"So when you hear me speak, and the things I say... I'm speaking to my people! I'm holding them accountable 'cause they're the ones that have to fix their situation -I'm not going to speak to no record label! Everybody keeps coming at me on the message boards saying "oh... well, you know, the real villain is the corporations that use these kids to" - NO! They're not the real villain, because there has to be some accountability! You have to have some self accountability. You have to say to yourself: "What am I going to do that's right for me, man? When am I going to take ownership for what I do, to me and my people? When I do that?". And when you do that, when the black man do that, when the black woman do that, our change will be so sudden that your head would snap."
Questo è solo un esempio, secondo la mia modesta opinione il più interessante, della Weltanschauung di NY Oil: senza accettare le proprie responsabilità si cessa di pensare, e cessando di pensare si degrada e si danneggia non solo la propria persona ma anche tutti coloro che ad essa sono direttamente o indirettamente collegati. Noialtri medioborghesi italiani possiamo trovare conferma della validità di questo ragionamento ovunque -il più clamoroso sta nella politica, certo, ma anche nelle nostre quotidiane ipocrisie (perlomeno le mie)- ma di certo le nostre situazioni sono difficilmente paragonabili a quelle di qualsiasi minoranza soggiogata ora economicamente, ora razzialmente, ora socialmente.
Tra gli afroamericani, poi, questo problema e le sue implicazioni sono state affrontate di petto più volte nel corso del XX secolo: prima con Booker T. Washington e W.E.B. Du Bois, poi con Marcus Garvey, poi ancora con la Nation Of Islam e Malcolm X, per proseguire con i movimenti per i diritti civili degli anni '60 (il SCLC di Martin Luther King ed il SNCC sotto Stokely Carmichael) e più recentemente con i discussi Jesse Jackson e Louis Farrakhan. Trattandosi in tutti i casi di organizzazioni o pensatori che tendevano ad abbracciare tutti gli aspetti della segregazione era inevitabile che a fianco di questi movimenti politici si sviluppasse parallelamente il versante artistico, che verso la fine degli anni '80 riuscì addirittura a diventarne l'amplificatore più efficace nel mondo; sto parlando naturalmente dei vari Spike Lee, Public Enemy o il primo Ice Cube -tanto per citare i più noti. Ma dopo di essi vi fu almeno un decennio di silenzio mediatico e solo recentemente i più attenti hanno potuto notare una crescita di impegno sociopolitico e critica al sistema americano; tuttavia, ciò è ancora limitato all'underground (tant'è vero che, in ambito mainstream, un'osservazione fondamentalmente ovvia come "George Bush don't care about black people" è parso radicale quanto un "Black power"), dove a partire da Immortal Technique per giungere al redivivo Wise Intelligent si sono visti vieppiù dischi testimoniare delle prese di coscienza ben definite ed incompromettibili che finalmente sono state di nuovo prese in seria considerazione. Ebbene, a queste persone va ora ad aggiungersi NY Oil, già ignoto al pubblico agli inizi degli anni '90 come Kool Kim, esploso mediaticamente nel 2004 grazie ad una canzone ed un video: Y'All Should All Get Lynched, in cui si accusavano tutta una serie di noti rapper di essere dei giullari di corte, dei traditori della propria gente e dunque meritevoli di essere linciati.
Vuoi anche per la rapida censura del tutto da parte di Youtube, sta di fatto che il pezzo fece molto discutere di sè ed aprì la strada ad un aperto confronto che vede(va) diversi personaggi venire accusati di "coonery", "minstrelsy" ed altri termini che definiscono il nero che si copre volontariamente di ridicolo per compiacere i propri padroni bianchi, gettando così nel fango non solo la propria dignità bensì anche quella del proprio popolo. Una posizione facilmente tacciabile di moralismo (o calvinismo, se fossimo in Italia) ma che indubbiamente ha dei punti a suo favore, i quali trovano un'occasione di ampliamento nella ristampa curata dalla Babygrande di Hood Treason, l'album d'esordio dell'MC di Staten Island. In esso, distribuito su due Cd e sparso tra 39 tracce, si può trovare il NY Oil-pensiero in tutte le sue articolazioni e tutta la sua forza di critica morale e sociale, accompagnato per fortuna da una produzione musicale solida quanto basta per permetterne una fruizione efficace.
