Se davvero esiste una corrente filosofica che si confa pienamente al rap, allora questa deve per forza essere l'empirismo; perchè niente, davvero niente riesce ad essere più utile ai fini del riconoscimento della realtà come l'esperienza pratica. Grazie ad essa, ad esempio, oramai so che le probabilità che Nas faccia un album qualitativamente completo sono pressoché nulle, so che i Roots difficilmente piscieranno fuori dalla tazza e, infine, so che EdO.G non accenderà mai il microfono a meno che non abbia qualcosa di concreto da comunicare.
Ma questa certezza ce l'ho solo oggi, dicasi a 9 anni cicrca di distanza dal suo ritorno ufficiale sulla scena con The Truth Hurts. Au contraire, nel 2000/2001 nemmeno sapevo concretamente chi fosse; il nome qualcosa mi diceva ma lo associavo più ai Kreators che non ai suoi trascorsi di veterano della scena bostoniana. Ma poco male: mi fidavo di quanto sentito fino a quel momento e, sapendo che alle macchine c'erano Premier, Pete Rock e Nottz, reputavo che la mia fiducia fosse ben riposta. Facevo bene?
La risposta è "nì". Tanto per sgomberare il campo da ogni sorta di dubbio vi suggerirei innanzitutto di leggere le recensioni degli altri dischi di Edoardo da me scritte finora: da esse capirete che se c'è una cosa di cui mi si può accusare è di favoritismi verso questo bostoniano (cosa di cui del resto non mi vergogno affatto). Tuttavia non posso scordarmi dello scorno provato nell'ascoltare The Truth Hurts per la prima volta; scorno dovuto principalmente al fatto che mi sarei aspettato qualcosa di più non tanto dall'MC quanto dalle produzioni. Ma con gli anni che sono trascorsi ho anche saputo ricalibrare certe spigolsità dei miei gusti e dunque dei miei giudizi, per cui, pur mantenendo comunque l'opinione che Truth Hurts avrebbe potuto essere realizzato meglio, non posso pensare che si tratti di una cacata. In nessun modo.
In fondo, il suo maggior difetto rispetto ai lavori che l'avrebbero seguito è che sembra più un insieme di singoli che non un album. Dentro c'è molto di EdO.G ma non la sua capacità di creare un filo conduttore tra un pezzo e l'altro (cosa che si nota anche nell'abbondare di featuring); senza poi menzionare il fatto che almeno quattro tracce sono francamente bruttine, ça va sans dire. Comunque sia, per dare un'idea del prodotto, vediamo cosa bolle in pentola: 14 canzoni, produzioni di Nottz, Primo, Pete Rock, DJ Spinna ed un tot di concittadini di Edoardo (D-Tension su tutti) sulle quali vanno a dar prova di sè diversi ospiti nient'affatto malvagi, quali Black Thought, Tajai e Casual, Free (la zoccola ex affiliata dei Fugees) e Guru.
Un roster di tutto rispetto, questo, che dimostra come Ed goda quantomeno di un certo rispetto. Infatti sia Primo che soprattutto Pietrino Roccia gli fanno dono di due bei beat (con la melancolica Situations che svetta sulla pur valida Sayin' Somethin) che il Nostro fa letteralmente a pezzi, visto il rimarchevole carisma e l'ottima fusione tra mentalità da strada ed autocoscienza di cui è dotato; in costante oscillazione tra introspezione ed accusa, tracce come Situations, Understand e Too Much To Live Fo' o rientrano a pieno titolo tra la crème de la crème della sua produzione. Sintesi, onestà e chiarezza rendono le sue affermazioni credibili ed interessanti anche quando vanno a toccare argomenti in sè e per sè stranoti (poverta nei ghetti, il cosid. grindin', il rapporto col gentil sesso eccetera eccetera).
