo breve disco con una traccia di deejaying puro e che, se invariabilmente oggi suona datata, per l'epoca poteva funzionare ed anzi è persino curiosa come inclusione in un simile tipo di album.
Ricapitolando, quindi: otto tracce di cui due storiche, tre straordinarie, due quantomeno trascurabili ed una ingiudicabile dal punto di vista del rap e dunque fuori competizione: siete ancora qui a leggere oppure vi decidete a comprarlo? Su Amazon credo si trovi ancora e pure per du' lire, mentre ai tempi avevo dovuto faticare non poco per trovarlo; approfittatene e vi garantisco che vi farete un gran favore.





AA.VV. - New Jersey Drive Vol. 2

mercoledì 19 novembre 2008

HAZE PRESENTS: NEW YORK REALITY CHECK 101 - MIXED BY DJ PREMIER (Payday/FFRR, 1997)

Siccome in questi giorni il lavoro mi sta ammazzando, stamane ho preferito ripiegare su una compilation la cui qualità è difficilmente discutibile. Parlo ovviamente del mixtape par excellence di Premier, e cioè New York Reality Check 101. In esso, contrariamente a quanto credano diversi gnurànt presenti su Amazon, il leggendario produttore dei Gangstarr si "limita" a mixare 18 tracce scelte da Mr. Dave, all'epoca A/R della Payday, che rappresentano quanto di meglio avesse prodotto l'underground della costa atlantica fino al '97.
che dire? La scelta artistica è francamente impeccabile ed include diverse canzone oggigiorno ritenute dei classici a tutti gli effetti: Braggin' Writes, 8 Steps To Perfection, Metal Thangz, Properties Of Steel, Inner City Blues, Off Balance, Change... la lista è troppo lunga, e francamente faccio prima a dirvi quali non sono reputati oggigiorno -a torto o a ragione- delle pietre miliari: Too Complex di L Da Headtoucha, Mixmaster dei Brainsick Mob e Feel The High di Finsta Bundy. Tutte le altre verrebbero invece menzionate da qualsiasi appassionato di hip hop, non c'è dubbio; e non solo quando si va a parlare della discografia dei singoli artisti ma in termini assoluti.
Ne consegue, evidentemente, che il mixtape stesso è letteralmente entrato a far parte della storia: non solo però perchè non esiste un-pezzo-uno che non sia potente, ma anche perchè la visione stantevi dietro era (forse inconsciamente) tale da consegnare ai posteri una fotografia nitidissima ed emblematica di quel periodo. Glissando sulla correttezza di suddetta impressione -che reputo fallace perché occorrerebbe anche ricordarsi di quante cacatielle uscissero all'epoca- è inevitabile provare nostalgia man mano che si procede nell'ascolto; persino quando abbiamo Primo che taglia, interrompe e ferma i pezzi -cosa che finora ho sempre odiato ma che la morte del mixtape, inteso nella sua forma originaria, mi ha fatto scordare. Ad onestà del vero, poi, bisogna dire che i vari trick eseguiti dal nostro risultano sempre precisi (almeno alle orecchie di un non-diggèi) e perciò ben poco gli si può dire; continuo a pensare che anche se non facesse tornare indietro l'attacco di un pezzo novanta volte nessuno se ne lamenterebbe, ma anche così l'eventuale fastidio che si potrebbe provare è decisamente inferiore a quanto ci si aspetterebbe.
In conclusione, pur non dandogli un voto in quanto mixtape, non esito nel dire che chiunque si professi amante del rap dovrebbe quantomeno ascoltarsi perbenino questa raccolta. Il materiale qui presente è composto da classici, l'assemblamento è ineccepibile e l'insieme riesce ad immortalare in maniera esemplare uno dei periodi più rosei per l'hip hop... che volete di più?

