lunedì 5 maggio 2008

J. RAWLS - THE ESSENCE OF J. RAWLS (Groove Attack, 2001)

Nel booklet del suo primo lavoro puramente strumentale, il Liquid Crystal Project, J Rawls così si pronuncia a riguardo della fusione tra jazz e hip hop: "For a long time, I have had this vision of a different type of jazz and hip hop fusion. I like to call this version, Jazz-Hop, because it is jazzy with all the elemnts of hip hop inside it. It's most evident in the drums! The boombap of hip hop from [form? NdR] is present; the smoothness of jazz is present. Put those two together and it's so right!". Refusi a parte, e pur non volendo recensire il disco da cui ho tratto queste parole, questo manifesto si può ritenere valido per tutti i lavori del produttore di Columbus, Ohio: dal disco d'esordio dei Lone Catalysts alle (rare) ospitate sugli album altrui, fino ad arrivare finalmente a questa sua "personale".
Ora, prima di parlare direttamente di The Essence, vorrei spendere un paio di parole sul Nostro: pur non essendo certamente il pioniere della fusione tra jazz e hip hop, ad oggi è lui quello che secondo me meglio la incarna. Non me ne vogliano gli altri produttori che occasionalmente ne fanno uso, ma come Rawls al momento non ce n'è. E questo principalmente perchè TUTTA la sua produzione è costellata di episodi di jazz, non solo alcuni episodi; e poi, naturalmente, perchè lui effettivamente riesce a fondere ottimamente i due elementi -al contrario di quello che è invece avvenuto per Jazzmatazz 4.
Detto questo, arriviamo al disco vero e proprio partendo dal motore di tutta l'operazione, e cioè J Rawls. Descriverlo come produttore non è facile, ma si potrebbe cominciare col dire che i suoi riferimenti sono ovvi: oltre ai classici Pete Rock e (tirato tirato Premier), ci sono senz'altro Ali Shaheed Muhammad, Jazzy Jeff e l'Hi-Tek dei Mood (infatti, Brown Skin Lady di Mos Def e Kweli è sua). Per il resto, per quanto non si possa definire un innovatore stilistico, non penso che ci siano molti altri dai quali possa aver adottato particolari elementi. Adesso, dopo aver dato una prima illuminata a quello che l'ignaro ascoltatore può aspettarsi da questo album, passo direttamente ad elencare i tratti caratteristici della sua arte compositoria: il jazz che preferisce naviga senz'altro tra il cool e la fusion, senza naturalmente disdegnare qualche excursus nei suoni più classici ed il swing (e, si capisce, il soul non manca). I loop sono spesso brevi e ripetuti ad libitum senza grandi variazioni o effetti speciali, per cui non vi aspettate grandi assoli di sax o chissà che altro. L'unico elemento che va ad aggiungersi a questi, oltre naturalmente all'MC di turno, sono le batterie, le quali variano parecchio nella programmazione (un po' meno dei suoni) e si contraddistinguono per avere un suono molto pulito e distinto, che le fa risaltare sia rispetto al campione che alle linee di basso. Un approccio classico ma realizzato molto bene, che ne decreta la bontà specie se si considera il fatto che probabilmente il mixaggio non è stato fatto ai Quad Studios. Riassumendo, quindi, nel momento in cui dovesse piacere l'idea di base, sarà difficile restare delusi dal lavoro svolto da Rawls e nemmeno lo si potrà accusare di incapacità, vuoi anche solo occasionale.
Questo non vuol dire che non vi siano tracce più ispirate rispetto ad altre, purtroppo, ed alle volte si nota se il pezzo è stato messo insieme col pilota automatico innestato: è il caso della premierosa Check the Clock, della banalotta Far Away o della monotona Elegy. Al contrario, quando Rawls si mette di buona lena, possono uscire cose pregiate come Superhero (semplicissima ma con un loop di basso e delle batterie ineccepibili), le evocative Birds Of A Feather e Meniscus, oppure ancora le ottime Cold Turkey e Nommo -senza contare la double-threat Blue#2, presentata sia come pezzo vero e proprio che come strumentale "modificata" dall'aggiunta di una linea di sax a cura di Charles Cooper (ammetto che secondo me quest'ultima fa un po' tanto musica da soft porno anni '90, ma glissiamo).
Naturalmente, a decretare il successo (o l'insuccesso) di una specifica traccia ci pensa in buona parte l'MC, e questo vale naturalmente anche qui. Comincio col dire che la scelta degli ospiti, per quanto un po' scontata, in ultima analisi funziona. Vincono e convincono i Mass Influence, il P.I.C. J Sands, il sempre affidabile J-Live (peccato però per il beat, non dei migliori), Home Skill (o Homeskillit, mai capito), Asheru e, infine, DoseOne. Chi invece andrebbe abbattutto a martellate sulle corde vocali è Rubix (uno stile isterico a metà tra Scatman John e l'omino coi baffi delle Micromachines che parlava veloce -pessimo); Capital D noiosetto; Grap Luva viene schiacciato dal beat; e, infine, J Rawls stesso, che rappa come se fossimo nell'86 riuscendo ad imitare le parti più fastidiose dello stile di Slick Rick -cantilenare ogni singola parola- pur scegliendo di usare una metrica cialtrona che francamente faccio fatica a definire. Ecco, se proprio un pezzo de mmerda in questo disco esiste, è senz'altro la sua genuinamente raccapricciante They Can't See Me, nella quale -non pago della sua miserabile prestazione di cui spra- oltretutto ha anche l'ardire di chiamare un po' di gente per delle "additional vocals" delle quali francamente si poteva fare a meno.
Volendo giungere alle conclusioni, posso dire che i cinque zainetti non se li merita innanzitutto per via della sopracitata formidabile cacata ma poi perchè, in fondo, non "innova" nulla ma si limita a fare un generalmente ottimo lavoro. Poco male, direte voi, restano i quattro e mezzo. Ennò, perchè le prestazioni degli MC sono generalmente buone ma in quanto a tematiche siamo un po' leggerini o quantomeno inconsistenti. Last but not least, i beat sono belli ma non siamo all'omogeneità di ficaggine assoluta che hanno altri dischi: senza voler scomodare i classici, basti dire che il disco di Pete Rock e gli InI questo se lo magna come e quando vuole. Pertanto, per quanto incominci a stancarmi di distribuire quattro zainetti come se fossero caramlle di fronte ad un asilo belga, il giudizio non può che essere questo: un gran bel disco che però non solo non innova, ma nemmeno è perfetto nel suo genere.





J. Rawls - The Essence Of J. Rawls

VIDEO: GREAT LIVE CAPER

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