giovedì 28 agosto 2008

GROUP HOME - A TEAR FOR THE GHETTO (Replay, 1999)

Spesso mi capita di pensare che molti rapper abbiano dei seri problemi di autostima: i continui training autogeni che praticano nei dischi, facendosela e raccontandosela da soli su quanto sarebbero belli, bravi e fichi, non solo costituirebbero materiale per giustificare una salva di pernacchie ma alle volte possono anche dare fastidio. Ad esempio: un conto è se mi dici quanto sei meglio di chiunque altro tramite un gioco di parole (e così mi riallaccio a Finesse) facendomi ridere e dimostrando bravura, un altro è invece se pretendi che io creda al tuo valore in base alle copie vendute del tuo disco. Come giudichereste un simile comportamento in altri frangenti, ad esempio, che so, se un rappresentante di lavatrici dicesse che lui è il numero uno nella zona del Musocco? Retoricità della domanda a parte, evidentemente questo pensiero non sfiora nemmeno la testa di molti artisti (men che meno dei fan) e quindi capita sovente che ci si trovi a doversi subire tutta l'arroganza di Pinco nel modo più triviale e pateticamente rampantistico che vi possa essere.
Beh, dite quel che volete dei Group Home, ma loro questo non lo fanno; più che per modestia, perchè non beccano un cazzo, beninteso. Ma tant'è: Tear For The Ghetto è uno di quei dischi che mi commuovono nella loro immensa sfiga -nel senso più stretto del termine- e nell'esito esageratamente negativo ricevuto in termini di successo commerciale. Non scherzo: io l'ho visto in negozio una volta, l'ho comprato e poi PUF, nessuno ne ha mai più saputo nulla mentre cose ben peggiori spuntavano quà e là come funghi in una doccia pubblica. E per aggiungere la beffa al danno, nemmeno si tratta di un album perlomeno riverito dagli aficionados, no. No, davvero, non se lo fila nessuno.
E va bene che Premier produce una sola traccia, va bene che Melachi è bravo a rimare quanto lo è Richard Scarry, d'accordo anche sul fatto che come contenuti o rime sèm semper lì e dio solo sa quanto ormai mi possa impressionare un tizio che attraverso uno stereo mi minaccia di infilarmi una Glock nel culo... però guardate che non è malvagio. per dirne una: Lil' Dap avrà anche quella vocina da MiniMe che non lo rende esattamente piacevole all'ascolto -e comunque è un cinghiale imbarazzante- però nemmeno si può dire che sia oggettivamente scarso. Oppure, d'altro canto non si può nemmeno ignorare il fatto che Agallah (un altro che di sfiga se ne intende) produca un buon cinque tracce, che ci sia Alchemist e che persino dei semisconosciuti come Charlie Marotta riescano a creare dei beat non certo originali ma perlomeno piacevoli... poi va da sè che paragonarlo a Livin' Proof sarebbe come sparare sulla croce rossa ad un metro di distanza usando un bazooka, ma se preso singolarmente non è peggio della media, anzi.
Uno dei pregi che me lo rendono apprezzabile è ad esempio la capacità di trasmettere atmosfere urbane e di alienazione come pochi sanno fare; e, sì, mi rendo conto che una simile constatazione è soggettiva, ma come inquadrare allora il minimalismo di Tear Shit Down, la triste melodia fatta di archi e piano di da Real GH o la cupezza di cose come A-Train XPress e Oh Sweet America? In tutti questi casi viaggiamo nel nel solco scavato da Havoc quattro anni prima con The Infamous, e per quanto ovviamente non vi sia paragone è tuttavia sicuro che la scuola è quella e che ancora oggi sortisca gli effetti desiderati. Indi per cui non aspettatevi ritornelli cantati, melodie allegre et similia: tutto ciò che i Group Home hanno da offrire sono resoconti della vita a Brooklyn e poco più, ed in tal senso il titolo dell'album è quantomeno azzeccato. Purtroppo -già che siamo in tema di beat- non tutte le canzoni sono allo stesso livello, ed anzi alcune raggiungono dei picchi di bruttezza da lasciare basiti. Nella schiera delle porcherie troviamo ad esempio la rivisitazione di Ghetto Bird (Be Like That), che non solo non aggiunge nulla al capolavoro di QDIII ma addirittura la priva della sua forza originaria facendo un casino inenarrabile con la melodia dei synth; Stupid MF'S rientra a pieno titolo tra le ciofeche di Alchemist e Run For Your Life spreca un bel campione che invece si può sentire ben utilizzato in Glamour Life di Big Pun. We Can Do this e Breaker 1-9 nemmeno mi va di commentarle. Fortunatamente, ad eccezione di questi aborti di produzione, il resto s'attesta tra il piacevole ed il buono, vale a dire senza grande innovazione ma con un buon risultato, ed in questo contesto svettano senz'altro The Legacy, A-Train XPress, Oh Sweet America e l'allegra e scherzosa Life Ain't Shit.
Liricamente ho davvero poco da dire. Melachi è, ribadisco, la solita sega di sempre anche se un pochino pare essere migliorato e comunque non figura nemmeno in metà dei pezzi, per cui stavolta se ride un po' meno ma oggettivamente va bene così; Lil' Dap ci usa la comune cortesia di non riciclare vecchie strofe (ma lo farà nel 2003 in Thieves In Da Nite di Shabazz con la strofa di Street Life, proprio un merdone) e pur nella sua scarsa originalità riesce a funzionare egregiamente sui beat, limitandosi perlopiù a dire che fa brutto anche se è alto un cazzo e mezzo e spargendo di tanto in tanto qualche cosid. "jewel of knowledge" (ma del tipo "bevete il latte che fa crescere", cose increddibbili). Ecco, diciamo che persino nel caso di questo Tear For The Ghetto sono i beat a rendere degno di un ascolto il tutto, perchè come emceeing siamo a livelli di passabilità ma nulla di più (e difatti, se vi è capitato di sentire qualcuna delle orride terronate fatte di recente da Dap per quella etichetta polacca capirete quanto di vero ci sia nell'affermazione precedente).
In conclusione, mi pare evidente che non ci troviamo di fronte ad un capolavoro. Tuttavia, benché abbia sfottuto questo secondo ed ultimo lavoro dei Group home, non posso fingere che in fondo non mi piaccia. L'ascolto è senz'altro ripetitivo (20 pezzi...), eppure se le cose grimey rientrano nei vostri gusti reputo Tear For The Ghetto un prodotto valido e piacevole. Da qui ad augurarmi una riunione del duo ce ne passa, però...





Group Home - A Tear For The Ghetto

VIDEO: THE LEGACY

4 commenti:

Marco ha detto...

Che mi dici del disco solista di Dap "I.A.Dap"? Gli ho dato un ascolto un po' furtivo, ma mi sembra dignitoso...

Anonimo ha detto...

Richard Scarry era un cazzo di genio!!!

reiser ha detto...

Manco sapevo fosse uscito, in realtà... gli darò un ascolto non appena cesserò di spararmi in repeat Demons di Elzhi

Richard Scarry ha marchiato a fuoco l'infanzia di una generazione, tra lui, la Pimpa non saprei chi scegliere

Antonio ha detto...

ELzhi sempre.
P.S.: Charlie Marotta (Solid Scheme) aveva prodotto Kool Kat di PMD che spacca tutto ancora oggi, paranoia da Jane compresa...