Siccome da un lato ho ricevuto apprezzamenti per il bècchindedeis fatto nell'ultimo periodo, e dall'altro ho recentemente scritto di Honda e Problemz, la mattutina scelta del disco da recensire nel corso della giornata è stata di una semplicità adamantina: uno dei solisti di Honda, ovvio. Quale, però? Il terzo è escluso, non possedendolo, mentre il primo ha sì i suoi momenti ma per molti versi oggi mi pare un po' acerbo; scelta semplice anche in questo caso, allora, e così andiamo di HII, che non solo è l'opera del diggèi nipponico più conosciuta ma indubbiamente la migliore.
Pubblicato sul finire di quella che molti -me incluso- reputano la seconda età dell'oro del rap americano, HII è interessante, oltre che dal punto di vista strettamente musicale, perchè a posteriori si può vedere come esso fotografi per certi versi il mutamento che stava avvenendo nella scena in termini di estrazione artistica. Provo a spiegarmi meglio: pur non potendosi definire una regola dal rigore matematico, verso la fine dello scorso millennio il percorso tipico dell'artista reppone veniva costretto ad una mutazione dettata dallo spropositato allargamento del mercato di quegli anni. Dove un tempo cominciavi come sconosciuto e se eri valido passavi ad un certo grado di notorietà senza dover per forza cambiare il tuo stile, a partire dal '95 in poi questa evoluzione non era più così automatica. Poteva infatti benissimo essere un campione al microfono, ma questo non ti garantiva assolutamente un posto nella top ten di Billboard. E se andiamo a scorgere i nomi presenti nella scaletta di quest'album possiamo renderci conto che in molti casi il sopracitato percorso abbia visto una sua conferma pratica. A fianco infatti di nomi affermati e che all'epoca non venivano considerati underground -i Beatnuts, i De La, KRS One, Keith Murray ecc.- ce ne sono altri che, pur avendo tutte le carte in regola per avere successo (in un mercato dalle dinamiche dei primi anni '90), nel nuovo scenario non avrebbero avuto questa fortuna: A.L., i Rawcotiks, No I.D., Problemz e, in minor misura Mos Def, sono i primi nomi a risaltare anche perchè in buona parte provenienti dagli ambienti della Lyricist Lounge. Certo, va detto che molti di questi hanno anche difettato di prolificità e di costanza (e altri come tali Syndicate, S-On o Dug Infinite semplicemente difettavano di talento), ma con l'orecchio e le conoscenze di allora mi sarei aspettato un maggior ritorno d'immagine dopo le capacità dimostrate in alcuni di questi pezzi.
Alla luce di queste considerazioni direi che a Mos Def tutto sommato è andata pure relativamente bene; credo che il successo ottenuto da Travellin' Man abbia contribuito enormemente ad accrescere la sua reputazione e la sua fama e, per una volta tanto, i motivi sono tangibili. La canzone è infatti uno dei momenti più alti di HII, sia dal punto di vista del beat che dell'emceeing. Il primo è infatti al contempo accessibile e di classe, con campioni effettati di flauto e organo elettrico che s'appoggiano su batterie pulite ed una linea di basso bella spessa, mentre il secondo è a dir poco impeccabile sia nella costruzione che nell'esecuzione. Aggiungiamoci anche un cantato di Mos, che all'epoca non potevamo sospettare delle atrocità fatte su The New Danger, ed ecco che così ci viene confezionato l'archetipo del singolo commerciabile e di qualità. Chapeau.
Al lato opposto dello spettro vediamo invece dei buoni esempi di hardcore melodico -se la cosa può aver senso- ugualmente di classe ma certamente meno foriero di successo; ma questo è irrilevante per i nostri fini di ascoltatori, che consistono semplicemente di godere di buona musica, e da quest'ottica Around The Clock di Problemz non presenta problemi. Con un campione fusion in odore di Gary Burton il beat non può che vincere, e se poi alle consuetamente ottime strofe di Prob aggiungiamo un ritornello scratchato contenente nientemeno che una barra tratta da Liquid Swords, ecco che abbiamo un'altra chicca di cui tenere conto. Serve altro? E allora gustatevi l'ibridazione tra i campioni di Did You Hear What They Said di Gil Scott-Heron e la classica Street Life di Randy Crawford, con quest'ultima che da il titolo alla canzone dei Rawcotiks, e godete in silenzio: pur trattandosi sempre della solita pappardella sulle miserie della vita nel ghetto c'è da dire che a fianco di una performance più che buona dei Nostri avere a disposizione un beat così atmosferico non può che aiutare.
