Nel fine settimana testé trascorso mi è stato chiesto se potessi recensire qualcosa di Masta Ace o, meglio ancora, il disco degli EMC -cioè il gruppo composto appunto dal veterano di Brooklyn assieme a Punchline, Wordsworth ed il semiesordiente Stricklin'. Diciamo che, pur soddisfacendo la richiesta, avrei preferito che questa mi fosse giunta all'alba del loro debutto perchè oramai mi sono già formato un'opinione ben delineata e, aggiungo, non è delle più lusinghiere.
Come al solito, ciò è dovuto in parte a fatti concreti -il prodotto nella sua nudità, insomma- ed in parte da fattori terzi quali aspettativa e potenzialità inespresse. Volendo cominciare da queste ultime, mi aspettavo molto dall'album: sia liricamente che musicalmente, dato che i trascorsi di Ace e tutto sommato anche quelli di Wordsworth lasciavano ben sperare. Ovviamente, conoscendo abbastanza bene i membri, mi ero pure fatto un'idea di massima di come avrebbe potuto suonare il tutto: qualche pestone, molte cose più lente e viranti verso il soul, ed una buona dose di riflessività mista a humor. Ebbene, per quanto riguarda l'emceeing direi che grossomodo ci siamo, mentre come basi purtroppo no, almeno in parte.
Sulla carta infatti il piatto pare ricco: Ayatollah, Marco Polo, Nicolay, The ARE (K-Otix) ed un altro paio di esordienti o semisconosciuti come Frequency, Quincy Tones e J!. Insomma, non esattamente un dream team ma comunque qualcosa capace di stuzzicare gli appetiti, giusto? Giustissimo, peccato che alla fine il materiale sia mediamente scialbo, privo d'incisività e comunque fin troppo omogeneo; le poche eccezioni in cui i produttori riescono a farci uscire dal torpore sono purtroppo danneggiate dalla consueta abbondanza di skit tipica dei progetti di Masta Ace e, per l'appunto, dal brodino di soul generico che ci tocca sorbire per una buona ore e un quarto. Andiamo infatti a spiluccare la tracklist, e lasciando fuori dai conti i sette interludi ci restano 17 tracce in cui il ricorso al campionamento del soul è pressochè completo; di queste secondo me quelle che risaltano si contano sulle dita di una mano e sono Who We Be, Traffic, EMC (What It Stands For), Winds Of Change e Once More. E quel che è peggio è che non solo sono un po' poche, ma soprattutto che il loro risalto non è così accecante come l'era Beautiful sull'ultimo di Ace, semplicemente si fanno notare perchè portano uno spiraglio di luce nella monotonia data dal resto dei beat.
A Who We Be, per esempio, basta campionare per la zilionesima volta le prime due note di piano Holy Thursday di David Axelrod per guadagnare un che di classe, e per quanto l'immaginazione non sia esattamente la cifra di questa produzione del croato Koolade, è indubbio che l'atmosfera da club jazz faccia sempre la sua porca figura. Traffic, dal canto suo, gira bene perchè è uno dei pochi casi dove un taglio di campione soul che favorisce i soliti archi e delle batterie mediamente potenti non annoia -cosa rara- ed anzi si sposa alla perfezione con il tema della canzone; più facile è invece indovinare perchè EMC (What It Stand For) colpisca nel segno, ed è semplicemente perchè è un pestone ben fatto di Nicolay, che usa l'accortezza di lavorare più sul suono e la potenza di basso e batterie che non sul campione che, venendo mantenuto minimale, non da quell'impressione di sovraproduzione che risulterebbe letale data la natura vocale rilassata del quartetto. E, per finire, Winds Of Change -che vivaddio non campiona gli Scorpions- brilla per il campione di xilofono, chitarra e piano (ammetto tuttavia che lo trovo un po' melenso), mentre Once More mescola con una certa abilità boombap e sample di basso volume, per intenderci quello che soteva trovare nei dischi dei De La e dei Tribe della seconda metà degli anni '90.
Tolte queste, francamente non trovo le parole per descrivere singolarmente il resto dei beat... o meglio, le trovo anche ma non sono proprie dell'ambito musicale; mi verrebbe infatti da definirle, nella migliore delle ipotesi, mortalmente noiose e/o prevedibili. Il manierismo di certe formule che già nel 2003 non erano proprio una bomba qui diventa esiziale, come per dire il campione ripetuto ad nauseam di Leak It Out (paragonata a Heart Of The City, che usa anch'essa Bobby Bland, fa doppiamente pena) oppure, peggio ancora, l'allungo di una sezione di sample per tre misure con lo scorrimento per intero nella quarta (cfr. Say Now): una roba che funziona solo se questo è davvero particolare e, ovviamente, non è questo il caso. Ma può anche andare peggio: Git Sum ad esempio è bombastica e potrebbe andare bene per altri (all'ospite Sean Price calza difatti a pennello), ma visti gli stili rilassati e le voci abbastanza alte dei quattro appare esagerata, fuori luogo; analogamente, The Show è un tale pot-pourri di suoni che appare quasi paradossale che non riesca ad esprimere né una melodia, né una potenza, niente di niente al di fuori di una generica cacofonia.
