venerdì 26 giugno 2009

BLACK MILK - POPULAR DEMAND (Fat Beats, 2007)

Com'è facilmente prevedibile, io non sono un grande fan della techno in nessuna delle sue forme; non sto qui a spiegarne i motivi, molto semplicemente non mi piace. Tuttavia, un po' come mi succede con il metal, pur non aggradandomi in nessuna maniera provo un'inspiegabile simpatia verso di essa e soprattutto reputo la sua storia assai interessante. Non per ultima c'è la cosa più importante, ovverosia la mia ferrea convinzione che essa abbia influenzato -vuoi anche solo in maniera impercettibile- sia Dilla che Black Milk nonché, di conseguenza, il sound contemporaneo dell'hip hop di Detroit e se così davvero fosse (non ho purtroppo la conoscenza musicale per dimostrarlo su basi empriche) credo che le dovrei essere grato vita natural durante. Dopo l'uscita di Tronic questa mia convinzione si è rafforzata, ma devo dire che la nascita di questa è dovuta all'ascolto del suo primo disco solista: Popular Demand.
Prima di esso, Black Milk era infatti considerato solamente un buon produttore oppure, nei giudizi più estremi, una sorta di Jay Dee a scartamento ridotto; un giudizio dovuto principalmente al semplice fatto di aver sostituito (assieme al collega Young RJ) quest'ultimo a partire da Detroit Deli e che in realtà ha ben poco a che vedere con l'effettiva produzione musicale. Infatti, se si vanno a fare paragoni tra i due, si possono indubbiamente scoprire elementi in comune, ma altrettanto indubbiamente se ne scoprono altri discordanti: nel taglio dei campioni, nel mixaggio, nel rapporto di contrappesi tra batterie e basso eccetera eccetera. Del resto, se così non fosse, lo sviluppo del sound di Black Milk non lo avrebbe portato a Tronic bensì a Ruff Draft, giusto?
Tuttavia ho gioco facile a sostenere questa tesi nel 2009. Devo infatti ammettere che ascoltando Popular Demand in alcuni casi il pensiero non può non correre a Dilla, complice prima fra tutti l'atmosfera soul ed una minore propensione verso la sofisticata elaborazione delle batterie che si può respirare negli oltre 70 minuti di musica che ci vengono qui offerti. Contrariamente a Tronic, che è un'opera personalissima in tutto e per tutto, qui vi sono momenti in cui l'ombra del Maestro si fa notare; si tratta sempre di influenze e non di plagio e sovente ciò si traduce comunque in buona musica, però non si può nascondere quel quid di Yancey che permea Sound The Alarm o Lookatusnow (solo per citarne due). Fortunatamente, però, Milk è decisamente un miglior MC di JayDee (e di molti suoi colleghi produttori-MC, se è per questo) e ciò permette ad un'opera come Popular Demand di reggere egregiamente la propria lunghezza, a condizione che non ci si aspettino le performance di un Elzhi ma ci si sappia accontentare di tematiche tutto sommato frivole e presentate con uno stile che si fonda più sul carisma che non sulla tecnica vera e propria.
Fin dall'inizio egli non fa mistero delle sue aspirazioni e della sua visione artistica: "I’m underground, but don’t get it twisted, man, I’m in the range and I’m thinkin’ bout that Escalade/ We like a little platinum on a chain, on a ring, I’m from the city of the gators, dog, what you think?/ 'Cause I don’t walk with no backpack on don’t put me a box, dawg, we do it all/ You can catch me in the club from the window to the wall". Grossomodo, anche la tara dei suoi argomenti si attesta su questi livelli: in altre parole, non aspettatevi raffinate concept track o grandi storytelling perché da questo punto di vista Popular Demand è quanto di più tradizionale (volendo anche manieristico) vi possa essere; diciamo che lui ama trombare (shocker!), bere, fumare, andare nei club e tutte quelle cose lì, senonché ci usa la cortesia di corredare questa gragnuola di ovvietà con un flow accettabile (anche se esageratamente fondato su pause, enunciazione e toni vocali) che contribuisce a rendere il tutto piacevole ed ascoltabile. In fondo il suo miglior pregio è questo e, francamente, non intendo perdere altro tempo su un argomento così sterile se non per menzionare dei featuring che pur non provenendo da dei mostri sacri risultano d'impatto: Slum Village e Baatin (ma mica ne faceva parte? Boh) su tutti, ma anche Phat Kat e Guity Simpson conferiscono un valore aggiunto non indifferente ai pezzi che li vedono ospiti.
Non a caso, sono proprio questi gli elementi più efficaci di Popular Demand: Sound The Alarm, il singolo, gode di una linea di basso continua, stilisticamente collocabile a metà tra la Bomb Squad e Dilla, che viene sostenuta da delle batterie regolari ma opportunatamente "sporche" e che rendono l'insieme una bomba, complici anche le prestazioni sopra la media di Milk e Simpson. La posse cut Action è invece il contrafforte della precedente canzone, in cui si nota molto più la componente soul del disco; ammetto che in sè il beat non suona fresco come ci si aspetterebbe, ma la sua relativa prevedibilità viene ampiamente compensata da un buon gusto nella scelta e nell'uso del campione. Ma oltre a queste vanno evidenziati altre pezzucci non esattamente da nulla. Insane, ad esempio, in cui il nostro si sbizzarrisce con le batterie nel modo che abbiamo imparato ad amare; oppure la bonus track Keep it Live, in cui scorgo addirittura echi del Wu-Tang di fine millennio; infine, le più tradizionali ma enormememente orecchiabili Lookatusnow, Say Something (in odore di 50 Cent di suo e per di più con un ritornello inequivocabile), One Song e Shut It Down. Queste ultime tre rappresentano l'animo più derivativo di Black Milk, è vero, ma bisogna riconoscere che sanno comunque trasmettere una sensazione di blaxploitation in maniera nient'affatto scontata, contrariamente a ciò che avviene con i molti che pescano a piene mani nel catalogo Stax e Motown.
Sfortunatamente, però, Popular Demand non è tutto rose e fiori. Innanzitutto alle volte Black Milk rappa cose asinine e in maniera così asinina da risultare irritante. E nel complesso, non si può nascondere una certa monotonia e ridondanza contenutistica, purtroppo non risollevata da alcun tipo di inventiva o humor; detta in modi più spicci, egli avrebbe fatto meglio a lavorare di forbice per ridurre la lunghezza del disco. Lo stesso dicasi per certi beat come U, So Gone o Watch 'Em: definirli privi d'inventiva sarebbe eufemistico ma, ben più grave, il problema è che sono di una genericità imperdonabile per uno come Milk. Li ascolti ed oltre a non lasciarti nulla ti fanno interrogare se quello che stai sentendo sia veramente il lavoro di uno che aspira(va, nel frattempo lo è diventato) a divenire un punto di riferimento per il sound di Detroit.
A conti fatti, quindi, possiamo annotare due cose. La prima è spiacevole e consiste nel dover inquadrare questo esordio nella fascia alta dei prodotti validi, e nel fare questo reputo legittimo tenere conto di una parziale delusione. Insomma, se alcuni di questi beat risultano inferiori alle tue stesse cose del 2004, beh, vuol dire che non ti sei sbattuto abbastanza e ciò, per quel che mi riguarda, è alquanto sgradevole specie se devo tener conto delle legittime aspettative nutrite fino a quel momento. La seconda cosa, invece, è una sorta di rovescio della medaglia: complice un esordio non brillante o perlomeno non all'altezza della sua reputazione, nell'arco di un anno Black Milk ha saputo produrre quel capolavoro che è Tronic. Ma siccome non posso certo tener conto di questa nota positiva nel momento in cui devo esprimere un voto, ecco che alla fin fine Popular Demand si becca un severo tre e mezzo.





