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lunedì 1 marzo 2010

IMMORTAL TECHNIQUE - THE 3RD WORLD: HOSTED BY DJ GREEN LANTERN (Viper, 2008)

Non avendo molto tempo a disposizione salterei le solite introduzioni di rito venendo subito al disco del giorno, e cioè 3rd World di Immortal Technique. Uscito nel 2008, esso si colloca a metà tra un moderno mixtape ed un album vero e proprio, in quanto è sì vero che alcuni pezzi sono fusi tra loro e che in fin dei conti c'è un DJ -Green Lantern- che rompe i coglioni con trick di terz'ordine, ma è anche vero che tutte le produzioni sono originali e create ad hoc per il Nostro, il quale le sfrutta non scendendo mai sotto i due minuti ed anzi collocando la durata media delle canzoni intorno ai 3'30''. Bòn: non potendo quindi catalogare in maniera certa questo prodotto, direi che la cosa migliore da fare è considerarlo una sorta di appetizer per l'imminente (sperèm!) Middle Passage, considerato da tutti, e per primo dall'autore stesso, il vero seguito della pietra miliare che è Revolutionary Vol. 2.
Facendo questa considerazione, però, la prima cosa che viene in mente una volta giunti al termine dell'ascolto è: alla faccia dell'antipasto! Difatti, per me il riuscire ad offrire diciassette tracce effettive -che annoverano produttori quali Buckwild, Shuko, lo stesso Green Lantern e altri- su cui spargere strofe evidentemente ben pensate, e condirle con featuring interessanti quali Pharoahe Monch, Chino XL e Ras Kass, rappresenta ben più di un contentino datoci in attesa dell'album vero e proprio. Tanto più se a tutto ciò si aggiunge una confezione ben curata sia dal punto di vista fisico che acustico, con un mixaggio forse più casalingo rispetto allo standard professionale ma che nondimeno fa il suo sporco lavoro. Insomma: visto e considerato quanto fatto qui da Tech, i lunghi tempi che ci stanno ancora separando dal suo prossimo progetto sono perdonabili.
Tracce come 3rd World, Harlem Renaissance, Stronghold Grip e la ghost track Rebel Arms rappresentano infatti alcuni dei pezzi migliori di Tech e sono degne di stare a fianco di capolavori come Dance With The Devil o Peruvian Cocaine; non solo perchè le produzioni sono sorprendentemente incisive rispetto a quanto ci ha abituato il Nostro -finora fungevano più da accompagnamenti più che beat veri e propri- ma anche perchè egli mantiene la lucidità di sempre aggiungendo però una tecnica ulteriormente rifinità, precisa ed aggressiva. La title track, per esempio, oltre ad essere probabilmente la miglior canzone mai scritta da Coronel, è anche quella rappata meglio; le strofe dense di riferimenti storici, culturali e cariche di un immaginario non artefatto s'imprimono nella memoria anche grazie alla delivery feroce dell'MC: "I’m from where Soviet weapons still decide elections/ Military's like the mafia, you pay for protection/ Kinda like sex toys is what the country sells/ And rich white businessmen make the best clientele/ I’m from where they too pussy to come film Survivor/ And they murder Coca-Cola union organizers [...] I’m from where they overthrow Democratic leaders/ Not for the people but for the Wall Street journal readers/ From where blacks, indigenous peoples and Asians/ Were once slaves of the Caucasians/ And it’s amazing how they trained them/ To be racist against themselves in the place they was raised in, you kept us caged in/ Destroyed our culture and said that you civilized us/ Raped our women and when we were born, you despised us/ Gentrified us, agent provocateurs divide us/ And crucified every revolutionary messiah". Minchia.
