Scusate la sospensione delle comunicazioni, ma mi ero preso qualche giorno di vacanza durante il quale ho preferito oscillare tra il cazzeggio old school più ortodosso (per dire, ho finito GTA IV) e i nostalgici Amarcord della mia più esuberante adolescenza (il peraltro potentissimo concerto dei Rage Against The Machine a Modena, che mi ha messo KO per un giorno e mezzo).
Fatto sta che oggi mi ritrovo come un fesso alla mia scrivania, anestetizzato dal sonno e con un tempo che definire "preautunnale" sarebbe fargli un complimento: il giorno giusto, insomma, per dedicare più di quattro striminzite righe all'ultima fatica degli Atmosphere. When Life Gives You Lemons You Paint That Shit Gold, oltre ad essere il loro quinto album e oltre a potersi fregiare del titolo più brutto di un disco degli ultimi settant'anni, è anche la loro opera di maggior successo commerciale: 36,000 copie vendute nella prima settimana, un risultato straordinario ma assolutamente comprensibile, come spero di riuscire a spiegare nelle righe che seguiranno.
Premetto innanzitutto che non sono mai stato un particolare fan degli Atmosphere. L'unica volta che provai a dar loro una chance fu con Seven's Travels, e in quell'occasione giunsi alla conclusione che se mi piacevano i beat di Ant mi bastava buttarmi su Brother Ali. Perchè sì, il problema non era tanto la musica quanto Slug e la sua sconfinata autoreferenzialità vittimista che, se incrociata col mio totale disprezzo verso i neoboho, andava a creare una micidiale broda di noia e fastidio. Tuttavia, quando per puro caso ho trovato in giro l'edizione limitata acchiappagonzi di questo WLGYLYPTSG (doppia cover rigida in tela, booklet di 40 pagine e rilegatura a caldo) non ho potuto resistere e l'ho comprato a scatola chiusa pensando "sticazzi la musica, il packaging vale da solo la spesa". Successivamente, una volta giunto a casa ho comunque posto l'argenteo supporto digitale sul tray per provare a dargli un ascolto tanto per e, minuto dopo minuto, il mio iniziale disinteresse ha subito una metamorfosi che l'ha visto trasformarsi prima in curiosità, poi in sorpresa ed infine in entusiasmo.
WLGYLYPTSG è difatti quello che secondo me si può definire un disco pop nella miglior accezione del termine; riesce, cioè, a fornire uno spaccato di quella parte di società a cui fa riferimento l'autore (in questo caso Slug) e che egli stesso utilizza come una sorta di medium attraverso il quale raccontarsi. Il tutto, naturalmente, venendo accompagnato da una controparte musicale che, pur non tagliando i ponti con il passato e le origini del gruppo, si "apre" di più alle orecchie non allenate. Volendo per forza trovare un'analogia, vuoi anche un po' azzardata, Lemons mi fa tornare in mente Automatic For The People; ovviamente non come genere, sonorità o scrittura bensì come atmosfere e come effetto finale sull'ascoltatore. Ma le analogie finiscono qui, perchè come si comincia ad ascoltare i testi ci s'immerge in una realtà definibile a naso come la bassa provincia americana, a metà tra America Oggi di Altman e Le Correzioni di Jonathan Franzen: working class classica, alcolisti, tossici più o meno autocoscienti, nullatenenti, padri assenti e via dicendo (non un festa ad ostriche e champagne, insomma, tant'è che a questo punto non dovrebbe sorprendere il cameo di Tom Waits in veste di beatboxer in uno dei pezzi). Fortunatamente per l'ascoltatore non-americano, i testi non si concentrano tanto sull'estrazione sociale ed i suoi effetti o su particolari analisi politiche, ma sono perlopiù tutta una serie di storytelling che vedono queste tristi figure muoversi su uno sfondo a metà tra lo squallore e la noia, senza oggettive speranze di riscatto e perlopiù rassegnate al proprio destino. Se ne deduce che il midwest non dev'essere esattamente un luna park (ho avuto modo di vederlo e ho avuto l'impressione di una sorta di profonda Brianza statunitense, fortunatamente meno brutta), certo, però in fin dei conti si tratta di soggetti piuttosto comuni e che chiunque avrà incontrato almeno una volta in vita sua: da qui il potenziale interesse che può scaturire da questi racconti, certamente più suscettibili d'empatia che non i cazzi di Slug.