E se a fare da contrappeso alla caratura delle sue liriche si trovano beat di qualità, beh, allora è fatta: il loop di piano di Situations si fonde col basso denso e corposo creato da Pietrino per diventare la base migliore dell'album; il tipico taglio di Primo dona energia ad un campione altrimenti non originalissimo in Sayin' Somethin', mentre charleston e campanelle fanno di Understand un altro pezzo assolutamente memorabile. Più standard l'apporto di un Nottz in piena epoca orchestrale (quando cioè faceva i beat identici l'uno con l'altro, vedi le robe di Krumb Snatcha) mentre pare che Spinna per l'occasione si fosse scordato della sua altrimenti incontestabile bravura; ma in assoluto la palma di ciofeca non può che andare a pari merito a due porcherie à la Ruff Ryderz come On Dogz e Last Word, quest'ultima oltretutto penalizzata da un ritornello che definire "idiota" sarebbe lusinghiero. Il resto del lato musicale rientra poi in una sonnacchiosa pigrizia creativa, che se da un lato non fa grossi danni nemmeno riesce a fare da "collante" tra le cose migliori e, più grave ancora, fa sì che certi ottimi interventi (come quello di Black Thought) perdano un po' di forza.
Insomma, fermo restando che The Truth Hurts non è affatto un cattivo lavoro, appare oggi evidente di come per EdO.G si tratti di una sorta di reintroduzione nel mondo dell'hip hop contemporaneo; forse non ancora ben indirizzato sulla strada da prendere, il Nostro ha tastato un po' percorsi e mentre alcuni di essi si sono rivelati vincenti, altri si sono chiaramente trasformati in canzoncine che lasciano il tempo che trovano. Un errore, questo, che dipende sì da molti dei beatmaker che non si sono spremuti troppo le meningi nel momento di accendere l'Akai, ma che in ultima analisi vede come responsabile ultimo il Nostro -visto che, banalmente, le basi se le è scelte lui. In ogni caso siamo sempre nell'ambito dei tre zainetti/tre e mezzo; dovendo scegliere a questo punto cosa dargli, direi che ci andrò stretto di manica sia perché ricordo bene le sensazioni del primo ascolto (e per me contano), sia perchè nei successivi Wishful Thinking e My Own Worst Enemy ha saputo dimostrare chiaramente di cos'è davvero capace.
EdO.G - The Truth Hurts
Ma questa certezza ce l'ho solo oggi, dicasi a 9 anni cicrca di distanza dal suo ritorno ufficiale sulla scena con The Truth Hurts. Au contraire, nel 2000/2001 nemmeno sapevo concretamente chi fosse; il nome qualcosa mi diceva ma lo associavo più ai Kreators che non ai suoi trascorsi di veterano della scena bostoniana. Ma poco male: mi fidavo di quanto sentito fino a quel momento e, sapendo che alle macchine c'erano Premier, Pete Rock e Nottz, reputavo che la mia fiducia fosse ben riposta. Facevo bene?
La risposta è "nì". Tanto per sgomberare il campo da ogni sorta di dubbio vi suggerirei innanzitutto di leggere le recensioni degli altri dischi di Edoardo da me scritte finora: da esse capirete che se c'è una cosa di cui mi si può accusare è di favoritismi verso questo bostoniano (cosa di cui del resto non mi vergogno affatto). Tuttavia non posso scordarmi dello scorno provato nell'ascoltare The Truth Hurts per la prima volta; scorno dovuto principalmente al fatto che mi sarei aspettato qualcosa di più non tanto dall'MC quanto dalle produzioni. Ma con gli anni che sono trascorsi ho anche saputo ricalibrare certe spigolsità dei miei gusti e dunque dei miei giudizi, per cui, pur mantenendo comunque l'opinione che Truth Hurts avrebbe potuto essere realizzato meglio, non posso pensare che si tratti di una cacata. In nessun modo.