I beat -curati al 99% da totali sconosciuti quali Religion, DJ Mosaic o J.Owens- hanno infatti un sapore tipico della New York di fine anni '90, con una melodia non troppo "spezzata" e con una sezione ritmica piuttosto regolare e ben pronunciata; ciò da un lato non distoglie l'attenzione dell'ascoltatore dal messaggio, e dall'altro non costringe lo stesso Oil a doversi inventare più che tanti trick per far quadrare metrica e contenuto. Messa così parrebbe una critica ma in realtà la formula funziona più che egregiamente, specie se si considera che le origini del Nostro provengono per via diretta dallo spoken word, e pertanto uno stile che fa così tanta leva sulla cadenza, la pronuncia e la pausa ad effetto necessita secondo me di meno "distrazioni" possibili. Questo potrà naturalmente scoraggiare coloro che cercano il perfetto bilanciamento tra forma e contenuto -e allora consiglio loro di rivolgersi a Immortal Tech- ma con un minimo sforzo e due ascolti di adattamento non riuscirà difficile apprezzare appieno gran belle canzoni come Self Destrukkktion, Boombyeyay, The Hate That Love Made o Unreal. In queste, Oil spazia dallo storytelling all'autoesaltazione alla narrazione autobiografica, riuscendo sempre a conferire un tocco personale al tutto attraverso una serie di osservazioni che assumono diversi gradi d'importanza a seconda della natura della canzone; dunque, se una Self Destrukkktion usa lo storytelling come espediente stilistico per elencare una serie di comportamenti autolesivi, allora Y'All Should All Get Lynched è decisamente più esplicita e suona come un vero e proprio "j'accuse" (e non è l'unico) nei confronti degli oggetti del disprezzo del Nostro. E, tanto per chiudere il discorso, i suddetti oggetti di disprezzo sono fondamentalmente la cialtroneria, la disonestà, l'amoralità e l'ignoranza dei suoi colleghi i quali si rendono colpevoli di propagarla in tutta la comunità afroamericana, tanto che "even Africans are callin' you 'niggas', ain't that something?".
Ma di fronte a queste accuse egli offre anche alternative? In parte sì, impugnando più volte l'argomento della decenza e del rispetto di sè stessi come piede di porcvo per scardinare l'imperante inciviltà; ma anche nei casi in cui la questione resta aperta, cosa c'è da aggiungere? I comportamenti asociali che Oil denuncia sono talmente evidenti e pacchiani che non ci vuole un genio per capire come correggerli; e nel momento in cui ciò non avviene -questa la tesi- si è in totale malafede e perciò colpevoli di "hood treason". All'ascoltatore il compito di trarne le conseguenze.
Ma, detto questo, resta da vedere l'aspetto più puramente "tecnico" del lavoro. Rime e musica. Le mie prime rimostranze sono destinate alla tecnica del Nostro, che se di per sè è più che dignitosa (e dimostra una buona esperienza nella gestione di respiro, adlib, dizione ecc.), reputo d'altro canto un po' troppo legata allo spoken word ed eccessivamente "enunciata" per risultare armoniosa e legata alla musica. In altre parole, vi sono momenti in cui rappata e beat paiono viaggiare su binari paralleli indipendenti gli uni dagli altri, come ad esempio in Don't Get It Twisted, I Tried o la follemente intitolata La La La Laaa (WTF!?!). Au contraire, rime, vocabolario ed interpretazione sono degne di lode e sfociano in una generale sensazione di carisma essenziale per la natura del progetto; e non scordiamoci che per fortuna il più delle volte l'alchimia invece funziona, producendo ottimi risultati che in parte ho già elencato precedentemente ed ai quali vorrei aggiungere Hip Hop Ya Don't Stop, You're A Queen e Purrrfect Beat. infine, in quanto a produzioni direi che siamo messi abbastanza bene: ci sono svariate chicche, altre piuttosto inspide ed alcune robe del tutto impresentabili; la cosa positiva è che, tendenzialmente, se il beat è orrendo allora lo è anche la rappata e viceversa, sicchè uno può tranquillamente scremare quelle quattro-cinque cacate (Hood Treason, What Up my Wigger Wigger, Girls Wanna Dance, Soldier e IWNBYSO) e gustarsi il resto.
