mercoledì 16 luglio 2008

JOELL ORTIZ - THE BRICK: BODEGA CHRONICLES (Koch/Lushlife, 2007)

Dopo una giornata passata a lavorare sul serio (da qui gli scarsi aggiornamenti) ed una serata consistita nel districarsi tra l'itagliese ed i "contesti signorili" degli annunci immobiliari, è del tutto fuori discussione che recensisca qualcosa di curioso come l'ultimo Vast Aire, Edan o Ohmega Watts. Provo la necessità -letteralmente- di spingere qualcosa che sia contemporaneo, fatto bene, tradizionalista e ruvido come piace a me [no homo] ma dotato della cosiddetta "marcia in più". I casi, a questo punto, erano due: o gli UN o Joell Ortiz. Alla fine la scelta è caduta su quest'ultimo, forse perchè mi son guardato la budria e ho trovato preoccupanti somiglianze con l'MC portoricano.
Ovviamente mi mastico i coglioni ogni qualvolta penso alla recensione cancellata sul mio vecchio blog, ma che ci volete fare? In fondo The Brick è interessante quanto basta per scriverne una seconda volta a distanza di poco più di un anno dalla sua uscita. Ed il motivo di tale interesse è uno solo: Joell Ortiz stesso, che non esito a definire uno dei pochissimi che oggigiorno riescono a reincarnare senza troppi fronzoli lo spirito dell'MC puro -non a caso, nel disco gli unici che riescono a mantenere il passo sono Immortal Technique e Big Daddy Kane. Da qualsiasi punto uno lo voglia affrontare, non c'è una smagliatura nella sua tecnica, nelle rime, nel carisma, nell'immaginario e nella scrittura. Tutti questi fattori, già rari da trovare a coppie in una sola persona, sono tutti di proprietà dell'oriundo di Brooklyn, che dal canto suo non fa nulla per celarli lungo le 15 tracce che compongono Bodega Chronicles.
L'esempio migliore di quanto scritto finora lo si trova già nella prima canzone, 125 Grams Pt. 1, dove, oltre a presentarsi in modo esaustivo tramite l'esposizione del suo breve ma impressionante curriculum, prende il bel beat di MoSS -che leggero non è, con quel breve loop di piano che assieme ad un campione vocale va ad appoggiarsi ad un basso ed una batteria parecchio corposi- ed in meno di cinque minuti e mezzo lo massacra rigirandoselo a suo piacimento. Dal flow staccato passa a quello serrato in un nonnulla; dal lasciare "aperta" una rima ne chiude quattro in un'unica barra; oscilla tra l'arroganza più seria ed una punta d'ironia e tutto questo lo fa passando dall'esposizione fattuale di una serie di tappe della sua carriera al braggadocio più estremo. Una traccia straordinaria, insomma, che è senz'altro il miglior biglietto da visita che potesse presentare prima di uscire col disco.
Ma oltre a dare un assaggio della sua personalità nella prima canzone, nelle seguenti riesce ad andare a toccarne i diversi aspetti più in profondità: tra tutte spicca senz'altro Hip Hop, nella quale riesce nella difficile impresa di far suonare fresco un argomento trito e ritrito come l'amore nei confronti della musica. Complice poi forse anche l'azzecatissima intro ("Yo, do me a favor... accidentally step on your white sunglasses... we don't wear those over here, this is hip hop", una dichiarazione che da sola merita un applauso), che mette per benino le carte in tavola, sta di fatto che il Nostro risulta più credibile e sincero di svariati altri colleghi. Quando i fatti parlano più delle parole? Probabile.
