Di ritorno da uno sfogo sulla pochezza musicale di Lil' Wayne [no homo] sul blog di Antonio, stamane m'è sembrato quantomeno doveroso offrire quella che reputo un'alternativa a ciò che il suddetto schifosone ed i suoi epigoni propongono con tanto successo. Certo, il gioco delle contrapposizioni è un po' infantile, lo concedo, ma insistendo nel non farlo qualcuno potrebbe qualunquisticamente pensare che l'uno vale l'altro e che in fondo si tratta solo di gusti -no. Ma senza voler divagare troppo (tanto ho ragione), torniamo a bomba all'oggetto del post: l'ultimo lavoro dei da me già idolatrati Cunninlynguists, autori di un classico [*] come A Piece Of Strange ed ampiamente ignorati dal pubblico di mezzo mondo.
Dirty Acres vede la luce a distanza di due anni dal precedente lavoro. In questo lasso di tempo poco si è sentito da parte loro e pertanto i sette-otto fan che hanno sparsi per il globo, una volta saputa l'imminente pubblicazione di nuovo materiale, hanno cominciato a manifestare segni d'impazienza e a cullare smisurate aspettative. Io non faccio eccezione, naturalmente, e difatti non appena ho avuto modo di sentire questo disco ho avuto un crollo degli zuccheri: non era quello che m'aspettavo, mannaggia a loro, e nemmeno riesco a fornire un'esatta spiegazione del perchè sono rimasto così profondamente deluso.
Ragionando ad alta voce, rivediamo in sintesi quali sono i pregi della loro opera-punto di riferimento: una straordinaria varietà di beat contemporaneamente orecchiabili e complessi, da apprezzare "a strati" come 'na cipolla; un ottimo emceeing caratterizzato da abilità tecnica e da una forte evocatività; temi interessanti affrontati in modo originale; complessiva personalità, coesione, chiarezza. E questo Dirty Acres? Beh, ad un primo ascolto sembra che abbiano ulteriormente rafforzato la loro identità di bluesmen reppusi (passatemi il termine), ma, assenza di fattore sorpresa a parte, l'esito è ben diverso.
L'inizio promette bene: il membro della Dungeon Family Big Rube si esibisce in un bel spoken word su una strumentale di pianoforte tipicamente plumbea, che dopo breve si conclude per lasciar spazio alla prima canzone vera e propria di Dirty Acres: Valley Of Death. Questa mette subito in chiaro che il piglio sgargiulo da giullari dei primi album è definitivamente scomparso, cosa che mi fa piacere almeno quanto l'avere la conferma di Natti come MC, che regala un'ottima strofa e dimostra essere un liricista con un paio di attributi così. Il beat funziona più che egregiamente, parecchio pestone ma espresso nello stile sempre più personale di Kno, e a parte una parentesi gospel francamente eccessiva fa ben sperare per le tracce successive... ma. Sì, c'è un "ma". Senza che vi sia bisogno di nominare i singoli pezzi uno per uno, personalmente reputo che i beat abbiano generalmente perso per strada quel connubio di orecchiabilità e complessità di cui ho scritto prima, vertendo più su quest'ultimo aspetto attraverso strati e strati di strumentazioni e altro. Naturalmente non si può parlare di incapacità da parte del produttore, questo assolutamente no, però una dopo l'altra le canzoni scivolano via senza lasciarsi alle spalle particolari impressioni; mentre sfido chiunque a non venir colpito immediatamente dalla bellezza di certe tracce del precedente album come Caved In, Brain Cell o the Gates, qui alle volte la carne al fuoco è tale che risulta impossibile focalizzarsi su un aspetto particolarmente memorabile. In più, l'impressione che Kno si sia lasciato andare un po' a suoni ed atmosfere eteree trova preoccupante riscontro nei pezzi più lenti: The Park, Yellow Lines, Dance For me e Georgia non sono certo definibili "brutte" (tutt'altro), però per quel che mi riguarda cominciano a spingersi verso sonorità più vicine all'ambient che non all'hip hop. Insomma: va bene creare dei "mood", ma qui si è a un passo dall'esagerazione e dal profluvio di saccarina nelle nostre orecchie. In poche parole, è un po' troppo "soft" per i miei gusti.