Haze Presents: New York Reality Check 101 - Mixed by DJ Premier

VIDEO: 8 STEPS TO PERFECTION

martedì 21 ottobre 2008

AA.VV. - OKAYPLAYER: TRUE NOTES VOL.1 (Okayplayer/Rapster, 2004)

Nella mia consueta e preparatoria caccia alla recensione, stamane mi è capitato di leggere i motivi, messi nero su bianco, per cui alle volte mi viene da abbandonare l'hip hop per dedicarmi anima e corpo al blues o comunque a qualche altro genere meno intriso di cazzonaggine. Sentite un po' qua cosa dice un poveretto in merito a True Notes Vol. 1: "Immaginatevi il meglio dell’hip hop più innovativo e trendy, immaginatevi produzioni esclusive di personaggi come ?uestlove dei Roots, immaginatevi brani di band emergenti [nel 2004. Probabilmente è uno di coloro che considera Giovanni Allevi un genio precoce anche se ha 40 anni] come Dilated Peoples, Blackalicious o Aceyalone & Madlib. [...] Grande compilazione [...] sonorità stilose [...] l’hip futuribile dei Blackalicious."
Sapete, leggere questi vaneggiamenti m'ha fatto venire in mente i capitoli di American Psycho in cui Bateman si lancia in appassionate "critiche" di dischi orrendi o personaggi detestabili tessendone elogi e, soprattutto, celando la propria incapacità di analisi dietro ad un registro pomposo o comunque fuori luogo. Ma per fortuna la fede non si giudica necessariamente dal fedele, e se nel caso del romanzo di Bret Easton Ellis i gusti musicali da yuppie bene rispecchiavano la psiche dello stesso amplificandone la comprensione da parte del lettore, in questo caso si può dire che non è richiesto essere dei ciucci per ascoltare True Notes Vol.1. Anzi, meno lo si è e più si riesce ad apprezzarne i pregi e a sorvolare sui difetti, che pur non essendo qualitativamente gravi ci sono e vanno sottolineati per evitare che sporchino quel che c'è di buono in questa «compilazione».
E allora è proprio il caso di cominciare con I Do What I Like, dove un gran bel beat di RJD2 viene brutalizzato dalla conclamata inettitudine di Dice Raw, il quale anzichè seguire la melodia e l'atmosfera della musica decide di rappare a singulto, facendo giochini strani con la sua sgradevole voce e sperimentando addirittura qualche botta e risposta, come nemmeno i Run DMC avrebbero potuto fare in un momento di crisi nera. Imperdonabile. Decisamente meno gravi sono invece le pecche di Keep Livin' di Jean Grae, che oltre ad apparire liricamente un po' improvvisata riutilizza lo stesso campione (tagliato allo stesso modo, con lo stesso tempo ecc.) di World Famous degli M.O.P. e che oramai s'è sentito in tutte le salse; poi purtroppo si ritorno nella spirale della cacata immonda grazie a Bang Bang -decisamente il pezzo più brutto del disco nonchè una schifezza tout court- in cui un beat che vorrebbe tanto essere clubbeggiante consente a due miserabili pippe di cimentarsi in alcune rappate contenutisticamente risibili e stilisticamente fiacche, raggiungendo poi nel ritornello tali livelli di sublime sprezzo del ridicolo da meritarsi una citazione. Sapete infatti come fa? Leggete: "OH! OH! - BANG! BANG! OH! OH! - BANG! BANG! OH! OH! - BANG! BANG! OH! OH! - BANG! BANG!". Vi giuro che, non essendo abituato a cose del genere, la prima volta che ho ascoltato questa canzone sono rimasto impietrito di fronte allo stereo, incapace di fare alcunché, come un riccio in autostrada.
