Non c'è dubbio che il 1996 sia stato uno degli anni più floridi per quanto riguarda l'hip hop: Hell On Earth, Reasonable Doubt, The Score, Muddy Waters, The Coming, Nocturnal... davvero potrei andare avanti per un bel po', continuando ad elencare titoli che sono considerati classici assoluti oppure che in questi 12 anni sono maturati divenendo autentici oggetti di culto da parte degli aficionados. Tuttavia, trovo più interessante far notare come il '96 sia stato anche l'anno delle uscite oramai cadute nell'oscurità benchè di pregevole fattura: i Real Live, l'eccezionale esordio di Kwest Tha Madd Ladd (ché ancora mi mastico le palle per non averlo comprato all'epoca), il sottovalutato Da Storm e, naturalmente, questo Wild Cowboys.
I motivi per queste "disattenzioni" da parte dei fan -specie i più giovani- li ho già illustrati in altre occasioni e comunque mi paiono abbastanza ovvi; tuttavia sarebbe imperdonabile proseguire lungo questa strada di dimenticanze ed è così che stamane, dovendo decidere tra recensire gli Heltah Skeltah o Sadat X (ambedue comprati lo stesso dì al WOM di Monaco), alla fine ho optato per per Wild Cowboys, per alcuni la sua opera migliore e senz'altro un eccellente esempio di cos'era il suono nuiorchese di metà anni '90.
Non faccio mistero difatti che la prima cosa di questo LP che desta l'attenzione sono i beat: abbiamo Diamond D su tre tracce, Buckwild e Ogee su due, Showbiz su una e così anche i Beatminerz, Pete Rock, Alamo ed altri. Volendo dunque chiudere un occhio sull'assenza di Premier e Large Professor, si può ben dire che la formazione è certamente impressionante e rappresentativa della Grande Mela -che poi questa vada a tradursi in'equivalente qualità resta da vedersi, ma intanto ogni timore di ciofeca tout court è da considerarsi automaticamente escluso. Del resto, per scongiurare quest'ipotesi sarebbe bastato il solo fatto che l'autore di Wild Cowboys è nientemeno che un terzo dei Brand Nubian e che, negli anni immediatamente precedenti l'uscita di questo suo esordio, egli s'era fatto notare per le strofe di tutto rispetto sui dischi di KRS One e Lord Finesse. Aggiungiamoci infine che l'etichetta per la quale venne pubblicato questo lavoro era la Loud -già firmataria di cosucce come 36 Chambers, The Infamous e Cuban Linx- e si può comprendere come le aspettative fossero parecchio alte.
Spiace anticipare, dunque, che queste vengono in buona parte tradite: ma non tanto perchè siano (fossero) comunque insoddisfabili, bensì perchè Wild Cowboys presenta alcuni difetti oggettivi che francamente non ci si sarebbe aspettati da uno come Sadat X. Ad esempio, per dirne uno, la presenza di ospiti: passi che il Nostro probabilmente era abituato ad avere almeno un compagno di rime al quale appoggiarsi nei momenti di difficoltà, ma ciò non giustifica in nessun modo un tale assortimento di gente che si rivela essere, nella migliore delle ipotesi, appena passabile -e mi riferisco a Lord Tariq, di certo non al resto dei Money Boss Players o all'onnipresente e tristemente mediocre Shawn Black. L'handicap in questione risulta ancor più fastidioso se si pensa poi all'occasione sprecata: così come X ha avuto il buonsenso di invitare Grand Puba ed il sempre affidabile D.V. Alias Khrist, perchè allora non si è spinto oltre in questa direzione dando un colpo di telefono a Finesse, KRS o qualcun altro della D.I.T.C. o della Boot Camp Clik? E se non loro, qualcuno interno al roster della Loud che, voglio ribadirlo, non è che fosse composto da ciò che si chiamano cretini... Mah, vai a capire. E poi: d'accordo che non siamo più nel '90, d'accordo che non sei abituato a pensare pezzi da solista, ma... com'è che in tutto l'album non vi sia nemmeno un accenno ai temi sviluppati (o per meglio dire: all'impostazione) nei dischi incisi coi Brand Nubian? Per carità, non ho nulla da eccepire sul braggadocio, specie se a farlo è una persona competente come il Nostro, certo è che i pezzi genericamente sboroni lasciano il tempo che trovano, e lì, purtroppo, non c'è Diamond D che tenga. Last but not least, dato che ho nominato uno dei produttori, mi preme sottolineare come non tutti giochino le loro carte migliori: Buckwild, per dirne una, conferma la sua fama con Smoking On The Low ma lascia perplessi con la triviale Lump Lump (un giro di basso bello non sempre basta e creare materiale memorabile); lo stesso dicasi per Diamond D, che prima imprime a fuoco il suo nome sull'ottima Wild Cowboys (quel campione di vibrafono mi sa un tantinello di David Axelrod...) e dopo sforna una robetta "meh" come Petty People, che non si riesce a capire se sia una versione embrionale della prima o se semplicemente si tratti di uno scarto databile tra il '92 ed il '93.