Senza contare poi la dicotomia che si va a creare con il lavoro svolto da Natti e Deacon, che reputo eccellente sotto ogni punto di vista; ai livelli di Piece of strange e forse ancora più solido dal punto di vista della tecnica. Ascoltarli è sempre più un piacere e, traccia dopo traccia, non si ha mai l'impressione di perdere punti del proprio Q.I. Mi sono sforzato, lo ammetto, di trovare anche solo un verso fiacco o stupido in Dirty Acres: non l'ho trovato, riuscendo al limite ad incappare in alcuni passaggi un po' tanto ad effetto per i miei gusti ("the clay is running red from the blood that has been shed"). Ma tolti questi piccoli nei, il livello è comunque elevatissimo. Aggiungo che gli ospiti (Devin, Phonte, Witchdoctor ed altri) aggiungono un quid di ulteriore varietà che non guasta mai, e ad eccezione di una strofa non particolarmente ispirata di Too $hort questi si danno comunque il loro bravo daffare.
E allora perchè solo tre e mezzo? Ma perchè, purtroppo, all'infuori dei bei testi il materiale non è per me di grande impatto. Molte canzoni sono sì belle ma galleggiano su tappeti sonori non strettamente memorabili, per quanto indubbiamente ben fatti. Inoltre, questi spesso s'assomigliano troppo e verso la fine del disco parrebbe quasi di ascoltare un'unico pezzo. In conclusione, quindi, Dirty Acres non fa altro che riconfermare il talento dei Cunninlynguists ma, purtroppo, non riesce a bissare A Piece Of Strange ma arriva solamente a rifinire e focalizzare maggiormente la tendenza blueseggiante di quest'ultimo. E questo non significa automaticamente un perfezionamento.
Cunninlynguists - Dirty Acres
VIDEO: KKKY
Dirty Acres vede la luce a distanza di due anni dal precedente lavoro. In questo lasso di tempo poco si è sentito da parte loro e pertanto i sette-otto fan che hanno sparsi per il globo, una volta saputa l'imminente pubblicazione di nuovo materiale, hanno cominciato a manifestare segni d'impazienza e a cullare smisurate aspettative. Io non faccio eccezione, naturalmente, e difatti non appena ho avuto modo di sentire questo disco ho avuto un crollo degli zuccheri: non era quello che m'aspettavo, mannaggia a loro, e nemmeno riesco a fornire un'esatta spiegazione del perchè sono rimasto così profondamente deluso.
Ragionando ad alta voce, rivediamo in sintesi quali sono i pregi della loro opera-punto di riferimento: una straordinaria varietà di beat contemporaneamente orecchiabili e complessi, da apprezzare "a strati" come 'na cipolla; un ottimo emceeing caratterizzato da abilità tecnica e da una forte evocatività; temi interessanti affrontati in modo originale; complessiva personalità, coesione, chiarezza. E questo Dirty Acres? Beh, ad un primo ascolto sembra che abbiano ulteriormente rafforzato la loro identità di bluesmen reppusi (passatemi il termine), ma, assenza di fattore sorpresa a parte, l'esito è ben diverso.
L'inizio promette bene: il membro della Dungeon Family Big Rube si esibisce in un bel spoken word su una strumentale di pianoforte tipicamente plumbea, che dopo breve si conclude per lasciar spazio alla prima canzone vera e propria di Dirty Acres: Valley Of Death. Questa mette subito in chiaro che il piglio sgargiulo da giullari dei primi album è definitivamente scomparso, cosa che mi fa piacere almeno quanto l'avere la conferma di Natti come MC, che regala un'ottima strofa e dimostra essere un liricista con un paio di attributi così. Il beat funziona più che egregiamente, parecchio pestone ma espresso nello stile sempre più personale di Kno, e a parte una parentesi gospel francamente eccessiva fa ben sperare per le tracce successive... ma. Sì, c'è un "ma". Senza che vi sia bisogno di nominare i singoli pezzi uno per uno, personalmente reputo che i beat abbiano generalmente perso per strada quel connubio di orecchiabilità e complessità di cui ho scritto prima, vertendo più su quest'ultimo aspetto attraverso strati e strati di strumentazioni e altro. Naturalmente non si può parlare di incapacità da parte del produttore, questo assolutamente no, però una dopo l'altra le canzoni scivolano via senza lasciarsi alle spalle particolari impressioni; mentre sfido chiunque a non venir colpito immediatamente dalla bellezza di certe tracce del precedente album come Caved In, Brain Cell o the Gates, qui alle volte la carne al fuoco è tale che risulta impossibile focalizzarsi su un aspetto particolarmente memorabile. In più, l'impressione che Kno si sia lasciato andare un po' a suoni ed atmosfere eteree trova preoccupante riscontro nei pezzi più lenti: The Park, Yellow Lines, Dance For me e Georgia non sono certo definibili "brutte" (tutt'altro), però per quel che mi riguarda cominciano a spingersi verso sonorità più vicine all'ambient che non all'hip hop. Insomma: va bene creare dei "mood", ma qui si è a un passo dall'esagerazione e dal profluvio di saccarina nelle nostre orecchie. In poche parole, è un po' troppo "soft" per i miei gusti.
