giovedì 10 settembre 2009

M.O.P. - TO THE DEATH (Select Street, 1994)

In questi giorni sto cominciando a pensare di trovarmi, più che nel 2009, a metà degli anni '90; in effetti, l'autunno dell'anno corrente sarà ricordato come il momento in cui tre degli artisti -ciascuno a proprio modo- più rilevanti di quella decade hanno marcato una sorta di ritorno sulla scena. Sto parlando ovviamente di Jigga, Raekwon e, appunto, gli M.O.P.: pur con risultati diversi tra loro, le rispettive opere segneranno senz'altro il periodo e per quanto ci sia già chi grida al capolavoro ed al vincitore, è divertente osservare come nessuno di questi album sia ancora uscito ufficialmente. Perciò, ferme restando le mie preferenze (che vanno a Rae, casomai non l'aveste capito), preferisco attendere di avere in mano i supporti fisici ufficiali e, nell'attesa, celebrare in un qualche modo l'operato precedente dei suddetti artisti. Oggi è il turno degli M.O.P., come potete vedere.
To The Death lo comprai praticamente in contemporanea con First Family 4 Life, e mentre quest'ultimo mi lasciò alquanto deluso, il primo mi fece letteralmente sbracare. Innanzitutto perchè è prodotto al 95% da D/R Period, che avevo imparato ad apprezzare sull'album di Smoothe, e poi perchè in esso lo stile del duo di Brownsville è ancora a metà tra la rima serrata e l'urlo feroce. In pratica, è un po' più equilibrato, per così dire (altri lo definirebbero a ragione "acerbo"); e questo, nell'epoca in cui la gente svalvolava per il famoso "dead in the middle of Little Italy" di Big Pun tutto sommato incontrava i miei favori -tant'è vero che ho dato un nome a questo blog scegliendo la canzone dell'album che preferisco. Poi, per carità, col tempo ho ricalibrato i criteri di giudizio e perciò ad oggi non lo reputo più il loro miglior disco, ma ciò nonostante To The Death era e rimane un gran bel album oltreché quello forse più accessibile (assieme a Warriorz) di tutto il loro catalogo.
In teoria la recensione potrebbe anche finire qui, ma vale la pena spendere un paio di parole in più su pregi e difetti di quest'opera, partendo per l'occasione dai primi. Il primo è una certa ripetitività in termini di suono: D/R infatti ha qui un'evidente formula consistente in batterie quadrate ed accentuate secondo gli stilemi dell'epoca (il classico riverbero su cassa e rullante) sulle quali va ad appoggiarsi un campione perlopiù dagli echi jazzistici, o comunque dove risaltano spesso i fiati, in particolar modo nel ritornello. Ora, per quanto non tutti i beat seguano pedissequamente quest'impostazione, c'è da dire che nessuno di essi è privo perlomeno di alcuni dei sopracitati elementi; e a quel punto, non appena il duo non si sforza abbastanza, è facile che un pezzo -per quanto d'impatto se preso singolarmente- nel contesto della scaletta vada a perdersi (cfr. Heistmasters, Top Of The Line, Drama Lord).
Secondo: pur non essendo lecito aspettarsi dagli M.O.P. altro che hardcore nelle sue forme più ghettuse, in questo disco le loro famose hood tales mescolate alla passione per qualsiasi tipo di arma da fuoco -Freud avrebbe molto da dire- non sono sorrette dagli estri d'inventiva che si sarebbero manifestati più avanti nel corso della loro carriera. Sto parlando naturalmente, oltre agli adlib urlati, dell'onomatopeizzazione dei rumori connessi al carrello, all'armamento del cane, allo sparo eccetera eccetera. Cagate infantili, dite? Ennò, perchè non è che vengano usati a cazzo, tanto per fare rumore: spesso e volentieri fanno parte integrante della costruzione della strofa e, basandosi sull'energia prima che sulla tecnica, nel momento in cui questi sono assenti la tensione cala. L'esempio più eclatante in tal senso è To The Death, peraltro aggravata da un beat in cui spadroneggiano i sintetizzatori e che contribuisce a renderla la traccia più debole dell'insieme.