Alla fine dei conti devo confessare che l'album non solo mi è piaciuto ma anzi mi ha piacevolmente sorpreso, perchè in tutta franchezza ho trovato i beat ben superiori a quanto fosse lecito aspettarsi. Certo, non saranno innovativi nè niente, ma alcuni sono più che piacevoli e, come detto, propedeutici alla comprensione -nel senso più ampio del termine- dei messaggi di NY Oil che, per quel che mi riguarda e pur con il deficit culturale che inevitabilmente ho, condivido. E dirò di più: ai miei occhi, ciò che rende degno di stima il Nostro e tutti coloro che seguono questa strada non sono solo i contenuti in quanto tali, bensì la chiarezza e l'esplicità nel denunciare esattamente cosa va cambiato. E purtroppo questa chiarezza non si ritrova nei vari Talib Kweli, Common e chiunque altro passi per conscious, i quali -per quanto degni di lode per altre cose- sono in questo decisamente dei paraculi king size. E già che ci siamo, tanto per chiudere degnamente questa geremiade, vorrei menzionare il re dei paraculi per eccellenza, Nas, che con l'ultimo album non solo ha di nuovo floppato in termini meramente artistici ma ha pure confermato l'idea che avevo di lui come maître-à-penser un tanto al kilo, bravissimo ma privo di qualsiasi credibilità.
Tornando a bomba a Hood Treason, il suo difetto principale -oltre a quelle cacate già denunciate- è la prolissità. inevitabilmente, ciò che di buono si può trovare nel disco fatica a venire a galla tra le 39 tracce, a causa anche di un'abbondanza eccessiva di skit, monologhi ed interruzioni di vario genere. Non posso quindi dargli un'eccellenza, ma perlomeno consigliarlo vivamente, beh, questo sì.
N.Y. Oil - Hood Treason (Disc 1)
N.Y. Oil - Hood Treason (Disc 2)
VIDEO: UNREAL
Tra gli afroamericani, poi, questo problema e le sue implicazioni sono state affrontate di petto più volte nel corso del XX secolo: prima con Booker T. Washington e W.E.B. Du Bois, poi con Marcus Garvey, poi ancora con la Nation Of Islam e Malcolm X, per proseguire con i movimenti per i diritti civili degli anni '60 (il SCLC di Martin Luther King ed il SNCC sotto Stokely Carmichael) e più recentemente con i discussi Jesse Jackson e Louis Farrakhan. Trattandosi in tutti i casi di organizzazioni o pensatori che tendevano ad abbracciare tutti gli aspetti della segregazione era inevitabile che a fianco di questi movimenti politici si sviluppasse parallelamente il versante artistico, che verso la fine degli anni '80 riuscì addirittura a diventarne l'amplificatore più efficace nel mondo; sto parlando naturalmente dei vari Spike Lee, Public Enemy o il primo Ice Cube -tanto per citare i più noti. Ma dopo di essi vi fu almeno un decennio di silenzio mediatico e solo recentemente i più attenti hanno potuto notare una crescita di impegno sociopolitico e critica al sistema americano; tuttavia, ciò è ancora limitato all'underground (tant'è vero che, in ambito mainstream, un'osservazione fondamentalmente ovvia come "George Bush don't care about black people" è parso radicale quanto un "Black power"), dove a partire da Immortal Technique per giungere al redivivo Wise Intelligent si sono visti vieppiù dischi testimoniare delle prese di coscienza ben definite ed incompromettibili che finalmente sono state di nuovo prese in seria considerazione. Ebbene, a queste persone va ora ad aggiungersi NY Oil, già ignoto al pubblico agli inizi degli anni '90 come Kool Kim, esploso mediaticamente nel 2004 grazie ad una canzone ed un video: Y'All Should All Get Lynched, in cui si accusavano tutta una serie di noti rapper di essere dei giullari di corte, dei traditori della propria gente e dunque meritevoli di essere linciati.