Ma poi mi sono ridestato; e saltando oltre qualche pecca di scarso rilievo come uno dei pezzi dei Little Brother (On And On, titolo ispirato dal vizio di riciclaggio spudorato dei drumset di 9th Wonder), quello di Aceyalone e Madlib (beat generico ma passabile, però l'adlib sovraenfatizzato nelle chiusure dei versi è insopportabile) e quello dei The Chapter (non ha senso tagliare a 1:50 una canzone potenzialmente bella come questa), alla fine ho scoperto di avere tra le mani un'ottima compilation come non mi capitava da anni.
Difatti, a fianco di cose pregevoli come il contributo di Baby Blak, il pezzo dei Dilated Peoples (quando ancora pensavano che rappare su basi sopra i 12bpm non fosse un reato), Shake It dei Little Brother o la collabo tra Nicolay ed il buon Supastition, vi sono alcune perle da non perdere per nessun motivo. Una di queste è Y'All Know Who, che vede Black Thought dominare impeccabilmente uno splendido beat, costituito pressoché solo da basso, batteria ed un suono sintetizzato che non riesco ad identificare ma che si colloca a metà tra Aaight Then dei Mobb Deep e Zen Approach di DJ Krush. Più cupi del solito gli Hieroglyphics, invece, che sfruttano il campione di un coro femminile piuttosto spettrale per marcare lo scarto di bravura tra loro ed il resto del mondo riuscendo, peraltro, a convincere appieno; più allegri i loro colleghi californiani Blackalicious, che favoriscono un sample pitchato ed una linea di basso bella piena su batterie "quadrate" per lasciare Gift Of Gab impazzare in una serie di rime -com'è suo uso- serratissime e stilisticamente ineccepibili. E infine, come non citare la cazzonissima ma divertente Take It Back di Skillz? Vedete, di lui si può criticare il fatto di essere incapace di mettere insieme un disco decente che sia uno, ma quando viene preso a piccole dosi non si può non applaudire la sua sconfinata arroganza, il suo humor e, naturalmente, la sua bravura; per di più, tutto ciò viene ulteriormente evidenziato da un beat allegrotto e strutturato in modo tale da consentirgli di giocarsela con la metrica come meglio gli pare.
Chiudono in bellezza, nell'ordine, la seconda partecipazione di Jean Grae, superiore per ogni aspetto alla già citata Keep Livin', e soprattutto Act 2 di RJD2; quest'ultima è una strumentale che si pone stilisticamente a metà tra Deadringer e Since We Last Spoke, risultando prima di tutto piacevolissima da ascoltare, oltre che ben pensata e magnificamente strutturata (il passaggio da uno strumento all'altro e la loro sovrapposizione finale è eccellente), e questo non può far altro che portarci alle lacrime se ripensiamo al fallimentare percorso artistico da lui intrapreso negli ultimi anni.
Sia come sia, True Notes Vol.1 non è né innovativa né trendy, e solamente un cretino può catalogare della -peraltro ottima- musica nel campo degli status symbol. Anzi, fatte le dovute scremature, tutto quanto di buono è contenuto in questo disco andrebbe ascoltato nell'intimità di un paio di cuffie o di un buon impianto stereo ed assaporato di volta in volta sempre un po' di più. Aggiungo infine che non solo si dovrebbe comprare l'originale per una questione di principio, e cioè quello della qualità da premiare, ma anche perchè la grafica, pur apparendo nella scansione triste come l'Albania, è un caso quasi unico nella storia dell'hip hop: stampa su carta opaca semilucida stile Domopak, una vera chicca per i nerdoni che come me si esaltano per l'uso creativo di materiali originali pur avendo un costo irrisorio.





