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martedì 28 luglio 2009

SADAT X - BRAND NEW BEIN' (Ground Original, 2009)

Ormai quando mi accingo a scrivere una recensione di un disco di Sadat X ho come minimo due certezze: la prima è che mi piacerà, e la seconda è che questo piacere si tradurrà in un inevitabile tre zainetti e mezzo. Forse qualcosina in meno nel caso di Black October, ma quattro mai. Non esiste. Non so dire perchè, ma benché questo veterano abbia dimostrato più volte di saper scrivere, di saper rappare e di saper scegliersi i beat, alla luce dei fatti appare evidente che malgrado buon gusto e talento egli difetti purtroppo di costanza. E così, nei lavori precedenti così come in questo, inevitabilmente s'incappa in una manciata di canzoni francamente inconcepibili se rapportate ad altre ben più riuscite.
Il danno è relativo, certo, ma personalmente reputo seccante che ciò mi obblighi di fatto a dover fare ogni volta una scrematura del materiale meno riuscito; ovvierò a questo problema con un greatest hits, prima o poi. Nell'attesa di fare ciò, non mi resta che parlare dell'ultima fatica di Derek Murphy, che dopo un lungo periodo di collaborazione più o meno assidua con frammenti della D.I.T.C. (ed altri produttori) stavolta sceglie di affidare la cura dei beat a DJ JS-1 (Rocksteady Crew, recentemente uscito con Ground Original 2) e tal JW, di cui ignoro completamente i trascorsi ad eccezione di qualcosina su Sonogram di One.Be.Lo (grazie, Discogs!). Idealmente, questo dovrebbe portare ad una maggiore coesione del sound e se questo inizialmente può apprire vero, specie se si rapporta BNB allo sfortunato Black October, in fin dei conti ci ritroviamo con in mano qualità media e mood ambedue altalenanti.
Si può infatti passare dall'eccellente e jazzata Nuthin', francamente perfetta da qualsiasi punto di vista la si voglia vedere, alla tragicomica Go Slow, francamente orrenda da qualsiasi punto di vista la si voglia vedere. Poi ci si riprende con Blow Up Da Spot che, malgrado sfrutti un campione strasentito come Ironside di Quincy Jones, vede al microfono non solo un buon KRS One ma soprattutto un Rahzel che riproduce -e scratcha, of course- la voce di Biggie e la frase "Blow up da spot my man Sadat": la cosa provoca un'esaltazione che credo nessun esterno all'hip hop potrà mai comprendere. Ma -manco a dirlo- non passa molto prima che si torni ad essere delusi da Lyrics, che malgrado il titolo ed il featuring di Craig G, lascia con l'amaro in bocca. E questo senza poi contare passetti falsi come la cover di All For One oppure vere e proprie dicotomie come ad esempio Goin' Back, che a fronte di uno dei testi più belli dell'album contrappone un beat onestamente moscio. Ma, insomma, come spiegavo nel primo paragrafo questa continua oscillazione è ormai quasi il marchio di fabbrica di 'Dat, e quindi chi lo segue sa cosa aspettarsi; il che non solo limita il potenziale fastidio nel vedere le occasioni mancate, ma permette soprattutto di apprezzare ancor più le tante cose belle che il Nostro sa comunque offrirci: vedi Bullseye (prevedibile ma efficace il ritornello vista la presenza di Buckshot), la nerdissima Gamer o la riunione con i sui colleghi Puba e Jamar nella title track. Imperdonabili invece i ritornelli di Smallest Violin (fuori battuta: ma perdio...) e Teach The Children, con quest'ultimo a metà tra il didascalico e l'infantile, una delle cose peggiori che abbia mai sentito.
Mentre la produzione? Volete sapere com'è? Manierista, punto, e aggiungo solo una cosa: mentre va benissimo che si resti nel territorio più "corretto" per Sadat -cioè il suono della seconda golden age nuiorchese- e che pertanto si usino grossomodo sempre le solite formule (Funk, soul, qualche scratch piazzato strategicamente tra una strofa e l'altra) è un peccato che la scelta dei campioni non sia delle più felici. Mi spiego: canzoni come ad esempio The Way It Iz (o, che ne so, The Listening) funzionano da dio perchè la loro prevedibilità viene bruciata, che dico, incenerita dalla bellezza del campione; ebbene, in quest'occasione JS1 e soci raggiungono lo scopo solo qualche volta e ritengo che ciò sia davvero un peccato oltre che un sintomo di pigrizia.
Pazienza. Come già detto, Brand New Bein' è il "solito" lavoro di Sadat X, in cui egli sa regalarci dei bei momenti così come qualche ciofeca (molte delle quali facilmente evitabili, IMHO), e che in quanto tale merita senz'altro un ascolto. Poi, se siete fan di 'Dat come lo sono io, reputo che l'acquisto sia obbligatorio -Mak peraltro lo vende, leggete tra i commenti della precedente recensione- mentre in caso contrario aspettate che mi esibisca in una delle mie solite raccolte. Valido, comunque.





