lunedì 12 gennaio 2009

ARTIFACTS - BETWEEN A ROCK AND A HARD PLACE (Big Beat/Atlantic, 1994)

[Prima di spendere qualsiasi parola su questo disco, lasciatemi andare ad un seghino di autocompiacimento dovuto al fatto che stamane, malgrado il solito guasto sulla linea 2, grazie alla mia superba conoscenza dei mezzi di trasporto sono riuscito ad andare da Garibaldi a Cadorna in soli venti minuti. Garibaldi-Lanza a piedi, Lanza-Cairoli col 7 e poi Cairoli-Cadorna con la rossa: nessuno avrebbe saputo fare di meglio.]

Se avete letto la mia precedente recensione avrete notato il mio accenno alla filosofia del backpacker duro e puro, così ben sintetizzata da O.C. e così legata al 1994 tutto grazie alle uscite di Word Life, per l'appunto, così come di Resurrection, The Sun Rises In The East, Main Ingredient e chi più ne ha più ne metta. Tra gli esclusi di questa lista, però, figurano due "underdogs" già all'epoca ritenuti materiale strettamente per appassionati: gli Artifacts. El Da Sensei e Tame One, oriundi di Newark, diedero alle stampe il loro disco d'esordio proprio in quel fortunato anno e, grazie all'ode al writing Wrong Side Of The Tracks (una delle migliori in assoluto, secondo me), fecero breccia nei cuori dei bibbòi di mezzo mondo. Ma si può dire che entrarono nella storia? Forse no, ma di sicuro c'è che il loro esordio è forse uno degli ultimi genuini tributi de facto all'hip hop ed alle sue cosiddette quattro discipline -senza naturalmente scordare la stritlàif, che però qui viene solo accennata e di certo più come una sorta di condanna che non un mezzo tramite il quale farsi belli.
In ogni caso, a far da sfondo alle evoluzioni liriche del duo (a dire il vero più di Tame One, dato che all'epoca El era legnosetto anzichenò) ci sono le basi di due giganti del beatmaking: Buckwild da un lato e l'ora semidimenticato T-Ray dall'altro. Il primo si fa subito notare con il singolo C'mon Wit Da Git Down ed il relativo remix, campionando nel primo caso la stupenda Ripped Open By Metal Explosions e nel secondo l'immarcescibile Holy Thursday; ma la parte del leone la fa T-Ray che, già alla terza traccia, regala al pubblico una delle linee di basso più memorabili che la storia ricordi (Bubble Gum, per chi dovesse essere interessato) oltreché una fusione tra strofa e ritornello del tutto perfetta e che in tal modo partorisce materiale che all'epoca veniva salutato come purissima jeep music e che ora resta una ficata puntebbasta. Più avanti, Buck cerca di rispondere con Attack Of New Jeruzalem e What Goes On, ma purtroppo anche quest'ultima, la più riuscita delle due, deve cedere il passo a quanto concepito da Ray (complice il fatto che lo stesso campione era stato utilizzato -meglio- da Large Pro per Halftime di Nas). E per quanto ciò sembri strano oggigiorno, è proprio quest'ultimo che, lavorando di taglia e cuci, butta fuori una serie impressionante di beat i quali, pur rielaborando ad libitum la combinazione bassopesante+batteriasostenuta+brevesample e risultando saltuariamente monotoni, riescono a fornire un suono omogeneo e virtualmente ideali per Tame ed El. Pur non trovando tracce all'altezza di Wrong Side Of The Tracks, anche oggi è difficile sorvolare sulla potenza di una Heavy Ammunition o di una Dynamite Soul: estremamente ruvide nei suoni, queste non concedono pressochè nulla alla melodia (almeno in apparenza) preferendo limitarsi a fornire un ritmo regolare ed innegabilmente incisivo in modo tale da lasciar spazio agli MC ed alle loro liriche.
Le quali liriche sono come minimo perfette per questo tipo di sound: analogamente ad alcuni loro illustri predecessori (Run-DMC, Das EFX e De La Soul su tutti), Tame ed El giocano molto di sponda, scambiandosi spesso il microfono e riuscendo così a fornire una varietà sonora che altrimenti risulterebbe un po' latente. In più, ciò che manca loro come diversità vocale ,(Tame, tra l'altro, ricorda un po' Grand Puba) lo compensano con la metrica: piuttosto fluida, complessa e tendente a bei incroci A-B-B-A quella di Tame, un po' più semplice quella di El ma pur sempre sopra la media e dunque nient'affatto d'intralcio al piacere d'ascolto nel suo complesso (il che è un bene in sé, certo, ma diventa ancor più importante nel momento in cui gli ospiti si contano sulle dita di una mano).
Le tematiche, come accennato precedentemente, sono perlopiù strettamente orientate verso l'hip hop ed i suoi derivati: da qui la dichiarazione d'amore verso il writing così come l'ode alla marijuana e le relative speranze di legalizzazione (quando ancora farle non aveva rotto i coglioni, mind you), ma anche la promozione della propria città, l'amore verso il rap (Whayback è uno degli Amarcord più riusciti del genere) e l'autoesaltazione più classica. In tal senso non si può certo dire che concettualmente ci troviamo di fronte a chissà che -anzi, chiunque non condivida la loro passione almeno al 90% troverà Hard Place una mattonata d'album- però bisogna ammettere che non solo la realizzazione del tutto è ben fatta ma, soprattutto, risulta indubbiamente sincera. Oggi come oggi viene quasi da sorridere se si pensa come il tutto suoni talvolta naïv, specie se si prende poi in considerazione che le loro brave dosi di merda le devono pur aver ingoiate, ma in fondo da tutto ciò deriva una visione d'insieme che da un lato conferisce loro un'identità di rappresentanti dell'hip hop a tutto tondo, e dall'altro segna uno degli ultimi colpi di coda di un genere che già in quegli anni stava abbandonando con sempre maggiore rapidità gli stilemi da b-boy vecchia scuola per favorire l'emergere del ghettuso più incazzato o del megalomane pacchiano che usa le banconote per accendersi i sigari.
Insomma, come dire: Between A Rock And A Hard Place vale oggigorno quasi più come "segnalibro" culturale e musicale che come musica tout court, ma è proprio questo a renderlo per me importante. Per di più, avendo vissuto quell'epoca in prima persona, non riesco ad essere obiettivo come dovrei e pertanto lo giudico come l'avevo giudicato quindici anni fa (13, in realtà, perchè nel '94 m'era sfuggito): quattro ed una bella lode per il fattore nostalgia che evoca in me.