E mentre un po' più in basso nella scala qualitativa collocherei la tautologicamente intitolata When You Hot You Hot aka Stigrancazzi, che vede un emceeing accettabile sorretto efficacemente da un beat decisamente più allegro della media (pur ricordando la discomusic sbirluccicosa da Febbre Del Sabato Sera), a far salire nuovamente il livello ci pensano a questo punto i veterani. Tra di essi svettano i De La Soul e la loro Trouble In The Water, impeccabile sotto ogni punto di vista e piacevolmente distante dal loro sound di quegli anni in termini di beat (Gary Burton pure qui), così come i sempre affidabili Beatnuts che, pur non regalandoci una seconda Do You Believe, con Who The Trifest aggiungono un'altra solida pietra nella loro discografia. A deludere un po' sono invece la traccia con KRS One e tal Doe-V (che altri non è che Truck Turner, autore di tre pezzi carini negli anni successivi), insipida sotto ogni punto di vista eccetto che per le due strofe del Blastmaster, e Hai!, in cui Keith Murray viene affiancato da uno dei suoi portaborse con risultati analogamente "meh". Sospendo il giudizio per la posse cut On The Mic, che da giovine mi piaceva assai ma che adesso reputo un po' kitsch nei suoni e mal assortita in termini di featuring (Cuban Link e Problemz esclusi, gli altri sembrano rappare su un altro beat).
Ecco: il maggior problema di HII è forse un'eccessiva abbondanza di canzoni "carine", cioè istantaneamente trascurabili. Per un motivo o per l'altro, infatti, a parte le due tracce sopracitate, ve ne sono altre che francamente lasciano il tempo che trovano e che, specie nel caso dei pezzi con Black Attack, riescono financo ad annoiare. E se questo va ad aggiungersi ad un pezzo genuinamente orribile come Every Now & Then e ai troppi skit (cinque) sparsi per l'album, ecco che un disco potenzialmente ottimo perde parecchia della sua ascoltabilità "in sequenza".
Questo significa che abbiamo di fronte un disco in odore di mediocrità? No, ovviamente no: come s'è visto, i pezzoni da 90 non mancano e buona parte di ciò che rimane è tutto fuorchè malvagio. Ma se vi fosse stata una maggior selezione tra ciò che andava incluso e ciò che sarebbe stato meglio utilizzare come b-side, con una conseguente riduzione della lunghezza e perciò dei tempi morti, allora ci troveremmo tra le mani un'opera imprescindibile. Così com'è, invece, merita "solo" un acquisto convinto.
DJ Honda - HII
VIDEO: TRAVELLIN' MAN
Pubblicato sul finire di quella che molti -me incluso- reputano la seconda età dell'oro del rap americano, HII è interessante, oltre che dal punto di vista strettamente musicale, perchè a posteriori si può vedere come esso fotografi per certi versi il mutamento che stava avvenendo nella scena in termini di estrazione artistica. Provo a spiegarmi meglio: pur non potendosi definire una regola dal rigore matematico, verso la fine dello scorso millennio il percorso tipico dell'artista reppone veniva costretto ad una mutazione dettata dallo spropositato allargamento del mercato di quegli anni. Dove un tempo cominciavi come sconosciuto e se eri valido passavi ad un certo grado di notorietà senza dover per forza cambiare il tuo stile, a partire dal '95 in poi questa evoluzione non era più così automatica. Poteva infatti benissimo essere un campione al microfono, ma questo non ti garantiva assolutamente un posto nella top ten di Billboard. E se andiamo a scorgere i nomi presenti nella scaletta di quest'album possiamo renderci conto che in molti casi il sopracitato percorso abbia visto una sua conferma pratica. A fianco infatti di nomi affermati e che all'epoca non venivano considerati underground -i Beatnuts, i De La, KRS One, Keith Murray ecc.- ce ne sono altri che, pur avendo tutte le carte in regola per avere successo (in un mercato dalle dinamiche dei primi anni '90), nel nuovo scenario non avrebbero avuto questa fortuna: A.L., i Rawcotiks, No I.D., Problemz e, in minor misura Mos Def, sono i primi nomi a risaltare anche perchè in buona parte provenienti dagli ambienti della Lyricist Lounge. Certo, va detto che molti di questi hanno anche difettato di prolificità e di costanza (e altri come tali Syndicate, S-On o Dug Infinite semplicemente difettavano di talento), ma con l'orecchio e le conoscenze di allora mi sarei aspettato un maggior ritorno d'immagine dopo le capacità dimostrate in alcuni di questi pezzi.