Ma oltre a ciò Joell si spinge andando a toccare naturalmente temi quali il malessere del vivere in un ghetto (ma in modi diversi, confrontate i testi di Night In My P's e Modern Day Slavery e sappiatemi dire), il suo orgoglio latino (che riaffiora quà e là un po' ovunque, ma che vede un'esposizione chiara ed univoca in Latino) e, come ogni brooklynite che si rispetti, la venerazione per il quartiere di provenienza: Brooklyn. Persino qua viene però da complimentarsi con Ortiz, perché anziché lanciarsi in un'ode a quanto questo faccia brutto, scagliando minacce a destra e a manca, con Brooklyn Bullshit la prende più alla leggera descrivendo i tipici comportamenti di chi vi proviene e lo fa (mi auguro) estremizzandoli ed infarcendoli di uno humor raro a vedersi in giro (nella precedente recensione avevo trascritto qualcuna delle sue chicche, ma stavolta vi invito ad ascoltarvela o, meglio, a gustarvi il relativo video). Per farla breve, il punto è che pur non spingendosi verso nuovi territori concettuali, ma anzi scegliendo argomenti che sono la pura essenza dell'hip hop fin dalla sua nascita, Joell Ortiz suona incredibilmente fresco e competente e riesce, dunque, a dare a questi una nuova vita.
Ma purtroppo, dove in quanto ad emceeing siamo alla perfezione, sul versante dei beat la situazione s'ingrigisce. Ad esempio, il beat di Alchemist per BQE è quanto di più pigro potesse uscire dal suo campionatore e ci ricorda quanto purtroppo egli sia caduto in basso in termini di qualità; Show non si spreca un granchè per la sua Brooklyn Bullshit (riprende meno bene il campione adoperato da Dr. Dre per Eve Of Destruction); V.I.C., Ax The Bull e EMZ hanno già prodotto cose migliori ed i restanti, dal canto loro, o sono semisconosciuti che si destreggiano con abilità (vedi Hecks e la sua Hip Hop) oppure dimostrano capacità altalenanti che possono andare a concretizzarsi tanto bene (125 Grams Pt.4) quanto male (125 Pt.2) o malissimo (125 Pt.3). Spesso, poi, al di là dell'inventiva vera è propria il problema dei beat è la loro estrema ripetitività, con dei loop da sei secondi che vanno a ripetersi incessantemente fino al completo drenaggio scrotale dell'ascoltatore; e se a questo aggiungiamo poi una pletora di ospiti che francamente poco aggiunge al tutto (si sentiva il bisogno di Maino, Cashmere o Big Noyd?), una serie di riciclaggi "da mixtape" (Keep On Calling con l'odioso Akon, Time Is Money con Styles P) ed infine un assemblaggio un po' schizofrenico dell'insieme, il risultato va a collocarsi ampiamente sotto le dovute aspettative.
Ma malgrado tutti questi difetti, che realmente penalizzano l'ascolto di Bodega Chronicles, non siamo comunque nella disastrosa situazione dei vari AZ o Kool G Rap. Tutto sommato il disco si lascia ascoltare a patto di skippare qualcosina quà e là; certo dà da pensare il fatto che ad esclusione dei pezzi "insalvabili" ve ne siano diversi musicalmente mediocri e che riescono a stare in piedi solamente grazie all'imponente talento di Ortiz. Ora, come avevo previsto un anno fa, dal rapporto con la Aftermath non è nato nulla ed il Nostro è rimasto sospeso in una specie di limbo che lo ha visto poco presente negli ultimi tempi. La mia speranza è che giunti a questo punto non perda tempo con altri mixtape (belli, per carità, ma un album è un'altra cosa) e che vada a dotarsi di un team di produttori che sappia essere al suo livello, non solo come nomi ma anche come sostanza. Nell'attesa che ciò avvenga, sto stretto di manica ed affibbio un tre e mezzo, e che il dio dei rapper panzoni mi perdoni.





Joell Ortiz - The Brick (Bodega Chronicles)

VIDEO: 125 GRAMS PT. 1 (THE BIO)

1 commento:

Antonio ha detto...

Io resto abbagliato dall'imponente talento di Ortiz e gli avrei dato 4, perche' onestamente mi fa scivolare anche le basi meno digeribili e se la piglia con gli occhiali da modello. Comunque mi ha fatto piacere che tu ti sia sbilanciato su Joell nei termini entusiastici che avrei usato io...
Ma un featuring di Mr Hyde come lo avresti visto? (haha)