Ma se l'album alla fin fine fallisce -perchè secondo me questo fa, andando ben oltre la semplice delusione personale- la colpa è sì principalmente dei beat ma anche di alcune scelte non esattamente felici da parte dei quattro. Tra queste annovererei prima di tutto l'abuso di ritornelli cantati dozzinali (Feel It, U Let Me Grow, Make It Better) o inserimenti esterni che -pur essendo chiaro il loro ruolo nella struttura dei pezzi- spezzano il fluire della canzone (nuovamente We Alright, Don't Give Up On Us); senza di essi molte di queste non sarebbe nemmeno tanto malvagie. A queste sviste aggiungo poi naturalmente gli skit, che stavolta sono davvero pretestuosi in quanto presentano The Show come se fosse un concept album, cosa che invece non è, e come ultima cosa in ordine d'importanza devo denunciare la prolissità del lavoro. Daje e daje, inevitabilmente viene da scremare almeno un quarto delle strofe.
Tuttavia, malgrado queste serie magagne, the Show riesce a salvarsi in corner dalle mie personali macumbe in quanto prima di tutto i quattro son bravi a rappare, non si scappa. Forse le prestazioni memorabili dei solisti non ci sono, ma nel complesso l'emceeing è valido ed apprezzo inoltre il fatto che si siano sforzati di trovare dei singoli concetti che andassero oltre la prevedibile autoincensazione. Non per ultimo, benché le canzoni presentino spesso critiche nei confronti di comportamenti derivanti dalla mercificazione dell'hip hop, resta sempre una buona dose di humor ed autocritica, specie da parte di Wordsworth e Stricklin.
Da qui a definire questa raccolta di pezzi un buon album ce ne passa, certo, e a mio modo di vedere le cose si poteva far molto di meglio; ma se proprio siete in crisi d'astinenza da Masta Ace e comunque avete voglia di sentire qualche canzone carina, in attesa di Arts & Entertainment provate a dare un ascolto a questo The Show. Come diceva quello: meglio di niente.
EMC - The Show
VIDEO: EMC (WHAT IT STAND FOR)
Come al solito, ciò è dovuto in parte a fatti concreti -il prodotto nella sua nudità, insomma- ed in parte da fattori terzi quali aspettativa e potenzialità inespresse. Volendo cominciare da queste ultime, mi aspettavo molto dall'album: sia liricamente che musicalmente, dato che i trascorsi di Ace e tutto sommato anche quelli di Wordsworth lasciavano ben sperare. Ovviamente, conoscendo abbastanza bene i membri, mi ero pure fatto un'idea di massima di come avrebbe potuto suonare il tutto: qualche pestone, molte cose più lente e viranti verso il soul, ed una buona dose di riflessività mista a humor. Ebbene, per quanto riguarda l'emceeing direi che grossomodo ci siamo, mentre come basi purtroppo no, almeno in parte.
Sulla carta infatti il piatto pare ricco: Ayatollah, Marco Polo, Nicolay, The ARE (K-Otix) ed un altro paio di esordienti o semisconosciuti come Frequency, Quincy Tones e J!. Insomma, non esattamente un dream team ma comunque qualcosa capace di stuzzicare gli appetiti, giusto? Giustissimo, peccato che alla fine il materiale sia mediamente scialbo, privo d'incisività e comunque fin troppo omogeneo; le poche eccezioni in cui i produttori riescono a farci uscire dal torpore sono purtroppo danneggiate dalla consueta abbondanza di skit tipica dei progetti di Masta Ace e, per l'appunto, dal brodino di soul generico che ci tocca sorbire per una buona ore e un quarto. Andiamo infatti a spiluccare la tracklist, e lasciando fuori dai conti i sette interludi ci restano 17 tracce in cui il ricorso al campionamento del soul è pressochè completo; di queste secondo me quelle che risaltano si contano sulle dita di una mano e sono Who We Be, Traffic, EMC (What It Stands For), Winds Of Change e Once More. E quel che è peggio è che non solo sono un po' poche, ma soprattutto che il loro risalto non è così accecante come l'era Beautiful sull'ultimo di Ace, semplicemente si fanno notare perchè portano uno spiraglio di luce nella monotonia data dal resto dei beat.