E, a proposito di cazzi, qualche scivolone c'è: The Skinny, oltre a non c'entrare assolutamente nulla col resto dell'album, è... sì, insomma, una interessantissima disgressione sul ruolo sociale del pene -a metà tra la biopic e la goliardia del Sire di Corinto. Ora, lungi da me il volerne fare una questione di buongusto, ma fermo restando che, come dice il saggio, "l'unico bello è il proprio", faccio francamente fatica a vedere di buon occhio una simile tematica. Ancora ancora potevo glissare su My Friend di Royce, ma questo, col suo piglio accademico ed il tono da cantastorie, è francamente troppo. A dio piacendo, però, la suddetta penisbiopic è l'unico vero, drammatico, passo falso da parte di Slug. Il resto è generalmente ben scritto, rimato più che discretamente (spiacente ma non faccio parte di coloro che lo reputano il cristo sceso tra noi) e con delle piacevoli variazioni stilistiche tra rappata veloce e lenta e tra dizione secca e cantilenata. Anche i ritornelli sono sorprendentemente ben studiati e alcuni, ad esempio quello di You, difficilmente riusciranno ad uscire dalla testa.
Dal canto suo anche Ant si è sviluppato in modo interessante, optando innanzitutto per l'utilizzo massiccio di strumenti suonati dal vivo al posto dei campioni. Quindi, la prima cosa che si può dire è che la bontà del suono è nettamente superiore a quella della "concorrenza", e questo nonostante un mixaggio non eccelso -cfr. certi synth che scorreggiano- e malgrado la fastidiosa consuetudine di Ant del tenere il rullante "secco" come una fucilata oltreché sparato ad un volume esagerato. La seconda cosa positiva dei beat è la loro sostanziale varietà, riconoscibile anche da un profano: si passa per esempio dalla smaccata influenza gospel di Puppets al suono molto gnarlsbarkleyano di You, senza scordarci la pesca a piene mani dal rock classico (l'hammond e l'arpeggio di chitarra elettrica di Painting, ad esempio, o l'acustica adoperata per Guarantees) oppure il ricorso a synth in stile bay area in svariati pezzi (Can't Break, The Skinny, Shoulda Known). Last but not least, il terzo motivo di lode consiste nell'aver saputo evitare l'effetto "schizofrenia" pur avendo messo così tanta carne al fuoco; denominatore comune delle tracce è difatti non tanto l'atmosfera -generalmente caduca ma con occasionali sprazzi di allegria- quanto la melodicità degli arrangiamenti, tutti piacevoli da sentirsi anche se a volte un po' scontati.
Insomma, cosa posso dire? Il bello di Lemons è che può essere ascoltato in almeno due modi diversi e risultare comunque gradevole. E' un disco ben concepito ed eseguito senza particolari scivoloni, adatto dunque sia ad essere ascoltato in macchina che nel walkman; la sua accessibilità musicale è controbilanciata da uno Slug decisamente meno emo e dunque -oltre che più maturo- immensamente più interessante ad ascoltarsi. Inizialmente, preso dall'entusiasmo com'ero, la mia tentazione di affibbiargli quattro zainetti e mezzo era grande; epperò reputo che quattro gli calzino meglio. A prescindere da questo, si tratta senz'altro di uno degli album migliori del 2008 oltrechè di uno di quelli più dotati di potenziale commerciale al di fuori della ristretta cerchia dell'hip hop underground.
Atmosphere - When Life Gives You Lemons You Paint That Shit Gold
VIDEO: SHOULDA KNOWN
Fatto sta che oggi mi ritrovo come un fesso alla mia scrivania, anestetizzato dal sonno e con un tempo che definire "preautunnale" sarebbe fargli un complimento: il giorno giusto, insomma, per dedicare più di quattro striminzite righe all'ultima fatica degli Atmosphere. When Life Gives You Lemons You Paint That Shit Gold, oltre ad essere il loro quinto album e oltre a potersi fregiare del titolo più brutto di un disco degli ultimi settant'anni, è anche la loro opera di maggior successo commerciale: 36,000 copie vendute nella prima settimana, un risultato straordinario ma assolutamente comprensibile, come spero di riuscire a spiegare nelle righe che seguiranno.