Artifacts - Between A Rock And A Hard Place

VIDEO: WRONG SIDE OF THE TRACKS

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Bene, ti stai dando ai classici (non virgoletto, ma avrei usato il corsivo). Io però mezzo zainetto in più glie l'avrei dato.

BRA
www.rapmaniacz.com

reiser ha detto...

Uh addirittura E mezzo? Non l'ho mai trovato COSI' bello, già mi sento un sentimentalone a dargliene quattro...

A parte ciò, fa piacere comunque scoprire che c'è qualcuno che apprezzi Fun DMC più della media. Non gli avrei dato 4 ma 3 e 1/2 sì, è proprio godibile. Album più sottovalutato dell'anno?
Anzi, è l'unico album dei PUTS che non mi fa evaporare i coglioni in una nuvola rosa di peli

Anonimo ha detto...

Più che sottovalutato secondo me è sottoascoltato: non se l'è inculato nessuno!

BRA
www.rapmaniacz.com

Anonimo ha detto...

4 e mezzo ci stan tutti
anzi 5 solo per come t-ray ha usato il sample di jack bruce in wrong side of the track.
the ultimate invece era una ciofega di album.
il singolo come brick city kids invece spacca
djmp45

Anonimo ha detto...

Ciao,ottima l'idea di postare degli Album a tè molto cari dedicando comunque loro recensioni che aiutino a comprendere di quale tipo di suono si tratti.M'è parso di capire ti piacciano i Kreators,bene,a questo link trovi un video che li riguarda;non l'hò visto personalmente,comunque penso non esistano molti gruppi con tag "Kreators",vedi un po' tu.
http://conexionesdelbajomundo.blogspot.com/

riccardo ha detto...

anche secondo me 4 zaini ci stanno tutti. questo album ha una ruvidità e scarnezza (per quanto riguarda i beats) hardcore che ben pochi altri possono vantare! e loro ci scivolano sopra con una naturalezza che mi fa impazzire. gran disco.

Anonimo ha detto...

la mia è la voce fuori dal coro, quindi quella giusta: album che non è un classico. non lo è stato allora (3 zainetti bastano) e non lo è adesso...anche se capisco che la tentazione di fare il guru delle meteore underground è troppo forte.(e tra l'altro mi ricordo che quando lo comprai in abifahrt a berlino reiser me lo commentò con un sonoro yaz.)

to be right

ck

Anonimo ha detto...

Voto e recensione condivisibili.
That's Them è anch'esso un buon album, checchè DJmp45 dica il contrario (sempre se con "The Ultimate" intendeva quello).
Non è che se un album è uscito dopo il '95 deve far cagare per forza...

reiser ha detto...

That's Them è noiosetto, alla lunga, ma Ultimate (remix e originale), Collaboration Of Mics, Art Of Facts e Where Yo Skillz At sono bei pezzi.
Più che altro è un po' la solita minestra riscaldata ma anch'io trovo che definirla cagatona sia eccessivo. D'altronde Mp45 è un po' il Robespierre del reps e difatti quasi ho il terrore di spingermi oltre il 2000, sapendolo in giro :)