Sadat X - Brand New Bein'
Sadat X - Brand New Bein' A Capellas & Instrumentals

lunedì 8 settembre 2008

SADAT X - WILD COWBOYS (Loud, 1996)

Non c'è dubbio che il 1996 sia stato uno degli anni più floridi per quanto riguarda l'hip hop: Hell On Earth, Reasonable Doubt, The Score, Muddy Waters, The Coming, Nocturnal... davvero potrei andare avanti per un bel po', continuando ad elencare titoli che sono considerati classici assoluti oppure che in questi 12 anni sono maturati divenendo autentici oggetti di culto da parte degli aficionados. Tuttavia, trovo più interessante far notare come il '96 sia stato anche l'anno delle uscite oramai cadute nell'oscurità benchè di pregevole fattura: i Real Live, l'eccezionale esordio di Kwest Tha Madd Ladd (ché ancora mi mastico le palle per non averlo comprato all'epoca), il sottovalutato Da Storm e, naturalmente, questo Wild Cowboys.
I motivi per queste "disattenzioni" da parte dei fan -specie i più giovani- li ho già illustrati in altre occasioni e comunque mi paiono abbastanza ovvi; tuttavia sarebbe imperdonabile proseguire lungo questa strada di dimenticanze ed è così che stamane, dovendo decidere tra recensire gli Heltah Skeltah o Sadat X (ambedue comprati lo stesso dì al WOM di Monaco), alla fine ho optato per per Wild Cowboys, per alcuni la sua opera migliore e senz'altro un eccellente esempio di cos'era il suono nuiorchese di metà anni '90.
Non faccio mistero difatti che la prima cosa di questo LP che desta l'attenzione sono i beat: abbiamo Diamond D su tre tracce, Buckwild e Ogee su due, Showbiz su una e così anche i Beatminerz, Pete Rock, Alamo ed altri. Volendo dunque chiudere un occhio sull'assenza di Premier e Large Professor, si può ben dire che la formazione è certamente impressionante e rappresentativa della Grande Mela -che poi questa vada a tradursi in'equivalente qualità resta da vedersi, ma intanto ogni timore di ciofeca tout court è da considerarsi automaticamente escluso. Del resto, per scongiurare quest'ipotesi sarebbe bastato il solo fatto che l'autore di Wild Cowboys è nientemeno che un terzo dei Brand Nubian e che, negli anni immediatamente precedenti l'uscita di questo suo esordio, egli s'era fatto notare per le strofe di tutto rispetto sui dischi di KRS One e Lord Finesse. Aggiungiamoci infine che l'etichetta per la quale venne pubblicato questo lavoro era la Loud -già firmataria di cosucce come 36 Chambers, The Infamous e Cuban Linx- e si può comprendere come le aspettative fossero parecchio alte.
Spiace anticipare, dunque, che queste vengono in buona parte tradite: ma non tanto perchè siano (fossero) comunque insoddisfabili, bensì perchè Wild Cowboys presenta alcuni difetti oggettivi che francamente non ci si sarebbe aspettati da uno come Sadat X. Ad esempio, per dirne uno, la presenza di ospiti: passi che il Nostro probabilmente era abituato ad avere almeno un compagno di rime al quale appoggiarsi nei momenti di difficoltà, ma ciò non giustifica in nessun modo un tale assortimento di gente che si rivela essere, nella migliore delle ipotesi, appena passabile -e mi riferisco a Lord Tariq, di certo non al resto dei Money Boss Players o all'onnipresente e tristemente mediocre Shawn Black. L'handicap in questione risulta ancor più fastidioso se si pensa poi all'occasione sprecata: così come X ha avuto il buonsenso di invitare Grand Puba ed il sempre affidabile D.V. Alias Khrist, perchè allora non si è spinto oltre in questa direzione dando un colpo di telefono a Finesse, KRS o qualcun altro della D.I.T.C. o della Boot Camp Clik? E se non loro, qualcuno interno al roster della Loud che, voglio ribadirlo, non è che fosse composto da ciò che si chiamano cretini... Mah, vai a capire. E poi: d'accordo che non siamo più nel '90, d'accordo che non sei abituato a pensare pezzi da solista, ma... com'è che in tutto l'album non vi sia nemmeno un accenno ai temi sviluppati (o per meglio dire: all'impostazione) nei dischi incisi coi Brand Nubian? Per carità, non ho nulla da eccepire