Ma Tech naturalmente non si ferma qui: com'è suo solito egli va a toccare anche i problemi dei ghetti -in particolar modo la gentrificazione- così come quelli legati alla mancanza d'istruzione, senza ovviamente aggirare l'assenza della consapevolezza di tanti suoi colleghi e la perversione dei mercati-primo fra tutti quello musicale. Insomma, si può parlare di attacco su tutta la linea -inclusi ovviamente i rapper scarsi- e se talvolta il tutto può concettualmente sapere di déjà vu, è pur vero che le modalita con le quali il Nostro si scaglia contro i suoi avversari non invecchiano mai. E con degli ospiti del calibro di Chino XL e Crooked I o Ras Kass non risulta per me difficile dire che 3rd World è forse l'album migliore dal punto di vista lirico che Immortal Technique abbia mai scritto. Unica assenza può forse dirsi qualche traccia pià rilassata, come lo era ad esempio One, ed i suoi solitamente eccelsi storytelling; ma, come si suol dire, non si può avere tutto ed in fondo dovrà pur lasciarsi del materile per l'album vero e proprio, no?
Venendo ora invece alle produzioni, la prima cosa che si nota è la quantità dei nomi coinvolti. Dai già citati Buckwild, Scram Jones e compagnia bella ci si spinge agli habitué Southpaw e Metaphysics, fino a giungere ad autentici Carneadi quali Spictacular o Fyre Dept. Ma a prescindere dalla notorietà dei beatmaker, a colpire è il fatto che stavolta le produzioni svolgono un ruolo molto più attivo che non in passato; vale a dire che spesso e volentieri danno il "la" e l'impostazione a Tech, il quale sovente è costretto a seguirle e ad adattarvisi -cosa che in precedenza non era mai successo. Questo fenomeno lo si nota chiaramente sia in positivo -Death March, 3rd World e Mistakes solo per citarne tre- così come negativamente... e anche questa, per tech, è una novità. Difatti, finora non mi era mai capitato di ritenere pessima una canzone del Nostro: fiacca magari sì, ma in fondo salvabile. Ora invece, con il ruolo dei beat portato ad un'importanza standard, mi sono imbattutto sia in punte di eccellenza che in autentiche porcherie, e se da un alto posso anche glissare dall'altro mi viene da mangiarmi i coglioni: perchè passi che Crimes Of The Heart risulti un melodrammone da telenovela anni '80 (a causa anche della canterina Maya Azucena, terribile!) e che Golpe De Estado usi malissimo un sample già di suo ben brutto, ma che mi si rovini la collabo con Chino e Crooked I con una base incircolabile e che si conceda a quella con Ras Kass e Diabolic una robetta appena accettabile -beh- quello no. Specie se poi abbiamo uno dei famosi monologhi -Open Your Eyes- che gode di un campione che da solo reggerebbe due o tre pezzi interi... mah.
Ad ogni modo, per quanto mi roda un po' il fegato per i motivi di cui sopra, apprezzo nel complesso la scelta fatta da Immortal Technique: usare beat potenti non toglie assolutamente nulla al suo messaggio ed anzi lo enfatizza, perciò mi pare complessivamente un buon cambio di rotta; così come mi pare una gradevole variante, anche se non ancora ben applicata, l'introduzione di ospiti coerenti con la propria visione artistica (dimenticavo: il remix con Pharoahe Monch di Apocalypse di Akir è ottimo). E per quanto riguarda l'essere una sorta di mixtape/street album "ospitato" da un DJ, devo dire che alla fine dei conti l'intromissione di Green Lantern è accettabile e non inficia più che tanto l'ascolto, anche se francamente non capisco l'abuso del backspin (!?!) in questo genere di prodotti, così come reputo le sue uscite "rivoluzionarie" di un'ignoranza e di un pressapochismo tali da farmi ridere. In conclusione: ottimo lavoro, non c'è dubbio, e che se da un lato non raggiunge la freschezza di Revolutionary Vol. 2, dall'altro contiene sufficienti novità da lasciar ben sperare per il futuro.