Vuoi anche per la rapida censura del tutto da parte di Youtube, sta di fatto che il pezzo fece molto discutere di sè ed aprì la strada ad un aperto confronto che vede(va) diversi personaggi venire accusati di "coonery", "minstrelsy" ed altri termini che definiscono il nero che si copre volontariamente di ridicolo per compiacere i propri padroni bianchi, gettando così nel fango non solo la propria dignità bensì anche quella del proprio popolo. Una posizione facilmente tacciabile di moralismo (o calvinismo, se fossimo in Italia) ma che indubbiamente ha dei punti a suo favore, i quali trovano un'occasione di ampliamento nella ristampa curata dalla Babygrande di Hood Treason, l'album d'esordio dell'MC di Staten Island. In esso, distribuito su due Cd e sparso tra 39 tracce, si può trovare il NY Oil-pensiero in tutte le sue articolazioni e tutta la sua forza di critica morale e sociale, accompagnato per fortuna da una produzione musicale solida quanto basta per permetterne una fruizione efficace.
I beat -curati al 99% da totali sconosciuti quali Religion, DJ Mosaic o J.Owens- hanno infatti un sapore tipico della New York di fine anni '90, con una melodia non troppo "spezzata" e con una sezione ritmica piuttosto regolare e ben pronunciata; ciò da un lato non distoglie l'attenzione dell'ascoltatore dal messaggio, e dall'altro non costringe lo stesso Oil a doversi inventare più che tanti trick per far quadrare metrica e contenuto. Messa così parrebbe una critica ma in realtà la formula funziona più che egregiamente, specie se si considera che le origini del Nostro provengono per via diretta dallo spoken word, e pertanto uno stile che fa così tanta leva sulla cadenza, la pronuncia e la pausa ad effetto necessita secondo me di meno "distrazioni" possibili. Questo potrà naturalmente scoraggiare coloro che cercano il perfetto bilanciamento tra forma e contenuto -e allora consiglio loro di rivolgersi a Immortal Tech- ma con un minimo sforzo e due ascolti di adattamento non riuscirà difficile apprezzare appieno gran belle canzoni come Self Destrukkktion, Boombyeyay, The Hate That Love Made o Unreal. In queste, Oil spazia dallo storytelling all'autoesaltazione alla narrazione autobiografica, riuscendo sempre a conferire un tocco personale al tutto attraverso una serie di osservazioni che assumono diversi gradi d'importanza a seconda della natura della canzone; dunque, se una Self Destrukkktion usa lo storytelling come espediente stilistico per elencare una serie di comportamenti autolesivi, allora Y'All Should All Get Lynched è decisamente più esplicita e suona come un vero e proprio "j'accuse" (e non è l'unico) nei confronti degli oggetti del disprezzo del Nostro. E, tanto per chiudere il discorso, i suddetti oggetti di disprezzo sono fondamentalmente la cialtroneria, la disonestà, l'amoralità e l'ignoranza dei suoi colleghi i quali si rendono colpevoli di propagarla in tutta la comunità afroamericana, tanto che "even Africans are callin' you 'niggas', ain't that something?".