Premetto innanzitutto che non sono mai stato un particolare fan degli Atmosphere. L'unica volta che provai a dar loro una chance fu con Seven's Travels, e in quell'occasione giunsi alla conclusione che se mi piacevano i beat di Ant mi bastava buttarmi su Brother Ali. Perchè sì, il problema non era tanto la musica quanto Slug e la sua sconfinata autoreferenzialità vittimista che, se incrociata col mio totale disprezzo verso i neoboho, andava a creare una micidiale broda di noia e fastidio. Tuttavia, quando per puro caso ho trovato in giro l'edizione limitata acchiappagonzi di questo WLGYLYPTSG (doppia cover rigida in tela, booklet di 40 pagine e rilegatura a caldo) non ho potuto resistere e l'ho comprato a scatola chiusa pensando "sticazzi la musica, il packaging vale da solo la spesa". Successivamente, una volta giunto a casa ho comunque posto l'argenteo supporto digitale sul tray per provare a dargli un ascolto tanto per e, minuto dopo minuto, il mio iniziale disinteresse ha subito una metamorfosi che l'ha visto trasformarsi prima in curiosità, poi in sorpresa ed infine in entusiasmo.
WLGYLYPTSG è difatti quello che secondo me si può definire un disco pop nella miglior accezione del termine; riesce, cioè, a fornire uno spaccato di quella parte di società a cui fa riferimento l'autore (in questo caso Slug) e che egli stesso utilizza come una sorta di medium attraverso il quale raccontarsi. Il tutto, naturalmente, venendo accompagnato da una controparte musicale che, pur non tagliando i ponti con il passato e le origini del gruppo, si "apre" di più alle orecchie non allenate. Volendo per forza trovare un'analogia, vuoi anche un po' azzardata, Lemons mi fa tornare in mente Automatic For The People; ovviamente non come genere, sonorità o scrittura bensì come atmosfere e come effetto finale sull'ascoltatore. Ma le analogie finiscono qui, perchè come si comincia ad ascoltare i testi ci s'immerge in una realtà definibile a naso come la bassa provincia americana, a metà tra America Oggi di Altman e Le Correzioni di Jonathan Franzen: working class classica, alcolisti, tossici più o meno autocoscienti, nullatenenti, padri assenti e via dicendo (non un festa ad ostriche e champagne, insomma, tant'è che a questo punto non dovrebbe sorprendere il cameo di Tom Waits in veste di beatboxer in uno dei pezzi). Fortunatamente per l'ascoltatore non-americano, i testi non si concentrano tanto sull'estrazione sociale ed i suoi effetti o su particolari analisi politiche, ma sono perlopiù tutta una serie di storytelling che vedono queste tristi figure muoversi su uno sfondo a metà tra lo squallore e la noia, senza oggettive speranze di riscatto e perlopiù rassegnate al proprio destino. Se ne deduce che il midwest non dev'essere esattamente un luna park (ho avuto modo di vederlo e ho avuto l'impressione di una sorta di profonda Brianza statunitense, fortunatamente meno brutta), certo, però in fin dei conti si tratta di soggetti piuttosto comuni e che chiunque avrà incontrato almeno una volta in vita sua: da qui il potenziale interesse che può scaturire da questi racconti, certamente più suscettibili d'empatia che non i cazzi di Slug.
E, a proposito di cazzi, qualche scivolone c'è: The Skinny, oltre a non c'entrare assolutamente nulla col resto dell'album, è... sì, insomma, una interessantissima disgressione sul ruolo sociale del pene -a metà tra la biopic e la goliardia del Sire di Corinto. Ora, lungi da me il volerne fare una questione di buongusto, ma fermo restando che, come dice il saggio, "l'unico bello è il proprio", faccio francamente fatica a vedere di buon occhio una simile tematica. Ancora ancora potevo glissare su My Friend di Royce, ma questo, col suo piglio accademico ed il tono da cantastorie, è francamente troppo. A dio piacendo, però, la suddetta penisbiopic è l'unico vero, drammatico, passo falso da parte di Slug. Il resto è generalmente ben scritto, rimato più che discretamente (spiacente ma non faccio parte di coloro che lo reputano il cristo sceso tra noi) e con delle piacevoli variazioni stilistiche tra rappata veloce e lenta e tra dizione secca e cantilenata. Anche i ritornelli sono sorprendentemente ben studiati e alcuni, ad esempio quello di You, difficilmente riusciranno ad uscire dalla testa.