Immortal Technique - The 3rd World

martedì 15 dicembre 2009

IMMORTAL TECHNIQUE - REVOLUTIONARY VOL. 2 (Viper, 2003)

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere nei commenti relativi al mio sfogo contro quel povero scemo di Daniele Silvestri un'espressione di sollievo da parte di un lettore, dovuta al fatto che egli (probabilmente) vedeva in quelle righe una mia volontà di separare l'hip hop dalla politica tutta, e dall'area di sinistra in particolare. Non starò ovviamente a indugiare in interpretazioni di commenti così brevi, ma se ho voluto citare l'intervento è perchè lo ritengo ben rappresentativo di un sentire comune a molti ascoltatori di rap, soprattutto italiani. Ora, i motivi per cui tanti si pongano in linea di principio contro la commistione di musica e "impegno" (passatemi il termine) li posso solo immaginare, e magari tra di essi rientra anche un preponderante schieramento a sinistra da parte di chi si è cimentato/si cimenta in questa pratica; non saprei dire. Limitandomi dunque a quel che mi riguarda, in generale nutro forti sospetti nei confronti di chi mescola le due cose perchè in generale si tratta o di persone a) prive del bagaglio minimo di conoscenze per poter scrivere di politica, o di individui b) incapaci di esprimere le proprie riflessioni in maniera piacevole per l'orecchio, oppure, infine, c) ambedue le cose.
Il problema che ho -personalmente- non ha quindi a che fare con il principio stesso della divisione tra le due cose, quanto dalla sua effettiva applicazione, che spesso si risolve in puttanatone epiche che si pongono a distanza di anni luce da una qualsivoglia forma di pensiero articolato. E siccome statisticamente chi si cimenta in questi estri tende a sinistra, oltre a provare schifo per il penoso risultato artistico, mi ritrovo pure in preda all'imbarazzo di chi vede esporre nel peggiore dei modi possibili un'idea che di per sè magari condivido.
Ebbene, dopo una pausa quasi decennale avutasi nel corso degli anni '90, a partire dall'inizio di questo decennio abbiamo potuto assistere ad una piccola resurrezione del sottogenere; almeno a livello underground, è difficile oggi non incappare oggi in almeno uno o due pezzi aventi come sfondo l'attualità e la politica (persino Ghostface l'ha più o meno fatto, vedete un po' voi). E se nell'80% dei casi purtroppo continua a perseguitarci il sopracitato danielsilvestrismo©, oggi più di ieri ci sono un po' di personaggi secondo me degni d'interesse e, fra questi, spicca senz'altro Immortal Technique. I motivi sono innumerevoli, ma giusto per fare un rapido elenco eccovene alcuni: è credibile, preciso nella critica, sintetico, informato, creativo, originale, rappa benissimo e ha pure una bella voce. Insomma, straccia la maggioranza dei suoi colleghi e rappresenta infatti uno dei pochi artisti venuti fuori in questo decennio dei quali si ricorderà il nome anche nel corso dei prossimi anni.
Ciò detto, senza perdere tempo in tante note biografiche, arriviamo al dunque: Revolutionary Vol. 2 è la sua seconda opera, pubblicata ad una distanza relativamente breve rispetto alla precedente ed accolta con grande plauso della critica nonché con un discreto successo di vendite (tenendo conto che la distribuzione iniziale era una merda ecc. ecc.) arrivando ad oggi alla discreta somma di circa novantamila copie vendute nei soli Stati Uniti; un successo secondo me più che meritato, visto che pur conservando parte del titolo del predecessore esso ne risulta la versione perfezionata da ogni punto di vista e capace talvolta di raggiungere quasi la perfezione. "Quasi"?