Fortunatamente, però, c'è gente come lo scandalosamente sottovalutato Ogee che non fallisce un colpo (sue le valide Sauce For Birdheads e The Hashout, ambedue di buona qualità); e anche Showbiz conferma i suoi meriti producendo una delle cose migliori di Wild Cowboys, cioè Stages And Lights. Dal canto loro, pure i Beatminerz e Alamo si tuffano sui campioni di xilofono, entrambi con ottimi risultati (in particolar modo è Open Bar ad imprimersi nella memoria come uno dei pezzi più potenti dell'insieme). Ma è lo sconosciuto Ali Malek che ruba lo show: campionare Morricone non sarà in sè un'idea particolarmente originale, ma quando il risultato riesce a mantenere l'atmosfera dell'originale pur essendo marcato da un tasso di ruvidezza elevatissimo, non ci si può che inchinare.
Tuttavia, se la sua Hang'Em High svetta come punta di diamante di Wild Cowboys è anche grazie al fatto che qui Sadat X, oltre a rimare bene come sempre, partorisce una lunga metafora dove il far west è accomunato alla vita nel ghetto e, se da un canto l'abbinamento non pare troppo sconvolgente, l'esecuzione è ottima e soprattutto s'inserisce a perfezione nel contesto creato dal sopracitato Ali Malek. Chapeau anche a Khrist, che firma il ritornello in un modo tale da rendere ancor più vergognoso il fatto che non gli siano stati riconosciuti l'enorme talento e la personalità inimatibile che indiscutibilmente possiede. Per il resto, X generalmente rimbalza con discreti risultati tra l'autoesaltazione, la pura esibizione di bravura e l'aneddottica riguardante la sua città ed il suo quartiere; tutto ciò però assume un ruolo di secondo piano quando si nota che in fin dei conti sono i beat a rendere efficace l'MC. Non a caso, se è Pete Rock a tirar fuori il suo lato più marcatamente jazz, allora le cose funzionano ed Escape From New York va ad inserirsi nel quintetto di canzoni memorabili di Wild Cowboys; quando invece c'è qualcun altro un po' meno ispirato, allora l'insieme o finisce nel dimenticatoio (Do It Again) oppure si trasforma in un'autentica e fragorosa cazzatona col botto: ce n'è una sola, è vero, ma vi garantisco che The Funkiest è una cacofonia tale da lasciare sbigottito l'ascoltatore.
Come s'è visto, Wild Cowboys ha la sua bella fetta di scivoloni francamente incomprensibili e se da un lato non mi stupisce che a causa di questi esso sia scivolato nel dimenticatoio, dall'altro trovo che sarebbe un peccato perdersi gran bei pezzi quali Open Bar, Hang'Em High, Stages And Lights, Escape From New York e Wild Cowboys. Pure, vorrei contestare l'opinione comune che lo vorrebbe come l'opera migliore di X: contestualizzandolo, difatti, non si può ignorare lo scarto tra il potenziale espresso dai vari protagonisti ivi presenti ed il risultato finale, secondo me relativamente deludente. In tal senso, Experience & Education riesce a spremere meglio le capacità di tutti gli attori coinvolti, primo fra tutti 'Dat X stesso, che fortunatamente dimostra (vuoi anche fuori tempo massimo) la sua versatilità e la sua personalità che, purtroppo, in Wild Cowboys affiora solo quà e là e per giunta timidamente.
Sadat X - Wild Cowboys
VIDEO: HANG 'EM HIGH
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Non faccio mistero difatti che la prima cosa di questo LP che desta l'attenzione sono i beat: abbiamo Diamond D su tre tracce, Buckwild e Ogee su due, Showbiz su una e così anche i Beatminerz, Pete Rock, Alamo ed altri. Volendo dunque chiudere un occhio sull'assenza di Premier e Large Professor, si può ben dire che la formazione è certamente impressionante e rappresentativa della Grande Mela -che poi questa vada a tradursi in'equivalente qualità resta da vedersi, ma intanto ogni timore di ciofeca tout court è da considerarsi automaticamente escluso. Del resto, per scongiurare quest'ipotesi sarebbe bastato il solo fatto che l'autore di Wild Cowboys è nientemeno che un terzo dei Brand Nubian e che, negli anni immediatamente precedenti l'uscita di questo suo esordio, egli s'era fatto notare per le strofe di tutto rispetto sui dischi di KRS One e Lord Finesse. Aggiungiamoci infine che l'etichetta per la quale venne pubblicato questo lavoro era la Loud -già firmataria di cosucce come 36 Chambers, The Infamous e Cuban Linx- e si può comprendere come le aspettative fossero parecchio alte.
