lunedì 5 gennaio 2009

VAKILL - THE DARKEST CLOUD (Molemen Rec., 2003)

Ricordo che quando The Darkest Cloud uscì nei negozi (uhm, diciamo su Soulseek), la piccola comunità reppusa milanese -che all'epoca frequentavo- era scissa tra coloro che idolatravano il disco e quelli che nemmeno l'avevano mai sentito nominare o lo bollavano come l'ennesima sòla proveniente da una scena underground non esattamente entusiasmante (e poi era il periodo di Get Rich Or Die Tryin'). Io ovviamente propendevo più per la prima opzione, e per quanto all'epoca non è che divorassi album a cura di battle rapper, quello di Vakill aveva certamente un pregio: quello di essere completamente prodotto dal trio dei Molemen, dei quali ho sempre apprezzato il gusto nella scelta dei campioni (sia come melodia che come atmosfera) e l'approccio genuinamente classico.
In effetti, a distanza di cinque anni reputo Darkest Cloud come una di quelle opere meglio invecchiate e, in maniera abbastanza analoga a ciò che è successo a Here To Save You All di Chino XL, esso è stato capace di "bruciare" completamente un pur discreto sequel; se ciò gli è riuscito non è naturalmente solo per questioni legate alla novità o alla effettiva qualità finale, ma anche perchè in mezzo a tonnellate di one-liners quà e là si riescono a trovare tracce dal senso compiuto che, seppur "isolate", spezzano l'eventuale monotonia creata dal Nostro.
E parlo di monotonia perchè Vakill è sì tecnicamente bravo, ma non è STRAORDINARIO; la sua voce -simile oltre ogni ragionevolezza a quella di Ras Kass- viene usata senza grande inventiva come puro e semplice mezzo attraverso il quale far giungere a noi il piatto forte del menu, ovverosia le punchlines. Peccato però che queste si perdano nel flusso costante e serratissimo (onestamente alle volte lo è fin troppo) del Nostro, il quale pressoché mai cambia tono o inserisce pause ad effetto per sottolineare un'uscita o semplicemente spezzare il ritmo; e basti pensare a quanto questi pur banali trucchetti invece giovino all'ascolto di pezzi concettualmente leggeri come quelli di un Sean Price per capire che c'è un problema. Problema, questo, che viene ulteriormente rimarcato ogni qualvolta il beat e la melodia finiscono con lo stridere con un simile stile: prendete ad esempio Forever e noterete come base e liriche viaggino su due strade parallele che MAI s'intersecano, il tutto a scapito della godibilità che invece si sente appieno con una Sickplicity o una Sweetest Way To Die. In più -e qui chiudo il Vakill-bashing- ci sono momenti in cui 'Kill non riesce ad essere brillante come vorrebbe: o perchè a metà traccia si rompe le palle di essere concettuale e scivola nell'ennesimo abuso di one-liners (The Creed), oppure perchè se ne esce con cagate come "Wife's an acronym for wash, iron, fuck et cetera".
Ma non tutto è da mettere in croce: bisogna ammettere innanzitutto che il più delle volte le trovate che ha il Nostro sono delle autentiche perle costruite su solide fondamenta di humor, inventiva ed assonanze; senza star qui a elencarle tutte, per darvi un'idea vi cito solamente "Competition is like parking spots, good ones' hard to find/ And everything else is handicapped" e "Call my style 'c-section' cause I'm a cut above you pussies". Inoltre 'Kill non è affatto malvagio né come storyteller -vedi l'ottima Fallen, in cui lui e Slug riprendono i ruoli di Samuel L. Jackson e Kevin Spacey per proporre una versione reppusa de Il Negoziatore- né come autobiografo (Til The World Blows Up e The Flyer, ambedue sincere ed appassionate pur non risultando melense o impostate). Certo, siamo a diverse spanne di distanza dai maestri del genere, ma al Nostro va concesso che sa intrattenere molto meglio di diversi suoi colleghi e che la sua arroganza risulta comunque apprezzabile nel momento in cui dietro ad essa si trova molta fantasia e competenza; Sickplicity, End Of Days e la posse cut Forbidden Scriptures sono lì a testimoniarlo.
Quanto ai beat, devo dire che qui His-Panik e Memo (ma soprattutto il primo) fanno un ottimo lavoro, restando sì sui binari del good ole boombap scegliendo talvolta campioni non scontati (ad esempio arpeggi di chitarra elettrica, oppure qualche roba ottantona), ma principalmente curando molto l'aspetto melodico ed affidandolo in maggior parte ad archi di vario genere. Certamente ci sono escursioni nel funk o nel soul più evidente (Sweetest Day To Die, Dear Life), peraltro validissime, ma la cupezza fa da padrona a Darkest Cloud nella maniera più assoluta: che sia l'Orfeo Negro di Fallen piuttosto che i clavicembali di End Of Days, non sperate di trovare da nessuna parte qualcosa che si discosti di più di un passo dal cosid. hardcore. Una scelta, questa, che ben si sposa col tipo di MC che è Vakill, e che francamente non vedo come potrebbe deludere i fan del genere; casomai, questo sì, l'originalità va a farsi benedire ma questa non sempre è essenziale e forse avrebbe avuto poco senso sentire battleraps come questi su robe storte à la Madlib.
Conclusione? Bello, sì, ma solo per aficionados. Gli altri -vuoi per carenze di comprensioni o semplicemente gusti tout court- dubito che potranno trovare in Darkest Cloud qualcosa di particolarmente esaltante salvo, forse, due o tre tracce.




Vakill - The Darkest Cloud

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