Terzo: i ritornelli sono nella maggior parte dei casi semplicemente asinini. E fin qui in teoria può anche starci, senonché sovente manca l'energia necessaria per rendere una fondamentale cretinata in un qualcosa da urlare ad un concerto. Personalmente, cose come "Ring ding, ring ding/ Ring ding, ring ding, Ring ding motherfuckers ring ding" non le sussurrerei nemmeno nella solitudine del cesso di casa mia.
Last but not least, cinque skit, peraltro abbastanza inutili (fuorchè l'intro, magari troppo lunga ma sicuramente evocativa), mi sembrano fuori luogo in un album breve come questo e dove qualsiasi interruzione spezza decisamente il climax d'aggressività generale.
Ciò detto, vorrei comunque ricordare che stiamo sempre parlando degli M.O.P., e per quanto all'epoca pesassero 23kg ciascuno (Billy Danze fa spavento, al confronto paio un lottatore di sumo) i due non si risparmiano ed anzi sovente riescono a mostrare caratteristiche del loro stile che negli album successivi sarebbero divenute il lor marchio di fabbrica. How About Some Hardcore ne è un ottimo esempio, e nemmeno l'indiscutibile orecchiabilità della base riesce a rendere meno d'impatto le loro prestazioni; non parliamo poi di Rugged Neva Smoove o Blue Steel, in cui Fame e Danze danno il meglio di sè su due beat capaci di farti venir voglia di prendere a scarpate in bocca animalini indifesi dagli occhi rotondi e tenerosi. Niente male anche Ring Ding e F.A.G., senz'altro più vicine alle loro successive prestazione ed all'evoluzione del suono che imprimerà Premier con Firing Squad.
Poi, per carità, il duo non entrerà mai nel pantheon degli MC tecnicamente più abili del pianeta, men che meno di quelli più versatili. Ma di questo non dovrebbe fregare niente a nessuno, men che meno a loro: e difatti si vede che, contrariamente agli Onyx (indubbiamente più sofisticati), Fame e Danze puntano esclusivamente sul coinvolgimento direi "emotivo" dell'ascoltatore. E, lo ripeto, pur non avendo qui affinato il loro stile, ci riescono sorprendentemente bene anche su disco -un risultato che pochi possono dire di aver conseguito, anche al di fuori del ristretto campo del rap.
Il risultato è quindi un album viscerale, forse un po' immaturo per certi aspetti e ripetitivo per altri, ma che ciò nondimeno rappresenta un buon biglietto da visita per lo stile personalissimo ed oggettivamente inimitabile degli M.O.P. E pur non essendo la loro opera migliore, ne consiglio l'acquisto a tutti perchè -pur restando valide le mie critiche- con un minimo di scrematura fila via che è un piacere.





M.O.P. - To The Death

VIDEO: HOW ABOUT SOME HARDCORE

5 commenti:

MAK ha detto...

Giusto per curiosità, la tua classifica dei loro album quale sarebbe?

Te lo chiedo perchè mi ha un pò sorpreso la tua delusione per First Family 4 Life.

reiser ha detto...

1. Warriorz/Firing Squad
2. To The Death
3. First Family 4 Life
4. L'EP del '97/98 che non mi ricordo come si chiama
5. St. Marxmen

A_G ha detto...

handle ur bizness

Anonimo ha detto...

Per me il miglior disco degli MOP resta "Firing Squad".

BRA
www.rapmaniacz.com

Anonimo ha detto...

ma sta bomba di lil fame prima degli m.o.p come la giudichi?
http://www.youtube.com/watch?v=OrYLsBftA2c&feature=related

puoi fare la recensione dei dereliks?

djmp45