Dal canto suo anche Ant si è sviluppato in modo interessante, optando innanzitutto per l'utilizzo massiccio di strumenti suonati dal vivo al posto dei campioni. Quindi, la prima cosa che si può dire è che la bontà del suono è nettamente superiore a quella della "concorrenza", e questo nonostante un mixaggio non eccelso -cfr. certi synth che scorreggiano- e malgrado la fastidiosa consuetudine di Ant del tenere il rullante "secco" come una fucilata oltreché sparato ad un volume esagerato. La seconda cosa positiva dei beat è la loro sostanziale varietà, riconoscibile anche da un profano: si passa per esempio dalla smaccata influenza gospel di Puppets al suono molto gnarlsbarkleyano di You, senza scordarci la pesca a piene mani dal rock classico (l'hammond e l'arpeggio di chitarra elettrica di Painting, ad esempio, o l'acustica adoperata per Guarantees) oppure il ricorso a synth in stile bay area in svariati pezzi (Can't Break, The Skinny, Shoulda Known). Last but not least, il terzo motivo di lode consiste nell'aver saputo evitare l'effetto "schizofrenia" pur avendo messo così tanta carne al fuoco; denominatore comune delle tracce è difatti non tanto l'atmosfera -generalmente caduca ma con occasionali sprazzi di allegria- quanto la melodicità degli arrangiamenti, tutti piacevoli da sentirsi anche se a volte un po' scontati.
Insomma, cosa posso dire? Il bello di Lemons è che può essere ascoltato in almeno due modi diversi e risultare comunque gradevole. E' un disco ben concepito ed eseguito senza particolari scivoloni, adatto dunque sia ad essere ascoltato in macchina che nel walkman; la sua accessibilità musicale è controbilanciata da uno Slug decisamente meno emo e dunque -oltre che più maturo- immensamente più interessante ad ascoltarsi. Inizialmente, preso dall'entusiasmo com'ero, la mia tentazione di affibbiargli quattro zainetti e mezzo era grande; epperò reputo che quattro gli calzino meglio. A prescindere da questo, si tratta senz'altro di uno degli album migliori del 2008 oltrechè di uno di quelli più dotati di potenziale commerciale al di fuori della ristretta cerchia dell'hip hop underground.
Atmosphere - When Life Gives You Lemons You Paint That Shit Gold
VIDEO: SHOULDA KNOWN
6 commenti:
Assomiglia abbastanza alla mia recensione fatta per "Superfly", in realta'. A parte la mia pretestuosa citazione della recente paternita' di Slug.
E a parte che poi io gli avrei dato 3 1/2, forse...
Dici la versione cartacea? A trovarla, mannaggia...
Tre e 1/2 mi pare un po' pochino, cos'è che secondo te proprio non va in Lemons?
Il video è proprio adatto per MTV...
;-)
BRA
www.rapmaniacz.com
per me è l'album dell'anno finora,seguito subito dagli emc,ho la deluxe edition e mi fa davvero felice quando la guardo,
un'album divino,lo adoro,gli avrei dato addirittura 4e1/2 io.Spettacolare Slug
Si, la versione cartacea. Mi sa che devi assillare gli edicolanti, se no nada. E' un problema comune, a quanto ho sentito.
Per quanto riguarda i 3 zainetti e mezzo, boh, non te lo so spiegare. Il discorso forse e' nel replay value, nel senso che non e' uno di quei dischi da mettere in heavy rotation... (notare come uno in maniera assolutamente ingiustificata dei termini inglesi che avrei potuto evitare).
A parte gli scherzi, il suono e' un po' troppo pulitino, forse.
E poi il video con le modelle anoressiche e' un po' "meh"...
Eh beh ma avessi visto l'altro... dopo 20 secondi di fazza di Slug ho sbadigliato e ho cambiato. Purtroppo prendo quel che passa il convento.
Comunque sia, non saprei, la rotazione pesante per me ci sta. Magari più quando si è in cazzeggio, io mi ci vedo a sentirlo mentre giro in macchina in vacanza
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