
Come al solito, ciò è dovuto in parte a fatti concreti -il prodotto nella sua nudità, insomma- ed in parte da fattori terzi quali aspettativa e potenzialità inespresse. Volendo cominciare da queste ultime, mi aspettavo molto dall'album: sia liricamente che musicalmente, dato che i trascorsi di Ace e tutto sommato anche quelli di Wordsworth lasciavano ben sperare. Ovviamente, conoscendo abbastanza bene i membri, mi ero pure fatto un'idea di massima di come avrebbe potuto suonare il tutto: qualche pestone, molte cose più lente e viranti verso il soul, ed una buona dose di riflessività mista a humor. Ebbene, per quanto riguarda l'emceeing direi che grossomodo ci siamo, mentre come basi purtroppo no, almeno in parte.
Sulla carta infatti il piatto pare ricco: Ayatollah, Marco Polo, Nicolay, The ARE (K-Otix) ed un altro paio di esordienti o semisconosciuti come Frequency, Quincy Tones e J!. Insomma, non esattamente un dream team ma comunque qualcosa capace di stuzzicare gli appetiti, giusto? Giustissimo, peccato che alla fine il materiale sia mediamente scialbo, privo d'incisività e comunque fin troppo omogeneo; le poche eccezioni in cui i produttori riescono a farci uscire dal torpore sono purtroppo danneggiate dalla consueta abbondanza di skit tipica dei progetti di Masta Ace e, per l'appunto, dal brodino di soul generico che ci tocca sorbire per una buona ore e un quarto. Andiamo infatti a spiluccare la tracklist, e lasciando fuori dai conti i sette interludi ci restano 17 tracce in cui il ricorso al campionamento del soul è pressochè completo; di queste secondo me quelle che risaltano si contano sulle dita di una mano e sono Who We Be, Traffic, EMC (What It Stands For), Winds Of Change e Once More. E quel che è peggio è che non solo sono un po' poche, ma soprattutto che il loro risalto non è così accecante come l'era Beautiful sull'ultimo di Ace, semplicemente si fanno notare perchè portano uno spiraglio di luce nella monotonia data dal resto dei beat.
A Who We Be, per esempio, basta campionare per la zilionesima volta le prime due note di piano Holy Thursday di David Axelrod per guadagnare un che di classe, e per quanto l'immaginazione non sia esattamente la cifra di questa produzione del croato Koolade, è indubbio che l'atmosfera da club jazz faccia sempre la sua porca figura. Traffic, dal canto suo, gira bene perchè è uno dei pochi casi dove un taglio di campione soul che favorisce i soliti archi e delle batterie mediamente potenti non annoia -cosa rara- ed anzi si sposa alla perfezione con il tema della canzone; più facile è invece indovinare perchè EMC (What It Stand For) colpisca nel segno, ed è semplicemente perchè è un pestone ben fatto di Nicolay, che usa l'accortezza di lavorare più sul suono e la potenza di basso e batterie che non sul campione che, venendo mantenuto minimale, non da quell'impressione di sovraproduzione che risulterebbe letale data la natura vocale rilassata del quartetto. E, per finire, Winds Of Change -che vivaddio non campiona gli Scorpions- brilla per il campione di xilofono, chitarra e piano (ammetto tuttavia che lo trovo un po' melenso), mentre Once More mescola con una certa abilità boombap e sample di basso volume, per intenderci quello che soteva trovare nei dischi dei De La e dei Tribe della seconda metà degli anni '90.
Tolte queste, francamente non trovo le parole per descrivere singolarmente il resto dei beat... o meglio, le trovo anche ma non sono proprie dell'ambito musicale; mi verrebbe infatti da definirle, nella migliore delle ipotesi, mortalmente noiose e/o prevedibili. Il manierismo di certe formule che già nel 2003 non erano proprio una bomba qui diventa esiziale, come per dire il campione ripetuto ad nauseam di Leak It Out (paragonata a Heart Of The City, che usa anch'essa Bobby Bland, fa doppiamente pena) oppure, peggio ancora, l'allungo di una sezione di sample per tre misure con lo scorrimento per intero nella quarta (cfr. Say Now): una roba che funziona solo se questo è davvero particolare e, ovviamente, non è questo il caso. Ma può anche andare peggio: Git Sum ad esempio è bombastica e potrebbe andare bene per altri (all'ospite Sean Price calza difatti a pennello), ma visti gli stili rilassati e le voci abbastanza alte dei quattro appare esagerata, fuori luogo; analogamente, The Show è un tale pot-pourri di suoni che appare quasi paradossale che non riesca ad esprimere né una melodia, né una potenza, niente di niente al di fuori di una generica cacofonia.
Ma se l'album alla fin fine fallisce -perchè secondo me questo fa, andando ben oltre la semplice delusione personale- la colpa è sì principalmente dei beat ma anche di alcune scelte non esattamente felici da parte dei quattro. Tra queste annovererei prima di tutto l'abuso di ritornelli cantati dozzinali (Feel It, U Let Me Grow, Make It Better) o inserimenti esterni che -pur essendo chiaro il loro ruolo nella struttura dei pezzi- spezzano il fluire della canzone (nuovamente We Alright, Don't Give Up On Us); senza di essi molte di queste non sarebbe nemmeno tanto malvagie. A queste sviste aggiungo poi naturalmente gli skit, che stavolta sono davvero pretestuosi in quanto presentano The Show come se fosse un concept album, cosa che invece non è, e come ultima cosa in ordine d'importanza devo denunciare la prolissità del lavoro. Daje e daje, inevitabilmente viene da scremare almeno un quarto delle strofe.
Tuttavia, malgrado queste serie magagne, the Show riesce a salvarsi in corner dalle mie personali macumbe in quanto prima di tutto i quattro son bravi a rappare, non si scappa. Forse le prestazioni memorabili dei solisti non ci sono, ma nel complesso l'emceeing è valido ed apprezzo inoltre il fatto che si siano sforzati di trovare dei singoli concetti che andassero oltre la prevedibile autoincensazione. Non per ultimo, benché le canzoni presentino spesso critiche nei confronti di comportamenti derivanti dalla mercificazione dell'hip hop, resta sempre una buona dose di humor ed autocritica, specie da parte di Wordsworth e Stricklin.
Da qui a definire questa raccolta di pezzi un buon album ce ne passa, certo, e a mio modo di vedere le cose si poteva far molto di meglio; ma se proprio siete in crisi d'astinenza da Masta Ace e comunque avete voglia di sentire qualche canzone carina, in attesa di Arts & Entertainment provate a dare un ascolto a questo The Show. Come diceva quello: meglio di niente.

EMC - The Show
VIDEO: EMC (WHAT IT STAND FOR)