AA.VV. - Okayplayer: True Notes Vol.1

VIDEO: TAKE IT BACK

mercoledì 17 settembre 2008

VA - HOME: BOSTON UNDERGROUND HIP HOP (Landspeed, 2001)

Come ho già avuto modo di scrivere in precedenza, fino alla fine degli anni '90 Boston era stata fondamentalmente periferica rispetto al movimento dell'hip hop. Certo, c'erano alcuni artisti come EdO.G. & the Bulldogs o gli Almighty RSO che in passato avevano provato a "metterla sulla mappa" (perdonate l'italianizzazione, ma visti i tempi conviene abituarvisi), ma questi tentativi erano sempre rimasti commercialmente irrilevanti e dunque culturalmente snobbati dalla comunità reppusa internazionale. Ma intorno al 2000 vi furono due case discografiche -la Brick ma soprattutto la Landspeed- che raccolsero attorno a sè la crème de la crème di ciò che la città aveva da offrire e, complice un ottimo sistema di distribuzione, inondarono con singoli e EP un mercato che stava pian pianino scivolando nella stagnazione.
Home rientra dunque all'interno del sopracitato contesto, essendone una sorta di summa: Insight, Krumb Snatcha, 7L & Esoteric, Edan, Reks... chiedete e vi sarà dato. Mancano solamente Virtuoso ed il veterano L Da Headtoucha, ma per il resto la fotografia composta da questi 15 pezzi è straordinariamente nitida e rispecchia perfettamente quel florido periodo; non dovrebbe stupire perciò l'elevata qualità del prodotto, tant'è vero che in diversi casi le canzoni presentate dagli artisti diverranno i singoli dei relativi futuri album.
E' questo il caso di Rekless, singolo di quel Along Came The Chosen da me già recensito qualche tempo fa e che pertanto non vale la pena di descrivere una seconda volta; oppure, ancora, di Rap Religion di Insight. Ecco, qui vale la pena di spendere un paio di parole per descrivere la canzone e l'artista: innanzitutto, va detto che 'Sight è uno dei pochi che si rifanno ad un suono antecedente il '95 riuscendo a mantenerne le atmosfere ma al contempo riaggiornandolo e rendendolo digeribile ai più giovani. Chi ha mai ascoltato uno dei suoi dischi già sa di cosa sto parlando (includo anche l'eccellente duetto del 2007 col produttore Damu), mentre chi lo dovesse aver finora ignorato potrà notare quanto da me espresso nella suddetta traccia: le batterie ed il basso sono martellanti e "sporche" come se ci trovassimo nel '93, ed il modo di tagliare in brevi spezzoni il campione di organo elettrico (inserendovi il saltuario effetto) si spinge addirittura verso un'estetica bombsquadiana. Naturale, dunque, che anche il flow e le metriche risultino serrati ed energetici, cosicché l'insieme (più degli azzeccatissimi cut di Guru nel ritornello) riesce a farci scordare che dopotutto si tratta della tipica ode al rap -che piace sempre come i tegolini pur non rappresentando nulla di concettualmente nuovo. E, volendo restare ancora nel filone delle "odi a qualcosa", che dire dell'ottima posse cut Home? Su un beat dai suoni essenziali (una scala di basso ed un'unica nota a chiuderne il loop) prodotto da G², che pare però uscito dallo studio di Diamond D, si avvicendano al microfono EdO.G., i Kreators, Krumb Snatcha, Akrobatik, Big Shug e, ciliegina sulla torta, Guru nel ritornello. Una roba che solo ad immaginarsela vien da leccarsi i baffi, e per una volta tanto il risultato riesce a soddisfare ampiamente le aspettative. Persino il cronicamente scarso Big Shug dà un colpo di reni portando a tavola una strofa onesta, mentre i restanti fanno a pezzi la base, in special modo EdO.G., Akrobatik e Krumb Snatcha.
Krumb Snatcha che ritroveremo due tracce più avanti con una prestazione in linea coi suoi standard di allora (tant'è che pare quasi una Killer In Me 2.0), così come allo stesso modo si comportano 7L & Esoteric, Edan, Chan (autore poi del bruttoccio Part Of A Nation), Kreators e Skitzofreniks (Slow It Down è più bella remixata). Chapeau va invece sia al sempre affidabile EdO.G. ed alla sua Questions, come al solito preciso e pulito sia nel suono che nell'esposizione dei concetti, che ai Raw Produce e Mr. Lif. La loro I Am Myself è sì oggettivamente un po' da boyscout (sapete, meglio essere che apparire, onesto è bello... robe che nemmeno Jovanotti), lo concedo, però bisogna dire che non solo Lif migliora nettamente la situazione sia concettualmente che tecnicamente, ma anche che la melodia costruita con l'ausilio di un loop di piano è infettiva e capace di restare in testa per molto, molto tempo.
Insomma, la sostanza è che se si cerca del buon hip hop Home è capace di darvelo. Alcune cose sono, ovviamente, ben più interessanti di altre che invece mancano di mordente; tuttavia, nel complesso l'opera è solida e fornisce una soddisfacente panoramica di quelli che erano i rappresentanti di Boston all'epoca, molti dei quali ancora presenti ed evolutisi a tal maniera da rendere i loro pezzi qui presenti "storicamente" interessanti.