Sì, certo. difatti, il difetto principale di Revolutionary Vol. 2 consiste nell'avere perlopiù beat discreti o anche bellini, ma quasi mai davvero belli; certo, qualche eccezione c'è, ma la maggior parte delle produzioni qui serve giusto per dare uno sfondo ed una minima di ritmica ai testi. Il loro pregio resta comunque un'indiscutibile orecchiabilità -data anche da un che di già sentito, bisogna dire (Peruvian Cocaine è No Ordinary Love dei Kreators, Crossing The Boundary è Gangsta Shit di Jay-Z, Industrial Revolution è Cake di Pete Rock... ci siamo capiti)- o comunque un'ottima capacità di fornire a Tech lo sfondo acustico migliore per il tipo di canzone. Ad esempio, l'idea di campionare la colonna sonora di Scarface è perfetta ed il concetto stante dietro a Peruvian Cocaine fa subito passare in secondo piano il fatto che sia un sample già sentito; Harlem Streets, invece, conferisce un tono di melanconia calzante a pennello per il tipo di testo, così come fanno i loop di chitarra di Leaving The Past e You Never Know. E questi sono solo un paio di esempi; insomma, Southpaw, principale autore delle basi, alla fin fine fa un lavoro che se non brilla per originalità perlomeno si dimostra adatto al protagonista e, a conti fatti, i pezzi più deboli si riducono ad un paio. Cause Of Death mi risulta un po' incasinata, tra sample vari e batterie veloci, e alla fine viene salvata in extremis solo dall'eccezionale performance di Tech; mentre Obnoxious nemmeno quello, in quanto a fianco di un campione latineggiante senza arte né parte vediamo che il Nostro si lascia andare all'insulto a ruota libera -che viene benissimo ad un Chino XL, ma che in questo contesto risulta decisamente fuori luogo.
Tuttavia, come già accennato, tra le peculiarità del reparto beat quella più positiva e che sopravanza le altre per importanza consiste nel saper appoggiar bene i testi del protagonista e di accompagnarli adeguatamente, sia in termini puramente tecnici (tiro delle batterie e mixaggio, ad esempio) che più astratti (principalmente atmosfere). Sarebbe infatti stato un dramma se le basi si fossero rivelate troppo ingombranti, perchè alla fin fine se uno decide di ascoltare Tech lo fa principalmente per i testi, e pertanto questi devono sempre restare in primo piano -cosa che qui fortunatamente accade. E così, in poco meno di 70 minuti di musica, noi ascoltatori entriamo in contatto col pensiero e con la Weltanschauung del Nostro, che in modo piuttosto semplicistico (e non senza contraddizioni) potrebbe essere definita un incrocio tra Marx, Chomsky, Moore, Malcolm X e Huey dei Boondocks per quanto riguarda il sarcasmo.
Contrariamente infatti a molti suoi presunti colleghi, il cardine della sua critica sta non tanto nell'attacco a questo o quel politico ed alle relative azioni, ma ad un intero sistema economico e le sue logiche di cui la politica è solo la prosecuzione con altri mezzi. La famosa teoria della mela marcia quindi non trova cittadinanza nel suo pensiero, perchè è l'intera cesta ad essere scaduta, e tale resterà fintanto che le decisioni politiche saranno influenzate sempre ed esclusivamente mettendo in primo piano l'appoggio ai potentati economici mondiali. Lungi però dallo scadere nel qualunquismo, Tech cita a suo appoggio diversi eventi -molti dei quali sconosciuti perlomeno a noi europei- che s'incentrano sulle politiche tenute dagli USA nei confronti dell'America latina nel corso degli anni '80, principalmente in Nicaragua ed El Salvador ma anche ovviamente Perù (sua terra natìa), Cile ed Argentina. E, com'è ovvio, ad uscire peggio da quest'analisi sono i repubblicani e l'establishment militare, ambedue gruppi che vengono nuovamente presi d'attacco quando il Nostro si sposta ai fatti post-11 settembre. Ese , com'è ovvio, buona parte della critica radicale è rivolta alle sopracitate categorie, nulla viene risparmiato al sistema mediatico, che si rende colpevolmente corresponsabile di politiche d'aggressione e d'azzeramento dei diritti sociali (in patria e all'estero) mediante una disinformazione fin troppo meticolosa per poter essere definita casuale. Da qui poi gli effetti del sistema ricadono a pioggia su quelli che potremmo definire gli aspetti più tipici del rap: vale a dire le condizioni sociali nei ghetti, l'ignoranza media ivi diffusa, i comportamenti da parte delle case discografiche (major sì, ma anche le indie, ritenute colpevoli di comportarsi alla stessa maniera delle sorelle maggiori) e la promozione dell'inciviltà che ne deriva a causa anche della connivenza di alcuni «sellout».