Alla luce di queste considerazioni direi che a Mos Def tutto sommato è andata pure relativamente bene; credo che il successo ottenuto da Travellin' Man abbia contribuito enormemente ad accrescere la sua reputazione e la sua fama e, per una volta tanto, i motivi sono tangibili. La canzone è infatti uno dei momenti più alti di HII, sia dal punto di vista del beat che dell'emceeing. Il primo è infatti al contempo accessibile e di classe, con campioni effettati di flauto e organo elettrico che s'appoggiano su batterie pulite ed una linea di basso bella spessa, mentre il secondo è a dir poco impeccabile sia nella costruzione che nell'esecuzione. Aggiungiamoci anche un cantato di Mos, che all'epoca non potevamo sospettare delle atrocità fatte su The New Danger, ed ecco che così ci viene confezionato l'archetipo del singolo commerciabile e di qualità. Chapeau.
Al lato opposto dello spettro vediamo invece dei buoni esempi di hardcore melodico -se la cosa può aver senso- ugualmente di classe ma certamente meno foriero di successo; ma questo è irrilevante per i nostri fini di ascoltatori, che consistono semplicemente di godere di buona musica, e da quest'ottica Around The Clock di Problemz non presenta problemi. Con un campione fusion in odore di Gary Burton il beat non può che vincere, e se poi alle consuetamente ottime strofe di Prob aggiungiamo un ritornello scratchato contenente nientemeno che una barra tratta da Liquid Swords, ecco che abbiamo un'altra chicca di cui tenere conto. Serve altro? E allora gustatevi l'ibridazione tra i campioni di Did You Hear What They Said di Gil Scott-Heron e la classica Street Life di Randy Crawford, con quest'ultima che da il titolo alla canzone dei Rawcotiks, e godete in silenzio: pur trattandosi sempre della solita pappardella sulle miserie della vita nel ghetto c'è da dire che a fianco di una performance più che buona dei Nostri avere a disposizione un beat così atmosferico non può che aiutare.
E mentre un po' più in basso nella scala qualitativa collocherei la tautologicamente intitolata When You Hot You Hot aka Stigrancazzi, che vede un emceeing accettabile sorretto efficacemente da un beat decisamente più allegro della media (pur ricordando la discomusic sbirluccicosa da Febbre Del Sabato Sera), a far salire nuovamente il livello ci pensano a questo punto i veterani. Tra di essi svettano i De La Soul e la loro Trouble In The Water, impeccabile sotto ogni punto di vista e piacevolmente distante dal loro sound di quegli anni in termini di beat (Gary Burton pure qui), così come i sempre affidabili Beatnuts che, pur non regalandoci una seconda Do You Believe, con Who The Trifest aggiungono un'altra solida pietra nella loro discografia. A deludere un po' sono invece la traccia con KRS One e tal Doe-V (che altri non è che Truck Turner, autore di tre pezzi carini negli anni successivi), insipida sotto ogni punto di vista eccetto che per le due strofe del Blastmaster, e Hai!, in cui Keith Murray viene affiancato da uno dei suoi portaborse con risultati analogamente "meh". Sospendo il giudizio per la posse cut On The Mic, che da giovine mi piaceva assai ma che adesso reputo un po' kitsch nei suoni e mal assortita in termini di featuring (Cuban Link e Problemz esclusi, gli altri sembrano rappare su un altro beat).
Ecco: il maggior problema di HII è forse un'eccessiva abbondanza di canzoni "carine", cioè istantaneamente trascurabili. Per un motivo o per l'altro, infatti, a parte le due tracce sopracitate, ve ne sono altre che francamente lasciano il tempo che trovano e che, specie nel caso dei pezzi con Black Attack, riescono financo ad annoiare. E se questo va ad aggiungersi ad un pezzo genuinamente orribile come Every Now & Then e ai troppi skit (cinque) sparsi per l'album, ecco che un disco potenzialmente ottimo perde parecchia della sua ascoltabilità "in sequenza".
Questo significa che abbiamo di fronte un disco in odore di mediocrità? No, ovviamente no: come s'è visto, i pezzoni da 90 non mancano e buona parte di ciò che rimane è tutto fuorchè malvagio. Ma se vi fosse stata una maggior selezione tra ciò che andava incluso e ciò che sarebbe stato meglio utilizzare come b-side, con una conseguente riduzione della lunghezza e perciò dei tempi morti, allora ci troveremmo tra le mani un'opera imprescindibile. Così com'è, invece, merita "solo" un acquisto convinto.
DJ Honda - HII
VIDEO: TRAVELLIN' MAN
2 commenti:
mmm...secondo me stavolta sei stato "gentile". "HII" non è brutto ma il 4 ci sta un po' largo, a me i dischi di Honda hanno sempre fatto l'effetto di una montagna russa: su e giù. Il disco con Problemz dimostra appunto che gli conveniva concentrarsi su un disco vero e proprio invece che su una compilation con tanti artisti differenti.
BRA
www.rapmaniacz.com
non ero a conoscenza del disco. Se questo è godibile come il pezzo con Def allora me lo sento tutto
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