VA - Home: Boston Underground Hip Hop

VIDEO: RAP RELIGION

venerdì 20 giugno 2008

AA.VV. - SOUL IN THE HOLE (Loud/RCA, 1997)

Come ho già avuto modo di scrivere, le colonne sonore reppuse non sono ormai altro che una laida operazione commerciale da du' lire buona giusto per censire la quantità di ingenui e di cretini tout court, che le acquistano nella convinzione di ascoltare qualcosa di degno e che, invece, si ritrovano tra le mani una specie di raccolta differenziata tra pezzi di seconda scelta e rimasugli di album. Ma non sempre è stato così. In un'epoca migliore, quando qui era tutta campagna e i treni arrivavano in orario, uscivano almeno una-due raccolte all'anno serie e, saltuariamente, il capolavoro.
Bene, qui stiamo parlando di un capolavoro. Leggete gli artisti in scaletta: Dead Prez, Wu-Tang, Sauce Money, M.O.P., Big Pun, Mobb Deep, Organized Konfusion, O.C... quello che oggi verrebbe considerato il sogno di un backpacker, nel '97 è stato pubblicato da una major tra gli applausi di pubblico e critica. Applausi meritatissimi perchè, all'infuori di singole pisciate extratazza, la qualità media è straordinariamente alta.
Dubito che qualcuno oramai non la conosca, ma You Ain't A Killer di Big Pun, che qui funse da biglietto da visita della futura star obesa, vede la leggenda portoricana scambiare colpi con un bellissimo beat di Younglord (un cupo loop di piano adagiato su un semplice 4/4 che nella sua semplicità riassume il grimeiness del suono nuiorchese di metà anni '90) che gli consente, già nella prima strofa, di mostrare le sue capacità: "Any last requests before you meet your maker? Sew what you reap a wake up, shakin up a storm like Anita Baker/ I'll take you straight to hell and fill your heart with hate, ncarcerate your fate in Satan's fiery lake, then I lock the gate". Su Capital Punishment si sarebbe poi visto ancora di meglio, ma fatto sta che questo singolo pezzo fece schizzare in alto le aspettative dei fan di tutto il mondo ed è da considerarsi, a ragione, un pezzo di storia.
Ma questo non deve far scordare l'ottima accoppiata di Sauce Money e Premier in Against The Grain, traccia decisamente valida per l'allora sodale di Jay-Z (nonché ghostwriter di mezzo mondo) che può solo far crollare gli zuccheri a chi si trovò poi ad ascoltare il deludente Middle Finger U. Stranamente per Premier, che negli anni precedenti aveva toccato livelli di ruvidità estrema con il lavoro svolto per i Group Home e per Jeru, qui il Nostro opta per un campione più spiccatamente soul e, soprattutto, tagliato in maniera più "moderna" -non riesco a spiegarlo bene, ma ad orecchio la differenza tra, che so, Too Perverted e questa è evidente. Ottime interpretazioni giungono anche da Common (assistito da un No I.D. in stato di grazia), dai Cella Dwellas (che infatti ricicleranno Main Aim nel loro album del 2000), dai Brand Nubian (A Child Is Born > il 70% di Foundation) e dai Wu-All Stars, che infatti firmano il primo singolo.
Discorso un po' diverso per altre opere, che anzichè entusiasmarmi mi hanno "semplicemente" fatto dire "bel pezzo". Ad esempio, per quanto sentire gli Organized Konfusion sia sempre un piacere, il loro beat autoprodotto è un po' anonimo. Funziona, per carità, e l'headnodding è garantito, ma la loro eccellenza sta altrove. Lo stesso dicasi per Your Life, dove Ogee secondo me poteva lavorare un po' più su un campione che per una traccia di quasi cinque minuti e mezzo diventa facilmente noioso, anche a causa di batterie non esattamente originali; fortunatamente, O.C. è in piena forma e l'ignoto U Nast esce a testa alta dal paragone con l'ospite. Sul pezzo dei Mobb Deep c'è poco da dire (standard dell'epoca, nulla di cui lamentarsi), mentre Ride degli M.O.P. e Los Angeles Times di Xzibit lasciano un po' l'amaro in bocca. D'altronde non si può sempre avere una Stick To Ya Gunz o una Eyes May Shine, no?
Au contraire, chi avrei mandato a lavorare in miniera sono il Wu (RZA in particolare, che si è scordato di inserire un qualsiasi campione in Diesel) ed i Cocoa B's, che fanno 'na mezza cover di Public Enemy #1 inappellabilmente incresciosa. Peccato oltretutto che questi pezzi si trovino letteralmente tra i coglioni, sicché uno magari se ne sta lì in bellura ad ascoltarsi i Brand Nubian e subito dopo -BOOM- attacca quella formidabile cacata di Won On Won. Diciamo che è come se durante una trombata passasse un buontempone e t'infilasse un dito nel culo, così, per vedere che faccia fai.
Ma metaforiche ditate nel culo a parte, non ho remore a definire Soul In The Hole la miglior colonna sonora in mio possesso -artisti di prima linea, brani ottimi, niente R&B, niente skit del cazzo- potendo muovere al limite una sola critica: non tutti i pezzi sono apparentemente coerenti con il tema della pellicola. Ma 'sticazzi, in fondo si tratta di un documentario ambientato a Brooklyn riguardante un torneo -il Soul In the Hole, appunto- che suppongo non obblighi ad un particolare rigore formale. Oltre che, pragmaticamente, sai che par di palle sorbirsi 70 minuti di disgressioni sul tema del basket? Appunto.





