lunedì 14 settembre 2009

I SELF DEVINE - SELF DESTRUCTION (Rhymesayers, 2005)

Non mi ricordo l'esatto motivo per cui qualche mese fa decisi di comprare questo solista di I Self Devine (non è un refuso, si scrive con la "E"), probabilmente perchè l'avevo trovato nella solitamente cessosa cesta delle occasioni di Amazon che veniva via a du' lire, ma insomma, fatto sta che decisi di acquistarlo come corollario di un ordine più importante. Il mio scarso entusiasmo era dovuto al fatto che all'epoca felice delle mie lunghe domeniche passate su Soulseek alla ricerca di roba nuova m'ero imbattuto in questo album, che dal mio punto di vista presentava delle credenziali di tutto rispetto: produzioni di Jake One e Vitamin D -più Ant e Bean One, dei quali però poco me ne poteva frega'- ovverosia il duo che aveva contribuito in maniera determinante a farmi amare alla follia Layover di Encore. Senonché, come sovente avviene, dopo una serie di ascolti ripetuti m'ero reso conto che alla fin fine il prodotto era sì caruccio ma infinitamente inferiore alle mie aspettative. Che il tempo m'abbia portato a rivedere la mia opinione? Vediamo.
In primis: chi è I Self Devine? Beh, è un menbro dei Micranots. Questo è quello di cui sono a conoscenza e di più non so dirvi, nel senso che anche questo gruppo l'ho filato in via sempre molto tangenziale e ad oggi non ne conservo alcun tipo di ricordo. Ciò detto, la sua pagina di Wikipedia (palesemente redatta da qualcuno della sua cricca) m'informa sulle origini losangeline del nostro, che però ad un dato punto della sua vita s'è trasferito a Minneapolis, città che vedrà poi i suoi successi come MC. Bene, basta così con le note biografiche, anche se tutto sommato sono piuttosto interessanti e da tenere in considerazione quando si ascolterà per la prima volta questo Self Destruction.
Un disco, questo, che rientra a pieno titolo nella sottocategoria dello street conscious -à là Immortal Technique, per intenderci, senza però l'impostazione socialista- e che perciò implica da parte del Nostro una conoscenza sia degli aspetti più ghettusi della vita che di quelli teorici. Spesso le due cose s'intrecciano nelle liriche di Devine, e bisogna dire che malgrado un'impostazione talvolta eccessivamente didascalica, la chiarezza di vedute e d'opinioni non gli difetta di certo. Oltre tutto, certi argomenti come l'uso della parola "nigga" o il machismo imperante nel rap vengono affrontati con indubbia onestà e, perchè no, coraggio; un fattore determinante per la valutazione positiva del risultato nel suo complesso, perchè fa sì che si releghi la più pura creatività in secondo piano a favore dell'esposizione di temi in sè non originalissimi ma di certo non sufficientemente dibattuti.
Ciò detto, però, il problema che ho personalmente è con il suo stile e con il suo flow staccato: è infatti vero che questo tipo di rappata, se unita ad una voce piuttosto carismatica, risulta propedeutica all'attrazione dell'attenzione dell'ascoltatore. É però anche vero che -salvo un paio di punchline ben messe- l'ascolto non risulta particolarmente elettrizzante, al punto che spesso l'impressione è che beat e MC viaggino su due binari separati. Basta fare la controprova: prendete Getcha Money o Live For The Moment, in cui il connubio funziona benissimo, e paragonatele a una This Is It o una Feel My Pain; la differenza che si noterà è che nelle prime due lo stile e l'enunciazione di Devine s'incastrano bene nella trama del beat, mentre nel secondo caso fanno a pugni. E come ultima prova del nove direi di prendere Sex Sex Sex, in cui il Nostro smolla un po' la sua tecnica usuale favorendo maggiori incastri a dispetto dello sovraenunciazione di cui sopra e che, guardacaso, funziona a meraviglia. Insomma, non so che dire se non che è un peccato; fermo restando che lui non sarà mai Rakim, ci sono occasioni in cui dimostra di saperci fare -a prescindere che questo modo di rappare a me piaccia o meno- e, se aggiungiamo che contenutisticamente Self Destruction è piuttosto spesso, viene da chiedersi come mai non abbia saputo dimostrare maggior sensibilità nella scelta dei bet.
Beat che, come già dicevo, sono affidati a "sole" quattro persone: Jake One, Vitamin D, Ant degli Atmosphere e Bean One. Ebbene, benchè i nomi ci siano tutti, lasciate che riassuma il mio giudizio in due parole: "tutto qua"?. Già, il punto è che Self Destruction è ben prodotto, si vede che è gente che ci sa fare, ma... per l'occasione il tutto sa di manierismo. Sono davvero poche, pochissime le tracce capaci di restare nella memoria in quanto dotate di quel qualcosa di particolare: nella fattispecie si tratta di Getcha Money On ed il suo angosciante (in senso positivo) campione, Live In The Moment ed il bel passo che prende grazie a beat e note di piano, ed infine I Can't Say Nothing Wrong col suo sample di roots reggae che bene s'accompagna a batterie e rappata. Tolte queste, si viaggia nel regno della caruccierìa; e finchè si cerca un sottofondo mentre si è intenti a far altro la cosa può anche andare bene -chi mai si lamenterà di un po' di soul, un quid di funk e l'eventuale pestone?- ma nel momento in cui si dedica attenzione all'ascolto (e ovviamente Devine vuole che ciò avvenga) chiunque avente alle spalle anche solo cinque anni di esperienza di rap sarà facilmente portato allo sbadiglio. Non so come spiegarmi: in teoria va tutto bene, ma nella pratica si esce come dalla visione di un film onesto ma privo di grandi peculiarità.
E questa mancanza di "personalità sonora" danneggia molto un album che avrebbe potuto essere perlomeno valido -ottimo comunque no- e che presenta comunque alcuni pregi, primo fra tutti lo sforzo concettuale fatto dall'artista. Insomma, è noiosetto, e questo è quasi peggio che avere cinque tracce belle e cinque porcherie indegne. Dategli una chance se siete in vena di provare e anche perchè due-tre cose da inserire in un micsteip stagionale ci sono, ma sennò si può anche comodamente glissare.





I Self Devine - Self Destruction

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