A Who We Be, per esempio, basta campionare per la zilionesima volta le prime due note di piano Holy Thursday di David Axelrod per guadagnare un che di classe, e per quanto l'immaginazione non sia esattamente la cifra di questa produzione del croato Koolade, è indubbio che l'atmosfera da club jazz faccia sempre la sua porca figura. Traffic, dal canto suo, gira bene perchè è uno dei pochi casi dove un taglio di campione soul che favorisce i soliti archi e delle batterie mediamente potenti non annoia -cosa rara- ed anzi si sposa alla perfezione con il tema della canzone; più facile è invece indovinare perchè EMC (What It Stand For) colpisca nel segno, ed è semplicemente perchè è un pestone ben fatto di Nicolay, che usa l'accortezza di lavorare più sul suono e la potenza di basso e batterie che non sul campione che, venendo mantenuto minimale, non da quell'impressione di sovraproduzione che risulterebbe letale data la natura vocale rilassata del quartetto. E, per finire, Winds Of Change -che vivaddio non campiona gli Scorpions- brilla per il campione di xilofono, chitarra e piano (ammetto tuttavia che lo trovo un po' melenso), mentre Once More mescola con una certa abilità boombap e sample di basso volume, per intenderci quello che soteva trovare nei dischi dei De La e dei Tribe della seconda metà degli anni '90.
Tolte queste, francamente non trovo le parole per descrivere singolarmente il resto dei beat... o meglio, le trovo anche ma non sono proprie dell'ambito musicale; mi verrebbe infatti da definirle, nella migliore delle ipotesi, mortalmente noiose e/o prevedibili. Il manierismo di certe formule che già nel 2003 non erano proprio una bomba qui diventa esiziale, come per dire il campione ripetuto ad nauseam di Leak It Out (paragonata a Heart Of The City, che usa anch'essa Bobby Bland, fa doppiamente pena) oppure, peggio ancora, l'allungo di una sezione di sample per tre misure con lo scorrimento per intero nella quarta (cfr. Say Now): una roba che funziona solo se questo è davvero particolare e, ovviamente, non è questo il caso. Ma può anche andare peggio: Git Sum ad esempio è bombastica e potrebbe andare bene per altri (all'ospite Sean Price calza difatti a pennello), ma visti gli stili rilassati e le voci abbastanza alte dei quattro appare esagerata, fuori luogo; analogamente, The Show è un tale pot-pourri di suoni che appare quasi paradossale che non riesca ad esprimere né una melodia, né una potenza, niente di niente al di fuori di una generica cacofonia.
Ma se l'album alla fin fine fallisce -perchè secondo me questo fa, andando ben oltre la semplice delusione personale- la colpa è sì principalmente dei beat ma anche di alcune scelte non esattamente felici da parte dei quattro. Tra queste annovererei prima di tutto l'abuso di ritornelli cantati dozzinali (Feel It, U Let Me Grow, Make It Better) o inserimenti esterni che -pur essendo chiaro il loro ruolo nella struttura dei pezzi- spezzano il fluire della canzone (nuovamente We Alright, Don't Give Up On Us); senza di essi molte di queste non sarebbe nemmeno tanto malvagie. A queste sviste aggiungo poi naturalmente gli skit, che stavolta sono davvero pretestuosi in quanto presentano The Show come se fosse un concept album, cosa che invece non è, e come ultima cosa in ordine d'importanza devo denunciare la prolissità del lavoro. Daje e daje, inevitabilmente viene da scremare almeno un quarto delle strofe.
Tuttavia, malgrado queste serie magagne, the Show riesce a salvarsi in corner dalle mie personali macumbe in quanto prima di tutto i quattro son bravi a rappare, non si scappa. Forse le prestazioni memorabili dei solisti non ci sono, ma nel complesso l'emceeing è valido ed apprezzo inoltre il fatto che si siano sforzati di trovare dei singoli concetti che andassero oltre la prevedibile autoincensazione. Non per ultimo, benché le canzoni presentino spesso critiche nei confronti di comportamenti derivanti dalla mercificazione dell'hip hop, resta sempre una buona dose di humor ed autocritica, specie da parte di Wordsworth e Stricklin.
Da qui a definire questa raccolta di pezzi un buon album ce ne passa, certo, e a mio modo di vedere le cose si poteva far molto di meglio; ma se proprio siete in crisi d'astinenza da Masta Ace e comunque avete voglia di sentire qualche canzone carina, in attesa di Arts & Entertainment provate a dare un ascolto a questo The Show. Come diceva quello: meglio di niente.
EMC - The Show
VIDEO: EMC (WHAT IT STAND FOR)
18 commenti:
Inizialmente questo disco mi entusiasmò in parte, ma dopo poco tempo è stato riposto nel porta-CD, tirato fuori giusto per EMC (What It Stand For) che è l'unica vera bomba del disco a mio parere.
Che dire, i difetti che pesano di più sono l'effetto lassativo di molti beat e sti cazzo di hook (che tra l'altro mi hanno fatto "crollare" pure Survival Skills).