A margine poi vi sono anche un paio di excursus nello storytelling: You Never Know, che tratta in maniera autobiografica di come l'AIDS distrugge una coppia, e soprattutto la posse cut Peruvian Cocaine, in cui ciascuno degli ospiti assume il ruolo di uno dei personaggi tipicamente coinvolti nella produzione e nell'importazione della droga: dal contadino al caporale, dal narcotrafficante all'agente federale corrotto, questa canzone non solo è eseguita in maniera eccezionale ma rappresenta uno dei migliori esempi di come si può far cronaca e spiegare determinati aspetti del mondo senza risultare pedanti e/o noiosi. Del resto, lo stesso Tech è tutto fuorchè pedante: a differenza ad esempio dei «presi bbene», egli raramente fa sconti ai comportamenti altrui; ad esempio, a fronte di comportamenti ignoranti ed autodistruttivi da parte di chi è vittima potenziale dell'informazione, egli fornisce sì un'attenuante generica ma lo deinisce comunque poco più un burattino ("And if you can't acknowledge the reality of my words/ You're just another stupid motherfucker out on the curb/ Trying to escape from the ghetto with your ignorant ways/ But you can't read history at an illiterate stage").
Tutta questa impostazione viene poi definitivamente solidificata dallo stile di Tech, classico nella sua struttura ma ricco di metafore, parabole e parallelismi che tradiscono la sua lunga esperienza nel circuito delle battle nuiorchesi. Anche qui, ovviamente, punchline e quant'altro possono sì essere "classiche" ("With skills unused like fallopian tubes on a dyke"), ma altrettanto sovente assumono un taglio coerente con l'impostazione dell'album e l'attitudine del personaggio ("you motherfuckers will never get me to stop blastin'/ You better off asking Ariel Sharon for compassion"); il risultato quindi non è schizofrenico e, fatta salva la già criticata e fuori luogo Obnoxious, alla fine l'immagine che ci possiamo fare di Tech e della sua musica è tutto fuorché contraddittoria. Aggiungiamoci poi un talento nel cucire insieme rime, una dizione impeccabile, un vocabolario ovviamente vastissimo, ed ecco che il Nostro non può non risaltare immediatamente agli occhi di chiunque sia alla ricerca di rap fatto coi controcoglioni.
In definitiva, quindi, pur non essendo un album perfetto (da qui il voto), personalmente trovo che Revolutionary Vol. 2 sia a suo modo già un classico nonché uno dei dischi fondamentali se si vuole ricostruire il decennio in musica. Come impostazione e come realizzazione -parlo soprattutto dell'emceeing- quest'opera ha difatti già fatto proseliti e resta il punto di riferimento per chi vuole trovare -in un genere divenuto nel corso dei tempi fin troppo sbilanciato a favore del cazzeggio- della serietà e della concretezza. Poi si può non essere d'accordo con tutto ciò che Tech sostiene, certamente, ma il solo fatto che si giunga al punto di sviluppare un senso critico mi sembra una bella cosa. Liricamente, quindi, cinque zainetti abbondanti; musicalmente tre e mezzo: a questo punto mi sbilancio e arrotondo all'insù.





Immortal Technique - Revolutionary Vol. 2