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Fortunatamente, però, c'è gente come lo scandalosamente sottovalutato Ogee che non fallisce un colpo (sue le valide Sauce For Birdheads e The Hashout, ambedue di buona qualità); e anche Showbiz conferma i suoi meriti producendo una delle cose migliori di Wild Cowboys, cioè Stages And Lights. Dal canto loro, pure i Beatminerz e Alamo si tuffano sui campioni di xilofono, entrambi con ottimi risultati (in particolar modo è Open Bar ad imprimersi nella memoria come uno dei pezzi più potenti dell'insieme). Ma è lo sconosciuto Ali Malek che ruba lo show: campionare Morricone non sarà in sè un'idea particolarmente originale, ma quando il risultato riesce a mantenere l'atmosfera dell'originale pur essendo marcato da un tasso di ruvidezza elevatissimo, non ci si può che inchinare.
Tuttavia, se la sua Hang'Em High svetta come punta di diamante di Wild Cowboys è anche grazie al fatto che qui Sadat X, oltre a rimare bene come sempre, partorisce una lunga metafora dove il far west è accomunato alla vita nel ghetto e, se da un canto l'abbinamento non pare troppo sconvolgente, l'esecuzione è ottima e soprattutto s'inserisce a perfezione nel contesto creato dal sopracitato Ali Malek. Chapeau anche a Khrist, che firma il ritornello in un modo tale da rendere ancor più vergognoso il fatto che non gli siano stati riconosciuti l'enorme talento e la personalità inimatibile che indiscutibilmente possiede. Per il resto, X generalmente rimbalza con discreti risultati tra l'autoesaltazione, la pura esibizione di bravura e l'aneddottica riguardante la sua città ed il suo quartiere; tutto ciò però assume un ruolo di secondo piano quando si nota che in fin dei conti sono i beat a rendere efficace l'MC. Non a caso, se è Pete Rock a tirar fuori il suo lato più marcatamente jazz, allora le cose funzionano ed Escape From New York va ad inserirsi nel quintetto di canzoni memorabili di Wild Cowboys; quando invece c'è qualcun altro un po' meno ispirato, allora l'insieme o finisce nel dimenticatoio (Do It Again) oppure si trasforma in un'autentica e fragorosa cazzatona col botto: ce n'è una sola, è vero, ma vi garantisco che The Funkiest è una cacofonia tale da lasciare sbigottito l'ascoltatore.
Come s'è visto, Wild Cowboys ha la sua bella fetta di scivoloni francamente incomprensibili e se da un lato non mi stupisce che a causa di questi esso sia scivolato nel dimenticatoio, dall'altro trovo che sarebbe un peccato perdersi gran bei pezzi quali Open Bar, Hang'Em High, Stages And Lights, Escape From New York e Wild Cowboys. Pure, vorrei contestare l'opinione comune che lo vorrebbe come l'opera migliore di X: contestualizzandolo, difatti, non si può ignorare lo scarto tra il potenziale espresso dai vari protagonisti ivi presenti ed il risultato finale, secondo me relativamente deludente. In tal senso, Experience & Education riesce a spremere meglio le capacità di tutti gli attori coinvolti, primo fra tutti 'Dat X stesso, che fortunatamente dimostra (vuoi anche fuori tempo massimo) la sua versatilità e la sua personalità che, purtroppo, in Wild Cowboys affiora solo quà e là e per giunta timidamente.
Sadat X - Wild Cowboys
VIDEO: HANG 'EM HIGH
9 commenti:
Il '96 è stata un'annata memorabile, almeno per il sottoscritto. Poi c'è chi preferisce il '94, chi l'88 e via dicendo, fatto sta che il suono niuiorchese di quel periodo per me è ancora il top raggiunto e i dischi che hai citato parlano chiaro.
Il voto a Wild Cowboys ci sta, ma se a Nocturnal non dai 5 zainetti mi metto a piangere.
Inoltre, ti risulta che Wild Cowboys sia uscito anche in versione digipack? Io ho il classico jewel case come il tuo, ma avevo sentito (stronzata?) che al tempo uscì pure digipacckato... boh...
Col Digipak? Boh, po' esse... io ho Beats Rhymes & Life con la versione a ologramma povero stile figurine dei succhi di frutta Zuegg, per cui non mi stupirei più di nulla.
Ad ogni modo anticipo (sgoob!) che 5 Nocturnal dal canto mio non li vedrà mai... 4 e 1/2 sì, ma inque, dài... vabbè ti aspetto al varco dei commenti
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