sul braggadocio, specie se a farlo è una persona competente come il Nostro, certo è che i pezzi genericamente sboroni lasciano il tempo che trovano, e lì, purtroppo, non c'è Diamond D che tenga. Last but not least, dato che ho nominato uno dei produttori, mi preme sottolineare come non tutti giochino le loro carte migliori: Buckwild, per dirne una, conferma la sua fama con Smoking On The Low ma lascia perplessi con la triviale Lump Lump (un giro di basso bello non sempre basta e creare materiale memorabile); lo stesso dicasi per Diamond D, che prima imprime a fuoco il suo nome sull'ottima Wild Cowboys (quel campione di vibrafono mi sa un tantinello di David Axelrod...) e dopo sforna una robetta "meh" come Petty People, che non si riesce a capire se sia una versione embrionale della prima o se semplicemente si tratti di uno scarto databile tra il '92 ed il '93.
Fortunatamente, però, c'è gente come lo scandalosamente sottovalutato Ogee che non fallisce un colpo (sue le valide Sauce For Birdheads e The Hashout, ambedue di buona qualità); e anche Showbiz conferma i suoi meriti producendo una delle cose migliori di Wild Cowboys, cioè Stages And Lights. Dal canto loro, pure i Beatminerz e Alamo si tuffano sui campioni di xilofono, entrambi con ottimi risultati (in particolar modo è Open Bar ad imprimersi nella memoria come uno dei pezzi più potenti dell'insieme). Ma è lo sconosciuto Ali Malek che ruba lo show: campionare Morricone non sarà in sè un'idea particolarmente originale, ma quando il risultato riesce a mantenere l'atmosfera dell'originale pur essendo marcato da un tasso di ruvidezza elevatissimo, non ci si può che inchinare.
Tuttavia, se la sua Hang'Em High svetta come punta di diamante di Wild Cowboys è anche grazie al fatto che qui Sadat X, oltre a rimare bene come sempre, partorisce una lunga metafora dove il far west è accomunato alla vita nel ghetto e, se da un canto l'abbinamento non pare troppo sconvolgente, l'esecuzione è ottima e soprattutto s'inserisce a perfezione nel contesto creato dal sopracitato Ali Malek. Chapeau anche a Khrist, che firma il ritornello in un modo tale da rendere ancor più vergognoso il fatto che non gli siano stati riconosciuti l'enorme talento e la personalità inimatibile che indiscutibilmente possiede. Per il resto, X generalmente rimbalza con discreti risultati tra l'autoesaltazione, la pura esibizione di bravura e l'aneddottica riguardante la sua città ed il suo quartiere; tutto ciò però assume un ruolo di secondo piano quando si nota che in fin dei conti sono i beat a rendere efficace l'MC. Non a caso, se è Pete Rock a tirar fuori il suo lato più marcatamente jazz, allora le cose funzionano ed Escape From New York va ad inserirsi nel quintetto di canzoni memorabili di Wild Cowboys; quando invece c'è qualcun altro un po' meno ispirato, allora l'insieme o finisce nel dimenticatoio (Do It Again) oppure si trasforma in un'autentica e fragorosa cazzatona col botto: ce n'è una sola, è vero, ma vi garantisco che The Funkiest è una cacofonia tale da lasciare sbigottito l'ascoltatore.
Come s'è visto, Wild Cowboys ha la sua bella fetta di scivoloni francamente incomprensibili e se da un lato non mi stupisce che a causa di questi esso sia scivolato nel dimenticatoio, dall'altro trovo che sarebbe un peccato perdersi gran bei pezzi quali Open Bar, Hang'Em High, Stages And Lights, Escape From New York e Wild Cowboys. Pure, vorrei contestare l'opinione comune che lo vorrebbe come l'opera migliore di X: contestualizzandolo, difatti, non si può ignorare lo scarto tra il potenziale espresso dai vari protagonisti ivi presenti ed il risultato finale, secondo me relativamente deludente. In tal senso, Experience & Education riesce a spremere meglio le capacità di tutti gli attori coinvolti, primo fra tutti 'Dat X stesso, che fortunatamente dimostra (vuoi anche fuori tempo massimo) la sua versatilità e la sua personalità che, purtroppo, in Wild Cowboys affiora solo quà e là e per giunta timidamente.