VA-Soul In the Hole

VIDEO: SOUL IN THE HOLE

giovedì 1 maggio 2008

AA.VV. - AMERICA IS DYING SLOWLY (EastWest/ Red Hot, 1996)

Come si può evincere dall'apposita pagina su Wikipedia, la Red Hot Organization è un'associazione avente come scopo la lotta all'AIDS mediante mezzi tradizionalmente considerati d'intrattenimento: principalmente televisione, spettacoli, musica. In quest'ultimo settore, in particolare, si è mostrata particolarmente attiva; dal 1990 a oggi ha fatto pubblicare 15 raccolte i cui profitti al netto delle spese sono stati interamente devoluti alla causa.
"E chi se ne frega" potrebbe pensare uno, ma al di là di qualsiasi considerazione moral-peschereccia la cosa ci/mi interessa perchè l'ottavo capitolo di questa serie è una raccolta di brani di rap duro e puro come dio comanda. Tant'è vero che, persino quando le colonne sonore e le compilation preparate dalle varie major avevano ancora una media qualitativa mediamente alta e non erano semplicemente scarti degli artisti in auge al momento, questa America Is Dying Slowly riuscì a svettare sul resto -non solo per via del particolare fil rouge che unisce i vari pezzi, ma soprattutto perchè la musica qui è presente è fatta coi controcazzi. Già solo leggendo alcuni dei nomi (Wu-Tang, Mobb Deep, Pete Rock, Goodie Mob, Common, Organized Konfusion, De La Soul, O.C...) ci si rende conto che le aspettative non possono non essere alte, ma a conti fatti solo ascoltando il risultato che ci si convince della bontà effettiva del prodotto.
Non a caso, faccio molto prima ad elencare i difetti che non i pregi, e così preferisco procedere al contrario. Tanto per cominciare, ci sono canzoni che col tema dell'AIDS nun c'entrano proprio nulla (Street Life, Suckas P.H., Games, What I Represent), il che in termini pragmatici può anche starci, però rappresenta un po' un'incongruenza. Poi, beh, ci sono le scelte strettamente dettate dall'appeal commerciale dei nomi: dal punto di vista del marketing nulla da eccepire, ma se il risultato è poi la tremenda Sport That Raincoat di Domino (artistone che infatti "ricordiamo" a fatica solo per Sweet Potatoe Pie) la cosa potrebbe diventare seccante. Last but not least, mentre alcuni dei personaggi si sono evidentemente rotti la testa per creare piccoli capolavori, altri, come Pete Rock e i Lost Boyz, pezzi della D.I.T.C. o Common, hanno semplicemente innestato il pilota automatico e bona lè.
Ma questo non deve scoraggiare, perchè persino chi è entrato nello studio di registrazione in modalità "automa" era al tempo al meglio delle sue capacità, e quindi la qualità media è alta. Molto alta. Tra le tracce più riuscite vorrei segnalare l'eccellente Blood dei Goodie Mob, i quali, in linea con quanto mostrato sul capolavoro Soul Food, riescono a creare connubi perfetti tra liricismo, contenuti e atmosfere tra il boombap più classico e il loro celebrato dirty south. Nello specifico, l'ultraminmalismo del beat degli Organized Noize appoggia Cee-Lo, Khujo, Big Gipp e T-Mo in un racconto delle miserie della vita di chi cresce nei ghetto che, al solito, è farcito dell'evocativo immaginario del gruppo di Atlanta. Sempre a sud della Mason-Dixon, ci sono i veterani Eightball & MJG che fanno vivere l'esperienza dell'AIDS dal punto di vista del virus stesso: praticamente una Stray Bullet o una I Gave You Power elevate all'ennesima potenza. Ecco, sono queste canzoni che fanno venire ulteriore voglia di maledire Master P, Juvenile, Lil Jon ed il resto della mandria di imbecilli che ha contribuito in maniera determinante a trasformare l'hip hop sudista in una delle più grandi manifestazioni di pochezza musicale e cerebrale.