In fondo, il suo maggior difetto rispetto ai lavori che l'avrebbero seguito è che sembra più un insieme di singoli che non un album. Dentro c'è molto di EdO.G ma non la sua capacità di creare un filo conduttore tra un pezzo e l'altro (cosa che si nota anche nell'abbondare di featuring); senza poi menzionare il fatto che almeno quattro tracce sono francamente bruttine, ça va sans dire. Comunque sia, per dare un'idea del prodotto, vediamo cosa bolle in pentola: 14 canzoni, produzioni di Nottz, Primo, Pete Rock, DJ Spinna ed un tot di concittadini di Edoardo (D-Tension su tutti) sulle quali vanno a dar prova di sè diversi ospiti nient'affatto malvagi, quali Black Thought, Tajai e Casual, Free (la zoccola ex affiliata dei Fugees) e Guru.
Un roster di tutto rispetto, questo, che dimostra come Ed goda quantomeno di un certo rispetto. Infatti sia Primo che soprattutto Pietrino Roccia gli fanno dono di due bei beat (con la melancolica Situations che svetta sulla pur valida Sayin' Somethin) che il Nostro fa letteralmente a pezzi, visto il rimarchevole carisma e l'ottima fusione tra mentalità da strada ed autocoscienza di cui è dotato; in costante oscillazione tra introspezione ed accusa, tracce come Situations, Understand e Too Much To Live Fo' o rientrano a pieno titolo tra la crème de la crème della sua produzione. Sintesi, onestà e chiarezza rendono le sue affermazioni credibili ed interessanti anche quando vanno a toccare argomenti in sè e per sè stranoti (poverta nei ghetti, il cosid. grindin', il rapporto col gentil sesso eccetera eccetera).
E se a fare da contrappeso alla caratura delle sue liriche si trovano beat di qualità, beh, allora è fatta: il loop di piano di Situations si fonde col basso denso e corposo creato da Pietrino per diventare la base migliore dell'album; il tipico taglio di Primo dona energia ad un campione altrimenti non originalissimo in Sayin' Somethin', mentre charleston e campanelle fanno di Understand un altro pezzo assolutamente memorabile. Più standard l'apporto di un Nottz in piena epoca orchestrale (quando cioè faceva i beat identici l'uno con l'altro, vedi le robe di Krumb Snatcha) mentre pare che Spinna per l'occasione si fosse scordato della sua altrimenti incontestabile bravura; ma in assoluto la palma di ciofeca non può che andare a pari merito a due porcherie à la Ruff Ryderz come On Dogz e Last Word, quest'ultima oltretutto penalizzata da un ritornello che definire "idiota" sarebbe lusinghiero. Il resto del lato musicale rientra poi in una sonnacchiosa pigrizia creativa, che se da un lato non fa grossi danni nemmeno riesce a fare da "collante" tra le cose migliori e, più grave ancora, fa sì che certi ottimi interventi (come quello di Black Thought) perdano un po' di forza.
Insomma, fermo restando che The Truth Hurts non è affatto un cattivo lavoro, appare oggi evidente di come per EdO.G si tratti di una sorta di reintroduzione nel mondo dell'hip hop contemporaneo; forse non ancora ben indirizzato sulla strada da prendere, il Nostro ha tastato un po' percorsi e mentre alcuni di essi si sono rivelati vincenti, altri si sono chiaramente trasformati in canzoncine che lasciano il tempo che trovano. Un errore, questo, che dipende sì da molti dei beatmaker che non si sono spremuti troppo le meningi nel momento di accendere l'Akai, ma che in ultima analisi vede come responsabile ultimo il Nostro -visto che, banalmente, le basi se le è scelte lui. In ogni caso siamo sempre nell'ambito dei tre zainetti/tre e mezzo; dovendo scegliere a questo punto cosa dargli, direi che ci andrò stretto di manica sia perché ricordo bene le sensazioni del primo ascolto (e per me contano), sia perchè nei successivi Wishful Thinking e My Own Worst Enemy ha saputo dimostrare chiaramente di cos'è davvero capace.
EdO.G - The Truth Hurts
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