Sadat X - Wild Cowboys

VIDEO: HANG 'EM HIGH

domenica 3 febbraio 2008

SADAT X - EXPERIENCE & EDUCATION (Female Fun Rec., 2005)

Chiedete a qualsiasi ascoltatore di rap qual'è stata l'ultima volta che si è reso conto dell'esistenza di Sadat X, e la risposta sarà molto probabilmente "Nel 1999, sull'omonimo pezzo con Common". Se da un lato la cosa può essere positiva -evidentemente il diretto interessato s'è perso o ha scordato la pessima apparizione sull'ultimo solista di Sean Price- dall'altro è senz'altro ingeneroso nei confronti di questo veterano, che oramai è in giro dal lontano 1990. Va anche detto che quando si pubblicano dischi con la prestigiosa Female Fun Records non è che ci si possa aspettare molto, ma glissiamo.
Sta di fatto che nel 2005 uscì questo Experience & Education, secondo disco solista di Derek Murphy dopo l'esordio del '96, e ben pochi se ne resero conto. Eppure è un peccato, perchè anche quando preso da solo il personaggio è interessante: giocatore semiprofessionista di basket prima, successivamente star dell'hip hop dei primi anni '90, infine maestro elementare e allenatore di una squadra di pallacanestro... a parte J-Live e Defari, quanti MC hanno come lavoro quello di insegnante? E, soprattutto, quanti riescono a risultare coerenti nel riflettere la loro vita in carne ed ossa a quella su disco? Domanda retorica; la credibilità non è un problema per l'oriundo del Bronx, il quale al limite difetta nel creare opere che abbiano la cosiddetta "marcia in più", che poi è appunto il problema di Wild Cowboys e, in fondo, anche di questo disco. Infatti, se in termini di maturità e abilità tecnica questo Experience & Education eccelle, dove manca il bersaglio è nella scelta dei beat, sia in termini di "coerenza" che di qualità tout court. La cosa si fa notare particolarmente quando si paragonano belle cose come God Is Back (DJ Spinna), The Great Diamond D (dove il ciccione rispolvera David Axelrod -finalmente!) o Why Don't You (Madsol-Desar) alle loffie Back To New York (a mo' se campiona il Nino Rota de Il Padrino?), l'incircolabile Ge-Ology Beat o le scandalose Stack Up e Shout (con tanto di featuring di Agallah, un uomo che si è perso ormai molti anni fa). La differenza di qualità è tale che verrebbe da pensare ad una certa forma di schizofrenia musicale, e ciò di certo non giova alla bontà del prodotto nel suo complesso.
Ma, come dicevo, quando Datty X ed il beat riescono a complementarsi i risultati sono ottimi o perlomeno positivi, e dimostrano che il Nostro non ha perso smalto da quando girava coi capelli tagliati a gianduiotto predicando il risveglio delle coscienze. E mentre ai suoi compari è andata peggio (Puba ed il suo Understand This sono da dimenticare, Lord Jamar ha fatto un disco concettualmente interessante ma assolutamente indigeribile), lui è quantomeno riuscito a restare fedele alle sue origini senza per questo risultare anacronistico o fuori luogo (anzi, lo ripeto: la sua prestazione è ottima). Buoni anche i featuring, Agallah escluso: i Money Boss Players su due tracce (Shine sarà anche vecchiotta ma fa sempre la sua porca figura), gli Heltah Skeltah e il sempre affidabile EdO.G., un altro di quelli la cui costanza non è certo stata premiata dalle vendite. In breve, questo Experience & Education è nel complesso un buon disco da ascoltare sfruttando appieno le potenzialità di ITunes che, sia lodato Steve Jobs, permette di crocettare le tracce che non si desidera ascoltare. Indeciso tra tre zainetti e tre e mezzo, opto per quest'ultima opzione per la bontà dei testi.





Sadat X - Experience & Education