Ma, volendo, ci sarebbe da piangere pure paragonando un pezzo da dieci e lode come Street Life (Mobb Deep e gli esordienti A.C.D.) alle ultime porcherie da loro prodotte. Nel consueto stile del Queensbridge -ma su un beat da applausi di L.E.S.- i Nostri ci raccontano di quanto sono cupi & ghettusi e di quanto fanno brutto; senonché sono LORO a farlo, e perciò il trito e ritrito argomento assume una nuova dignità. In particolare, è la strofa di A-Dog a rubare lo show: "I'll be a trife individual dwellin' in these days, scorchin' from the D's plus the sun's rays/ Dead Presidents dreams and million dollar schemes, killa Queens, the land of the cream fiends/ ACD the world terrorists, stainless Rugers for the intruders and my cipher's infamous". E certo che per farsi notare tra artistoni come il Wu (America è una delle loro canzoni a tema più riuscite, con RZA che incredibilmente caccia la strofa migliore), O.C. e Buckwild (che hanno PALESEMENTE ceduto un leftover di Word...Life[*]) o gli Organized Konfusion (grande beat di DJ O.Gee, loro impeccabili come al solito) ce ne vuole. Casomai, chi non fa esattamente una gran figura è la west coast: I Breaks 'Em Off di Coolio piace all'80% per via del beat che ricorda parecchio Ready To Die di Biggie, ma lui è di una pochezza che alle volte sfocia nel surreale (cito: "Your album is weak and so is your video, or should I say wackeo?" Dio mio vergognati...). Il dream team della Yay Area -troppi i membri per essere elencati qui- potrebbe esaltare i fan del funk californiano, ma a me lascia impassibile: senza infamia e senza lode la loro Check Ya Self, ad eccezione del ruttone che uno degli intellettuali sgancia ad inizio traccia. Idem come sopra per la inutile Nasty Hoes, la quale, proveniendo da Sadat X, Diamond D e Fat Joe aveva il dovere sociale di risultare come minimo valida. Pollice in basso soprattutto per il beat di Diamante e l'atroce ritornello, francamente da ritardati. E per concludere con l'ennesimo "chi l'avrebbe mai detto?", sentitevi la strofa d'apertura di Lord Tariq sulla ultraenergetica Games e poi paragonatela a qualsiasi pezzo del successivo album con Peter Gunz... sì, decisamente, i Money Boss Players sono, assieme ai Rawcotiks ed agli Shadez Ov Brooklyn, il gruppo degli anni '90 del cui disco ufficiale più si sente la mancanza.
Insomma, per farla breve, pur avendo i suoi bravi difetti, questa America Is Dying Slowly è una delle compilation "ad hoc" meglio riuscite di sempre, oltreché una delle perle della mia collezione.
[*] L'affermazione potrebbe risultare in contrasto con la mia precedente critica alle raccolte di oggi, che sono perlopiù ammassi di scarti di dati artisti. Vorrei però sottolineare che una cosa è uno scarto di Plies, un'altra è uno scarto tratto da Word... Life.





AA.VV. - America Is Dying Slowly

VIDEO: LISTEN TO ME NOW