Una domanda secca: Disposable Arts o A long Hot Summer?
Come mak, anche io inizialmente fui stupito particolarmente dal disco, ma mano mano, mi son accorto che ascoltavo praticamente le stesse 5,6 canzoni.
Comuqnue un ottimo album, per quanto mi riguarda.
"Ma se proprio siete in crisi d'astinenza da Masta Ace e comunque avete voglia di sentire qualche canzone carina, in attesa di Arts & Entertainment provate a dare un ascolto a questo The Show. Come diceva quello: meglio di niente."
Ecco hai colpito nel segno: purtroppo mi trovo d'accordo con te. Io ero in super-astinenza da M.A. e questo disco, in parte, mi ha deluso. Gli EMc, di per sé, sanno fare il loro lavoro, intendiamoci! Ma, come hai detto tu, la maggioranza dei beat è di un piattume veramente inaspettato, visto che Masta di solito nella scelta dei beat non delude (almeno non me). Un beat che mi piace che non hai citato, anche se non esprime certo il massimo delle sue potenzialità, è quello di Ayatollah (The Grudge).
Forse avrei dato un mezzo punto in più, ma credo che sarebbe stato per un grupismo irresistibile nei confronti di Masta.
Spero vivamente che si rifaccia in coppia con Edo G.
Il problema dei beat, ultimamente, sta diventando per me davvero pesante. La maggior parte dei dischi che escono mi deludono soprattutto su questo versante.
PS: aspetto, con calma, anche una recensione più gratificante per Masta! ;)
@Mak: Long Hot Summer senza dubbio
@Riccardo: potrei anche, mo' vedo se non c'è altro che titilli la mia voglia di scrivere. Comunque io 'sto album l'ho riascoltato stamattina col walkman giusto per rinfrescarmi la memoria dopo un anno e qualcosa, roba che al confronto gli Special Teamz sono in heavy rotation
A proposito: Special Teamz con EdOG, EMC con Ace... io SPERO che E&A (o A&E?) non veda unire i loro aspetti peggiori, sulla carta la roba funziona ma confesso di non averlo messo in preordine perchè non mi fido.
Comunque uscita ulteriormente posticipata, pare, leggevo su HipHopGame l'altro giorno
A&E promette bene, ma non faccio più pre-order da tempo immemore. Al giorno d'oggi anche se esce l'album di gesù cristo e la madonna non mi fido. A&E comunque è già in lizza per la cover più oscena, se verrà confermata quella che sta inquietando la rete attualmente.
qual'e'il tuo album preferito di masta ace?
djmp45
Quello che preferisco in base a gusti strettamente personali oppure quello più rilevante da un punto di vista storico?
Visto che per me non combaciano, nel primo caso è LHS, mentre nel secondo ovviamente Take A Look Around.
Slaughtahouse e Sittin' On Chrome mi fanno indicibilmente cagare, il primo mai avuto e solo ascoltato in tempi di Napster, mentre il secondo l'ho usato per anni come supporto di separazione tra file diverse di CD. Copiando da un amico le facevo così:
1. strato di cartone
2. CD messo di piatto
3. strato di cartone
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[=======] [=======]
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Questo per dire quanto mi piaceva: a fare da separatore c'erano solo le cose più infime come Skee Lo o Marky Mark e Prince Ital Joe.
L'ho perso più di dieci anni fa e da quel giorno sto meglio
D'accordo con Mak, comunque, A&E mi fa tornare alle gloriose cover dei primi anni '90 di Leone Di Lernia. Credo sarà uno dei pochi CD dove una custodia da Cd-R avrebbe fatto meno danni
"Slaughtahouse e Sittin' On Chrome mi fanno indicibilmente cagare" bestemmie!!!
djmp45
Ti piaceranno mica!
http://www.youtube.com/watch?v=4DYHtjnIAls
scusa ma non puoi non beccarti sto video di chino xl che ho scovato su youtube durante il cazzeggio. incredibile
ck
anche a me sittin' on chrome non piace...però sloughtahouse decisamente si! anche se ammetto di preferire il masta ace di disposable arts o a long hot summer.
come fa a piacerti enta da stage o illmatic e non piacerti slaughterhouse?
djmp45
Ma, no, ok che il periodo è quello ma Enta Da Stage con una scorreggia polverizza Slaughtahouse
Anche se è monotono, pure il secondo dei Das EFX lo doppia
ma dici relativamente ai beat (che effettivamente mi esaltano solo parzialmente), vero?! dire che i das efx polverizzano ace a livello di mc-ing la trovo una bestemmia (anche andando al di là del mio groupismo ;)).
Slaughtahouse e Sittin' On Chrome sono due classici concept album
djmp45
No mi riferivo prettamente ai beat
Ah ok, allora, pur non condividendo, capisco.
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