Black Milk - Popular Demand
Black Milk - Broken Wax Instrumentals

VIDEO: SOUND THE ALARM

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Che Black Milk sia "debitore" della Techno detroitiana e, dunque, di Jay Dee, non richiede verifiche empiriche mirabolanti: lo dice un semplice confronto fatto da un orecchio allenato. La cosa è palese soprattutto nella scansione del tempo e nell'incedere di basso e cassa+hihat, per "cronologia" ed un altro po' di ragioni che non sto qui a sottolineare Jay Dee viene citato come "mentore" di Black Milk ma, come sottolinei correttamente tu, il parallelo è valido solo entro certi limiti perché quest'ultimo ha sempre fatto notare una propria sensibilità compositiva. Ad ogni modo frutto dei loro "esperimenti" è un Hip-Hop che non perde in rigore e, cosa a mio avviso molto importante, riesce contestualmente ad allargare i propri orizzonti oltre la cerchia ristretta dei bibboi coi pantaloni larghissimi e il berrettino calato sulla fronte, dischi come "Tronic" e "Welcome 2 Detroit" hanno potenzialità per piacere (quasi) a chiunque. E se questo non è già un gran merito...

BRA
www.rapmaniacz.com

reiser ha detto...

Sì, ma vedi, mi piacerebbe avere una conoscenza che mi permetta di dire esattamente quali artisti hanno influito su Milk, esattamente così come posso dire che Syl Johnson sta alla base di moltissimi lavori del primo RZA
Solo che dovrei ascoltare techno e non se ne parla

"frutto dei loro "esperimenti" è un Hip-Hop che non perde in rigore e, cosa a mio avviso molto importante, riesce contestualmente ad allargare i propri orizzonti oltre la cerchia ristretta dei bibboi coi pantaloni larghissimi e il berrettino calato sulla fronte,"
Esatto, soprattutto la prima parte. Propongono hip hop con due palle così, che non perde nulla della sua essenza ma riesce a rinnovarsi.

Più avanti nel pomeriggio aggiornerò con altra roba di Black Milk, comunque

Anonimo ha detto...

Questo disco mi ha abbastanza deluso...Tolta sound the alarm (che cmq non mi fa cadere dalla sedia)l'ho trovato abbastanza piatto. Tronic è di un livello superiore.

ck

Antonio ha detto...

Diciamo che nel momento in cui usciva Popular Demand il giovane Cross era forse ancora a corto di personalità, prima che di idee. Una volta liberatosi del fardello dell'inesperienza, ha spiccato il volo. Io me la spiego così.
Che poi Black Milk debba necessariamente fare un album a tre con Elzhi e Royce è una verità di fede...