Senza contare poi la dicotomia che si va a creare con il lavoro svolto da Natti e Deacon, che reputo eccellente sotto ogni punto di vista; ai livelli di Piece of strange e forse ancora più solido dal punto di vista della tecnica. Ascoltarli è sempre più un piacere e, traccia dopo traccia, non si ha mai l'impressione di perdere punti del proprio Q.I. Mi sono sforzato, lo ammetto, di trovare anche solo un verso fiacco o stupido in Dirty Acres: non l'ho trovato, riuscendo al limite ad incappare in alcuni passaggi un po' tanto ad effetto per i miei gusti ("the clay is running red from the blood that has been shed"). Ma tolti questi piccoli nei, il livello è comunque elevatissimo. Aggiungo che gli ospiti (Devin, Phonte, Witchdoctor ed altri) aggiungono un quid di ulteriore varietà che non guasta mai, e ad eccezione di una strofa non particolarmente ispirata di Too $hort questi si danno comunque il loro bravo daffare.
E allora perchè solo tre e mezzo? Ma perchè, purtroppo, all'infuori dei bei testi il materiale non è per me di grande impatto. Molte canzoni sono sì belle ma galleggiano su tappeti sonori non strettamente memorabili, per quanto indubbiamente ben fatti. Inoltre, questi spesso s'assomigliano troppo e verso la fine del disco parrebbe quasi di ascoltare un'unico pezzo. In conclusione, quindi, Dirty Acres non fa altro che riconfermare il talento dei Cunninlynguists ma, purtroppo, non riesce a bissare A Piece Of Strange ma arriva solamente a rifinire e focalizzare maggiormente la tendenza blueseggiante di quest'ultimo. E questo non significa automaticamente un perfezionamento.
Cunninlynguists - Dirty Acres
VIDEO: KKKY
5 commenti:
si ma basta usare la parola dicotomia nelle recensioni, damn!
OK d'ora in poi sostituirò "dicotomia" con "beef tra concetti"
Senti, a me il disco non e' dispiaciuto: quando c'e' l'eco di "Still Standin" dei Goodie Mob mi va bene tutto.
Il problema di Kno e' quello che ultimamente sia lui che i colleghi della QN5 stanno cercando di andare verso un suono "piu' commerciale", non tanto per snaturarsi quanto per poi riuscire a vendere beats agli zozzoni come Wayne e co.
E' un problema comune a tanti (vedi l'ultima roba dei Molemen, per esempio): di solito "pulire" troppo il suono fa perdere di incisivita'.
In ogni caso, Kno e soci si meritano un sacco di successo. Fra parentesi, questo e' uno di quegli album da citare a chi dice che il Dirty South impone stili semplicistici... Per me l'essenza del Durty Durty e' invece quella di "stare in piedi"...
Ma no, nemmeno a me. Solo che mi ha un po' deluso, a prescindere dal fatto che non è all'altezza di Piece Of Strange.
Poi concordo nel dire che qualsiasi cosa ricordi i primi Goodie MOb sia un bene generale. Natti poi come voce assomiglia 'na cifra a Khujo
Ma, tolto questo, io la QN5 la seguo molto saltuariamente... cos'è che stanno combinando? Finora ho letto solo di The ARE, ex K-Otix e che quindi poco c'entra, che s'è messo a far le robe terrone tipo coi Trackmasters o cose così...
Hai sentito Strange Journey 1?
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