Ma di fronte a queste accuse egli offre anche alternative? In parte sì, impugnando più volte l'argomento della decenza e del rispetto di sè stessi come piede di porcvo per scardinare l'imperante inciviltà; ma anche nei casi in cui la questione resta aperta, cosa c'è da aggiungere? I comportamenti asociali che Oil denuncia sono talmente evidenti e pacchiani che non ci vuole un genio per capire come correggerli; e nel momento in cui ciò non avviene -questa la tesi- si è in totale malafede e perciò colpevoli di "hood treason". All'ascoltatore il compito di trarne le conseguenze.
Ma, detto questo, resta da vedere l'aspetto più puramente "tecnico" del lavoro. Rime e musica. Le mie prime rimostranze sono destinate alla tecnica del Nostro, che se di per sè è più che dignitosa (e dimostra una buona esperienza nella gestione di respiro, adlib, dizione ecc.), reputo d'altro canto un po' troppo legata allo spoken word ed eccessivamente "enunciata" per risultare armoniosa e legata alla musica. In altre parole, vi sono momenti in cui rappata e beat paiono viaggiare su binari paralleli indipendenti gli uni dagli altri, come ad esempio in Don't Get It Twisted, I Tried o la follemente intitolata La La La Laaa (WTF!?!). Au contraire, rime, vocabolario ed interpretazione sono degne di lode e sfociano in una generale sensazione di carisma essenziale per la natura del progetto; e non scordiamoci che per fortuna il più delle volte l'alchimia invece funziona, producendo ottimi risultati che in parte ho già elencato precedentemente ed ai quali vorrei aggiungere Hip Hop Ya Don't Stop, You're A Queen e Purrrfect Beat. infine, in quanto a produzioni direi che siamo messi abbastanza bene: ci sono svariate chicche, altre piuttosto inspide ed alcune robe del tutto impresentabili; la cosa positiva è che, tendenzialmente, se il beat è orrendo allora lo è anche la rappata e viceversa, sicchè uno può tranquillamente scremare quelle quattro-cinque cacate (Hood Treason, What Up my Wigger Wigger, Girls Wanna Dance, Soldier e IWNBYSO) e gustarsi il resto.
Alla fine dei conti devo confessare che l'album non solo mi è piaciuto ma anzi mi ha piacevolmente sorpreso, perchè in tutta franchezza ho trovato i beat ben superiori a quanto fosse lecito aspettarsi. Certo, non saranno innovativi nè niente, ma alcuni sono più che piacevoli e, come detto, propedeutici alla comprensione -nel senso più ampio del termine- dei messaggi di NY Oil che, per quel che mi riguarda e pur con il deficit culturale che inevitabilmente ho, condivido. E dirò di più: ai miei occhi, ciò che rende degno di stima il Nostro e tutti coloro che seguono questa strada non sono solo i contenuti in quanto tali, bensì la chiarezza e l'esplicità nel denunciare esattamente cosa va cambiato. E purtroppo questa chiarezza non si ritrova nei vari Talib Kweli, Common e chiunque altro passi per conscious, i quali -per quanto degni di lode per altre cose- sono in questo decisamente dei paraculi king size. E già che ci siamo, tanto per chiudere degnamente questa geremiade, vorrei menzionare il re dei paraculi per eccellenza, Nas, che con l'ultimo album non solo ha di nuovo floppato in termini meramente artistici ma ha pure confermato l'idea che avevo di lui come maître-à-penser un tanto al kilo, bravissimo ma privo di qualsiasi credibilità.
Tornando a bomba a Hood Treason, il suo difetto principale -oltre a quelle cacate già denunciate- è la prolissità. inevitabilmente, ciò che di buono si può trovare nel disco fatica a venire a galla tra le 39 tracce, a causa anche di un'abbondanza eccessiva di skit, monologhi ed interruzioni di vario genere. Non posso quindi dargli un'eccellenza, ma perlomeno consigliarlo vivamente, beh, questo sì.
N.Y. Oil - Hood Treason (Disc 1)
N.Y. Oil - Hood Treason (Disc 2)
VIDEO: UNREAL
Nessun commento:
Posta un commento